Nella qualità di Presidente della Nona Commissione per il Tirocinio e la Formazione Professionale desidero sottolineare preliminarmente che l’iniziativa di oggi è stata fortemente voluta, oltre che dal C.S.M., dal Consiglio Nazionale Forense; in questa sede sento il bisogno di ringra-ziare di cuore in particolare l’Avvocato Alarico MARIANI MARINI e, tra-mite lui, tutti coloro che hanno reso possibile l’incontro di oggi. Alla giornata di riflessione comune ha aderito anche la Sesta Commissione del C.S.M., perché questo incontro costituisce il naturale sviluppo di un intenso lavoro che è stato avviato, da circa un anno, dal Consiglio Supe-riore, nelle due sue articolazioni (9ª e 6ª Commissione), dal Consiglio Nazionale Forense, dal Ministero per l’università e la Ricerca Scientifi-ca e dal C.U.N., ed è in linea con quanto il Consiglio Superiore ha scrit-to e affermascrit-to in due pareri elaborati da questa consigliatura, uno nel 1999 e l’altro nel 2000, in ordine alla complessa normativa in tema di scuole forensi. È quindi con tale spirito che abbiamo aderito a questa giornata, proprio perché siamo consapevoli che soltanto se continuerà il dialogo, la sede di confronto comune tra tutte le realtà istituzionali inte-ressate dalla riforma, potremo dare piena attuazione ad una normativa che è in vigore e che ci impegna ad affrontare in maniera organica que-sta complessa problematica e a stimolare le doverose forme di coordi-namento tra istituzioni chiamate a vario titolo a dare il loro contributo, affinché questa scelta coraggiosa di riforma, a distanza di circa due an-ni dalla sua entrata in vigore, possa avviarsi, diventare una realtà e pos-sa effettivamente decollare in tempi brevi, compatibili con l’avvio delle scuole entro la fine dell’anno 2001. Perciò ritengo che, come ha già spie-gato del resto con il suo abituale entusiasmo l’Avvocato MARINI, la gior-nata di oggi debba servire ad individuare le problematiche più urgenti per poi proseguire, dopo questa riflessione corale, un lavoro organico con l’apporto delle diverse professionalità, e nel rispetto, ovviamente, della componente culturale di ciascuno, nella consapevolezza che il dia-logo e il confronto costituiscono un momento di reciproco arricchi-mento e che soltanto in questo modo possiamo fare una “scaletta” delle questioni più urgenti che ci attendono. Fatta questa brevissima premes-sa volevo, stimolata dagli interventi di questa mattina, soffermarmi in particolar modo su alcuni problemi a cominciare dalla portata e dal significato delle scuole di specializzazione per le professioni legali.
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La previsione legislativa delle scuole di specializzazione delle pro-fessioni legali è contenuta nell’art. 17, commi 113 e 114, della L. 15. 5.
1997 n. 127, recante “Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”.
La disposizione contenuta nel comma 113 ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi per modificare la disciplina del concorso di accesso alla magistratura ordinaria, dettando, come criteri guida, la semplificazione delle modalità di svolgimento del con-corso e l’introduzione graduale dell’obbligo di conseguire un diploma biennale esclusivamente presso scuole di specializzazione istituite nelle università, sedi della facoltà di giurisprudenza.
Nel comma 114 la legge delega, invece, al concerto dei Ministri della giustizia e dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica l’emanazione di due decreti per definire, l’uno, la valenza del diploma ai fini del compimento della pratica richiesta per l’accesso alle profes-sioni di avvocato e di notaio e, l’altro, i criteri per la istituzione ed organizzazione delle scuole di specializzazione.
I commi 113 e 114 non erano contenuti nel disegno di legge origi-nario e sono stati inseriti a seguito di un emendamento presentato alla Camera dei deputati ed accolto dal Governo, che vi ha posto anche la questione di fiducia.
Le ragioni che hanno portato alla loro introduzione ed approva-zione vanno certamente ricercate nel dibattito, particolarmente vivace negli ultimi anni, che, muovendo da alcune considerazioni unanime-mente condivise circa l’insufficienza del sistema selettivo attuale per l’accesso alla magistratura, ha portato alla formulazione di proposte concrete e suggerimenti sul tema della formazione degli aspiranti ma-gistrati. Il richiamo a tale scambio di idee e proposte, che ha visto la partecipazione dello stesso C.S.M., di alcuni dei suoi componenti, di magistrati, professori universitari, avvocati e studiosi del diritto, ren-de, almeno in parte, ragione della circostanza che la istituzione delle scuole di specializzazione post-universitaria sia stata prevista nel testo normativo sopra indicato e, in particolare, all’interno della disposizio-ne dedicata alla semplificaziodisposizio-ne delle modalità di svolgimento del con-corso per uditore giudiziario.
