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Schemi di sviluppo: Yaoundé – Arusha – Yaoundé

Malgrado alla fine degli anni Sessanta la CE non avesse ancora elaborato una propria politica estera comune (si sarebbe dovuto attendere l’inizio del decennio successivo affinché i paesi membri riconoscessero e formalizzassero la necessità di pronunciarsi con una sola voce sulla scena globale)58, non si può sostenere che essa fosse priva di un’azione internazionale.

Come ricorda Federiga Bindi, i Trattati di Roma non avevano menzionato la politica estera, ma avevano previsto alcuni settori in cui la CE

56 Cfr. N. A. Neuwahl, The Treaty on European Union: A Step Forward in the

Protection of Human Rights?, in N. A. Neuwahl, A. Rosas (a cura di), The European Union and Human Rights, L’Aia, Kluwer Law International, 1995, pp. 6-7; S. R. S. Bedi, The Development of Human Rights Law by the Judges of the International Court of Justice,

Portland, Hart Publishing, 2007, pp. 22-23.

57 Va comunque specificato come lo scopo della Corte di giustizia europea non fosse tanto quello di stabilire le azioni politiche esterne della CE quanto quello di garantire che il diritto comunitario venisse interpretato e applicato nello stesso modo in tutti gli stati membri.

avrebbe potuto avviare relazioni con l’esterno59. Più nello specifico, Giuliana Laschi spiega come la CE avesse iniziato a delineare una propria azione esterna fin dall’inizio degli anni Cinquanta seguendo quattro diverse direzioni60: le relazioni con gli Stati Uniti; la politica commerciale; la politica agricola comune; la politica di sviluppo. Ancor più delle altre, era stata però soprattutto quest’ultima direttrice a rappresentare un canale di dialogo della CE con l’esterno.

La politica di sviluppo non costituiva una novità all’interno della storia europea. Già a partire dall’Ottocento i paesi europei avevano utilizzato gli aiuti come mezzo della propria politica sociale imperiale per mettere a disposizione grandi quantità di denaro per le rispettive colonie, e questo con un duplice obiettivo: tenerle legate a sé e garantirne la buona salute economica. Con la decolonizzazione e l’istituzione della CE, gli aiuti avevano cominciato pertanto a essere trasferiti – in qualità di beni, capitali o servizi – soprattutto al gruppo di paesi in via di sviluppo con cui alcuni paesi membri della CE avevano avuto, e in alcuni casi intrattenevano ancora, relazioni di tipo coloniale61.

Sebbene l’attenzione per le colonie o ex colonie fosse già emersa nella

Dichiarazione che il ministro degli esteri francese Robert Schuman aveva

pronunciato nel 1950 per porre le fondamenta di quella che sarebbe poi divenuta l’esperienza comunitaria62, solo con i Trattati di Roma il tema era stato formalmente riconosciuto da parte della CE. In quell’occasione si era stabilita un’«associazione [alla CE] dei paesi e territori d’oltremare, intesa ad incrementare gli scambi e proseguire in comune nello sforzo di sviluppo

59 F. Bindi, European Union Foreign Policy: A Historical Overview, in F. Bindi, I. Angelescu (a cura di), The Foreign Policy of the European Union. Assessing Europe’s Role

in the World, Washington DC, Brookings Institution Press, pp. 14-15.

60 G. Laschi, L’Europa e gli altri, cit., pp. 55-67.

61 Per un riepilogo sul concetto di aiuti allo sviluppo, cfr. C. Lancaster, Foreign Aid.

Diplomacy, Development, Domestic Policies, Chicago, The University of Chicago Press,

2007, pp. 1-60.

62 Nella Dichiarazione di Schuman, elaborata per dare vita alla Comunità economica del carbone e dell’acciaio, lo sviluppo delle nazioni più arretrate veniva descritto addirittura come un compito essenziale dell’Europa.

economico e sociale»63. Come specificato ulteriormente nel documento, scopo dell’associazione era quello di

promuovere lo sviluppo economico e sociale dei paesi e territori e l’instaurazione di strette relazioni economiche tra essi e la Comunità nel suo insieme […] [e] favorire gli interessi degli abitanti di questi paesi e territori e la loro prosperità, in modo da condurli allo sviluppo economico, sociale e culturale che essi attendono64.

