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Dolmen del terzo millennio

Non molto tempo fa si è chiusa a Parma la mostra su "la Città latente": industrie dismesse, culto sospeso, reti di percorsi di vari tipo non più in uso, ecosistema delle acque e dei torrenti, bordi degradati dei grandi segni territoriali, margini frantumati della città storica: luoghi dismessi e continuamente riciclati, in attesa di recupero a nuovi destini. Una problematica di enormi dimensioni che coinvolge ogni realtà.

Diversa dalla questione del "costruire nel costruito", quella delle cosiddette aree dismesse riguarda grandi modifiche di destinazione d'uso che si determinano per l'esaurirsi di una funzione e la volontà di coglierne l'occasione per iniettare nuova linfa al territorio circostante. A San

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Francisco come a Montreal le vecchie attrezzature portuali e sui moli diventano luoghi del teatro, della danza, ospitano artisti ed eventi; La Villette a Parigi recupera frammenti del vecchio mattatoio e, al margine del Périphérique, trasforma in altamente centrale un luogo storicamente emarginato; Emscher Park ricicla le fabbriche della Ruhr facendo assumere all'area, simbolo dell'inquinamento industriale e dello sfruttamento del territorio, connotati emblematici del rapporto ecologia/architettura; a Torino il Lingotto della Fiat, ed a Milano la Bicocca della Pirelli, trasformano i luoghi storici della fabbrica riconoscendone l'attuale centralità. Cosi un po' dovunque, con interventi di grande, media ed anche piccola dimensione. In Campania, Napoli fra gli altri ha ormai in dirittura di arrivo l'arcinoto caso nazionale di Bagnoli con condizioni e obiettivi analoghi a quelli della Ruhr; Caserta da qualche giorno ha definitivamente approvato l'Accordo di programma e il progetto di recupero dell'area ex Saint Gobain, cui viene affidato il ruolo di nuovo polo urbano. Accanto alle grandi aree, vi sono gli interventi minuti, quelli con i quali ogni città, piccola o grande che sia, deve fare i conti continuamente, come gestione ordinaria per il suo continuo riassetto. Nella verde Irpinia si sta ultimando un piccolo intervento di grande interesse. Merita di essere portato all'attenzione anche se in questa rubrica mai si descrivono o citano ampiamente specifiche opere: ma il caso è strumentale, va segnalato in quanto paradigmatico di un atteggiamento progettuale significativo, dell'esigenza di formare e rinnovare la "cultura del progetto".

La "Piazza del sole" ad Atripalda è stata disegnata con molta sensibilità nel pieno centro storico, su di un'area di poco più di un ettaro un tempo occupata dal Foro Boario, lungo il fiume Sabato, delimitata dalla cortina di edifici che costeggia via Manfredi, dai fabbricati di piazza Sparavigna e dalla via Circonvallazione sulla quale si conclude con un forte segnale urbano, un grande portale in cemento dipinto e in parte rivestito in rame: quasi una facciata smaterializzata, inquadramento di paesaggi. Non interessano qui i valori architettonici, ma il rilevante significato urbano che opera riesce ad assumere malgrado dimensioni fisiche ed economiche relativamente modeste.

L'intervento individua e riordina, in forma preliminare ma al tempo stesso compiuta, le relazioni spaziali e funzionali che tengono insieme il luogo centrale della città: piazza Umberto I, il parco archeologico della Civita, il complesso monumentale di San Pasquale, il fiume Sabato, la ex Dogana, la Collegiata di Sant'Ippolisto. Prima di essere un'area di servizio e di attrezzature collettive, il parco "Piazza del Sole" è quindi un sistema che, nel riassetto urbanistico del centro, si qualifica come punto di riferimento e incontro, elemento qualificativo e qualificante degli spazi al contorno. L'impianto, dovuto a un abile architetto irpino, giocando con sapiente disegno tiene insieme la "Piazza del Sole" con la cavea per rappresentazioni teatrali all'aperto e concerti, alberature di alto fusto che creano quinte e fondali, rilevati artificiali, lo specchio d'acqua che innesta il parco nel fiume chiudendo verso valle l'intervento, e infine il portale a tre campate, quasi un gigantesco dolmen che simula la presenza di un edificio a margine e lungo via della Circonvallazione, elemento di aggregazione e di riferimento del parco della zona archeologica. La ricomposizione della cortina su piazza Sparavigna stabilisce sottili relazioni tra preesistenze ed elementi di progetto, materiali antichi e nuovi, colori e forme, sottolineando in tal modo riferimenti che negli ambienti urbani esprimono in profondo la cultura della trasformazione. Le città si devono trasformare cosi, lavorando prioritariamente nei luoghi vuoti o che vengono a liberarsi, attivando interventi semplici, ma capaci di incidere su margini e centralità, valutando di volta in volta e con attenzione se occorra consolidarli o rimuoverli, immettendo nuovi elementi di identità, tessendo un lattice di relazioni materiali e immateriali, giocando su memorie e aperture al futuro. I caratteri dell'intervento di Atripalda mi ricordano di un famoso urbanista che giorni fa a Recanati, tutt'altro contesto, durante un incontro sui requisiti della trasformazione del centro città, enunciava la metafora dei tre orologi simultanei. Ogni intervento deve rispondere alle esigenze del momento, quelle che lo hanno motivato e lo rendono necessario. Nello stesso tempo va sincronizzato sull'orologio del futuro:

deve essere cosciente della precarietà delle sue motivazioni, predisporsi al mutamento affermandosi con elementi permanenti. D'altra parte infine deve comprendere il tempo passato, includere la storia dei luoghi in cui si colloca.