Per tale motivo è utile ripercorrere, sia pure per linee generali, i temi e le analisi di tale riflessione, che, come si è detto, muoveva pro-prio dalla constatata insufficienza dell’attuale sistema.
Gli inconvenienti e le discrasie maggiori sono state individuate, in particolare, nella inidoneità, almeno sotto tale prospettiva, della pre-parazione universitaria di base, nel superaffollamento della
partecipa-zione al concorso, nella farraginosità e complessità dei lavori della commissione esaminatrice e nello stesso modesto livello di prepara-zione dimostrata da un’ampia schiera degli aspiranti.
La dilatazione dei tempi di svolgimento della procedura concor-suale dà luogo, a sua volta, ad un grave scollamento temporale tra l’in-dividuazione dei posti vacanti e la loro effettiva copertura e non sem-bra garantire appieno i suoi risultati.
Il legislatore del 1997, consapevole della pressoché totale carenza di un organico programma di iniziative pubbliche dopo il consegui-mento del diploma di laurea ha, quindi, perseguito l’obiettivo di una formazione di specializzazione allargata post-universitaria, comune ed omogenea per le diverse professioni legali, ispirata al modello tede-sco. Tale scelta di fondo ha comportato due importanti corollari: a) la netta collocazione del periodo di formazione post-universitario in una fase extraconcorsuale, quale antecedente esterno allo svolgimento del-la procedura concorsuale in senso proprio; b) l’individuazione delle università, sedi della facoltà di giurisprudenza, quale soggetto cui de-mandare in concreto l’organizzazione e la gestione delle scuole.
La delega contenuta nel comma 113 della legge 15 maggio 1997 n.
127 ha trovato attuazione nell’emanazione del d. lgs. 17 novembre 1997, n. 398 che, nell’art. 16, si occupa delle scuole di specializzazio-ne delle professioni legali, dopo aver dettato specializzazio-nei primi 15 articoli la nuova disciplina del concorso per uditore giudiziario. La normativa mira ad avviare, sulla base di modelli didattici omogenei, la formazio-ne comuformazio-ne dei laureati in giurisprudenza mediante l’approfondimen-to teorico, integral’approfondimen-to da esperienze pratiche, finalizzal’approfondimen-to all’assunzione dell’impiego di magistrato ordinario ovvero all’esercizio delle profes-sioni di avvocato o notaio (art. 16 cit., 2º comma), formazione resa possibile dalla previsione del numero chiuso dei laureati da ammette-re alle scuole e, di conseguenza, ai concorsi.
È in questo contesto che si coglie il primo intreccio tra formazio-ne preconcorsuale e sistema di reclutamento.
L’art. 1, 2° comma, lett. a) del citato d. lgs. prevede, infatti, un du-plice sistema di accesso al concorso per uditore giudiziario, uno ba-sato sul conseguimento del diploma di specializzazione e l’altro fon-dato sul superamento della prova di pre-selezione informatica.
L’art. 2, 5° comma della medesima norma ribadisce tale imposta-zione, prevedendo alla lett. d) che sono esonerati dalla prova prelimi-nare e ammessi alla prova scritta coloro che hanno conseguito il diplo-ma di specializzazione per le professioni legali, benché iscritti al corso di laurea in giurisprudenza prima dell’anno accademico 1998-1999.
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L’art. 6 del d. lgs. 398/1997 stabilisce i criteri di ammissione al con-corso di coloro che sono in possesso del diploma di specializzazione.
L’art. 17 (norme transitorie e finali) prevede, pur nell’ambito di una progressiva riduzione del numero dei candidati da ammettere con pre-selezione informatica, la contemporanea presenza “a regime”
di una duplice possibilità di accesso al concorso per uditore giudizia-rio.
Una diversa interpretazione del complesso di queste disposizioni non potrebbe sottrarsi a gravi sospetti sul piano della legittimità costi-tuzionale con particolare riguardo agli artt. 3, 34, 51, 106 della Costi-tuzione.
