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sin dal maggio del 1432 (ben prima dunque che la partita per la successione entrasse nel vivo) il re d’Aragona si era trasferito in Sicilia, proprio con l’inten-

to di seguire da vicino l’evoluzione delle vicende del Regno napoletano, così

da poter intervenire alla prima occasione propizia per far valere i suoi pretesi

diritti

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. Il suo fermo proposito di rimettere piede nel Mezzogiorno italiano

influssi sulla società e sul costume. Celebrazioni alfonsine. Napoli-Caserta-Ischia, 18-24 settembre 1997, Napoli 2000, pp. 1-17: pp. 3-7). D’altro canto, si è anche rimarcato come l’economia dei regni aragonesi (in particolare dei regni iberici) al tempo di Alfonso fosse in realtà caratterizzata da una situazione di profonda stagnazione e di crisi: una crisi che sarebbe stata particolarmente acuta soprattutto per quanto riguarda Barcellona ed il cosiddetto “Principato” (ovvero la Ca- talogna), ove stavano del resto anche montando delle laceranti tensioni sociali e politiche (in particolare tra i servi delle campagne, i remenses, che contestavano lo strapotere dei loro signori e padroni aristocratici, e tra gli artigiani ed i piccoli dettaglianti delle città, che contestavano i privilegi dei patriziati). Alla prosperità dei settori mercantili che potevano sostenere la politica espansionistica di Alfonso (e di cui Alfonso aveva indubbiamente a cuore gli interessi), non sembrava cioè corrispondere – come spesso sottolineato da Jaime Vicens Vives e da altri – quella di altre componenti (anche maggioritarie) della società, per le quali i costi dell’espansionismo regio venivano in effetti ad incidere in modo piuttosto pesante su una realtà di crescenti dif- ficoltà e di sostanziale recessione [cfr. ad esempio J. Vicens Vives., Els Trastàmares (segle XV), Barcelona 19802 (1a ed. 1956), pp. 15-24 e 123-126; Id., Profilo della storia di Spagna, Torino

1966 (titolo originale Aproximaciòn a la historia de España, Barcelona 1960 - traduzione italiana di G. Turin), pp. 95-97; Id. Los Trastàmaras y Cataluña (1410-1479), in Historia de España, a cura di R. Menéndez Pidal, Madrid 1935-1972, vol. 15, 1986 [1 ed. 1964], L. Suarez Fernàndez, A. Canellas Lòpez, J. Vicens Vives, Los Trastàmaras de Castilla y Aragòn en siglo XV. Juan II y Enrique IV de Castilla (1407-1474). El compromiso de Caspe, Fernando I, Alfonso V y Juan II de Aragòn (1410-1479), pp. 595-793: pp. 609-614; A. Canellas Lòpez, El Reino de Aragòn en el siglo XV (1410-1479), in Historia de España, vol. 15, pp. 319-574: p. 373; o anche C. Batlle, L’expansiò baix-medieval (segles XIII-XV), vol. III della Historia de Catalunya, a cura di P. Vilar, Barcelona 19982 (1a ed. 1988), p. 268]. Il fatto però che nei diversi regni (o per lo meno in alcuni) vi po-

tessero essere settori della società non favorevoli all’espansionismo regio (e da esso non favoriti), non significava necessariamente che non ve ne fossero altri (come appunto la maggior parte dei mercanti, degli armatori e degli operatori economici, legati ai diversi comparti manifatturieri connessi con le costruzioni navali e con la produzione di armi), per i quali quella politica espan- sionistica costituiva invece un’opportunità assai vantaggiosa (cosa di cui peraltro il sovrano era a sua volta ben consapevole). E, in concreto, il fatto che Alfonso potesse comunque contare su forze a lui favorevoli implicava che al momento del confronto con le assemblee rappresentative dei suoi domini egli, in genere, riuscisse ad ottenere quel che voleva.

