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DISAGIO DELL‟ATTENDERE. PRINCIPIO DELL‟ASSORBIMENTO ED ESECUZIONE DELLA

SENTENZA DI PRIMO GRADO.

Per quanto tempo l‟imputato in vinculis è presunto innocente?

Terzo ed ultimo degli interrogativi proposti. Il diritto ad essere trattati e giudicati come non colpevoli costituisce al tempo stesso un presupposto, un obiettivo, un limite cui tende la dinamica cautelare e, con essa, l‟intero processo penale.

Una guarentigia insopprimibile che l‟art. 27 Cost. offre in prestito all‟inquisito per un tempo determinato, il processo.

Alla fine, il prosciolto restituisce all‟ordinamento la presunzione di cui ha goduto. Allo stesso modo, il condannato.

Colpevole ed innocente, rectius, assolto o condannato, godono, certo, di identica protezione, ma anche di identica esposizione (409). Non vi è tranquilla sicurezza nella presunzione di innocenza, ma senz‟altro essa, pur non riparando dallo stigma mediatico, pur non impedendo che il processo divenga, per

(408) Corte EDU, 8 gennaio 2004 e 17 febbraio 2005, Sardinas Albo c. Italia, § 51. (409) «Che davvero [io] fossi colpevole?» Avrei «vol[uto] esser[lo], per respirare». «Solo

accettando di essere colpevole mi liberavo». M. NOBILI, L‟immoralità necessaria, Bologna, 2009, 127, cita G.SAVIANE, L‟inquisito, 61, 71, e 41.

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l‟innocente, pubblico dibattito sulla propria vita, nell‟ imporre alle autorità di assegnare all‟imputato un trattamento differenziato da quello riservato al condannato in via definitiva, diviene criterio informatore cui deve conformarsi l‟intera disciplina della macchina cautelare. Essa, infatti, avverando il paradosso di una presunzione di innocenza non incompatibile con un internamento carcerario precedente la condanna, abbisogna della costante opera di monitoraggio della Corte costituzionale, affinché a legislatore ed a giudice non sfuggano dal cilindro soluzioni che concretizzino la tentazione del punire, anzi tempo, ed il disagio dell‟attendere.

Non potrebbe essere accettata, infatti, una versione eminentemente psicologica della presunzione di non colpevolezza, che si avrebbe laddove si intendesse assegnare rilievo alla prevalenza, sul piano probabilistico, di una prospettiva di proscioglimento (410). Se il contenuto e la caratterizzazione del diritto dipendessero, infatti, dalla diversa articolazione della prognosi di condanna – quando concreta, quando probabile, quando solo paventata -, potrebbero non apparire distoniche forme di anticipazione della esecuzione della pena giustificate dal ricorrere, rebus sic stantibus, di un quadro indiziario estremamente preciso e grave, ancorché non definitivo. Un contesto investigativo sufficientemente maturo potrebbe invero condurre verso significative riduzioni dello spazio riservato al principio in parola, laddove si ritenesse di far dipendere dal concreto svolgersi della dinamica probatoria l‟ampiezza assegnata allo stesso.

Il quale, al contrario, ha una sua costante dimensione, impermeabile, fino

alla definizione conclusiva del procedimento, a qualsiasi conferma

dell‟imputazione, e valido proprio a prescindere da essa (411

).

L‟adesione ad una concezione psicologica della presunzione di non colpevolezza, dipendente, come detto, dal convincimento che l‟autorità giudiziaria abbia formato sul materiale probatorio prodotto, potrebbe suggerire soluzioni volte ad anticipare, al momento della emissione della sentenza di primo grado, la definitiva cessazione ovvero una significativa riduzione del principio nonché a giustificare e legittimare differenziazioni di trattamento tra imputati in ragione dei diversi livelli di avanzamento processuale.

(410) Critico nei riguardi di una tale concezione del principio della presunzione di non colpevolezza, E. MARZADURI, Accertamenti non definitivi sulla responsabilità dell‟imputato ed

attuazione della presunzione di non colpevolezza, in Cass. pen., 2000, 232 e ss.

