• Non ci sono risultati.

Una tassonomia pragmatica per le applicazioni digitali dedicate al patrimonio culturale

5 I media digitali nella tutela del patrimonio edilizio e paesaggistico

5.2 Una tassonomia pragmatica per le applicazioni digitali dedicate al patrimonio culturale

Per evitare i difetti della letteratura specializzata nel continuare a descrivere le applicazioni digitali al Patrimonio Culturale non basta però qui continuare ad utilizzare la teoria collezionistica del restauro che è stata già applicata alla storia degli strumenti automatici di rappresentazione e conservazione del Patrimonio Costruito. Infatti, nonostante fin qui abbia preso forma una genealogia di tali strumenti come pure delle forme di tutela del Patrimonio, in cui poter inserire facilmente anche le applicazioni informatiche, una loro trattazione non può ignorare la necessità di operare con una tassonomia su questi per poterne dare una rappresentazione anche tipologica, senza la quale la successione diacronica degli esempi potrebbe confondersi con una loro escatologia.

Come si accennava, la prossimità cronologica con questi fenomeni non aiuta certo a farsene un’idea più chiara, (e questo sembra valere ancora di più per chi è coinvolto direttamente nella produzione di queste applicazioni), soprattutto perché l’assenza di una categorizzazione evidente dei numerosi fenomeni tecnici e culturali che appaiono in questo campo conduce a semplificazioni orientate ora sugli uni ed ora sugli altri distinguendo così aspetti che sono invece consustanziali delle applicazioni. Infatti, in tal modo ad esempio le applicazioni delle reti informatiche alla tutela del Patrimonio appaiono caratterizzate dalla partecipazione degli utenti solo con l’affermazione delle reti semantiche mentre le comunità sono state coinvolte in queste applicazioni in maniera attiva molto prima di tale avanzamento informatico, e così ancora si potrebbero spiegare

l’esperienza degli utenti coinvolti in pratiche immersive di divulgazione del Patrimonio senza specificare le diverse forme tecnologiche che le sostengono.

Per classificare queste applicazioni informatiche ci si trova però nel medesimo imbarazzo finché non si sceglie un aspetto di queste che possa rappresentare adeguatamente entrambi questi moduli e così rendere la complessità della situazione. La genealogia che si è tracciato dimostra evidentemente un importante bagaglio tematico da confrontare con queste applicazioni ma non può offrire delle chiavi attraverso cui interpretare sincronicamente questi strumenti perché si otterrebbero risultati troppo generali o ancora poco specifici; è invece utile fare riferimento all’interpretazione della tutela come cultura materiale per poter esprimere delle tipologie di tali applicazioni.

Infatti, l’anti-rappresentazionalismo delle Pragmatica, suggerisce ancora una volta che i contenuti di una forma culturale rappresentano degli strumenti attraverso cui operare nel mondo, in altre parole dei concetti in attesa di essere reificati operativamente per realizzare la propria espressione contestuale23. Inoltre come spiegava Ricoeur, le azioni,

materiali o immateriali, assumono una loro significatività paragonabile a quella testuale proprio in quanto registrate socialmente, ovvero in quanto fissate nella interazione tra le forme istruenti ed i loro attori, che ne sono interpreti senza spesso esserne autori, ma come sottolineava l’autore, senza che la loro rilevanza ne detti anche l’importanza, dato che come affermazioni autonome anche i piccoli gesti individuali entrano nella negoziazione tra interi gruppi sociali e forme ideologiche24.

Le pratiche cui gli utenti adempiono utilizzando le applicazioni informatiche dedicate alla tutela del Patrimonio rappresentano quindi pienamente questo tipo di espressione differita dei contenuti culturali di questi stessi strumenti, dato che le loro azioni descrivono dei vasti campi di negoziazione sociale delle loro forme culturali e insieme mantengono l’interazione con i prodotti che, ad esempio, i loro produttori non posseggono, essendo piuttosto coinvolti nell’interazione con altri prodotti di cui a loro volta sono utenti.

Interpretare però le pratiche come espressioni sposta a sua volta il riferimento dalla filosofia Pragmatica alla Pragmatica linguistica, ed in particolare alla definizione che ne hanno dato gli studi di John Langshaw Austin e John Searle sugli Speech Acts, ovvero sulle azioni compiute comunicando verbalmente. Dalla definizione classica di Charles Morris della Pragmatica come prospettiva di studio sulla semiosi incentrata sulla

23 Si veda riguardo alla contrapposizione della filosofia Pragmatica al rappresentazionalismo del pensiero metafisico l’introduzione scritta da Richard Rorty per .

relazione tra segni e loro interpreti, si passa infatti con questi studiosi ad identificarla più generalmente come la teoria delle condizioni di appropriatezza delle enunciazioni e quindi come lo studio della competenza reale, contestuale e circostanziale, degli utenti di un linguaggio. Austin e Searle spiegavano infatti che tale competenza si appoggia a numerosi caratteri qualitativi che sono generati da alcuni modelli performativi tra i quali occorre qui considerare con attenzione quello perlocuzionario: ricadono in questa categoria infatti gli atti verbali che suscitano azioni senza che ne venga espressa la richiesta esplicitamente, come ad esempio il persuadere, lo spaventare o semplicemente il convincere qualcuno a fare qualcosa. Ricoeur, ancora nel suo articolo sulla significazione delle azioni, proponeva di comparare le pratiche agli atti linguistici di Austin per interpretarne il significato, eppure non si sbaglierebbe affermando che a loro volta le azioni degli utenti degli strumenti di cui ci si occupa siano proprio il risultato di un dialogo implicito tra utenti e prodotti molto simile ad un atto perlocuzionario, dato che queste pratiche interpretano e realizzano i contenuti culturali di questi strumenti attraverso il filtro della competenza degli utenti.

L’epistemologia dell’azione di Gilles Deleuze e di Felix Guattari raggiungeva un risultato simile riconoscendo, da una prospettiva definita “radicalmente pragmatica”, che l’informazione è costituita da azioni suggerite o imposte al destinatario di un messaggio per mezzo dell’aggiornamento delle proprie competenze alla luce di quelle che gli vengono proposte, quello che gli autori chiamano una “trasformazione incorporea”.