• Non ci sono risultati.

QUADERNI del Consiglio Superiore della Magistratura

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "QUADERNI del Consiglio Superiore della Magistratura"

Copied!
65
0
0

Testo completo

(1)

Incontro di studio organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura in collaborazione

con il Consiglio Nazionale Forense

UNIVERSITÀ

E PROFESSIONI LEGALI:

RECLUTAMENTO, ACCESSO E FORMAZIONE

QUADERNI

Consiglio Superiore della Magistratura del

(2)

QUADERNI DEL

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Anno 2002, Numero 127

Pubblicazione interna per l’Ordine giudiziario curata dal Consiglio Superiore della Magistratura

(3)

PRESENTAZIONE

Le trasformazioni in atto impongono un reclutamento e una for- mazione delle tante figure dei giuristi e degli operatori del diritto che tengano presenti i compiti pubblici loro affidati.

Le specialità e la rilevanza delle funzioni affidate dall’ordinamen- to alle professioni forensi richiede infatti, oltre ad una formazione giu- ridica di base ed al compimento di studi del diritto orientati a tali spe- cializzazioni, una cultura professionale che sia acquisita nella fase for- mativa iniziale e sia poi coltivata attraverso una formazione continua durante la vita professionale.

La recente riforma degli studi universitari, la creazione delle Scuole universitarie di specializzazione per la preparazione all’acces- so in magistratura e in avvocatura, l’organizzazione di scuole di for- mazione da parte degli ordini forensi pongono inoltre nuovi problemi di armonizzazione e coordinamento per evitare interventi legislativi frammentari e impostazioni settoriali.

Per una cultura della giurisdizione come servizio da offrire ai cit- tadini secondo i valori della Costituzione occorrono pertanto iniziati- ve comuni, al fine di dare effettività ai principi ispiratori dei recenti interventi normativi e di quelli in corso di elaborazione per il riordi- namento delle professioni giuridiche.

Il presente Quaderno raccoglie gli interventi tenuti nell’incontro di studio organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura ed il Consiglio nazionale forense in data 22 giugno 2001, per l’approfondi- mento dei temi della formazione degli operatori del diritto, finalizza- ta, in particolare, all’accesso alle professioni di magistrato, di avvoca- to e di notaio.

Fra gli obiettivi dell’incontro si segnala, nello spirito di una cultu- ra pubblica delle riforme, la costituzione di un osservatorio perma- nente che sia di stimolo costante per interventi organici nei diversi ambiti.

La presente pubblicazione, registrando i contenuti ed i risultati dell’incontro, vuole pertanto essere un contributo a proseguire nella ricerca, nell’approfondimento e nel confronto su un tema che è ben lungi dall’essere definito e consolidato.

Al contrario, tutta la materia è oggi in movimento, registra un’ela- borazione ed un aggiornamento degli obiettivi ancora insufficienti, ed

(4)

una crescente incertezza nei profili normativi ed operativi. Troppe novità sono intervenute nell’ordinamento universitario ed in quello delle professioni e delle istituzioni giuridiche e giurisdizionali, perché si possa eludere la necessità di fare il punto e ripartire con progetti rin- novati e condivisi.

La presente pubblicazione vuole costituire un punto di partenza di un’attività ulteriore che il Consiglio Superiore della Magistratura in- tende porre in essere. Le commissioni IX e VI e l’ufficio studi hanno già in animo di proseguire l’azione istruttoria della questione formati- va delle professioni giuridiche proprio lungo il filone dei contenuti del- l’incontro qui registrato e del lavoro dell’osservatorio ora richiamato.

Nel corso dell’incontro si è richiamato l’atto di nascita delle scuo- le di specializzazione universitaria per le professioni forensi e la sua ispirazione di fondo. È stato negli anni 1997-98 che si è posta in esse- re una felice sinergia fra Ministero dell’Università e della ricerca scien- tifica e tecnologica, Consiglio Superiore della Magistratura, avvocatu- ra, notariato e università. A quella sinergia si deve il decollo della nor- mativa in oggetto e l’affermazione del principio della formazione uni- taria per le diverse professioni giuridiche, che nell’incontro qui regi- strato è stato ribadito come fondamentale, anche da coloro che si sono mostrati pessimisti sulla sua concreta realizzabilità.

È nel clima di confronto e di sinergia di quegli anni che si inqua- dra l’importante deliberazione del 9.X.1997 del C.S.M., proprio sul valore dell’iniziativa normativa e della formazione comune di una cul- tura della giurisdizione, possibile nel nostro paese anzitutto nei primi anni di studio giuridico universitario (appunto comune a tutti), ma oggi resa ancor più necessaria nella moderna ottica della life long lear- ning, attraverso un confronto ed una collaborazione che continuano nel corso della formazione successiva, lungo tutto l’arco della vita. Ed è dall’incontro di istituzioni pubbliche come il C.S.M., l’università, il C.N.F. ed il notariato che è stato possibile ribadire la natura pubblica ed il ruolo pubblico della formazione delle professioni giuridiche anche dopo i primi studi universitari.

Nell’incontro sono emersi molti dei problemi che quel cammino allora intrapreso incontra oggi. L’incertezza della disciplina legislativa delle modalità concorsuali per la magistratura, l’introduzione di tre livelli di titoli universitari, la previsione della riduzione della durata delle scuole ad un solo anno, i primi dati sulle iscrizioni, gli indirizzi di cambiamento legislativo in parlamento circa l’ordinamento giudi- ziario in merito ai temi formativi, gli orientamenti – diffusi per vari comparti istituzionali socio-ecomomici – di avocare l’attività formati-

6

(5)

va fuori delle istituzioni a questo deputate e all’interno della “società civile”, e cioè agli stessi comparti operativi, sono alcuni dei principali problemi oggi sul tappeto.

È aperto pertanto l’interrogativo, emerso nell’incontro, sui dubbi sopravvenuti persino circa l’utilità o il vantaggio assicurati con l’intro- duzione delle scuole, che – per la verità – vari interventi hanno pre- sentato piuttosto come sollecitazione a rimuoverne i difetti (superabi- li) e ad aggiornarne l’impianto, ricercando ad esempio il dovuto equi- librio fra autonomia delle singole scuole e sedi locali universitarie, e necessità di uniformità formativa nazionale per le professioni giuridi- che. Oppure nel monito rivolto alle università che se gli atenei ambi- scono al legittimo protagonismo nella formazione continua lungo tut- to l’arco della vita, devono prendere atto che è necessario fare i conti col mondo del lavoro e delle professioni, con le loro esigenze (diverse da quelle, legittime, dell’insegnamento puramente accademico), con la verifica dei risultati conseguiti.

Soprattutto, è più che mai attuale il ripensamento dell’attività for- mativa, che non può non essere strettamente condizionata dalla dimensione europea anche delle professioni giuridiche. Per tutte que- ste considerazioni, in ultima analisi, la presente pubblicazione vuole essere un testo ponte, che – registrando i problemi delle scuole – sol- leciti la continuazione dell’esame e dell’approfondimento di una tema- tica di tanto rilievo. Un testo ponte che, come si è detto, fa parte di una serie di iniziative, anche in corso di studio e programmazione, dirette a realizzare concretamente la collaborazione tra il Consiglio Superio- re della Magistratura, altre categorie professionali e le università, per lo studio di un percorso formativo sia per l’accesso alle professioni legali, sia per l’aggiornamento successivo, nella convinzione che dallo scambio delle opinioni e delle esperienze possano scaturire interventi propositivi utili per le diverse categorie di operatori del diritto.

Roma, Novembre 2002

Prof. Luigi BERLINGUER Direttore dell’Ufficio Studi Dott.ssa Maria Giuliana CIVININI

Presidente della Nona Commissione Dott. Wladimiro DE NUNZIO Presidente della Sesta Commissione

(6)
(7)

INDICE INTERVENTI

1. Prof. Giovanni VERDE, Vice Presidente del Consiglio Su-

periore della Magistratura . . . » 11

2. On. Michele VIETTI, Sottosegretario al Ministero della

Giustizia . . . » 19

3. Prof. Giuseppe DALLA TORRE, Componente del Consi-

glio Universitario Nazionale . . . » 23

4. Avv. Alarico MARIANI MARINI, Vice Presidente del Cen-

tro per la Formazione del C.N.F. . . . » 29

5. Avv. Remo DANOVI, Vice Presidente del Consiglio Nazio-

nale Forense . . . » 33

6. Prof. Guido ALPA, Ordinario di diritto privato nell’Uni-

versità di Roma “La Sapienza” . . . » 37

7. Dott.ssa Margherita CASSANO, Componente del Consi-

glio Superiore della Magistratura . . . » 45

8. Dott. Antonio MASCHERONI, Presidente del Consiglio

Nazionale del Notariato . . . » 55

(8)

10

9. Prof. Eligio RESTA, Componente del Consiglio Superio-

re della Magistratura . . . » 59

10. Dott.ssa Iside RUSSO, Consigliere della Corte di Appel-

lo di Reggio Calabria . . . » 61

11. Dott. Claudio VARRONE, Presidente di Sezione del Con-

siglio di Stato . . . » 63

12. Dott. Massimo DOGLIOTTI, Consigliere della Corte di

Appello di Genova . . . » 67

(9)

Prof. Giovanni VERDE, Vice Presidente del Consiglio Supe- riore della Magistratura

1. Qualche anno fa, volendo adattare al nostro Paese, alla nostra situazione dei laureati in giurisprudenza e alle nostre disponibilità finanziarie il modello di altri Paesi, prese corpo l’idea di creare in Ita- lia le scuole forensi con lo scopo di avviare proficuamente i giovani laureati alle professioni legali (magistratura, avvocatura e notariato) e nello stesso tempo di creare fra loro una sorta di circuito virtuoso in nome di una comune cultura della giurisdizione.

