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DIRITTI UMANI E SVILUPPO COME RETTE PARALLELE

CAPITOLO 3. 1973-1975. Tra Helsinki e Lomé

3.4. Due rette parallele?

Nel 1975 le iniziative per i diritti umani e quelle per la politica di sviluppo a cui la CE si era dedicata negli anni precedenti trovarono concretizzazione rispettivamente con l’approvazione dell’Atto finale di

Helsinki e con la firma della Convenzione di Lomé – a dimostrazione di

quanto le due questioni fossero risultate importanti nella progettazione della politica estera della CE. I diritti umani, in particolare, avevano trovato precisa collocazione nell’azione internazionale della CE per la prima volta, dal momento che prima della CSCE i riferimenti a quel tema erano stati solo accennati.

Proprio per questo appare opportuno chiedersi se nel medesimo periodo essi vennero inclusi nella politica di sviluppo comunitaria, in quanto settore della politica estera, o se le due linee di lavoro politico rimasero distinte l’una dall’altra.

In primo luogo, bisogna sottolineare che i diritti umani non vennero inseriti esplicitamente nel testo della Convenzione di Lomé. Nelle riunioni della Commissione parlamentare per la cooperazione e lo sviluppo così come in quelle tra la CE e gli ACP non era stato lasciato molto spazio alle considerazioni politiche, dal momento che tali incontri vertevano quasi sempre su questioni finanziarie e tecniche340. In ogni caso, nelle rare occasioni in cui si erano trattati argomenti di tipo politico, i diritti umani non erano stati mai menzionati. Di conseguenza, i diritti umani non vennero contemplati come una delle condizioni che gli ACP avrebbero dovuto rispettare per ricevere gli aiuti comunitari. Né i progetti comunitari vennero

340 Su tutti si veda HAEU, PE0 1603, Relazione sulla decima riunione CEE-SAMA, 11 marzo 1974.

elaborati con il fine specifico di promuovere e proteggere i diritti umani nei paesi destinatari degli aiuti.

In secondo luogo, va messo in luce che la Convenzione di Lomé non riportò alcun riferimento all’autodeterminazione dei popoli, diritto per il quale si erano battuti i paesi del Sud del mondo durante il decennio precedente e che si sarebbe potuto immaginare di trovare citato all’interno del testo firmato dalla CE e dagli ACP. La Convenzione di Lomé era stata presentata dalla Commissione europea come un nuovo modello di cooperazione capace di garantire l’eguaglianza tra i contraenti e come uno schema attraverso cui prestare maggiore attenzione alle richieste dei paesi beneficiari. Inoltre, la CE aveva dimostrato di conoscere sia la Dichiarazione sulla creazione di un

NIEO che la Carta per i diritti e i doveri economici degli stati delle Nazioni

Unite, dove il tema dell’autodeterminazione era emerso largamente ed era stato più volte accostato al tema dell’equità. Tuttavia, nessun accenno a tale questione venne contemplato in Lomé: motivo per cui appaiono corrette quelle ricostruzioni storiografiche che ritengono che Lomé non abbia messo in pratica una vera parità tra Nord e Sud del mondo341.

In terzo luogo, non si può dire che lo sviluppo venne presentato come un diritto umano. Sebbene il solo fatto che la CE avesse stabilito di destinare una quantità crescente di aiuti ai paesi ACP possa indurre a pensare che il loro sviluppo fosse garantito e che di conseguenza fossero garantiti i loro diritti umani – secondo la tesi avanzata dai paesi in via di sviluppo alla conferenza di Teheran del 1968, non è possibile affermare che la CE manifestò la chiara intenzione di attivarsi in quella specifica direzione. Si è visto infatti che tra il 1973 e il 1975 la CE utilizzò la propria politica di sviluppo soprattutto come mezzo per affermarsi sulla scena internazionale e per distinguersi come attore autonomo nel contesto bipolare. Nonostante non si possa escludere che vi fosse l’interesse affinché gli ACP progredissero economicamente, non si può sostenere che quello fosse il primo e unico obiettivo della politica di sviluppo comunitaria. Al tempo stesso non si può indicare che vi fosse alcun altro interesse dietro la decisione di destinare aiuti per lo sviluppo ai paesi ACP.

Le iniziative della CE per i diritti umani e per la politica di sviluppo rimasero pertanto separate e distinte. Nessuna connessione tra le due venne messa in pratica. Per quanto la CE avesse dedicato ampio spazio ad entrambe le questioni all’interno della propria strategia politica verso l’esterno, esse non si incontrarono e rimasero parallele l’una all’altra.