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Vi è da dire che mentre il nostro ordinamento, quanto meno sulla carta, assicura una tutela effettiva al principio della presunzione di non colpevolezza, bandendo qualsiasi tentativo di anticipazione della esecuzione della pena ad un momento preliminare rispetto a quello della conclusione definitiva del processo, la Corte europea è, nell‟affermazione del contrario, tranchant: la presunzione di innocenza – o, il che è lo stesso, la custodia cautelare – cessa con la pronuncia della sentenza di primo grado che viene ad essere uno spartiacque per il cambiamento di status giuridico: il detenuto non sarà più ristretto ai sensi dell‟art. 5, §1, lett. c), ma ai sensi della precedente lett. a), dunque, after conviction.

Fu la sentenza emessa all‟esito del caso Wemhoff c. Germania (412

) ad aprire il varco a siffatto principio non più smentito. La ricostruzione degli organi europei trovava allora e trova oggi riparo sulla base di cinque argomenti: i) innanzi tutto la colpevolezza del ricorrente è stata accertata sulla base di una decisione emessa all‟esito di un processo giusto sulla scorta dell‟art. 6 Cedu; ii) in secondo luogo, parrebbe quasi ovvio, esiste una connessione causale tra sentenza di condanna e privazione di libertà; iii) del resto la detenzione after conviction non è emessa allo scopo di condurre la persona ristretta innanzi ad una autorità giudiziaria, come nel caso di detention on remand ; iv) se la detenzione non fosse basata sull‟art. 5, lett. a) non troverebbe spiegazione l‟istituto dell‟arresto in udienza; v) infine, considerare la detenzione eseguita all‟esito di una sentenza di condanna in primo grado ancora alla stregua di una misura cautelare, potrebbe ingenerare, a detta della Corte, significativi problemi di coordinamento tra le diverse discipline degli Stati contraenti (413).

(412) Corte EDU, 27 giugno 1968, Wemhoff c. Germania, § 9, sub A.

(413) Decisamente critico, S.TRECHSEL, Human rights, cit., 519 – 520, sottolinea come una

siffatta ricostruzione lusinghi paesi come quello anglosassone che prevedono l‟immediata esecuzione delle sentenze di primo grado, ma finisca con l‟accettare un livello davvero minimo di garanzie, giustificato, tra l‟altro, sulla scorta di argomenti decisamente poco persuasivi. Di certo non consola, per l‟A., la circostanza che la sentenza di primo grado sia emessa all‟esito di un processo

fair. Basti pensare che le censure proposte con l‟atto di appello mirerebbero a sconfessare proprio

un tale assunto. Parimenti priva di pregevolezza l‟individuata connessione causale tra sentenza di primo grado e detenzione, atteso che in caso di appello del pubblico ministero avverso tale decisione, lo stato detentivo potrebbe comunque permanere (si tratta di una prospettiva, quest‟ultima del tutto estranea al nostro ordinamento ispirato alla inversa logica dell‟effetto sospensivo della impugnazione anche con riguardo all‟appello del pubblico ministero: in tali casi potrebbe al più essere giustificato lo stato detentivo proprio in ragione del ricorrere dei presupposti di natura cautelare). Non solo, pongono non pochi problemi ermeneutici quelle situazioni nelle quali l‟impugnazione conduca ad un risultato opposto rispetto a quello proposto dal primo giudice. In caso di annullamento con rinvio, infatti, non sarebbe facilmente interpretabile come detention after

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Pur non ponendosi la Corte il problema di stabilire se una tale soluzione possa condurre ad una compromissione dello spazio assegnato al principio della presunzione di innocenza ed aprire così una breccia sulla complessiva tenuta del sistema di garanzie delineato dalla Carta convenzionale, non vi è dubbio che, al cospetto di un tale risultato, la garanzia offerta dall‟art. 27 Cost., costituisca un‟indubitabile passo avanti, da proteggere se non altro ricorrendo alla clausola di salvaguardia dell‟art. 53 Cedu.