Era stata la Francia a insistere per l’inserimento di una clausola che legasse i territori coloniali alla CE65 e a occuparsi della direzione del Fondo europeo per lo sviluppo nei primi anni di attività66. Questo si era tradotto però nella decisione di devolvere gli aiuti soprattutto al continente africano, perpetuando così il legame storico che aveva caratterizzato i rapporti tra Europa e Africa67. Di conseguenza, si era però ridotta la sfera geografica di cui la CE avrebbe potuto interessarsi ed era andata rafforzandosi la scontentezza di paesi come la Germania68. Infatti, se da un lato la Francia

63 Cfr. EUR-LEX, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:11957E/TXT&from=IT

64 Ivi. I paesi e territori in questione risultavano essere la Costa d’Avorio, il Dahomey, la Mauritania, il Niger e l’Alto Volta; l’Africa equatoriale francese comprendente: il Medio Congo, l’Ubanghi-Sciari (poi Repubblica Centrafricana), il Ciad e il Gabon; Saint-Pierre et Miquelon, l’Arcipelago delle Comore, il Madagascar e dipendenze, la Somalia francese, la Nuova Caledonia e dipendenze, gli Stabilimenti francesi dell’Oceania, le Terre australi e antartiche; la Repubblica autonoma del Togo; il territorio del Camerun sotto amministrazione fiduciaria della Francia; il Congo belga e il Ruanda-Urundi; la Somalia sotto amministrazione fiduciaria italiana; la Nuova Guinea olandese.

65 Sul ruolo della Francia nell’elaborazione dei Trattati di Roma, cfr. G. Migani,

Strategie nazionali ed istituzionali alle origini dell'assistenza comunitaria allo sviluppo: la Cee, la Francia e l’Africa negli anni Sessanta, in E. Calandri (a cura di), Il primato sfuggente. L’Europa e l’intervento per lo sviluppo 1957-2007, Milano, Franco Angeli, 2009, pp. 17-35.

66 Si trattava di una cornice di assistenza che aveva il compito di amministrare a livello centralizzato una parte dei finanziamenti che giungeva dai singoli paesi membri con il fine di essere trasmessa ai paesi associati da parte della CE. Sulla burocratizzazione degli aiuti a guida francese, cfr. V. Dimier, The Invention of a European Development Aid

Bureaucracy. Recycling Empire, New York, Palgrave Macmillan, 2014.

67 Qualora si voglia approfondire il concetto di Eurafrica, si veda G. Laschi,

L’Europa e gli altri, cit., p. 185; S. Lorenzini, Una strana guerra fredda. Lo sviluppo e le relazioni Nord-Sud, Bologna, il Mulino, 2017, pp. 235-241.

68 E. Grilli, The European Community and the Developing Countries, Cambridge, Cambridge University Press, 1993, p. 74.

aveva voluto una politica regionale orientata soprattutto verso l’Africa, la Germania aveva auspicato che la CE potesse dedicarsi a un numero maggiore di paesi in via di sviluppo69.

L’incompiutezza della prima forma di associazione e le tensioni che si erano originate tra Francia e Germania avevano contribuito a generare una serie di riflessioni per cambiare lo schema approvato nel 1957. Oltre a questo, quasi tutti i territori d’oltremare con cui era stato sancito il primo regime di associazione erano nel frattempo divenuti indipendenti. Risultava pertanto necessario ripensare il tipo di legame da mettere in atto tra la CE e i paesi in via di sviluppo, come rimarcato anche dal presidente della Commissione europea, Walter Hallstein, nel giugno del 1963 di fronte ai Sei e alle nazioni associate: «the Treaty of Rome was drafted at a time when there was still no very clear and generally accepted concept of development policy»70.

Si era così arrivati il 20 luglio 1963 alla firma a Yaoundé, capitale del Camerun, di una convenzione tra la CE, a cui nel frattempo avevano fatto domanda di adesione diversi altri stati europei71, e diciotto paesi africani conosciuti come Stati africani e malgascio associati (SAMA) – di cui veniva formalmente riconosciuta l’indipendenza e la sovranità72. Si trattava, come nel caso del 1957, di un regime di associazione basato su specifiche preferenze commerciali e sulla definizione di diciotto aree di libero scambio: un legame che sarebbe poi stato rinnovato nel 1969 per altri cinque anni.