L’introduzione, come una delle condizioni per l’ammissione al concorso per uditore giudiziario, di un titolo di studio superiore alla laurea conseguibile all’esito di un corso presso scuole di specializza-zione rappresenta il percorso più idoneo per la ricerca di una risposta efficace e corretta ad una molteplicità di problemi e alla esigenza, da tempo avvertita, della elevazione degli standards di preparazione cul-turale, di più elevata professionalità dei magistrati in generale e di un maggior controllo in ordine alla sussistenza, in ciascuno di essi, dei requisiti culturali minimi di professionalità richiesti per l’esercizio della funzione giudiziaria. La individuazione di un filtro per la razio-nalizzazione del numero dei partecipanti al concorso, ossia di uno strumento di pre-selezione idoneo a ridurre il numero dei partecipan-ti al concorso, risulta obietpartecipan-tivo di essenziale rilievo per diminuire cospartecipan-ti e tempi di espletamento dello stesso, senza costituire uno svantaggio sotto il profilo di una più ampia selezione del personale da assumere, perché, oltre un certo numero, il grado di cultura e di preparazione comincia ad attestarsi su livelli di insufficienza.
Si deve tuttavia ribadire che la frequenza con esito positivo delle scuole di specializzazione post-universitarie non deve, anche nella prospettiva riformata, costituire l’unica via di accesso al concorso in magistratura, soprattutto in assenza di concrete iniziative a sostegno degli studenti non abbienti e degli studenti lavoratori.
Il mancato organico intervento di riforma normativa del sistema di accesso alle professioni di avvocato e di notaio rischia, peraltro, di snaturare la filosofia complessiva delle scuole che, allo stato, sembra-no caratterizzate da una preponderante presenza di aspiranti magi-strati.
La finalità delle scuole è complessa e serve, innanzitutto a favori-re un orientamento consapevole verso le professioni giuridiche tradi-zionali. Sinora esso è mancato; è un dato di comune esperienza che
dopo il conseguimento del diploma di laurea uno studente è pratica-mente abbandonato a se stesso.
Lo scopo della legge è invece quello di favorire un luogo in cui lo studente non soltanto integri la sua preparazione, ma, attraverso il completamento della preparazione possa orientare consapevolmente le sue future scelte professionali e possa sottrarsi a quella componen-te di casualità talora presencomponen-te nell’accesso all’uno o all’altro tipo di concorso, che forse in parte percentuale tuttora contrassegna le scelte di molti studenti. Lo scopo delle scuole è quello di creare una sede isti-tuzionale in cui coloro che aspirano alla Magistratura, all’Avvocatura, al Notariato possano confrontarsi secondo un metodo razionale e scientifico sui comuni principi della giurisdizione pur nel rispetto del-le diverse professionalità. La scuola non deve essere certo un luogo di creazione di un unico modello culturale di giurista, sarebbe certamen-te la negazione della dialettica, di una crescita complessiva, ma è an-che un’occasione molto stimolante per approfondire il metodo del ra-gionamento giuridico. L’esperienza ci fa verificare che assai frequen-temente gli uditori sono molto preparati da un punto di vista tecnico-giuridico, ma non sono ancora abituati ad applicare le categorie giu-ridiche, a saper affrontare le singole fattispecie concrete. Infine io ve-do un altro profilo positivo presente nelle scuole forensi: la scelta co-raggiosa di abbandonare ogni forma di privatismo nella preparazione al concorso.
Da questo punto di vista l’impegno del C.S.M. per consentire che le scuole possano diventare una realtà è anche un impegno per sot-trarre spazio a queste forme di privatismo molto dannose e a questo intreccio tra giustizia, commercio e formazione di cui, con la sua soli-ta ironia, parlava quessoli-ta mattina l’Avvocato BUCCICO. Condivido pie-namente le sue osservazioni, perché non ritengo che possa essere una politica consiliare seria quella di continuare a far finta che queste realtà private non esistano e di tollerale il proliferare di queste inizia-tive.