Dopo alcuni anni e quando la figura delle scuole forensi si è già delineata sulla base dei provvedimenti normativi emanati, ma prima che si dia avvio alla riforma, può essere interessante percorrere la stra- da a ritroso ed esaminare se gli organismi predisposti siano in grado di svolgere la funzione ad essi affidata e di conseguire gli obiettivi voluti dal legislatore.

Come sempre, piuttosto che ad astratte enunciazioni di principio mi affido al linguaggio dei numeri che ha il pregio di non poter essere messo in discussione e di non prestarsi ad esercitazioni retoriche.

L’8 giugno scorso il Ministro della Università e della Ricerca scien- tifica e tecnologica di concerto con il Ministro della Giustizia, e quin- di pochi giorni prima di passare il testimone al nuovo capo del Dica- stero, ha emanato il decreto con cui ha bandito il concorso per l’am- missione alle scuole forensi che, secondo la previsione normativa, dovrebbero entrare in vigore a novembre. Il decreto ha individuato 37 scuole disseminate sul territorio della Repubblica e ha fissato il nume- ro dei posti messi a concorso, per chi abbia intenzione di partecipare alle scuole, in 4.620 unità. A quel che pare, l’intendimento del Ministro è di mettere a concorso ogni anno un numero di posti pari a circa il venti per cento dei laureati in giurisprudenza nel corso dell’anno di riferimento. Scendendo più in dettaglio, abbiamo che le scuole istitui- te presso l’Università statale di Milano, la “Federico II” di Napoli, “la Sapienza” di Roma e la Seconda Università di Roma, hanno avuto in assegnazione 300 posti; le scuole presso l’Università di Bologna, Ca- tanzaro e Padova hanno rispettivamente 200 posti da mettere a con- corso e quella di Torino ne ha 180. Poiché per legge ogni corso non può avere più di 100 partecipanti, il decreto ministeriale finisce col prevedere almeno 49 corsi. Orbene, per ogni corso è previsto che si

(10)

12

dedichino alla didattica non meno di 500 ore l’anno con lezioni, eser- citazioni e seminari da condensarsi in un periodo di circa sei mesi a partire dal mese di ottobre. Nel successivo periodo i partecipanti dovranno svolgere attività prevalentemente pratiche per le quali è pre- visto un numero di 50 ore.

Se vogliamo cercare di tradurre questo impegno didattico nel cor- rispondente fabbisogno docenti, pur attestandoci su posizioni pru- denti, riterrei che per ogni corso si renderanno necessari non meno di 10 docenti. Inoltre, sarà necessario coinvolgere gli uffici giudiziari e gli studi di avvocato e notarili in un numero congruo per consentire l’attività pratica, tenendo presente che se si vuol effettuare una attività di questo genere che sia anche utile, si dovranno dividere i gruppi di partecipanti in sottogruppi di poche unità ciascuno.

In conclusione, valuto che la creazione delle scuole comporterà l’impegno di non meno di 500 docenti a cui va ad aggiungersi l’attività di coloro i quali dovranno supportare l’organizzazione delle scuole;

penso in particolare ai componenti dei consigli di amministrazione e a quel minimo di organizzazione amministrativa a cui in qualche modo sarà necessario dare spazio.

Sulla base di questi calcoli si potrebbe ipotizzare che saranno necessari in totale non meno di 200 professori e non meno di 100 magistrati, 100 avvocati e 100 notai. Come potremo reclutarli? Mi sembra evidente che si imporrà un aumento della dotazione organica delle Facoltà di Giurisprudenza, che, a quanto ne so, neppure è stato ipotizzato. A questo riguardo va precisato che l’insegnamento da im- partire nelle scuole è di gran lunga più oneroso di quello che tradizio- nalmente viene impartito nel normale ciclo universitario. Poiché è da immaginare che l’insegnamento debba puntare soprattutto sulla inte- razione fra docente e discente, alla classica lezione “dettata” dalla cat- tedra si dovranno sostituire conversazioni di tipo colloquiale basate sulla analisi di casi concreti dai quali, attraverso l’accorta opera maieutica, docenti e discenti insieme dovranno risalire alle soluzioni e collegare queste ultime a nozioni di carattere più generale o istitu- zionale. Orbene io già trovo difficoltà ad immaginare docenti univer- sitari disposti ad un lavoro che si presenta lungo e complesso soprat- tutto nella fase preliminare della preparazione; non immagino che ci siano molti avvocati e notai disposti a questo sacrificio. Infatti, non si tratta di recarsi alla scuola nei ritagli di tempo per fare una amiche- vole chiacchierata, ma il docente si troverà di fronte ad un impegno che difficilmente potrà essere assolto senza una dedizione a tempo pieno. Avremo notai ed avvocati disposti a tanto per un’attività che si

(11)

presenta pressoché gratuita? Per ciò che concerne i magistrati già im- magino che, in vista della gravosità dell’impegno e trattandosi di inca- richi previsti per legge, sarà posta al C.S.M. la questione dell’esonero totale o parziale del magistrato docente dal normale lavoro giudizia- rio. Vi dico francamente che in questo momento e con gli organici insufficienti e per i quali arrivano lamentele da tutte le parti d’Italia, il C.S.M. si troverebbe in grossa difficoltà di fronte alle richieste di eso- nero dall’attività giudiziaria.

Possiamo ancora continuare. Come ho detto poc’anzi ogni anno in Italia si laureano in giurisprudenza circa 20.000 persone, è probabile che buona parte di queste 20.000 persone chiederanno di accedere alle scuole. In qualche misura è auspicabile che ciò avvenga perché, in caso contrario, noi avremmo la prova provata che le scuole non hanno avuto successo. Bisognerà, tuttavia, organizzare gli esami selettivi. Al riguardo, si prevede un meccanismo che fa uso del sistema di doman- da a risposta multipla (il cosiddetto sistema dei quiz). Peraltro, per garantire l’uniformità di trattamento, si prevede che le prove di esame si svolgano nello stesso giorno. Ciò renderà necessario organizzare nelle 37 sedi dove si terranno i corsi le prove di esame per un altissi- mo numero di candidati e, poi, la commissione o le commissioni do- vranno procedere al controllo del regolare svolgimento delle prove, ol- tre che alla valutazione e alla proclamazione dei risultati. Altro sforzo organizzativo, altra necessità di uomini e di mezzi.

Ancora non ho finito. Queste scuole riusciranno a soddisfare la domanda, come si è detto, di circa il 20 per cento dei laureati di cia- scun anno. C’è da chiedersi che cosa succederà per l’altro 80 per cento.

È prevedibile, come è stato posto in evidenza dagli organismi rappre- sentativi istituzionali dell’avvocatura, che buona parte di questa im- mensa schiera di laureati si iscriverà nell’albo dei praticanti e preten- derà di poter sostenere gli esami di abilitazione professionale. Se non si vuole creare una odiosa disparità di trattamento tra i primi (ossia gli ammessi alle scuole) e i secondi, bisognerà pensare alla formazio- ne professionale anche di questi ultimi. Qui le cifre sono da capogiro e il numero dei corsi, in relazione a ciò che finora ho detto, dovrebbe essere almeno quadruplicato. Nel 1998 il problema era ben presente al Ministero della Giustizia tanto vero che il Ministro dell’epoca (Flick) elaborò un disegno di legge (del 2 settembre ’98) che cercava di fron- teggiarlo. Più ancora delle leggi concernenti le scuole forensi, questo disegno di legge mi sembra viziato da una insopportabile dose di astrazione. Basti pensare che esso scarica sui Consigli dell’ordine il peso della organizzazione dei corsi, oltre ai costi relativi, e che delinea

(12)

14

un itinerario per l’accesso alla professione assolutamente tortuoso. Gli articoli 22, 23 e 24 del disegno prevedono infatti: a) un colloquio per la ammissione al corso di formazione; b) un esame di idoneità al pra- ticantato; c) una prova preliminare di ammissione all’esame di abili- tazione; d) l’esame di abilitazione. L’art. 22 co. 10°, poi, si pone il pro- blema del coordinamento tra questa forma di accesso e quella delle scuole forensi e lo risolve prevedendo che il diploma di specializza- zione delle scuole forensi sia titolo per l’ammissione all’esame di abi- litazione.