25 Alfonso lasciò la Penisola Iberica alla fine di maggio del 1432. Fu indotto a partire anche

dalle assicurazioni che gli erano state rilasciate dal suo ex-nemico, il Gran Siniscalco di Gio- vanna II, Sergianni Caracciolo (destinato peraltro ad essere assassinato di lì a breve). Questi in passato era stato colui che, tra il 1421 ed il 1423, aveva in effetti contrastato il ruolo politico che Alfonso aveva cercato di ritagliarsi alle spalle della regina, ma ora – preoccupato dall’eccessiva

(da cui era stato costretto ad allontanarsi nel settembre del 1423) era dunque

da tempo ben noto, e, come tale, sia pure con qualche mugugno, era stato in

definitiva accettato anche da coloro – come ad esempio i fratelli dello stesso

Alfonso – che avrebbero in realtà preferito un programma d’azione maggior-

mente orientato verso lo scenario iberico o castigliano (ove pure i Trastàmara

aragonesi non mancavano di coltivare delle mire)

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.

influenza che stava acquisendo Luigi III d’Angiò (cioè colui che era subentrato ad Alfonso quale erede designato) aveva fatto balenare al re d’Aragona lusinghiere prospettive circa la possibilità che la situazione del Regno di Napoli potesse rapidamente evolvere a suo favore. Il re, peraltro, si imbarcò alla volta della Sicilia dopo aver ricevuto dalle Corts catalane un donativo di 80.000 fiorini, mentre al governo dei regni iberici lasciò la propria consorte Maria (Maria de Trastàm- ara-Castilla), con il titolo di luogotenente regio. In Sicilia il sovrano arrivò nel mese di luglio, avendo prima soggiornato a Maiorca e in Sardegna.

26 Riguardo alla questione castigliana, verso cui i fratelli di Alfonso (in particolare Giovanni

ed Enrico) avrebbero in effetti voluto impegnarlo, si trattava in realtà di una vicenda piutto- sto complessa. Volendola riassumere rapidamente si potrà dire questo: in teoria, da quando il padre di Alfonso, Ferdinando I, era riuscito a diventare, nel 1412, re d’Aragona, l’insieme dei regni aragonesi ed il vicino regno di Castiglia (su cui regnava il giovane Giovanni II di Tra- stàmara-Castilla, nipote di Ferdinando e dunque primo cugino di Alfonso) avrebbero dovuto conoscere una fase di pacifica convivenza ed anzi di reciproca collaborazione. In vista del con- solidamento di tale progetto di sinergia dinastica, erano stati del resto combinati i matrimoni incrociati di Alfonso d’Aragona e Giovanni di Castiglia con le rispettive sorelle Maria di Casti- glia e Maria d’Aragona (le nozze ebbero luogo rispettivamente nel 1415 e nel 1420), mentre una seconda sorella di Giovanni, e cioè Caterina, sposò, sempre nel 1420, uno dei fratelli di Alfonso, ovverosia Enrico, duca di Albuquerque e conte di Villena. Questa collaborazione tra i due rami dei Trastàmara entrò tuttavia rapidamente in crisi già all’indomani dell’assunzione dei pieni poteri da parte di Giovanni II, nel 1419 (al compimento dei suoi 14 anni). Infatti, i cosiddetti Infanti di Aragona, e cioè appunto i fratelli di Alfonso, Giovanni ed Enrico (il primo destinato a divenire in seguito re di Navarra, e il secondo Gran Maestro dell’Ordine di Santiago sin dal 1409), pretesero di esercitare sul giovane cugino castigliano una forte tutela politica; mentre il re si oppose a questi disegni, trovando un vigoroso sostegno nella figura del suo gran conestabile, Alvaro de Luna. Nel corso degli anni Venti, di conseguenza, vi erano già stati ripetuti contrasti, e più volte Alfonso era dovuto intervenire militarmente nel contesto castigliano, a sostegno dei fratelli e dei cosiddetti nobili «aragonesistas» avversati dal de Luna. Nel luglio del 1429, con gli accordi di Cogulludo, si arrivò ad un compromesso. Ma di lì a breve, tali accordi furono infranti e le ostilità ripresero vigore, con dei tentativi di invasione del Regno di Valencia da parte di Giovanni II e con una nuova offensiva di Alfonso nella Castiglia settentrionale. Si arrivò così nel luglio dl 1430 alla “tregua di Majano”, con cui fu posto un termine alle ostilità sulla base dell’impegno dei due Infanti a non mettere più piede in Castiglia e di Alfonso a non più inter- ferire negli affari di quel Regno. La tregua era prevista di durata quinquennale, ma Giovanni ed Enrico ricominciarono ben presto a premere perché il re d’Aragona riprendesse l’iniziativa nei riguardi della Castiglia. Alfonso però non intendeva anteporre il suo programma italiano

Si aggiunga che, oltre a tutto questo, Alfonso poteva poi contare, nello stesso