L’art. 16 secondo comma dispone che le istituende scuole bienna-li provvedano alla formazione comune dei laureati in giurisprudenza attraverso l’approfondimento teorico, integrato da esperienze prati-che, finalizzato all’assunzione dell’impiego di Magistrato Ordinario o all’esercizio delle professioni di Avvocato o Notaio. Al contempo lo stesso art. 16 secondo comma stabilisce che l’attività didattica per la formazione comune è svolta, oltre che da docenti universitari, anche da Magistrati, Avvocati e Notai. In terzo luogo la norma stessa preve-de che le attività pratiche, previo accordo o convenzione, sono
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dotte anche presso sedi giudiziarie e studi professionali e scuole del Notariato con lo specifico apporto di Magistrati, Avvocati e Notai; ci si riferisce evidentemente allo svolgimento di stages e di periodi di tiro-cinio che vanno aggiunti alle discussioni, alle esercitazioni e simula-zioni di casi, alla redazione di pareri scritti e di atti da effettuarsi pres-so le scuole. Ho forse puntigliosamente richiamato il dato normativo, perché penso che con questi parametri giuridici noi siamo chiamati concretamente a fare i conti, forse abbandonando i modelli di scuola ideale che ognuno può prefigurarsi. E allora, per quanto riguarda i contenuti, sicuramente l’avvio della riforma imporrà una rivisitazione non soltanto dell’organizzazione biennale e annuale, ma forse stimola tutti quanti, ciascuno per la parte di sua competenza, a rivedere criti-camente il rapporto tra periodo strettamente inteso degli studi uni-versitari e periodo di frequenza delle scuole; si impone una rivisita-zione critica della stessa impostarivisita-zione degli studi universitari, alla luce delle profonde innovazioni ordinamentali e normative intervenu-te, che hanno inciso sul ruolo e la funzione del giurista nella società e sulla stessa funzione della legge in una società sempre più complessa, chiamata a dare risposta a diritti nuovi. In questo contesto articolato mi chiedo se i contenuti di queste scuole biennali o annuali debbano consistere nell’apprendimento di tutte le discipline o di tutte le mate-rie o non debbano piuttosto privilegiare l’approfondimento dei princi-pi sottesi alle diverse discipline per abituare prevalentemente lo stu-dente a quel metodo di ragionamento giuridico di cui parlavo poc’an-zi. Se sviluppiamo nello studente la capacità di ricostruire i principi e le categorie generali, lo dotiamo anche di quello strumento e di quel bagaglio di conoscenze complessive che poi gli consentirà anche di integrare in un secondo tempo la sua formazione professionale.
La metodologia didattica delle scuole di specializzazione per le professioni legali dovrà essere particolarmente innovativa e tale da sti-molare gli studenti ad una partecipazione attiva e ad un costante con-fronto con casi pratici, attraverso l’esame dei quali poi risalire ai prin-cipi e ai criteri generali.
Certo, non mi nascondo che ci sono ancora alcuni problemi aper-ti che affido al dibataper-tito. Mi limito ad elencarli approfittando del fatto che sono presenti i rappresentanti delle diverse professioni.
Primo problema: la questione del cosiddetto doppio binario. La Legge 48/2001 interviene sulla durata delle scuole, mantenendo il biennio, per coloro che si sono laureati secondo l’ordinamento didat-tico previgente all’entrata in vigore dei nuovi ordinamenti dei corsi di laurea e di laurea specialistica per la classe delle scienze giuridiche
adottati in esecuzione del decreto del M.U.R.S. Ministro per l’Univer-sità e la Ricerca Scientifica, 3 novembre ’99 numero 509. Per gli altri laureati la durata delle scuole è fissata in un anno in ragione dello svi-luppo quinquennale del nuovo corso di laurea specialistica. In breve arco di tempo, quindi, dovremo affrontare una duplice esperienza, quella di attuazione del biennio per i laureati fino ad una certa data e quella delle scuole annuali per coloro che si sono più recentemente laureati. Ciò, quindi, implicherà un grande sforzo di progettualità in primo luogo per i Componenti dei Consigli direttivi, perché sicura-mente i contenuti e la didattica dovranno essere modulati differente-mente a seconda delle diverse scansioni temporali.
Secondo problema: rapporto tra frequenza delle scuole e prove pre-selettive.
La Legge 48/2001 recentemente varata ha riformato il concorso per Uditore Giudiziario prevedendo tendenzialmente l’abolizione del sistema dei quiz preselettivi che non hanno dato buona prova e hanno dato luogo, anzi, ad un gravissimo contenzioso.