In conclusione, quando si fa uno studio cosiddetto di fattibilità, ci si rende conto che l’organizzazione delle scuole non può avvenire in maniera approssimativa e dilettantesca e soprattutto ci si rende conto che questo sistema ha costi notevolissimi per la collettività che vale la pena di sopportare se si conseguono utilità di rilievo.

2. Diventa, così, opportuno esaminare quale sia l’utilità o il van- taggio che deriva dalla introduzione delle scuole forensi. Possiamo partire dal dato legislativo. L’art. 17 della l. n. 127 del ’97, che tra le misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo ha ritenuto di delegare al governo l’emanazione di decreti per modificare la disciplina dell’ac- cesso alla magistratura ordinaria e alle professioni di avvocato e notaio, enunciava questi obiettivi: “semplificazione delle modalità di svolgimento del concorso (per l’accesso alla magistratura ordinaria) e introduzione graduale, come condizione per l’ammissione al concor- so, dell’obbligo di conseguire un diploma biennale esclusivamente presso scuole di specializzazione istituite nelle Università, sedi delle facoltà di giurisprudenza”. Per quanto riguarda l’accesso alle profes- sioni di avvocato e di notaio, l’art. 17 si limitava a stabilire che il diplo- ma di specializzazione sarebbe stato “titolo valutabile ai fini del com- pimento del relativo periodo di pratica”, nei termini che il Ministro della giustizia avrebbe dovuto definire con successivo decreto. Sta di fatto che negli atti normativi successivi il punto è rimasto non chiari- to. C’è di più. Per quanto riguarda l’accesso alla magistratura l’art. 1 comma 2° lett. a) del d.lgs. n. 398 del ’97 prevede, come accesso alla magistratura, una via alternativa: o il concorso senza prova preseletti- va da svolgersi secondo le modalità previste dall’art. 9 della legge ovve- ro, qualora non si riesca tempestivamente ad elaborare il regolamen- to per procedere al concorso secondo le nuove modalità, “il Ministro della Giustizia può, sentito il C.S.M., differire, con proprio decreto motivato, l’applicazione della disciplina medesima ai concorsi succes-

(13)

sivi”; nel qual caso il concorso per realizzare l’aumento dell’organico avrà luogo secondo i criteri oggi in vigore e, quindi, tramite la prova preselettiva.

Sulla base di questa evoluzione legislativa sembra che ci si avvii verso una diversa disciplina del concorso che è ispirata soprattutto dalla esigenza di semplificare le modalità concorsuali e di accelerare quelle volte alla correzione degli elaborati scritti così da renderne più rapido lo svolgimento anche se il numero dei candidati, non previa- mente selezionati, sia molto alto.

In questa prospettiva l’utilità del diploma di specializzazione rila- sciato dalla Scuola forense finisce col diminuire.

Anche se non volessimo tenere conto di ciò, mi sembra, tuttavia, che la previsione originaria della legge e del decreto fossero viziate da pernicioso astrattismo. Abbiamo visto che già oggi le scuole forensi, dopo un anno o due anni di corso, a seconda delle opzioni che saran- no scelte nel momento dell’entrata in vigore, saranno in grado di rila- sciare circa 4.600 diplomi di specializzazione. Quindi già nel primo anno noi avremmo 4.600 laureati ammessi senza prova preselettiva al concorso per uditore, ai quali dovremo aggiungere quanti, non am- messi alle scuole, abbiamo chiesto di partecipare al concorso supe- rando la prova preselettiva. Nell’anno successivo è pensabile che ai 4.000 e rotti laureati diplomati dell’anno precedente, che non hanno trovato collocazione nel mondo del lavoro e che ripresentano la loro domanda di partecipazione al concorso per uditore, si vengano ad aggiungere altri 4.000 nuovi diplomati, oltre coloro i quali superino, per le ragioni dette, la prova preselettiva, essendo comunque ammes- si al concorso. La moltiplicazione del numero continuerebbe anche negli anni successivi. Di conseguenza, già dai primi anni si avrebbe un tal numero di domande di partecipanti al concorso da rendere non gestibile il concorso stesso e da imporre diversi criteri di selezione. In altre parole, se si crede che le scuole forensi possano essere l’antido- to alla preselezione informatica sicuramente si commette un grosso errore.

Sul versante dei notai e degli avvocati c’è da riscontrare indiffe- renza dei primi e preoccupazione da parte dei secondi. I primi, infat- ti, ritengono di aver organizzato una loro scuola efficiente e di aver risolto con il sistema della preselezione il problema del sovraffolla- mento all’atto del concorso. I secondi, che non hanno questi problemi, ma piuttosto hanno quelli di una decorosa formazione professionale delle migliaia di nuovi laureati che ogni anno si iscrivono negli albi, sono contrari a dare al diploma di specializzazione eccessivo valore.

(14)

In particolare escludono che esso possa equivalere al superamento della prova scritta e sono disposti soltanto ad ammettere che la fre- quenza alla scuola, opportunamente integrata con una effettiva prati- ca professionale, possa valere in tutto o in parte come sostitutivo del tirocinio preliminare agli esami di abilitazione professionale.

Se soltanto questa fosse l’utilità che i giovani ricaverebbero dalla partecipazione alle scuole, questa utilità sarebbe davvero modesta e le scuole sarebbero condannate ad un sicuro insuccesso. In sostanza, noi avremmo messo in piedi strutture complesse e costose per perseguire risultati effimeri e di scarsa rilevanza pratica.

3. Ma alla base della scuole forensi vi sono forse interessi di quan- ti ritengono necessario moltiplicare le occasioni di intervento della didattica nella illusione che, in questo modo, si possa riaffermare un primato nella società civile che le Università vanno perdendo. In molti vi è anche l’idea illuministica che si possa per questa strada persegui- re l’obiettivo di una comune formazione culturale che ruota intorno ai temi e agli interessi della giurisdizione. È questa la prospettiva che fu colta dal Consiglio Superiore della Magistratura nella deliberazione del 9 ottobre ’97, dove si legge che “la scuola di specializzazione per le professioni legali appare infine costituire la strada maestra per perse- guire un terzo obiettivo di grande importanza: la istituzione di una fase significativa di formazione professionale comune a magistrati e avvocati. Questo obiettivo viene spesso invocato in nome della neces- sità di perseguire una comune cultura della giurisdizione presso le due categorie, di superare loro atteggiamenti culturali di chiusura o di autoreferenzialità corporativa, di appianare diffusi atteggiamenti di antagonismo tra magistrati e avvocati”.

È da notare peraltro che a distanza di qualche tempo, e precisa- mente il 25 giugno 1998, lo stesso Consiglio superiore nel rilevare che nella fase attuativa si stavano commettendo numerosi errori di impo- stazione e che il progetto non era supportato dai necessari mezzi finanziari sottolineava come, in questo modo, “la riforma non sarebbe idonea ad aprire le importanti prospettive in vista delle quali essa è stata pensata, ma rappresenterebbe soltanto un grave danno per i gio- vani laureati e per l’istituzione giudiziaria”; e concludeva nel senso che se non fosse possibile dar vita ad una istituzione efficiente, “allora meglio sarebbe non farne nulla o rinviare la riforma a tempi migliori”.

È anche questo il mio avviso specialmente di fronte alla forzatu- ra operata dal Governo con il decreto dell’8 giugno del 2001. So bene che questa riforma già ha subito negli anni scorsi rinvii e che in Italia,

16

(15)

per fare le cose, bisogna che siamo posti di fronte a termini ultimati- vi. Ma davvero far entrare oggi in funzione le scuole significherebbe condannarle in partenza ad un sicuro insuccesso. Dico ciò con atteg- giamento del tutto laico e neutrale, dal momento che, come forse è tra- pelato da quanto ho finora esposto, io non credo che nell’anno tra- scorso fianco a fianco presso le scuole forensi si possa attivare una comune cultura della giurisdizione maggiore e migliore di quella che si è potuta attivare per ben 5 anni nei banchi dell’Università. A meno che non si abbia in mente una diversa cultura comune quale nasce dal reciproco scambio di esperienze di vita vissuta. Questa cultura pre- supporrebbe processi di osmosi per i quali si possa transitare dall’una all’altra professione con molta elasticità. Le condizioni, tuttavia, dei ceti professionali forensi nel nostro Paese sono totalmente diverse da quelle dei paesi in cui tale osmosi esiste e ha costituito anzi una forza trainante del sistema. Sarebbe, perciò, difficile richiamarsi a quelle esperienze sicuramente non trapiantabili in Italia se non a prezzo di improvvide e dannose forzature.

(16)
(17)

On. Michele VIETTI, Sottosegretario al Ministero della Giu- stizia.

Sono molto lieto di portare il saluto del Ministro al vostro conve- gno, anche perché è il primo impegno pubblico nel mio nuovo ruolo di Sottosegretario alla Giustizia e mi fa piacere che questo coincida con una iniziativa del Consiglio superiore, perché come diceva il Pre- sidente, questo mi fa sentire ancora a casa, avendo da una parte il Pro- fessor VERDE, dall’altra Margherita CASSANO, che è stata una colle- ga dinamicissima, attivissima, che in questi tre anni ha lavorato tanto e bene e in particolare tanto si è applicata a questo importante tema delle scuole di formazione.

