• Non ci sono risultati.

COME I MASS MEDIA ITALIANI SI INTERROGANO IL RUOLO DELLA STAMPA NELLA RAPPRESENTAZIONE DELLA GUERRA

LA CONCLUSIONE DELLA GUERRA: CHI HA VINTO E CHI HA PERSO SECONDO I MEDIA ITALIANI (E NON SOLO)

3.5 IL DRAMMA CAMBIA DIREZIONE

Per quanto riguarda i principali quotidiani nazionali il lettore deve attendere qualche settimana prima di leggere articoli concernenti le rappresaglie albanesi verso i Serbi. Del resto, "fino alla strage di venerdì 23 luglio, nella quale furono massacrati 14 serbi, il comandante in capo delle forze Nato, il generale Jackson, ripeteva che tutto stava andando per il meglio"104.

Ed è solo il 26 luglio, a tre giorni da quel venerdì 23 luglio105, che anche il "Corriere della Sera" informa i lettori di ciò che sta realmente succedendo in Kosovo, ovvero che "è scattata, insomma, una pulizia etnica alla rovescia, condotta contro i serbi dagli albanesi assetati di vendetta". Il giornalista tiene tuttavia a precisare che

I nuovi delitti nulla tolgono all'orrore per le autentiche stragi compiute dai serbi prima e durante l'intervento Nato, comprovate ancora ieri dalla scoperta dell'ennesima fossa comune. Non diventa meno giusta la guerra combattuta e vinta dall'Alleanza. Ma, proprio perché di "guerra umanitaria" si è voluto parlare, oggi l'incapacità di impedire in Kosovo una ennesima spirale di violenza diventa per l'Occidente moralmente inaccettabile e politicamente autolesionista. Al punto da sospettare, se non si correrà ai ripari, una delegittimazione a scoppio ritardato della vittoria conquistata sul campo106.

Il 14.08.1999 "la Repubblica" titola "Anche i serbi vittime di una pulizia etnica", un articolo del'inviato Guido Rampoldi107nel quale si azzarda un'ipotesi:

104 Pietro Veronese, A Pristina, capitale dell'Uçk, non c'è più posto per i serbi, in "la Repubblica",

31.07.1999, p. 2.

105“L’episodio di sangue più grave dall’entrata della KFOR nella provincia è datata 23 luglio ed è nota

come il “massacro di Malo Gracko”, un piccolo villaggio del Kosovo centrale, quattordici contadini serbi sono uccisi a sangue freddo mentre si trovavano al lavoro”. Caritas Diocesana di Roma, Settore Educazione alla Pace ed alla Mondialità, I conflitti dopo le guerre: dall’analisi allo stile d’intervento, p. 43, presentato durante il “Laboratorio residenziale “Approfondire per valutare”, Fiuggi – Convento Cappuccini, 22-23 Maggio 2004.

www.reteccp.org/biblioteca/dossier/leggiread/caritasconflitti.pdf (consultato in data 27.08.2013).

106Franco Venturini, Fermare subito l'Uçk, in "Corriere della Sera", 26.07.1999, p. 7.

107Guido Rampoldi è giornalista e inviato speciale de “la Repubblica”. Esperto di Medio Oriente e mondo

islamico, ha vinto nel 2007 il premio Barzini per l'inviato speciale.

Dopo settanta giorni di massacri serbi e settanta di violenze albanesi, gli occidentali cominciano a temere di perdere la guerra vinta. E cioè di aver fermato una "pulizia etnica" solo per favorirne una forse "spontanea" ma simmetrica e opposta. Di questi rischio, almeno, ora c'è consapevolezza. […] E la preoccupazione per quanto sta avvenendo in Kosovo, dice Lamberto Dini, è unanime e forte. "La popolazione serba subisce una repressione di dimensioni molto più ridotte, ma brutale e ripugnante come quella sofferta in precedenza dagli albanesi […]"108.

Il "governo provvisorio del Kosovo" mette in atto una politica discriminatoria nei confronti di tutte le etnie diverse da quella albanese e l'Uçk non ha ottemperato l'obbligo, sancito dagli accordi di Belgrado, di disarmarsi, eccezion fatta per gli armamenti pesanti, dimostrando in tal modo di sfuggire al controllo della forza di pace internazionale. “la Repubblica" il 28 luglio riporta che è stato ritrovato da parte dei soldati tedeschi della KFOR un arsenale di armi e munizioni appartenenti, appunto, all'Esercito di Liberazione del Kosovo. Tra le altre armi rinvenute, anche 150mila caricatori per mitragliatrice, mine anticarro, granate, proiettili per mortai e due mitragliatrici109.