Questa ricostruzione permette di affermare, per la sfera di azione comunitaria, quanto delineato da Samuel Moyn per quanto riguarda la politica estera statunitense. In The Last Utopia, Moyn evidenzia come l’unico significato conferito ai diritti umani durante gli anni Settanta fosse quello di

diritti civili e politici, dal momento che essi emersero dalle ceneri del fallito

discorso sullo sviluppo degli anni Sessanta e nulla ebbero pertanto a che vedere con quest’ultimo342. Questo viene ribadito anche nel più recente Not

Enough: Human Rights in an Unequal World, in cui Moyn mantiene ancora

una volta separato il discorso sui diritti umani da quello sullo sviluppo343. Sebbene, per quel che riguarda la CE, non si possa sostenere che la distinzione tra le iniziative per i diritti umani e quelle per lo sviluppo rimase tale per tutta la durata gli anni Settanta (come si vedrà in seguito), è possibile suggerire che fu effettivamente questa la tendenza che caratterizzò la politica estera comunitaria fino al 1975.

Stabilito quindi che il lavoro per i diritti umani e quello per l’invio di aiuti, pur assumendo crescente rilievo nella progettazione politica della CE, non vennero messi in connessione tra loro, è opportuno mettere in risalto alcune riflessioni ulteriori.

Pur criticando aspramente l’Unione Sovietica nel contesto dei negoziati della CSCE in merito al mancato rispetto dei diritti umani, le istituzioni comunitarie non sembrarono indirizzare al di fuori della CSCE un tale interesse per i diritti e le libertà fondamentali. Fino al 1975, la CE non manifestò preoccupazione per le violazioni e gli abusi perpetrati da paesi con cui essa aveva stabilito dei rapporti economici; né essa rifletté sulla

342 S. Moyn, The Last Utopia, cit.

343 S. Moyn, Not Enough. Human Rights in an Unequal World, Cambridge MA, The Belknap Press of Harvard University Press, 2018, p. 143.

protezione dei diritti umani all’interno dei propri confini. Come spiegano Philip Alston e Joseph Weiler, infatti, si sarebbe dovuto aspettare il Trattato di Maastricht del 1992 affinché i diritti umani trovassero una collocazione specifica nel contesto comunitario – che esulasse dal riconoscimento giuridico che la Corte di giustizia europea aveva sancito nel 1969344. Se quindi i diritti umani erano stati riconosciuti come elementi cardine nell’azione esterna, non si può dire che questo valesse per tutti gli ambiti dell’azione esterna, né per l’azione interna della CE.

Al contempo, il fatto che la CE non avesse inteso creare una congiunzione tra la politica di sviluppo e i diritti umani può indicare come essa non avesse ritenuto che questo potesse essere funzionale alla definizione di una sua immagine internazionale. Per quanto ciascuno dei due temi fosse stato impiegato dalle istituzioni comunitarie per distinguersi dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica, la CE non valutò di dover connettere le due questioni al fine di caratterizzare ulteriormente la propria immagine internazionale.

Infine, una considerazione sul periodo preso in esame. Il 1973 e il 1975 sono descritti dalla storiografia come anni di cesura. Ennio Di Nolfo descrive il 1973 come un momento di svolta nella storia internazionale345; lo stesso viene affermato da Geir Lundestad per quanto riguarda il 1975 e la cooperazione politica europea346. Sebbene il periodo delimitato da questi due anni sia stato effettivamente caratterizzato da alcuni elementi di novità, non si può sostenere che esso rappresentò una svolta per quanto riguarda l’inclusione dei diritti umani nella politica di sviluppo comunitaria. I tre anni che andarono dalla Dichiarazione sull’identità europea alla firma dell’Atto

finale di Helsinki e della Convenzione di Lomé non si distinsero da quanto

avvenuto tra 1968 e 1972 rispetto all’inserimento di un discorso sui diritti nei programmi di aiuti.

344 P. Alston, J. H. H. Weiler, An “Ever Closer Union” in Need of a Human Rights

Policy: the EU and Human Rights, in P. Alston, M. Bustelo, J. Heenan (a cura di), The EU and Human Rights, cit., p. 9.

345 E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali, 1918-1999, Roma-Bari, Laterza, 2001, p. 1224.

346 G. Lundestad, East, West, North, South: Major Developments in International

Se è quindi vero che le iniziative portate avanti dalla CE rispettivamente per i diritti umani e per la politica di sviluppo trovarono maggiore concretizzazione tra il 1973 e il 1975, è al contempo innegabile che essere rimasero divise così come era stato nel periodo precedente. Si dovette aspettare il 1976 per assistere a una progettazione politica diversa – che stabilisse un nesso tra quelle linee politiche.

PARTE III. 1976-1979.