Vi chiedo scusa se a mia volta dovrò allontanarmi, perché gli scio- peri degli aerei, oggi da mezzogiorno alle sedici, mi costringono ad una veloce fuga in aeroporto per riuscire a rientrare a Torino per un altro impegno prima di questa sera. Quindi, non farò una relazione, ma mi limiterò a sottolineare due o tre aspetti problematici come con- tributo alla discussione del vostro convegno, riservandomi poi di esa- minare, di studiare e di discutere ulteriormente insieme a voi, gli atti che certamente saranno prodotti come esito di questa giornata.

Mi pare che il primo problema che si pone a proposito delle scuo- le forensi, dopo i vari interventi normativi – dal Decreto Legislativo del

’97, al Decreto Ministeriale del ’98 alla Legge 48 del 2001 –, sia il rischio che questa scuola rispetto alla sua natura iniziale, così come il Legislatore aveva immaginato nella legge delega, la BASSANINI due, rischi di essere snaturata; il timore è che essa diventi un canale di accesso alla sola Magistratura, smentendo così il disegno da cui era nata e che, invece, mirava ad assicurare la formazione comune di tutti coloro che erano destinati a svolgere le professioni forensi classiche.

Questo coerentemente con il modello ispiratore del Legislatore del ’97 che era stato in qualche modo quello della Repubblica Tedesca, in cui era presente questa scuola destinata a fornire una preparazione comu- ne, quella che noi chiamiamo la comune cultura della giurisdizione per tutti gli operatori di Giustizia. Ora, se rispetto a questo disegno ini- ziale la scuola diventa un semplice, unico e esclusivo canale di acces- so alla Magistratura, credo che si snaturi la funzione, oltre tutto anche sotto il profilo del canale di accesso alla Magistratura; forse la scuola così come rischia di partire, non risolve i problemi, ma li aggrava, in quanto si finisce di dilatare ulteriormente i tempi, posticipando l’ac-

(18)

cesso di due anni. È vero che dopo la Legge 48 la durata della scuola viene dimensionata sul nuovo ordinamento degli studi e ridotta ad un anno, ma poi bisogna tenere conto della disciplina transitoria; di fatto i tempi si dilazioneranno e non si riuscirà a contenere i numeri, per- ché se è vero che i numeri di accesso calcolati sul venti per cento dei laureati danno quattromilaseicentoventi ammessi, si finisce in qual- che modo di riprodurre i numeri classici di ammissione ai concorsi con tutti i problemi di gestione che questi numeri hanno dato e, quin- di, continueranno a dare, per di più avendo caricato quegli aspiranti, usciti dalle scuole, di aspettative che forse i vecchi aspiranti non ave- vano e che, invece, legittimamente coloro che escono da queste ne saranno in qualche modo portatori, rischiando di complicare ulterior- mente il problema. Questa è la prima osservazione.

La seconda osservazione: bisogna che questa scuola – da questo punto di vista è molto opportuno l’incontro che oggi vede insieme allo stesso tavolo Magistrati, Consiglio Nazionale Forense, Presidi di Giu- risprudenza –, si adegui e si integri rispetto ai fabbisogni formativi delle professioni e tenga conto delle specifiche esigenze delle profes- sioni; perché se vogliamo che la scuola non diventi il solo criterio di selezione per l’accesso alla Magistratura, il luogo di formazione di tutte le professioni forensi e, quindi, essere in qualche modo la sosti- tuzione della pratica forense, occorre che essa si confronti e si faccia carico degli interessi che sono in gioco sul versante delle professioni, che si confronti con i problemi degli interessi degli studi degli Avvo- cati, che ovviamente, ove la scuola sostituisse la pratica, si trovereb- bero in una difficoltà, in una carenza rispetto ad una certa organizza- zione dei propri uffici e dei propri studi. Lo stesso vale per i Notai, evi- dentemente, con le scuole di formazione che gli ordini professionali hanno tuttora in corso; penso a quella del Notariato, in particolare, che gode di ampio credito e di grande prestigio oppure all’Istituto Redenti. Allora, se è vero che noi vogliamo che questa scuola non sia soltanto un criterio di selezione per accedere alla Magistratura, ma che si integri rispetto agli altri ordini professionali, bisogna che que- sta sciolga quei nodi nel rapporto con le professioni.

Terza osservazione: la riduzione della durata della scuola ad un anno. Temo che la riduzione della scuola ad un anno renda difficilmen- te realizzabile in uno spazio di tempo così breve, il compimento di atti- vità che siano dotate di una ragionevole completezza, cioè una scuola di un solo anno. Mi sembra che abbia difficoltà ad integrare la prepara- zione teorica con un vero e proprio contatto immediato con la pratica.

Quarto problema che sottopongo al dibattito del vostro convegno

20

(19)

è quello della necessità di trovare, a proposito di questa scuola, un equilibrio tra un’autonomia didattica sempre più spinta, quale è quella voluta in qualche modo dal nuovo ordinamento dei nostri studi, e una esigenza di uniformità che rimane forte per l’accesso ad un corpo di rilievo, di carattere nazionale come è la Magistratura, anche in rela- zione ad una distribuzione territoriale molto eterogenea delle univer- sità, in quanto, sul nostro territorio ci sono zone del paese ad alta con- centrazione di strutture universitarie ed altre che ne sono carenti.

Allora, anche questo rappresenta un problema, cioè come con- temperare l’autonomia didattica, il decentramento sempre più spinto, rispetto a questa esigenza di uniformità per il corpo a cui questi stu- denti debbono essere preparati.

Quindi ed ultimo problema: le risorse finanziarie. Le risorse a disposizione delle scuole sono molto limitate; non è immaginabile che si possa sopperire a questa carenza di risorse con le sole forze prove- nienti dalle contribuzioni di quelli che frequentano le scuole. Occorre, viceversa, cominciare ad immaginare che se devono essere garantite condizioni di concorrenzialità tra le diverse scuole, esse devono esse- re stimolate ad una qualità del corpo docente sempre migliore, ad un accesso alle scuole agli studenti capaci, meritevoli. Ecco, penso che questi siano alcuni dei problemi aperti. Mi rendo conto che non ho indicato soluzioni, ma forse ho sottolineato le difficoltà. Credo che questo tipo di incontri debba servire anche a identificare le difficoltà per contribuire in qualche modo a risolverle. Dichiaro la disponibilità del Ministero, oltre che mia personale, ad un dialogo con il Consiglio superiore e con il Consiglio Nazionale Forense e con le Università, affinché a questi problemi e agli altri, emersi dal vostro dibattito, si riesca a dare soluzione.

Mi fa piacere che sia qui oggi anche il Dottor RIZZI, che ho scel- to come Capo della mia segreteria, il quale potrà opportunamente essere anche il tramite operativo di questa collaborazione, venendo dal MUSTAT e, quindi, avendo già studiato e seguito questi problemi.

C’è questa assoluta volontà collaborativa nell’ottica di valorizza- zione questo strumento delle scuole, a cui tutti crediamo convinti che rappresentino per l’intero mondo forense, per l’intero mondo giudi- ziario per l’intera cultura della giurisdizione, una grande opportunità, ma anche preoccupati che queste scuole non diventino un ulteriore collo di bottiglia nel sistema che finisce di complicarci modi e tempi di un funzionamento complessivo del sistema giudiziario che voglia- mo snellire, che vogliamo rendere più efficiente e che non vogliamo appesantire.

(20)

Prof. Giuseppe DALLA TORRE, Componente del Consiglio Uni- versitario Nazionale.

Ho ascoltato con estremo interesse le relazioni e gli interventi, prendendo buona nota di tutte le osservazioni che sono state fatte.

Condivido molti dei rilievi; su alcuni personalmente avrei da fare qual- che critica o qualche riserva. Tuttavia il mio intervento prescinde da quelle che possono essere, per così dire, valutazioni di carattere per- sonale avendo qui una rappresentanza di tipo, istituzionale: quella del Consiglio Universitario Nazionale, presso il quale tra l’altro, rappre- sento la Conferenza dei Rettori italiani (CRUI). Sono quindi in una posizione, come dire, di equilibrio tra due organismi i quali hanno un diverso ruolo, ma sono entrambi accomunati nel difficile e delicato compito di governare il sistema complesso della autonomia universi- taria, seppure con competenze diverse.

Vorrei iniziare con una osservazione di carattere molto generale, legata al fatto che il sistema universitario nazionale finalmente comin- cia a vedere la demolizione delle palizzate e degli apparati del cantiere in cui siamo vissuti da molti anni. Anche se molti hanno riserve, per- plessità sulla riforma universitaria, tuttavia c’è comunque questa sen- sazione di giungere ad una stazione, ad un punto di arrivo, dove poter ricominciare con la vita ordinaria nella ricerca, nell’insegnamento, lasciando l’incertezza e la precarietà. L’Università italiana ha vissuto degli anni di grande incertezza, dei quali sta ancora vivendo degli scampoli; questa incertezza porta, come è facile capire, una situazione di estremo disagio, sia a livello individuale, sia a livello collettivo.

