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Divisione senza comunione: le ipotesi della dottrina.

Nel documento La divisione ereditaria (pagine 41-46)

2. Lo scioglimento della comunione come elemento caratterizzante della divisione.

2.1. Divisione senza comunione: le ipotesi della dottrina.

Come già anticipato, recente dottrina74 ha proposto una ricostruzione differente della divisione, affermando che tra i suoi caratteri costitutivi non vi sarebbe quello di dar luogo allo scioglimento di una preesistente comunione.

L’Autore delinea una nuova categoria di divisione ―senza comunione‖, all’interno della quale dovrebbero confluire, a suo parere, tutti gli atti o i negozi accomunati da una funzione distributiva proporzionale, quest’ultima accostabile alle categorie generali della funzione corrispettiva e liberale.

All’interno della categoria l’Autore riconduce la divisione del testatore, la collazione, il patto di famiglia e, spingendosi oltre, anche lo scioglimento degli enti associativi e della comunione coniugale.

2.1.1. La divisione del testatore.

La tesi richiamata è stata sottoposta a critiche molto decise75, soprattutto nella parte in cui pretende di ricavare dalla natura della divisione del testatore la conclusione di ordine generale che il contratto di divisione non annovera tra i suoi elementi di base la cessazione della comunione.

In questo senso si sottolinea come, nonostante le affinità lessicali e le innegabili comunanze funzionali, la divisione del testatore non possa essere considerata divisione in senso proprio76.

Del resto, a conferma della radicale differenza della divisione del testatore rispetto alla divisione in senso tecnico, anche l’elemento dell’apporzionamento proporzionale, quest’ultimo ritenuto da Amadio vero ed unico elemento essenziale della categoria, si configura in modo del tutto anomalo, in particolare nell’ipotesi di divisione senza predeterminazione di quote astratte.

In questo caso, infatti, manca del tutto l’elemento costitutivo della distribuzione proporzionale alla quota, ed anzi si verifica una sorta di inversione, dato che la quota astratta di coeredità potrà essere determinata solo a posteriori, sulla base del valore dei beni oggetto di apporzionamento concretamente attribuiti dal testatore.

In altri termini, nella divisione del testatore il fenomeno che si riscontra è quello dell’attribuzione di una quota in funzione del valore dell’apporzionamento, non già come nel contratto di divisione, quello di un apporzionamento in funzione proporzionale alla quota astratta preesistente.

Ancora, la labilità dei legami della divisione del testatore senza predeterminazione di quote alla divisione in senso tecnico è confermata dall’inapplicabilità alla stessa della disciplina della

75 Per una efficace sintesi degli argomenti addotti a contrario dalla dottrina vedi,

LUMINOSO, Divisione e sistema del contratti, in Contratti ed autonomia privata, in I quaderni della fondazione italiana per il notariato, Sole 24 ore, 2009. p. 8 e ss..

76 LUMINOSO, op. cit., p. 22, ricorda come sia insegnamento comunemente

accettato che l’identità di un istituto giuridico vada desunta non soltanto dai suoi elementi di ordine funzionale, ma anche da quelli di ordine strutturale.

divisione ereditaria, in particolare delle regole sulla rescissione per lesione e di quelle sulla garanzia per evizione (che operano invece per l’altro tipo di divisione testamentaria) e neppure opera il principio della nullità per mancata partecipazione di uno dei compartecipi (che il legislatore richiama all’art. 735 comma 1 per la sola divisione con predeterminazione di quote).

Più in generale, si è eccepita, con impostazione che ritengo di condividere, l’impossibilità di ―identificare in toto lo schema

funzionale generico (che funge da criterio unificatore del raggruppamento) con la causa specifica che contraddistingue ciascun tipo negoziale (…) Può anche proporsi quindi l’inclusione delle diverse figure negoziali sopra ricordate – e di altre ancora – entro un unico generico “schema funzionale distributivo”, purché tuttavia non si perda di vista che ognuna di tali figure corrisponde ad un distinto tipo negoziale in ragione degli elementi specializzanti che lo caratterizzano e che trovano loro sintesi nella causa specifica‖77.

Quindi, se da un lato la costruzione di una nuova categoria funzionale distributiva, da affiancare a quelle liberale e corrispettiva, ha un’innegabile utilità, essa di per se non basta per definire in modo esaustivo la causa del contratto, ne per costruire un autonomo tipo contrattuale, soprattutto se il tipo serve per ―consentire l’intervento

della fonte legale nella costruzione del regolamento contrattuale, sia mediante norme dispositive , sia mediante norme imperative‖.78

Inoltre, il riferimento alla funzione distributiva, aldilà di ogni più ampia considerazione, così come formulato, è ritenuto eccessivamente generico, perché gli elementi peculiari che caratterizzano le varie figure, nelle quali la funzione distributiva potrebbe essere ravvisata, sono tali da distanziarle notevolmente e da rendere molto complessa la loro riconduzione ad unità.

In questo senso, parte della dottrina ritiene che la situazione di contitolarità dei beni in capo ai condividenti sia viceversa elemento tipico della divisione79, ed anzi che si possa parlare di divisione solo qualora vi sia una contitolarità attuale in capo ad un gruppo di

77 LUMINOSO; op. cit., p. 23. 78

GITTI, La “tenuta” del tipo contrattuale e il giudizio di compatibilità, in Riv. dir.

civ., 2008, I, p. 497.

79 VENOSTA, Libro II – Titolo IV: Della Divisione, art. 713, in Commentario al

soggetti, e tale contitolarità venga sciolta con la formazione preferenziale di quote in natura, e solo eccezionalmente con l’assegnazione di denaro in funzione di quota.