Alla sua prima formulazione, Yaoundé era stata presentata come «an historic stage in the long evolution of relations between the industrialized and the developing nations»73. La vera novità consisteva nel fatto che si trattasse

69 Su questo, cfr. S. Lorenzini, Una strana guerra fredda, cit., pp. 243-244.

70 Archives of European Integration (AEI), 14300, Address by the President of the

EEC Commission, Professor Dr. Walter Hallstein, to the Ambassadors of the Member Countries and of the Associated African States and Madagascar, New York, 5 June 1963.

71 Nel 1959 avevano fatto domanda d’adesione alla CE Grecia e Turchia, seguite nel 1961 da Irlanda, Regno Unito e Danimarca, e nel 1962 da Norvegia e Portogallo.

72 I paesi in questione erano: Burundi, Camerun, Repubblica centrafricana, Congo Brazzaville, Congo Léopoldville, Costa d’Avorio, Dahomey, Gabon, Alto Volta, Madagascar, Mali, Mauritania, Niger, Rwanda, Senegal, Somalia, Ciad, Togo.

73 AEI, 14309, Address by Professor Dr. Walter Hallstein, President of the

Commission of the European Economic Community, on the occasion of the signature of the Convention of Association with the African States and Madagascar, Yaounde, 20 July 1963.

di un accordo liberamente stipulato da entrambe le parti, basato pertanto sulla piena eguaglianza dei contraenti74. Come specificato nel preambolo del documento, infatti,

en vue de promouvoir l’accroissement des échanges entre les états associés et les états membres, de renforcer leurs relations économiques et l’indépendance économique des états associés et de contribuer ainsi au développement du commerce international, les Hautes Parties contractantes sont convenues des dispositions suivantes régissant leurs relations commerciales mutuelles75.

Ancora una volta, però, non tutti i paesi membri della CE si erano dimostrati soddisfatti, dal momento che la nuova associazione risultava destinata soprattutto alle ex colonie francesi. I Paesi Bassi e la Germania avevano auspicato invano che il nuovo schema di cooperazione allo sviluppo potesse essere indirizzato a tutti, o quasi, i paesi del cosiddetto Terzo mondo76. Anche in questo caso, però, si era deciso di seguire l’indicazione francese e di restringere la platea di destinatari degli aiuti a una specifica regione del continente africano.

Lo schema di assistenza approvato a Yaoundé venne parzialmente messo in discussione nel 1968. Nel luglio di quell’anno, infatti, la CE sottoscrisse ad Arusha, in Tanzania, un documento in cui si impegnava a stabilire un legame commerciale con Tanzania, Uganda e Kenya – paesi che non appartenevano all’orbita geografica delle ex colonie francesi e che si erano già uniti tra loro in un’unione doganale, la Comunità dell’Africa orientale77.

74 G. Migani, Strategie nazionali ed istituzionali alle origini dell’assistenza

comunitaria allo sviluppo, cit., pp. 24-26.

75 CVCE, https://www.cvce.eu/obj/la_convention_de_yaounde_20_juillet_1963-fr-52d35693-845a-49ae-b6f9-ddbc48276546.html

76 G. Migani, Strategie nazionali ed istituzionali alle origini dell’assistenza

comunitaria allo sviluppo, cit., p. 29.

77 Per il testo dell’accordo, cfr. AEI, 46170, Accord creant une association entre la

Communaute economique europeenne et la Republique Unie de Tanzanie, la Republique de L'Ouganda et la Republique du Kenya et documents annexes, senza data; per un resoconto

delle negoziazioni, cfr. AEI, 29924, Negotiations for an Association Agreement between the

L’avvio di un contatto con quelle nazioni, che si sarebbe concretizzato solo l’anno successivo con la firma di un nuovo accordo e sarebbe entrato in vigore nel 1971, aveva un importante significato per la politica di sviluppo della CE: non rivolgere più l’attenzione solo a un determinato gruppo di nazioni in via di sviluppo, ma includere sempre più nuove aree geografiche. È importante sottolineare, però, che tale accordo non prevedeva alcun tipo di cooperazione finanziaria e tecnica, come invece era per Yaoundé. Esso si basava sull’apertura di aree di libero scambio regolate da istituzioni comuni tra la Comunità dell’Africa orientale e la CE, pur adottando un regime commerciale che fosse soprattutto favorevole per i paesi africani78. Arusha aprì quindi uno spiraglio per l’allargamento della politica di sviluppo della CE. Tuttavia, non si può sostenere che questo bastò per cambiare l’orientamento della politica di sviluppo comunitaria, che continuò a presentarsi come fortemente diretto alla regione delle colonie ed ex colonie presenti nel continente africano.