In questo momento nell’ambito del sistema universitario naziona- le, ormai profondamente modificato rispetto a quello che abbiamo conosciuto, si sente fortissima l’esigenza di “un’etica delle riforme”.

Voglio dire che possiamo essere d’accordo o meno sulle riforme intro- dotte, in molti abbiamo delle riserve, in particolare nel C.U.N. discu- tiamo moltissimo in questo momento che ci vede impegnati nell’ap- provazione dei regolamenti didattici di ateneo in tempi strettissimi, tuttavia gli interessi di carattere generale pongono ormai la necessità che tutti si operi per portare a compimento con lealtà ed impegno un disegno che ormai è definito e sul quale mi sembra assai difficile poter tornare indietro.

Questa annotazione di carattere generale evidentemente coinvol- ge, come è facilmente intuibile, anche il tema specifico oggi in discus-

23

(21)

sione, relativo alle Scuole di specializzazione per le professioni legali.

Voglio dire cioè che il sistema universitario sente il disagio della incer- tezza che accompagna ormai da tempo l’attivazione di queste Scuole e sente la esigenza che, ad un certo momento, si mettano finalmente dei punti fermi e si possa cominciare a lavorare.

Il primo problema, di carattere generalissimo, che si pone a segui- to degli interventi che mi hanno preceduto, è in forma di interrogati- vo: crediamo ancora nella co-formazione, cioè nella formazione insie- me di quelli che saranno chiamati poi a svolgere delle funzioni diffe- renti nella magistratura, nella avvocatura e nel notariato, ma all’inter- no di una medesima esperienza che è quella della amministrazione della giustizia in senso lato? All’inizio degli interventi di questa matti- na mi è sembrato di avvertire un’affermazione forte, positiva in questo senso; tuttavia poi, nell’andare avanti del dibattito, quell’affermazione iniziale mi è sembrata incrinarsi progressivamente.

Personalmente ritengo ancora valida l’idea che è all’origine di que- ste Scuole, e cioè, appunto, l’esigenza di formarsi insieme, l’esigenza di una esperienza culturale e formativa che è certamente arricchente, reciprocamente, in relazione alle diverse fisionomie professionali.

Una seconda riflessione è relativa al ruolo del Consiglio Universi- tario Nazionale e della Conferenza dei Rettori nel sistema della Uni- versità dell’autonomia, nel senso che siamo dinanzi ad un sistema di autonomie tendenzialmente frammentario, tendenzialmente centrifu- go, che necessita di un governo, che da un lato rispetti le autonomie ma che nello stesso tempo dia, come dire, la garanzia di determinati livelli di formazione sia agli utenti che alla collettività generale. Anche negli interventi precedenti è venuto fuori, ad un certo momento, il problema di garantire che tutte le Scuole possano assicurare gli stessi livelli di formazione.

Il problema naturalmente non è solo per le Scuole di specializza- zione per le professioni legali, è molto più generale. Al riguardo si è parlato di concorrenza o di competizione: personalmente ho molti dubbi sulla concorrenza nell’ambito della formazione e ritengo che il nostro sistema universitario non sia un sistema di tipo competitivo, di concorrenza tra Atenei, ma un sistema di rete, quindi solidale, sul quale tutti gli Atenei debbono insieme impegnarsi (cum-petere) per raggiungere quei traguardi sempre più elevati di formazione culturale e professionale che il Paese chiede all’Università. In siffatta prospetti- va si afferma con importanza il ruolo da un lato della Conferenza dei Rettori, per ciò che attiene a tutti gli aspetti strutturali, organizzativi e finanziari, e dall’altro del Consiglio Universitario Nazionale, per ciò

(22)

che attiene, invece, al governo della diversità, cioè al governo di un sistema il quale ha due caratteristiche ben note. Prima, quella di diver- sificare l’offerta formativa in rapporto alle diverse vocazioni locali, alle diverse tradizioni ed esigenze locali e così via; seconda quella di garan- tire una formazione professionalizzante. Anche questo è un argomen- to al quale si deve prestare la dovuta attenzione: sarebbe infatti abba- stanza singolare che nel momento in cui l’Università vuole andare verso le professioni, verso una formazione più aderente alle esigenze del mondo del lavoro e delle professioni, questo mondo si allontanas- se dall’Università. Insomma, all’Università si è per molto tempo rim- proverato di essere arroccata in una sorta di torre d’avorio, isolata rispetto alle esigenze della realtà. Ora, nel momento in cui l’Università si trasforma, e con grandi sacrifici, in rapporto alle giuste esigenze della società, le perplessità o le fughe dei mondi vitali, dei mondi lavo- rativi, delle professioni – che mi sembra di aver colto in interventi cri- tici nei confronti delle Scuole – pongono alcuni interrogativi gravi e sono per noi professori universitari causa di preoccupazioni di fondo.

Certo si impongono esigenze di armonizzazione; nel Consiglio Uni- versitario Nazionale lo constatiamo tutti i giorni, perché l’autonomia didattica porta anche in un settore che è particolarmente – come dire – solido, consolidato, strutturato, come è quello degli studi giuridici, a tendenze di diversificazione che oltre un certo limite finiscono per porre seri problemi in ordine all’esigenza di favorire una base comu- ne e uniforme. È necessario dunque un equilibrio, un’armonizzazione, una competizione, se proprio si vuole adottare questa prospettiva, non al basso, ma al meglio, verso l’alto; è necessario cioè garantire un pari livello di formazione in tutte le Scuole e su tutto il territorio naziona- le. Credo che, sotto questo profilo, il C.U.N. abbia un ruolo importan- tissimo propriamente suo. Naturalmente, trattandosi di Scuole di for- mazione alle professioni legali, il ruolo del C.U.N. deve essere stretta- mente rapportato con quelli del Consiglio Superiore della Magistratu- ra e degli Ordini professionali. A ben vedere queste Scuole costitui- scono la punta più estrema del proiettarsi dell’Università nel concreto del mondo del lavoro delle professioni giuridiche.

Un secondo aspetto che vorrei ricordare a proposito del ruolo del C.U.N., è che l’autonomia didattica così come è stata regolata dal legi- slatore risponde ad un definito disegno, ha una sua struttura, discuti- bile quanto si vuole, ma possiede una sua coerenza. Nel senso che l’ar- ticolazione non solo dei titoli di studio, ma anche e soprattutto dei percorsi formativi, nella strutturazione in lauree di primo livello e lau- ree specialistiche, dottorati di ricerca, scuole di specializzazione e

25

(23)

quant’altro, è frutto di valutati e saggi dosaggi. In altre parole vorrei richiamare l’attenzione sul grande pericolo, cui si andrebbe incontro, nel caso in cui si bloccasse il progetto, ormai arrivato in fase esecuti- va, delle Scuole per le professioni legali, nel senso di produrre per effetto riflesso un disequilibrio e una disarmonia in tutta la struttura formativa che l’Università si è ormai data. In questi giorni al C.U.N.

stiamo lavorando a tappe forzate nel controllare i singoli regolamenti didattici di Ateneo, per dare al Ministro dell’Università il prescritto parere. Ora è chiaro che la valutazione che noi diamo sui regolamen- ti sottoposti al nostro giudizio, e che sono molte volte abbastanza diversi uno dall’altro, è legato al disegno riformatore complessivo, per cui diamo il nostro parere positivo o negativo è costituito anche sul presupposto dell’esistenza e dell’attivazione delle Scuole. Se si toglie o se viene meno un elemento di questa costruzione, ho l’impressione che la ricaduta su tutto il sistema possa essere estremamente negativa.

Un terzo aspetto che vorrei toccare brevissimamente è quello rela- tivo all’aggiornamento professionale. Non se ne è parlato fin qui, se non per un accenno fatto in un intervento che mi ha preceduto e che mi è sembrato molto giusto e assai pertinente. Al riguardo teniamo conto che l’Università dell’autonomia, in particolare dell’autonomia didattica, non è più pensabile come l’Università che conferisce un tito- lo di studio, una volta per tutte, dalla quale si esce e nella quale non si entra più. L’idea è che l’Università debba avere un rapporto continuo con il mondo delle professioni e, quindi, anche con quanti sono chia- mati ad un aggiornamento periodico delle proprie conoscenze, che nella nostra società diventano molto rapidamente obsolete. Per fare questo è assolutamente necessario che il sistema universitario nazio- nale abbia tempestivamente certezze e affidamenti, al fine di organiz- zare iniziative didattiche rispondenti alle necessità, e quindi di predi- sporre strutture, personale, risorse finanziarie e così via.