Quando, invece, manchi la contitolarità attuale, il criterio strutturale che presiede allo scioglimento del centro collettivo di interesse è quello opposto della attribuzione di una somma di denaro, mentre la ripartizione in natura ha carattere eccezionale80 (per es. nello scioglimento degli enti collettivi)

In questi casi sarebbe più corretto parlare di liquidazione.

2.1.2. Il patto di famiglia.

Amadio prosegue saggiando la bontà della sua ricostruzione, che distingue tra divisione (scioglimento di una comunione con apporzionamento) e liquidazione (apporzionamento senza comunione) con riferimento al patto di famiglia, altro istituto nel quale l’ A., tra gli altri81, riconosce alla categoria dei negozi con funzione distributiva da lui elaborata.

80 VENOSTA, ult. op. cit., p. 16., nota 26.

81 Che il patto di famiglia abbia una funzione latu sensu divisoria, o distributiva, è

affermato da molti. AVAGLIANO, Patto di famiglia e impresa, in Riv. notariato, 2007, I, 21; BONAFINI, Il patto di famiglia tra diritto commerciale e diritto

successorio, in Contratto e impresa, 2006, p. 1207 ss.; DELLE MONACHE, Spunti ricostruttivi e quale spigolatura in tema di patto di famiglia, in Riv. notariato, 2006,

I, p. 898; VITUCCI, Ipotesi sul patto di famiglia, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 463; ZOPPINI, Profili sistematici della successione “anticipata” (note sul patto di

famiglia), ivi, 2007, II, p. 288 ss., mette in rilievo il carattere meramente eventuale

sia della funzione divisoria del patto di famiglia, la quale ―presuppone che i

legittimari siano più di due‖, sia dello stesso effetto attributivo, potendo i legittimari

rinunciare al loro credito. Seguono più da vicino la proposta di AMADIO: IEVA,

Art. 768 quater, in Commentario, a cura di DELLE MONACHE, in Leggi civ. commentate, 2007, p. 54; GAZZONI, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia,

in Giust. civ., 2006, II, p. 218 ss. Altri scrittori tendo a negare rilievo e consistenza alla funzione divisionale: PALAZZO, Il patto di famiglia tra tradizione e

rinnovamento del diritto privato, in Riv. dir. civ., 2007, II, p. 267; PERLINGIERI, Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e valutazione comparativa degli interessi, in Rass. dir. civ., 2008, p. 154 ss.; PETRELLI, La nuova disciplina del “patto di famiglia”, in Riv. notariato, 2006, I, p. 429 ss.; SICCHIERO, la causa del patto di famiglia, in Contratto e impresa, 2006, p. 1281; CAROTA, Il contratto con causa successoria, Padova, 2008, p. 199, parla di ―una funzione solo latamente assimilabile a quella divisoria tipica, se è vero che con la divisione è incompatibile

In particolare, l’A. afferma che il patto ― appare perfettamente

riproduttivo del meccanismo divisionale tipizzato dal legislatore all’art. 720 del codice: il cui esito ultimo (…) coincide in tutto e per tutto col risultato tipico realizzato dal patto di famiglia.82‖

Le disposizioni degli artt. 720 e 768 bis ss. c.c. individuano due regolamenti di interessi tra i quali vi sono evidenti rassomiglianze.

Ciò però non è ritenuto sufficiente a far convergere gli istituti all’interno della stessa categoria giuridica, e neppure ad affermare che gli interessi che i due istituti intendono regolare siano gli stessi.

Se la tecnica divisionale di cui all’art. 720 c.c. non è di generale applicazione, dato che essa può essere utilizzata solo al ricorrere di particolari requisiti che la norma stessa impone, l’assegnazione dell’azienda o della partecipazione ad un discendente con l’obbligo per questi di liquidare in denaro i legittimari, invece, costituisce l’essenza stessa del patto di famiglia.

E’ quindi possibile ipotizzare che l’art. 720 c.c. non costituisca altro che un’ipotesi eccezionale di divisione mediante liquidazione, ma pur sempre divisione, proprio perché il bene appartiene già ai condividenti.

Al contrario, nel patto di famiglia, né il disponente ha il diritto di disfarsi dell’azienda o della partecipazione; né alcuno dei discendenti ha il diritto di esserne assegnatario; né, quindi, il titolare attuale, se desidera stipulare il patto, è in alcun modo condizionato nella scelta del discendente da beneficiare, potendo scegliere liberamente anche un discendente che non sarebbe legittimario se in quell’istante si aprisse la successione.

Nel patto di famiglia, quindi, non è ravvisabile, per questi motivi, alcuna funzione divisionale, ed anzi al contrario il patto di famiglia serve proprio a sottrarre l’azienda alle incertezze della divisione.

Si intende assicurare la continuità familiare nella gestione dell’azienda, ed a tal fine si esclude definitivamente l’azienda dalla successione, e quindi dalla divisione, assicurando però ai legittimari, anche a fronte della privazione delle azioni di riduzione e collazione,

lo scambio, perché invece nel patto di famiglia l’aspetto distributivo si attua anche attraverso lo scambio‖.

82

l’attribuzione di un beneficio monetario equivalente a quello che essi avrebbero conseguito eventualmente in natura, in esito alla divisione.

Il patto quindi, al più, potrà essere considerato alla stregua di un’operazione sostitutiva della divisione, funzionalmente più vicino alla divisione del testatore (che come detto, non è vera divisione) piuttosto che alla divisione in senso tecnico83.

Nel documento La divisione ereditaria (pagine 41-46)