4 Pre-conferenza: istruzioni per l'uso

L'Ordine degli Architetti di Napoli, su indicazione dell'U.I.A - Union Internationale des Architects - e in vista della Conferenza ONU

"Habitat II" a Istanbul, giugno 1996, organizza tra il 21 e il 23 marzo a Castel dell'Ovo l'incontro fra gli architetti di tutto il mondo sul futuro degli insediamenti umani e il recupero dei centri storici. Ogni progetto sviluppa sottili contraddizioni fra conservazione ed innovazione: in ogni azione vi è perdita di memoria e introduzione di nuovi valori. Vi è differenza fra progetto del nuovo o recupero dell'esistente? Fra un restauro e un nuovo intervento, la diversità è solo nella differente densità di vincoli? I piani urbanistici rinviano i centri storici a fasi particolareggiate, ne recidono i rapporti con l'intorno; evitano di introdurre qualità inedite o interventi rivitalizzanti, legami, relazioni; non innervano cultura e esperienza degli interventi antichi nelle aree di nuova formazione. L'avvenimento ha enorme importanza sia per l'ampio confronto e per le

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questioni specifiche, sia perché riconosce il ruolo da tempo svolto dell'Ordine di Napoli nel quadro nazionale. Dal confronto emergeranno differenze di opinione, il diverso rapporto innovazione / conservazione espresso dalle diverse culture, differenti preoccupazioni, probabilmente la sostanziale omogeneità di vedute degli europei confermata a febbraio nella pre-conferenza di New York. Graffiti, casa editrice ormai riferimento della pubblicistica di settore (edita da tre anni anche la rivista TeR - cultura e politica del territorio regionale) cura il volume che raccoglie le opinioni a confronto.

Come accade da tempo nei confronti internazionali, gli italiani usano un glossario del tutto proprio, formalmente analogo, ma che nella realtà non coincide con quello consueto, fra tutti dato per scontato. Quando si concorda, si parla di cose diverse; quando si dissente, senza saperlo, si hanno riferimenti opposti. Nella Genesi é scritto che il Signore ha detto: "confonderemo le loro lingue perché non più possano capirsi". La mitica Torre di Babele ormai riguarda solo sacche emarginate. Alcune definizioni altrove sono semplici, sostenute da norme, ma soprattutto dalla prassi:

Architetto: professionista che nel settore delle costruzioni ha fiducia, responsabilità e ruolo che, in un certo senso e in altro campo, noi italiani attribuiamo ad esempio alla casta dei notai. Prestigio culturale, esperienza, competenza.

Committente: chi, per risolvere un problema, lo definisce e lo programma con l'apporto di esperti. Poi individua l'architetto in grado di dargli sostanza e forma, affidandogli la piena regia dell'operazione.

Progetto: espressione fra le più alte delle qualità dell'uomo: la capacità di sognare alternative, riflettere e poi decidere su come trasformare il presente ed esprimere aspirazioni future. Quindi dati, definizioni e procedure per ottenere realizzazioni conformi.

Studio di progettazione: struttura organizzata per produrre un progetto, normalmente articolata in distinte unità cooperanti: l'una esperta nella ricerca e messa a punto degli aspetti architettonici (complessità integrate); l'altra specializzata nelle definizioni di ingegneria (approfondimenti e ottimizzazioni settoriali).

Norme: poche limitate regole e raccomandazioni generali che, in termini chiari, guidano la progettazione perché risponda a interessi collettivi.

Permesso di costruzione: atto che riconosce come di interesse collettivo un progetto e la relativa domanda di trasformazione dell'ambiente preesistente.

Tradizione: suo principale insegnamento: l'innovazione, la risposta diretta e continua ai bisogni della gente, la conservazione dei presupposti perché il patrimonio preesistente viva e si rinnovi.

Università: luogo dove si formano le nuove generazioni, predisponendole alla ricerca e alla valutazione critica delle trasformazioni; dove si insegnano metodologie e tecniche per prevederle, guidarle, definirle e attuarle.

Traslati in lingua italiana, questi stessi termini assumono significati diversi od opposti. L'elenco potrebbe ampliarsi: ma anche se solo su queste sette definizioni per consueta prassi si concordasse, si dissolverebbero i sorrisi di convenienza che gli amici di altri paesi ci concedono (ben sapendo di ritornare nei propri contesti felici), i colloqui sarebbero più produttivi e la strada da percorrere per raggiungere la qualità dell'ambiente costruito risulterebbe ben lastricata, piana, permeabile: un panorama gradevole per chi la percorre e per chi la guarda dalla finestra di casa. Per procedere in questa direzione il Consiglio Nazionale Architetti promuove un referendum abrogativo della legge 216/95 e degli inconsapevoli decreti che ne derivano; rilancia, con l'IN/Arch, la Legge d'iniziativa popolare per l'Architettura.

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