Concludendo voglio osservare che, in ordine all’attivazione delle Scuole per professioni legali, tra C.U.N. e C.R.U.I. una qualche diver- sità attualmente c’è, nel senso che per quanto attiene alle Scuole, la Conferenza dei Rettori, è molto determinata nel dare loro avvio nei termini previsti; il C.U.N. viceversa, come ha ricordato il Professor VERDE all’inizio del suo intervento, ha sollevato delle perplessità ed espresso delle preoccupazioni nel documento che è stato letto e che nei giorni scorsi è stato discusso dal C.U.N. insieme alla rappresen- tanza della Conferenza dei Presidi di Giurisprudenza. Le perplessità e le preoccupazioni del C.U.N. attengono a questioni specifiche e ben definite, anche se non di secondario rilievo, che possono legittimare la

(24)

richiesta di un breve rinvio dell’attivazione delle Scuole, al fine di chia- rire un quadro normativo che nel dettaglio non è sempre chiaro e sod- disfacente, e che conseguentemente può dar luogo a, difficoltà di at- tuazione ed a controversie. Nello stesso tempo è tuttavia necessario mettere concretamente l’Università in condizione di poter partire in- sieme, solidalmente, in maniera rispondente alle esigenze della Magi- stratura, degli Ordini professionali, più in generale della società. Con- cludendo, ritengo di poter interpretare correttamente il pensiero del Consiglio Universitario Nazionale su questa questione concordando con la richiesta del Professor ANGELICI diretta ad un breve rinvio rispetto alla data prevista dal Decreto Ministeriale del 16 ottobre, che certamente appare assai vicina ed incongrua per alcune ragioni che sono state già espresse e motivate negli interventi che mi hanno pre- ceduto, in modo da mettere in condizione l’Università di attrezzarsi rapidamente e le Scuole, almeno quelle che ancora non lo hanno fatto, di compiere tutti gli atti formali necessari per essere in grado di av- viarsi con serenità e con serietà.

27

(25)
(26)

Avv. Alarico MARIANI MARINI, Vice Presidente del Centro per la Formazione del C.N.F.

L’obiettivo che ci siamo posti pensando a questo incontro è di av- viare una collaborazione per formulare proposte comuni per un coor- dinamento fra la riforma degli studi universitari e l’accesso alle pro- fessioni giuridiche. In questa situazione normativa di grande incertez- za, caratterizzata da interventi frammentari del legislatore e da antici- pazioni non sempre coerenti su aspetti dell’ordinamento della profes- sione forense, è infatti necessario che avvocati e magistrati insieme elaborino proposte che armonizzino i ruoli dell’accademia e delle pro- fessioni nei processi di formazione del giurista.

Una indicazione in questo senso è indubbiamente rappresentata dalla legge 127 del 1997, che però non è sorta con questa finalità.

Come spiegò l’allora Vice-presidente del C.S.M., prof. GROSSO, ai concorsi di magistratura partecipano giovani non sufficientemente preparati, cosicchè si è ritenuto che dopo la conclusione degli studi universitari fosse necessario un biennio di approfondimento dello stu- dio del diritto, perché i giovani che intendano accedere alla magistra- tura giungano al concorso con una preparazione più adeguata.

Si poneva tuttavia il problema della valenza del titolo rilasciato dalla scuola universitaria di specializzazione per coloro che, avendo frequentato i corsi biennali, non avessero poi conseguito l’accesso in magistratura e così si è previsto che i Ministri dell’Università e della Giustizia di concerto stabilissero quale valore dare a questo diploma biennale ai fini della pratica forense.

Per questa via residuale si è dunque recuperata una forma di col- legamento fra la scuola di specializzazione universitaria e le profes- sioni di avvocato e notaio, ma proprio in considerazione dei motivi che sono alla sua origine questa norma non si è inserita in modo coe- rente nel quadro ordinamentale delle professioni giuridiche ed è gene- ratrice di equivoci.

Infatti il diploma biennale di specializzazione secondo le facoltà di giurisprudenza dovrebbe sostituire la pratica forense, ed ora si è chiesto addirittura che coloro che lo conseguono siano esonerati dalla prova scritta dell’esame di abilitazione, il che francamente ci sembra eccessivo; ma comunque è illogico ritenere che la frequenza di questa scuola possa essere alternativa alla pratica forense, quando la scuola, se vuole mantenere la finalità indicata dalla legge delega, è essenzial-

29

(27)

mente in funzione dell’accesso alla magistratura, laddove il tirocinio è previsto dopo il superamento del concorso, mentre per l’avvocatura il tirocinio è propedeutico all’esame di abilitazione e deve precederlo.

Si pongono pertanto problemi di coerenza soprattutto sul piano normativo che è difficile conciliare. La legge è tuttavia un dato di fatto di cui occorre tenere conto nel risolvere i grandi problemi che l’Avvo- catura ha dinanzi a sè.

Vi è il grande numero degli aspiranti avvocati che in buona parte conseguono l’abilitazione senza una seria verifica di qualità; abbiamo una legge professionale antiquata e ormai quasi del tutto inutile; ci battiamo contro una lunghissima cinquantennale indifferenza del le- gislatore rispetto ai problemi di riforma dell’ordinamento professio- nale che devono consentire all’Avvocatura di disporre di un ordina- mento moderno, aperto all’innovazione e al progresso civile, econo- mico e sociale del paese.

È un distacco che si è ancor più accentuato in rapporto al salto compiuto dalla società con la rivoluzione tecnologica e il superamen- to dei confini nazionali.

Le scuole universitarie non sono certo in grado di affrontare tali problemi, e sono comunque destinate a un ruolo concorrente e non principale nella formazione degli avvocati poichè potranno accogliere circa quattromila giovani ogni anno, mentre ad ogni sessione annuale dell’esame di abilitazione ora si presentano circa venticinquemila lau- reati in giurisprudenza.

Potranno esserci anche oscillazioni in queste cifre per il calo de- mografico che diminuirà le frequenze dei corsi di giurisprudenza, ma sta di fatto che la maggior parte dei giovani laureati che intendono ac- cedere all’avvocatura non potranno utilizzare il percorso delle scuole di specializzazione.

La soluzione è che il legislatore preveda di regolarizzare questo doppio binario, quello delle scuole universitarie di specializzazione e quello delle scuole degli ordini forensi, imponendo anche per queste ultime una preselezione all’ammissione e una frequenza obbligatoria come titolo di ammissione all’esame di abilitazione.

È essenziale tuttavia che il doppio binario non crei diseguaglianze.

Certo non c’è una perfetta equiparazione fra questi due percorsi, perchè la scuola di specializzazione nasce e si sviluppa all’interno del- l’università e nonostante l’orientamento pratico che viene timidamen- te assegnato a questi corsi non ha attitudine a contribuire alla forma- zione professionale dell’avvocato.

La formazione dell’avvocato non può infatti consistere in una ri-

(28)

proposizione degli studi del diritto compiuti nei corsi universitari, ma deve consistere nell’acquisizione delle capacità e delle tecniche per l’ap- plicazione del diritto, che sono le discipline del metodo giuridico, del- l’argomentazione, della comunicazione, le tecniche difensive fondate sulla conoscenza del funzionamento dei meccanismi giurisdizionali.

Senza questa formazione la professione non può essere esercitata e non è pensabile ammettere all’abilitazione un giovane che non abbia compiuto un tirocinio effettivo, che, come recita il Regolamento del 1990, va fatto negli studi professionali e nelle aule giudiziarie sotto la guida di un avvocato.

Sappiamo che esistono grandi difficoltà su questo terreno per le scuole di specializzazione e quindi una soluzione ragionevole sarebbe quella di attuare un coordinamento fra i due percorsi della formazio- ne cosicché l’avvocatura con le scuole forensi possa collaborare con l’università e apportare quella capacità di formare gli avvocati che, co- me ha detto un illustre sociologo, è essenzialmente trasmissione di te- cniche e di esperienze, e nello stesso tempo l’università possa arricchi- re i corsi formativi delle scuole forensi con l’approfondimento e l’ag- giornamento degli istituti del diritto.

Certo ancora non ci sono segni che da parte del legislatore e delle università vi sia la consapevolezza di questa esigenza. È deludente il ruolo riservato alle professioni nelle scuole universitarie dai decreti di attuazione, e debbo dire che, ad esempio, lascia perplessi che la Con- ferenza dei Presidi delle facoltà giuridiche insista nel chiedere che il diploma biennale, che con la riforma dei corsi di studio diventerà an- nuale, esoneri soltanto per la professione dell’avvocato dall’esame scritto di abilitazione.

Penso che si debbano abbandonare queste rivendicazioni legate a primati che la società moderna non riconosce aprioristicamente, ma assegna in base a verifiche di efficienza e qualità.

Sarebbe una iattura per le professioni giuridiche che si dia vita a scuole per avvocati di serie A e scuole per avvocati di serie B, perchè non sarebbe neppure utile alla società creare una pretesa élite di avvo- cati che sono abilitati senza tirocinio e senza una pratica effettiva, ed una maggioranza di avvocati formati nelle scuole degli ordini forensi, e certamente più preparati alla professione, che il legislatore tuttavia classifichi in modo riduttivo rispetto a coloro che possono fregiarsi del diploma rilasciato dalle scuole universitarie.

Questo è un problema, ed è anche la condizione di partenza per impostare un’azione comune di collaborazione tra università, magi- stratura e avvocatura.