Quando Yaoundé venne rinnovata per altri cinque anni nel 196979, la Francia riuscì a mantenere inalterate le proprie priorità all’interno del contesto comunitario e a definire ancora una volta la direzione della cooperazione allo sviluppo della CE. Sebbene il Parlamento avesse auspicato che si potesse organizzare «une véritable stratégie du développement»80 per mettere in atto «un’azione ben più ampia nei confronti di tutto il Terzo

Kenya. Information Memo P-37/68, giugno 1968; e per un commento del Parlamento europeo

sull’accordo: AEI, 64966, Report on behalf the Committee on Relations with African States

and Madagascar on the agreement establishing an association between the European Economic Community and the United Republic of Tanzania, the Republic of Uganda and the Republic of Kenya and related documents (Doc. 117/68). Session Documents 1968-1969, Document 136, 30 September 1968.

78 Historical Archives of the European Union (HAEU), PE0 19366, Procès-verbal.

Echange de vues avec le Conseil des Communautés sur le projet du nouvel Accord d’association avec les Etats de l’Afrique de l’Est, 22 settembre 1969.

79 Per leggere il testo della Convenzione di Yaoundé così come rinnovata nel 1969, cfr. AEI, 4218, Convention of Association between the European Economic Community and

the African and Malagasy States associated with that Community and annexed documents. Signed in Yaounde on 29 July 1969.

80 HAEU, PE0 19359, Procès-verbal. Examen du projet d’avis élaboré par

mondo»81, il rinnovo della convenzione ribadì lo stesso tipo di legame tra la CE e i paesi africani con cui già si era sottoscritta la prima convenzione. Come evidenziato con grande entusiasmo da Jean Rey, allora presidente della Commissione europea, in occasione della firma del rinnovo della convenzione

[…] the Community is so concerned to forge links of understanding, cooperation and solidarity with all the continents and the major groupings of the world. But our association with your countries is specially dear to our hearts, and this is why […] I shall feel pride at the thought that we are all participating together, not only in an undertaking of economic and social progress, but in a great enterprise of human brotherhood82.

Per quanto la CE volesse ampliare i propri orizzonti di collaborazione sulla scena internazionale, essa non poteva nascondere come si fosse instaurato un legame particolare soprattutto con le ex colonie. Pertanto, se con il rinnovo di Yaoundé l’ammontare degli aiuti e degli investimenti messi a disposizione aumentò83, le istituzioni, le procedure e il regime di collaborazione tecnica e finanziaria tra la CE e i paesi SAMA rimasero gli stessi. Anche i paesi che avrebbero ricevuto gli aiuti permasero i medesimi.

La conferma dello schema di Yaoundé non fece altro che riproporre le stesse dinamiche che avevano creato dissidi all’interno della CE. Anche per questo i Paesi Bassi e la Germania si dimostrarono meno coinvolti rispetto ad altri paesi, poiché la politica di sviluppo comunitaria sembrava voler rimanere vincolata a interessi regionali che riproponevano ancora una volta i legami coloniali che la Francia, insieme al Belgio e all’Italia, aveva avuto nel

81 HAEU, PE0 875, Rapport. Le renouvellement de la convention de Yaoundé

(Gaston Thorn), ottobre 1968.

82 AEI, 12877, Address by M. Jean Rey, President of the Commission of the

European Communities, at the signing of the second Yaoundé Convention. Yaoundé, 29 July 1969.

83 AEI, 41684, European development aid. How the European Community is helping

continente africano. Effettivamente, secondo Véronique Dimier84, la Convenzione di Yaoundé non fece altro che prolungare il sistema clientelare di assistenza allo sviluppo che già i Trattati di Roma avevano messo in pratica. A questo si aggiunga la considerazione di Giuliano Garavini85, per il quale i primi schemi di assistenza della CE non rappresentarono altro che il perpetuarsi del colonialismo europeo – messo in atto con l’obiettivo di mantenere una qualche influenza economica su luoghi che avevano già gravitato nell’orbita commerciale europea. In ogni caso, la Convenzione di Yaoundé consentì alla CE di continuare a confrontarsi con le ex colonie e di mantenere aperto un importante canale di dialogo con l’esterno.