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4 La divulgazione scientifica e quella pedagogica del patrimonio edilizio in quanto pratiche di tutela

4.4 La divulgazione scientifica del patrimonio attraverso gli strumenti ottic

Mentre nella Carta di Ename la conservazione materiale del Patrimonio piuttosto che all’Interpretazione veniva riferita alle premesse turistiche della visita, quali la gestione economica e culturale dei flussi, in molti documenti internazionali, a partire dalla Carta di Atene, le pratiche di ermeneutica immateriale dei monumenti erano state considerate non solo come forme di risarcimento per il depauperamento delle modalità di selezione del Patrimonio, determinate dalla saturazione semantica del concetto di autenticità, ma come strumenti operativi di tutela materiale del Patrimonio.

Come già nella legislazione italiana ispirata da Boito infatti, accanto alla divulgazione pedagogica del Patrimonio, fin dal 1931 appaiono nelle norme internazionali precise indicazioni sulla gestione e realizzazione dei materiali di documentazione delle operazioni di restauro miranti alla condivisione delle esperienze nella comunità scientifica; la divulgazione scientifica così come appare in questi documenti non è però un campo di libero esercizio ermeneutico per gli studiosi bensì uno spazio in cui la condivisibilità delle informazioni dipende dalla standardizzazione e dalla automatizzazione prima degli strumenti di redazione delle descrizioni delle operazioni di conservazione e poi dei canali di diffusione.

Il modello dell’archivio amministrativo in questo senso ha rappresentato il riferimento principale per queste raccomandazioni materializzando in un unico strumento l’adozione di un principio tassonomico per la produzione ed il reperimento delle informazioni, tanto che già nella Carta di Atene, al suo ottavo articolo, la gestione delle informazioni sui monumenti e sulle operazioni di selezione per la loro tutela veniva ricondotta a un sistema gerarchico di istituti archivistici, da quello nazionale a quello internazionale; in modo simile dopo più di trenta anni, il medesimo modello veniva adottato anche dalla Carta di Venezia al suo sedicesimo articolo, e così pure nelle raccomandazioni dell’UNESCO riguardanti la Protezione a livello Nazionale del Patrimonio Culturale e Naturalistico, del 1972, dove se ne ribadiva l’impiego tra le misure dirette di protezione del Patrimonio, tra quelle amministrative e tra quelle per la cooperazione internazionale89. In questo ambito

l’obbiettivo dichiarato della conservazione documentaria della autenticità dei monumenti, ovvero della autorevolezza e necessità delle informazioni registrate a questo scopo, ha motivato evidentemente la necessità di strumenti astratti correttivi della lingua naturale, quali le rigide tassonomie amministrative appunto, ma in modo simile a come la

Conservazione Materica aveva trasferito ai campi tecnologici tutte le competenze operative sul Patrimonio Culturale così si può dire sia avvenuto progressivamente anche per la divulgazione scientifica dal momento che alla logica archivistica sono state accostate tecnologie che dimostrassero una forte autonomia dai loro utenti, quali quella fotografica, quella degli audiovisivi e quella informatica.

Dalla Carta di Atene a quella di Venezia infatti l’impiego della fotografia, (che del resto si è detto aveva dimostrato dai suoi esordi una facile adeguazione al modello archivistico in ambito amministrativo e scientifico), era stato raccomandato agli organi competenti con insistenza, prima come metodo grafico esclusivo della documentazione del Patrimonio e quindi come strumento sussidiario al disegno tecnico, mentre l’audiovisivo, storicamente vincolato alla divulagazione pedagogica, non venne citato tra gli strumenti di documentazione che una volta tra le raccomandazioni dell’UNESCO del 197290. La gestione automatica delle informazioni apparve insieme all’audiovisivo nel

medesimo documento del 1972 interpretando l’evoluzione della centralizzazione gerarchica del modello dell’archivio amministrativo e come tale si può dire che appaia ancora nella Carta di ICOMOS per la Protezione e la Gestione del Patrimonio Archeologico del 1990 e nella Carta di Courmayeur dell’UNESCO del 1992, dove per la prima volta viene fatto riferimento alla realizzazione di gerarchie di archivi realizzate tramite reti informatiche internazionali91.

A causa di questo orientamento dell’informazione scientifica sul Patrimonio proposto dagli istituti internazionali, si può affermare però che questo tipo di divulgazione non abbia esaurito le possibilità dell’ermeneutica immateriale dei monumenti così come questa poteva venire interpretata dalle comunità accademiche coinvolte, specialmente in seno all’Archeologia dove ad esempio le ricostruzioni sperimentali non rappresentavano unicamente un occasione per facilitare la comunicazione dei manufatti - come si suggeriva ambiguamente nella Carta di ICOMOS sulla Protezione e la Gestione del Patrimonio Archeologico del 1990 - ma soprattutto un laboratorio metodologico e scientifico. La divulgazione pedagogica ha spesso ospitato infatti anche pratiche di divulgazione scientifica semplificate rispetto alle forme che consuetamente ne garantiscono l’attendibilità, come le citazioni o le referenze bibliografiche, ma che nei contenuti rappresentavano un contributo attivo allo specifico ambito disciplinare di pertinenza, come si è spiegato in relazione al cinema degli urbanisti e ai critofilm di Ragghianti; se queste non potevano essere ascritte alle pratiche di divulgazione scientifica

90 Si veda . 91 Si vedano ; e .

era infatti piuttosto perché non costituivano una forma strumentale al collezionismo materiale del Patrimonio Culturale ma perché si inserivano nel proprio ambito di collezionismo disciplinare con una pur debole inflessione verso il collezionismo privato che la divulgazione pedagogica del Patrimonio Costruito ha sempre dimostrato di seguire.