Ciò detto, a fronte della sacralità dell‟affermazione «l‟imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva» contenuta nell‟art. 27 Cost., occorre verificare se la disciplina attuale, che pur consente un certo margine di differenziazione del regime cautelare, man mano che, nel passaggio da una fase processuale all‟altra, si verifica un progressivo consolidamento dell‟ipotesi d‟accusa, possa considerarsi rispettosa del precetto costituzionale o non finisca, piuttosto, con lo svuotarne il significato, laddove assegna alle sentenze non ancora definitive una utilizzazione in chiave cautelare che ben potrebbe stimolare più di un dubbio circa la perfetta aderenza di tale sistema al modello rigoroso fatto proprio dalla Carta fondamentale.

Il riferimento è al principio di assorbimento del fumus commissi delicti in tutti quegli atti che sanciscono il passaggio da una fase all‟altra del processo penale nonché a quegli istituti che valorizzano l‟incidenza cautelare di talune progressioni procedimentali, quali l‟art. 303, comma 1, lett. d), c.p.p.. Tale disposizione, infatti, nel prevedere che in caso di doppia conforme la durata della custodia relativa all‟ulteriore grado di giudizio debba essere commisurata non in relazione all‟ordinario termine di fase, ma con riguardo a quello complessivo fissato nel comma 3 dello stesso art. 303 c.p.p., collega unicamente al ricorrere di una duplice conferma dell‟ipotesi di accusa una modifica in peius del regime cautelare, a prescindere da una verifica circa la pretestuosità o meno della impugnazione.

Ricorrendo al principio dell‟assorbimento, la giurisprudenza di legittimità e costituzionale hanno infatti inteso evitare che la pretesa autonomia del procedimento incidentale potesse, con il progredire della vicenda processuale, condurre verso esiti magari contraddetti da contestuali o successive decisioni afferenti al merito di una ipotesi d‟accusa che, seppur vagliata ad altri fini, risulta, tutto sommato, perfettamente coincidente con quella oggetto della parallela

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indagine incidentale (414). Di conseguenza, l‟apprezzamento sui gravi indizi di colpevolezza viene considerato precluso, in mancanza di elementi sopravvenuti, quando sia intervenuta una decisione sul merito a tal punto approfondita da assorbire la valutazione del requisito. In sostanza, più ci si avvicina al probabile epilogo di una condanna definitiva e più si assiste ad una crescita delle previsioni che collegano effetti negativi per la libertà dell‟imputato ad accertamenti non definitivi. Si pensi all‟art. 275, comma 1- bis, c.p.p. ed al successivo comma 2 – ter c.p.p. che in certo qual modo confermano sul piano normativo la tendenza giurisprudenziale ricordata. In tali casi, l‟obbligo di condurre la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza tenendo conto dell‟esito del processo alleggerisce di molto l‟indagine complessiva del giudice della cautela al quale resta di fatto preclusa ogni valutazione circa la correttezza dell‟esito decisorio raggiunto con la sentenza non definitiva. Da ciò deriva la sostanziale immotivabilità del provvedimento successivo alla condanna, nonché, la sufficienza, nell‟onorare all‟obbligo di trasmissione degli atti, del parziale invio della sola sentenza. Resta, ovviamente salva, la ricorrenza di un novum.

(414) Corte cost., sent. 7 marzo 1996, n. 71, per esempio, non mancò di esplicitare come l‟esame sul presupposto cautelare stabilito dall‟art. 273 c.p.p. può considerarsi precluso solo qualora intervenga una decisione che contiene una valutazione nel merito di tale incisività da assorbire l‟apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza. In tal modo si veniva ad escludere, dichiarando illegittimi gli artt. 309 e 310 c.p.p., che il decreto di rinvio a giudizio potesse avere analoga portata. In dottrina, per una critica al principio dell‟assorbimento della valutazione inerente il fumus contenuta in un decreto che dispone il giudizio, precedente alla L. 479/1999, S.BUZZELLI, I gravi indizi di colpevolezza nel sistema delle misure cautelari tra probabilità e certezze, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 1146. Analoghe prese di posizione critiche, pur dopo l‟entrata in vigore della L.