Come è noto la legge 13.2.2001 n. 48, infatti, nell’innovare signifi-cativamente la disciplina del concorso ordinario per uditore giudizia-rio, distingue la fase transitoria da quella “a regime”.
In prospettiva definitiva vengono eliminate le prove di pre-sele-zione informatica e, parallelamente, al fine di accelerare i tempi di definizione del concorso, si introducono i “correttori esterni”. Questa categoria comprende magistrati, avvocati iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori, professori universitari in materie giuridiche, dotati di sicura competenza ed affidabilità (art. 125 quinquies), che so-no incaricati di affiancare la commissione esaminatrice nella valuta-zione degli elaborati dei candidati che avranno portato a termine la prova scritta. Nella complessa procedura finalizzata alla loro selezio-ne sono coinvolti i consigli giudiziari, il C.S.M., il Ministro della giu-stizia.
Per la fase transitoria l’art. 22 stabilisce che, qualora non sia pos-sibile completare tempestivamente l’organizzazione necessaria per la correzione degli elaborati scritti secondo la disciplina prevista dall’art.
125 quinquies del R.D. 30.1.1941 n. 12 novellato, il Ministro della giu-stizia possa, sentito il C.S.M., differire con proprio decreto motivato l’applicazione della disciplina medesima ai concorsi successivi a quel-li contemplati dall’art. 18 della legge 48/2001, finaquel-lizzati alla copertu-ra di tutti i posti vacanti nell’organico della magistcopertu-ratucopertu-ra alla data di entrata in vigore della legge, compresi quelli derivanti dall’aumento del ruolo organico.
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In questa situazione (siamo in attesa dei provvedimenti del Mini-stero della Giustizia), vi è una stasi nel reclutamento dei Magistrati, per-ché la Legge 48/2001 prevede che non si possano bandire con il vecchio sistema i concorsi per Uditore Giudiziario previsti dall’art. 18, 1° com-ma legge 48/2001, ossia i concorsi per coprire le vacanze che esistono attualmente per i fisiologici pensionamenti, e per coprire i nuovi posti derivanti dall’aumento di mille unità portati in aumento sull’organico complessivo della Magistratura. Quindi, rispetto a questa riforma in iti-nere, ancora una volta si pone un rapporto abbastanza problematico tra la funzione delle scuole e la funzione di accesso al concorso per Udito-re Giudiziario che, a mio avviso, anche in questo contesto normativo, non può essere letta in funzione meramente deflattiva.
Terzo problema: un problema di carattere generale. L’art. 106 della Costituzione prevede che l’ammissione in Magistratura avviene per concorso, quindi occorre evitare che l’ammissione alle scuole sia troppo limitata, (lo dico dal punto di vista ovviamente della Magi-stratura) e che questa previsione, abbinata alla selezione che si svol-gerà alla fine, porti al concorso per Uditore Giudiziario un numero troppo ristretto di candidati, così finendo con il costituire la scuola, e non più il concorso, la vera selezione dei futuri Magistrati. Dobbia-mo stare attenti a questo profilo anche di compatibilità costituziona-le, perché stamani ho sentito dire che il numero degli ammessi alle scuole, quattromilaseicentoventi unità, se non sbaglio, di cui parla il decreto Ministeriale dell’8 giugno 2000, è troppo alto. Io mi chiedo, invece, in questa prospettiva costituzionale, se non sia troppo basso e quindi se sia compatibile con l’intero sistema costituzionale una selezione così rigida che finisce per spostare anticipatamente in maniera impropria rispetto al dettato costituzionale la selezione dei Magistrati.
È urgente, e dovrebbe costituire una priorità del nostro comune lavoro, l’adozione degli opportuni strumenti in favore degli studenti non abbienti. Siamo consapevoli che sia che il corso di studi universi-tari si articoli in tre anni più due, più un anno di scuola, sia che si arti-coli nella maniera tradizionale, siamo in presenza di un allungamen-to del periodo degli studi; pertanallungamen-to dobbiamo evitare che questa ri-forma così importante diventi un improprio strumento di selezione sociale dei non abbienti. Penso, perciò, che una priorità fondamenta-le sia quella di prevedere proprio sovvenzioni, borse di studio, antici-pazioni a seconda delle diverse situazioni.
Nel sistema americano sono previste addirittura anticipazioni di
Nel sistema americano sono previste addirittura anticipazioni di