31

(29)

Non ci nascondiamo le difficoltà che l’avvocatura deve superare;

non ci preoccupa il numero crescente degli iscritti agli albi, passati in circa un decennio dai 50.000 del 1990 agli attuali 140.000 circa; ci preoccupa la qualità degli abilitati immessi nella professione attraver- so una formula di esame che risale alle prime leggi di organizzazione dei collegi professionali. Mentre ci si esalta immaginando la professio- ne del terzo millennio, dell’età della globalizzazione, andiamo ancora avanti con una legge di fine ottocento, e questo ritardo è purtroppo co- mune a tutti i ruoli dei quali stiamo parlando. Questa è una grossa re- sponsabilità alla quale sono estranee le professioni giuridiche.

Ebbene, è necessario che i prossimi interventi legislativi abbiano chiaro questo quadro e quale debba essere l’indirizzo riformatore, e se a definire questo indirizzo contribuiranno attraverso un’impostazione comune le professioni giuridiche, alle quali è legato un ruolo impor- tante nell’avvenire del paese, i risultati saranno certamente migliori.

(30)

Avv. Remo DANOVI, Vice Presidente del Consiglio Nazionale Forense.

Scuole di specializzazione e Università

La relazione introduttiva si è soffermata lungamente sulle scuole di specializzazione e sulle lacune e sulle incertezze della normativa, e si è arrivati ad affermare che le aspettative iniziali sono state tradite, poiché gli anni di studio sono stati ridotti a uno (rispetto alla previ- sione iniziale di due anni) e la formazione comune tra magistrati, av- vocati e notai è divenuta una prospettiva sempre più irraggiungibile.

Un anno soltanto di scuola, infatti, non rende possibile una aggrega- zione comune di studi e quindi fa venir meno la stessa giustificazione sul nuovo tipo di formazione post-universitaria.

Si aggiunga che l’idea iniziale (il diploma come titolo indispensabi- le per accedere al concorso in magistratura) sembra anch’essa ridimen- sionata, se è vero – come è stato detto – che esistono anche altri percorsi per accedere alla magistratura. E se viene a mancare, anche questa pre- messa, è legittimo chiedersi quale contenuto e significato abbiano ancora le scuole. E poi: formazione comune per chi e per che cosa?

A me sembra che una risposta possa essere data, partendo dal grande assente di questo convegno, e cioè dall’Università.

In effetti, dell’Università non si è parlato, neppure come premessa argomentativa per lo sviluppo dei successivi itinerari, ma in verità essa deve essere presa in considerazione, poiché è l’unico reale momento di formazione comune tra tutti i giuristi. È l’Università, infatti, il luogo ideale di incontro per l’approfondimento comune di tutti gli insegna- menti giuridici e la formazione comune si realizza proprio negli studi universitari.

Senonché questa affermazione è puramente teorica poiché l’Uni- versità attuale è lungamente criticata dagli stessi docenti (è divenuta soltanto un grande esaminificio, è stato detto), ed è inidonea a giustifi- care aspettative sul piano professionale, onde la comunanza di studi serve veramente a poco.

Occorrerebbe dunque puntare sulla riforma universitaria e sui nuovi piani di studio, se non vi fosse ormai più che l’impressione che la nuova università, pure concepita su basi razionali, sia inidonea per il modo in cui viene realizzata, ad appagare le aspettative riconnesse alla validità del progetto iniziale.

33

(31)

In effetti, la riforma universitaria è stata fermamente voluta per rea- lizzare uno specifico obiettivo: consentire una immediata professionali- tà e la spendibilità del titolo a livello internazionale. Il corso tradiziona- le dello studio è stato così profondamente modificato, non tanto in rela- zione al mutato sistema di valutazione (per ogni anno si devono conse- guire 60 crediti, e un credito corrisponde mediamente a 25 ore di attività dello studente, tra frequentazione delle lezioni, attività di studio ed eser- citazioni), quanto per la scissione in due tempi del curriculum universi- tario: dopo tre anni (180 crediti) si acquisisce la laurea c.d. breve o di pri- mo livello, e dopo ulteriori due anni (120 crediti) la laurea specialistica.

Pur non essendo ancora entrata in vigore, peraltro, la riforma ha suscitato critiche, come si addice alle leggi che si realizzano per gradi successivi, anche perché è tuttora incerto uno dei punti più qualifi- canti, e cioè il rapporto tra laurea e accesso alle professioni. Sono pre- viste infatti due sezioni degli albi (l’una per i laureati e l’altra per chi ottiene la laurea specialistica), ma sono ancora in molti casi irrisolti i profili professionali.

La situazione è ancora più grave per quanto riguarda gli studi giu- ridici, per i quali i decreti ministeriali hanno individuato due tipi di lauree brevi (un corso di laurea in scienze giuridiche, classe 31, e un corso di laurea in servizi giuridici, classe 2), e la successiva laurea spe- cialistica in giurisprudenza.

Senonché, a parte i laureati in servizi giuridici (che sono destina- ti ad operare professionalmente come giuristi di impresa, consulenti del lavoro, operatori bancari o delle pubbliche amministrazioni, o quant’altro può essere previsto), per i laureati in scienze giuridiche non è assolutamente chiaro quale possa essere lo sbocco professiona- le, poiché sostanzialmente la laurea in scienze giuridiche serve sol- tanto per ammettere gli studenti alla laurea specialistica in giurispru- denza, unico titolo legittimante per il successivo riconoscimento come avvocati, magistrati e notai.

Ma non solo. Per quanto riguarda la laurea specialistica in giuri- sprudenza il significato della riforma dovrebbe essere avvalorato da due specifiche condizioni:

– da un lato il corso di studi per ottenere la laurea specialistica do- vrebbe essere effettivamente innovativo e professionalizzante;

– d’altro lato, con il conseguimento della laurea specialistica do- vrebbe essere drasticamente rivisto il successivo percorso formativo (le scuole di specializzazione, le scuole forensi, il tirocinio e l’esame di stato), con riduzione dei tempi e delle modalità.

(32)

In effetti, la laurea specialistica è stata concepita “per conseguire livelli di conoscenza adeguati per chi intenda ricevere una formazione giuridica superiore, premessa indispensabile per l’avvio alle professio- ni legali”; e a tal fine i curricula dei corsi di laurea specialistica devo- no “assicurare la conoscenza approfondita di settori fondamentali del- l’ordinamento nelle sue principali articolazioni e interrelazioni, non- ché l’acquisizione degli strumenti tecnici e culturali adeguati alla pro- fessionalità del giurista” (così il d.m. 28 novembre 2000).

Dalle prime applicazioni, tuttavia, e dalle stesse previsioni del de- creto ministeriale, si ha l’impressione che i tradizionali corsi di giuri- sprudenza realizzati in quattro anni siano stati ora trasferiti nella gab- bia della nuova struttura, conservando sostanzialmente quella “neu- tralità professionale” che è stata ripetutamente criticata, ed è ora an- cor più criticabile in dipendenza degli scopi proclamati e perseguiti.

Infatti non sono stati ipotizzati cambiamenti tali da dover ricono- scere realizzato l’intento del legislatore di consentire una professiona- lizzazione fin dalla laurea di primo liello; e basta ripercorrere i piani di studio per convincersene.

Vero è che, se si vuol dare un significato alla riforma, la neutralità degli studi accademici dovrebbe essere parzialmente rivista (in sinto- nia con quanto già avvenuto nei corsi di laurea delle materie scientifi- che), non già per sopprimere la qualità, ma anzi per qualificare mag- giormente gli sbocchi professionali.

Come infatti il laureato in medicina, per fare un esempio, dopo sei anni di studi deve essere in grado di svolgere la professione di medico e iscriversi nel relativo albo (e di fatto ciò avviene dopo solo sei mesi di tirocinio pratico, e con esami resi possibili ogni semestre), allo stes- so modo la laurea specialistica in giurisprudenza dovrebbe contrasse- gnare una nuova adeguata professionalità, essendo questo l’unico sbocco previsto per avvocati, magistrati e notai. Non dovrebbe essere utopistico, dunque, congetturare l’inizio della professione legale quasi immediatamente dopo il conseguimento della laurea specialistica in giurisprudenza.

Ciò a patto che questa laurea specialistica (due anni di studi con il conseguimento di 120 crediti) possa consentire lo sviluppo di mate- rie e di piani di studio che siano più concretamente compatibili e più fruibili nell’ambito della professione.

Occorre allora che vengano seguiti i modelli di altri ordinamenti (ad esempio la law school americana), e siano accolte le richieste degli ordini forensi di veder inseriti obbligatoriamente negli indirizzi foren- si insegnamenti destinati a far conseguire allo studente che ottenga la

35

(33)

laurea specialistica in giurisprudenza un vero e proprio status profes- sionale.

Riteniamo così che debbano essere obbligatoriamente inserite materie quali il diritto forense, la responsabilità professionale, l’ordi- namento forense, l’ordinamento giudiziario, la deontologia forense, la metodologia giuridica, l’informatica giuridica, la teoria dell’argomen- tazione, l’analisi economica del diritto, nonché altre materie specifi- che progredite, per consentire finalmente al laureato specialistico non già una formazione ambigua di giurisprudente, ma una formazione professionale di avvocato, magistrato o notaio, secondo la prevalenza delle scelte formative a ciascuno più congeniali.