479/1999 che condizionata l‟emissione della sentenza di non luogo a procedere finanche a situazioni di dubbio, poteva suggerire, di contro, che l‟emissione del decreto che dispone il giudizio presupponesse una situazione di certezza tale da ritenere in esso assorbita la valutazione del fumus, M.DANIELE,Fumus delicti ex art. 273 c.p.p. e decisione di rinvio a giudizio, in Riv. it. dir. proc.

pen.,2003, 1027 e ss., nota di commento a Cass. pen., Sez. un., 30 ottobre 2002, n. 39915, ivi, 1014;

D.NEGRI,Fumus commissi delicti, cit., 298 e ss, ritiene che il decreto di cui all‟art. 429 c.p.p. in

astratto non possa prestarsi ad assorbire la valutazione del fumus commissi delicti, in quanto la strutturale mancanza di motivazione dello stesso ne rende impossibile conoscere il percorso logico seguito dal giudice; G.DIOTALLEVI, La possibilità di rivalutare i gravi indizi di colpevolezza per il reato per cui è stata applicata una misura cautelare dopo l‟emissione del decreto che dispone il giudizio: le Sezioni unite ricompongono il quadro giurisprudenziale tra pronunce della Corte costituzionale e arrets di legittimità, in Cass. pen., 2003, 405 e ss; per una disamina della evoluzione

giurisprudenziale in materia, A.BASSI,Sulla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza dopo il decreto che dispone il giudizio, in Cass. pen., 2002, 3725. Prima della citata sentenza a Sezioni

unite, che ha definitivamente sciolto ogni dubbio sulla riconducibilità al decreto che dispone il giudizio di una attitudine ad assorbire una valutazione sul fumus secondo il modello preteso dall‟art. 273 c.p.p. escludendola, la giurisprudenza di legittimità aveva a riguardo mostrato atteggiamenti piuttosto rigidi. In tal senso, Cass. pen., sez. II, 14 novembre 2000, Tavanxhiu, in Cass. pen., 2001, 3485 con nota di M.L.DI BITONTO,Gravi indizi di colpevolezza ex art. 273, comma 1, c.p.p. e decreto che dispone il giudizio: torna in auge la giurisprudenza meno garantista, ivi, 3489 e ss.

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Non vi è dubbio che una siffatta tendenza a sovrapporre i risultati del processo di merito a quelli della cautela man mano che ci si sposti verso l‟epilogo definitivo potrebbe di fatto comportare la rinuncia a pretendere, fin tanto che il processo non sia giunto alle battute conclusive, un identico trattamento cautelare dell‟imputato in vinculis ed a porsi in possibile tensione con il principio di non colpevolezza.

Battere una tale strada sulla base dell‟idea che l‟accertamento condotto in primo grado, all‟esito di un dibattimento, giunga ad un approdo di maggiore affidabilità del successivo, eventuale, riesame di quei risultati probatori condotto ex actis, proprio perché nel primo caso la decisione risulta preceduta dal dispiegarsi si un contraddittorio reale (415), rischia di tralasciare alcuni aspetti. Il primo: non può tacersi che analogo deficit di oralità si avrebbe anche nel secondo grado di merito, la cui esistenza si giustifica proprio perché si dubita che la decisione del primo grado, nonostante emessa all‟esito di un dibattimento, sia effettivamente fair. Non solo, ma se in assenza di un novum o di una questione non dedotta, risulti persino preclusa la strada della revoca del provvedimento, una sentenza ingiusta, potrebbe essere rovesciata solo con un giudizio di secondo grado e finire con il giustificare la permanenza in carcere per tempi estremamente lunghi.

Forse, proprio in una tale logica, è possibile apprezzare il monito della famosa pronuncia della Corte costituzionale (416), allorché affermava che la presunzione di non colpevolezza non si esprime solo nel divieto di punire prima di un epilogo decisorio definitivo, ma si estrinseca anche nella riduzione, quanto più è possibile, del pericolo di una limitazione della libertà personale di un imputato che non subirà pena.

L‟imputato condannato in base ad una sentenza resa all‟esito di un processo unfair, non dovrebbe subire pena e, si ritiene, neppure una cautela sottratta ad un rigoroso regime di verifica.

(415) D.NEGRI, Fumus commissi delicti, cit., 291.

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