D’altra parte la divulgazione pedagogica del Patrimonio ha dimostrato, nel tratto della sua storia segnato dagli strumenti di riproduzione ottica, di essersi costantemente separata in due modelli di collezionismo determinati dalla distinzione tra produttori e destinatari delle informazioni, dato che i primi, persino a volte in modo surrettizio - come nei molti esempi di pratiche spettacolari sposate agli strumenti educativi – hanno ascritto le proprie pratiche al repertorio di quelle disciplinari, mentre per gli altri all’evoluzione degli strumenti di divulgazione è coincisa la definizione di un’attitudine sempre più marcatamente privata nella collezione, si potrebbe dire mimando la stessa tendenza registrata lungo la storia del mercato delle pubblicazioni librarie.

Ma come si accennava in precedenza, se le ragioni di una tale anfibolia sono da ascrivere in modo determinante alle condizioni di fruizione determinate dai Media - che esaltano però in questo caso la normale disposizione nei processi comunicativi di una sorgente e di un ricevente del messaggio - non può dirsi che lo stesso sia avvenuto per la divulgazione scientifica, che pure della scelta retorica - prima che funzionale – dei Media ha fatto il suo vanto operativo; infatti il primato dell’uniformità dell’informazione, espresso dalle successive incarnazioni dell’archivio amministrativo, non è da motivarsi tanto con la necessità di un’efficacia operativa sul Patrimonio quanto con il principio di accumularne la documentazione nella stessa maniera con cui il collezionismo istituzionale ha conservato gli altri suoi caratteri di autenticità.

Quindi l’impiego della fotografia come strumento correttivo della Lingua Naturale anche se accomuna entrambi gli ambiti della divulgazione del Patrimonio non trova una sua corrispondenza in una concezione condivisa della tutela immateriale del Patrimonio come avrebbe fatto pensare anche la ricorrenza della forma archivistica di accumulazione delle informazioni, piuttosto occorre riconoscere che le forme epistemologiche dei due interpretano gli strumenti automatici di rappresentazione da una parte saturando sempre più la semantica delle operazioni di riconoscimento del Patrimonio e dall’altra simulando una sua rarefazione, come se lo schema tassonomico garantisse un suo inesauribile completamento. E’ per questo quindi, e non al contrario, che le pratiche di divulgazione scientifica vengono identificate con la loro missione operativa rivolta alla conservazione materiale dei monumenti, anche se si può dire che ci si trovi così al di là dello specchio di

Alice, giacché il medesimo fine è servito da due operazioni contraddittorie: al di qua dello specchio la riduzione esponenziale delle possibilità di selezione dei caratteri di autenticità, al di là dello stesso la loro espansione, ma entrambi indirizzati alla conservazione dei caratteri attuali e potenziali del Patrimonio, ovvero dei suoi caratteri reali.

La stessa insistenza del modello organizzativo dell’Archivio nelle pratiche di divulgazione assistite dalle riproduzioni ottiche non può essere motivata semplicemente rifacendosi alla qualità indicale della fotografia e quindi alle relazioni metonimiche che questa possa avere instaurato con l’indagine induttiva delle Scienze Naturali, visto che il compito di queste pratiche non attiene tanto all’analisi dei monumenti quanto alle operazioni di selezione che su questi possono essere realizzate, in entrambi i casi proprio in virtù dei loro distinti riferimenti epistemologici. Come spiegava infatti Jonathan Crary92 la riproduzione ottica, fin dagli studi fisiologici dell’Diciannovesimo secolo, si è

sviluppata come strumento suppletivo della visione umana, ovvero come sua sostituzione nel paradigma classico della distinzione tra vedente e veduto - come era ancora nella camera oscura – e ciò significa che, non essendo più esperito l’oggetto attraverso di questa ma bensì il processo cristallizzato della sua visione, l’osservatore si trova ad osservare in ogni riproduzione di questo tipo una tassonomia della stessa percezione umana. Le immagini degli apparati ottici che si sono succeduti nella storia della divulgazione sarebbero quindi forme archivistiche di organizzazione delle informazioni visive, a prescindere dalle tematizzazioni dell’Archivio che spesso in queste sono apparse, proprio in virtù del loro carattere fisiologicamente ma anche culturalmente sintetico93.

92 Si veda .

93 Come si vedrà meglio in seguito questa qualità sintetica dell’immagine riprodotta dagli apparati ottici ha uno stretto legame con la tecnologia del libro, anch’essa fondata sulla discretizzazione ma di un fenomeno culturale come il linguaggio, e quindi con l’epistemologia veicolata dal digitale, si veda per il momento .

5 I media digitali nella tutela del patrimonio edilizio e