Se si pensa quindi che, ancora oggi, sia pure sulla base di decreti ministeriali di cui per prime le Università dovrebbero chiedere la revi- sione, nel corso di laurea specialistica compaiono in forma obbligato- ria esami di base o caratterizzanti che ancora seguono gli itinerari fis- sati in precedenza, si ha l’impressione che lo scopo della riforma venga ad essere in gran parte ignorato.

Ne è concepibile che dopo cinque anni di Università vi siano anco- ra due anni di pratica forense (ovvero uno o due anni di scuole di spe- cializzazione), e poi ancora bisogna aggiungere comunque il tempo per il superamento del successivo esame di stato nelle modalità oggi determinate: stimare in otto-dieci anni, in media, questo percorso non è azzardato.

Se così è, la riforma viene a perdere l’unico spunto pregevole, che avrebbe potuto caratterizzarla. Portare la laurea specialistica di avvo- cato a cinque anni avrebbe dovuto o dovrebbe contrassegnare la qua- lità dello studio universitario, spostando una certa base di neutralità verso la capacità di analizzare e interpretare le realtà attuali, giuridi- che e professionali, e riducendo i tempi e i modi per l’iscrizione negli albi. È augurabile che le facoltà tengano conto di questi rilievi, per dare alla riforma l’unico significato che ne realizzi lo spirito.

Se l’Università dunque riuscirà ad appagare le aspettative espres- se e riuscirà a dare una base omogenea di apprendimento, si potrà realmente dire che la formazione comune dei giuristi è stata avviata, e le scuole di specializzazione serviranno quindi, come la stessa prati- ca forense, a migliorare la qualità delle prestazioni, nel rispetto comu- ne a tutte le professioni che è dovuto alla legge.

Ecco dunque perché non si può disgiungere l’analisi delle scuole dalla speranza della realizzazione effettiva della riforma universitaria, questa essendo la base per ogni discorso futuro.

(34)

Prof. Guido ALPA, Ordinario di diritto privato nell’Università di Roma “La Sapienza”

L’accesso alla professione forense: nuove prospettive per l’avvoca- tura (1).

1. Le finalità della riforma e il ruolo attuale dell’avvocato.

La riforma della disciplina dell’accesso alla professione forense è stata oggetto, nell’ultimo torno d’anni, di numerosi interventi di diver- sa natura:

– legislativi (da ultimo v. il d.dl. 2.9.1998, n.5211, approvato dal Consiglio dei Ministri il 6.8.1998, in Rass. forense, 1998, 862 correda- to della rel.; per quanto concerne le scuole di formazione per le pro- fessioni legali v. già il d.p.r. 10.3.1982, n. 162, art. 11; l. 19.11.1990, n.

341, art. 6 c. 2 lett. a, e ora la l. 15.5.1997, n. 127, art. 17 cc. 113 1 114);

– istituzionali (v. ad es. il parere del C.S.M. del 9.10.1997, in Giur.

it., 1998, IV, 624, in cui si menzionano i corsi di formazione profes- sionale, unitamente alle scuole di specializzazione per le professioni legali; gli interventi pubblicati nel fascicolo di Giustizia e Costituzione, su la Formazione professionale di avvocati e magistrati, 1998, n. 1/2);

– dottrinali (nella messe di contributi v. in particolare CARPI, Le scuole forensi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, 1271; VARANO, Verso le scuole di specializzazione per le professioni legali, in Foro it., 1998, V, 68;

PROTO PISANI, Le scuole di specializzazione per le professioni legali, in Riv. dir. civ., 1998, II, 723; PADOA SCHIOPPA, Dopo la laurea in Giu- risprudenza: il ruolo dell’Università, in Rass. forense, 1997, 203; CLA- RICH, Legge professionale: prima delle nuove norme l’avvocato si pre- pari ad un salto culturale, in Guida al diritto, 1998, n. 39.14; la rifles- sione più articolata si deve a Salazar, La formazione forense. Realtà e prospettive, rel. al Convegno di Lucca del 10.10.1998; ma restano sem- pre attuali le considerazioni di CAPPELLETTI, L’educazione del giuri- sta e la riforma dell’Università, Milano, 1974);

37

(1) Sintesi della relazione effettuata all’incontro di studio organizzato dalla Asso- ciazione Vittorio Bachelet sul tema “La formazione del giurista dall’Università alle pro- fessioni forensi” il giorno 25.3.1999 presso la Libera Università Maria SS. Assunta di Roma.

(35)

– professionali; in questa prospettiva si è particolarmente impe- gnato il Consiglio nazionale forense, che dapprima ha costituito una commissione ad hoc, e di poi ha istituito il Centro per la formazione e l’aggiornamento professionale degli avvocati, che opera in collega- mento con il Consiglio e con la Fondazione dell’Avvocatura (v. soprat- tutto BUCCICO, Avvocati: sull’ordinamento professionale un passo avanti nella giusta direzione, in Guida al diritto,1998, n. 33, 10; MARIA- NI MARINI, Non possono essere confuse con la cooptazione le inevita- bili barriere all’ingresso nell’ordine, ivi, 1998, n. 39 e Una formazione a servizio dell’avvocatura per governare le trasformazioni in atto, ivi, 1999, n. 9, 11; ALOISIO, La formazione dei giovani come problema fonda- mentale dell’avvocatura, in Giur. it., 1988, IV, 56); CONSOLO, La for- mazione dell’avvocato, in Giur. it., 1983, IV, 381; BORSACCHI, Accesso alla professione e scuole forensi, rel. al Convegno di Montepulciano del 23.5.1998; MARTUCCELLI, Per un’avvocatura migliore, in Giustizia e Costituzione, cit., 1998, 43);

– rappresentative e associative (sempre del Presidente del CNF E.N. BUCCICO v. Così l’avvocatura riconquista il suo ruolo, ivi, 1999, n.3, 18; del Presidente dell’ A.I.G.A. E. SANTOCHIRICO v. Senza il con- tributo di tutta l’avvocatura non può decollare il progetto formazione, ivi, 1999, n. 7, 10; del Presidente dell’Organismo Unitario degli Avvocati A.

LEONARDI v. Un serio confronto all’interno dell’avvocatura può colma- re le lacune della riforma forense, ivi, 1998, n. 35, 10; nonché, sempre per il C.N.F. le accurate relazioni di C. GUIDI al Convegno di Lucca, cit.; di G. VINATZER, La formazione dell’avvocato in Francia e Germania, rel.

al Convegno di Roma del 19-20.2.1999; di R. DANOVI, La riforma del- l’ordinamento forense nelle prospettive dell’avvocatura, rel. al Convegno di Bergamo, 19-20.3.1999).

La riforma costituisce uno dei nodi da sciogliere per definire l’as- setto complessivo attuale della professione e per progettare il suo stes- so futuro: anche dai risultati a cui perverranno la discussione e le misure legislative, regolamentari e pratiche che ne potranno derivare dipendono la “riconquista del ruolo dell’avvocatura” nel nostro Paese (per dirla con le parole del Presidente del Consiglio nazionale forense (BUCCICO, Così l’avvocatura riconquista il suo ruolo, in Guida al dirit- to, 1999, n. 3, 19), e al tempo stesso la qualificazione degli avvocati, il loro contributo alla amministrazione della giustizia, il miglioramento dei rapporti di ogni tipo che coinvolgono i soggetti (italiani e stranie- ri) che si affidano agli avvocati per la soluzione dei loro problemi, e, conseguentemente, un più elevato grado di competitività degli avvo-

Riferimenti

Documenti correlati

Si è osservato, invero, come, da un lato, la concreta realizzazione della funzione di vigilanza sulla organizzazione degli istituti di pre- venzione e pena affidata al magistrato

Da questa premessa scaturiscono alcune caratteristiche ricorrenti di questa giurisdizione che si può definire “sociale”: a) anche se talo- ra la legge fa uso in queste materie

ne emette relazioni e proposte in materia di esposti, ispezioni ed incompatibilità concernenti magistrati; la seconda in materia di rego- lamento interno ed organizzazione

Per i magistrati in servizio presso organi giudicanti o uffici del pubblico ministero di altro distretto l’applicazione è disposta dal Con- siglio superiore della magistratura,

68, primo comma, della Costituzione; che possono ritenersi dunque, in questa sede di prima delibazione, sussistenti i requisiti di un conflitto di attribuzioni fra poteri dello

Le evenienze di cui sopra, dunque, non incidendo sulla capacità del giudice che ha fatto parte del collegio giudicante e che devono essere valutate al momento della pronuncia

Al secondo comma, dopo aver rammentato che la trattazione della causa davanti all’istruttore è orale e che il giudice può autorizzare co- municazioni di comparse a norma

Illecito nell’esercizio delle funzioni – Doveri del magistrato – Di- ligenza – Operosità – Ritardi nel deposito di sentenze – Rapporti con il precedente procedimento