E la storia sembra cambiare, la stampa oramai non cerca più il consenso ma è alla ricerca di storie di sopravvissuti, di storie di chi ha perso la speranza, di personaggi come il professor Milenko Karan, Serbo di Pristina che racconta il suo presente senza futuro:

"Sono stato rinchiuso nel campo di concentramento di Smederevska, a sud di Belgrado, con tanti ebrei e comunisti. Tanti non ne sono usciti. Sono cose che mi sono tornate in mente, durante queste settimane di bombardamenti. […] La Belgrado bombardata non mi attira. Vorrei avere il coraggio di restare, ma la verità è che non ho la possibilità di andarmene. […] È molto triste fare il professore, avere il dovere d’insegnare e sapere che la Storia non insegna niente a nessuno"110.

Il dramma cambia sponda e si moltiplicano le vendette, le ritorsioni, la caccia al Serbo, pare proprio che la guerra continui nonostante la forte presenza della comunità internazionale: NATO, ONU e OSCE con 36.000 militari provenienti da 30 paesi diversi

108Guido Rampoldi, Anche i serbi vittime di una pulizia etnica, in "la Repubblica", 14.08.1999, p. 4. 109Kosovo, la vendetta non si ferma, in "la Repubblica", 28.07.1999, p. 16.

110Massimo Nava, Io, serbo di Pristina, pagherò per colpe non mie, in “Corriere della Sera”, 10.06.1999, p.

(missione NATO Kosovo Force) e l’ONU con la missione UNMIK (United Nations Mission in Kosovo) con 3.800 tra uomini e donne111.

Tuttavia, lo spazio e l’attenzione dei media dedicato a questo cambio di campo è decisamente inferiore rispetto al periodo dei profughi albanesi. Cambiano radicalmente anche i termini usati: non si ricorre più all’uso di retoriche, metafore o similitudini drammatiche, nonostante la situazione dei Serbi in fuga dal Kosovo sia, seppur meno eclatante, non certo meno preoccupante di quella degli Albanesi fuggiti dal Kosovo nelle settimane precedenti. "In Kosovo per i serbi è difficile credere nella vittoria sbandierata dal presidente Milošević"112e arrivando da Belgrado si incontrano mezzi di ogni tipo carichi di famiglie in fuga, “contadini alla guida di trattori, una vita caricata in fretta sul rimorchio. Un divano, un frigorifero avvolto in un tappeto e donne e bambini stipati insieme ai bagagli”113. I fuggiaschi sono inequivocabilmente Serbi che temono la

ritorsione degli Albanesi, ma che non destano per la stampa italiana, lo stesso interesse dei profughi albanesi che li hanno preceduti e non dominano, di conseguenza, le prime pagine dei giornali. "L’Unità" sabato 12 Giugno 1999 titola in prima pagina “E ora dal Kosovo comincia la fuga dei civili serbi”, per poi rimandare solo a pagina 9 per i relativi approfondimenti. A questi titoli seguono solo brevi descrizioni dei civili serbi in colonna pronti a fuggire, mentre il focus rimane, ancora una volta, quello di legittimare l’intervento: “Si incrociano jeep con su dei ragazzini giovanissimi in abiti civili, le canne dei fucili che spuntano dai finestrini, probabilmente squadre paramilitari”114, o di richiamare orrori e fantasmi passati, come si evince dal titolo di prima pagina de “l’Unità” di qualche giorno dopo: “Accordo vicino sul disarmo Uçk, ma in Kosovo continuano le fughe. In una fonderia i forni crematori?”115, nel quale si citano testimoni che affermano di aver visto bruciare oltre 600 Albanesi, “Ecco è da quelle grandi ciminiere che ho visto uscire il fumo nero dei morti bruciati”116.

Anche l’inviata de “la Repubblica”, Vanna Vannuccini, usa termini diversi a seconda che stia intervistando un soldato serbo a cui ha dato un passaggio (“Dopo la Krajna e

111Antonio Evangelista, La Torre dei crani – Kosovo 2000-2004, Editori Riuniti, Roma, 2007, p. 30. 112Marina Mastroluca, E ora dal Kosovo fuggono via i serbi, in “l’Unità”, 12.06.1999, p. 9.

113Ibidem. 114Ibidem.

115Enrico Fierro, Glogovac, l’orrore dei forni crematori, in “l’Unità”, 20.06.1999, p. 5. 116Ibidem.

dopo la Bosnia sono stanco di venire umiliato”117), o mentre si guarda intorno e incrocia gli occhi di una “ragazzetta albanese”, “spaventati come tutti gli albanesi che ho incontrato in questi giorni nel Kosovo”118.