• Non ci sono risultati.

E LEMENTI COSTITUTIVI DELLA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA

L A RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA

2. E LEMENTI COSTITUTIVI DELLA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA

La complessa dinamica dei fenomeni di responsabilità in capo agli amministratori della società a partecipazione pubblica impone una disamina dei singoli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa e dei suoi riflessi di natura processuale.

Tale analisi, come già anticipato nel paragrafo precedente, si rende opportuna al fine di individuare gli elementi caratteristici di tale tipologia di responsabilità soprattutto alla luce delle ordinarie ipotesi di responsabilità “sociale” degli amministratori individuate nel codice civile.

Volendo definire in via preliminare tale istituto, è possibile qualificare la responsabilità amministrativa come quel tipo di responsabilità in cui incorre un determinato soggetto legato ad una P.A. da un rapporto di impiego o comunque di servizio in ragione di un comportamento antigiuridico doloso o gravemente colposo da cui consegua un danno, diretto o indiretto, di natura erariale all’ente di appartenenza o ad altro ente pubblico166167.

163 L’art. 55 del citato decreto prevede espressamente che “per i dipendenti di cui all’art. 2 comma II,

resta ferma la disciplina attualmente vigente in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche”.

164 L’art. 93 afferma espressamente che “per gli amministratori e per il personale degli enti locali si

osservano le disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato”.

165 RODRIQUEZ S., op. ult. cit., pag. 3.

166 Sul tema ex multis GARRI F., Danno erariale, in Enc. Giur., vol. X, Roma, 1988; STADERINI F.,

Responsabilità amministrativa e contabile, voce Digesto, 1997; RODRIQUEZ S., Responsabilità

amministrativa e contabile, voce Digesto, 2008; SCHIAVELLO L., Responsabilità amministrativa, in Enc.

78

Primo elemento di rilievo è dato dalla natura per così dire “propria” della responsabilità. Primo presupposto, infatti, risulta essere la sussistenza di un rapporto d’impiego così come disciplinato ai sensi dell’art. 82 r.d. 2440 del 1923168 e dall’art. 52 T.U. Corte dei Conti169.

La prima delle norme citate, nella sua valenza onnicomprensiva, si riferisce a tutti gli impiegati, a prescindere dal livello di carriera.

L’art. 52 fa, invece, riferimento a pluralità di soggetti quali i funzionari, gli impiegati e gli agenti, circostanza che ha portato all’esigenza di distinguere tali figure, per le quali era prevista la giurisdizione contabile, da quella di altri soggetti che arrecassero danni all’erario e per i quali era, invece, prevista la giurisdizione ordinaria.

Nessuna rilevanza, in questa sede, è da attribuirsi alle nozioni di pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio di cui agli artt. 357 e 358 c.p..

Secondo un’impostazione originaria più risalente, l’elemento caratterizzante era rappresentato dall’esistenza di un rapporto di impiego che implicasse l’espletamento di attività lavorativa subordinata con i caratteri della professionalità.

167 Efficace in tal senso la recente definizione fornita dalla Corte dei Conti Veneto, decisione n. 322 del 2009 secondo cui al fine della configurabilità della responsabilità amministrativa debbono concorrere i seguenti elementi: “che il danno sia lamentato da una Amministrazione qualificabile come pubblica; che

sia chiamato a risponderne un soggetto legato a questa da un rapporto di impiego o di servizio; che il danno sia 13 arrecato nell’esercizio di una attività qualificabile come illecita, commissiva od omissiva, connessa con tale rapporto, sia che ne costituisca diretta esplicazione, sia che abbia carattere strumentale o strutturale per l’esercizio della funzione stessa”.

168 “L'impiegato che per azione od omissione, anche solo colposa, nell'esercizio delle sue funzioni,

cagioni danno allo Stato, è tenuto a risarcirlo.

Quando l'azione od omissione è dovuta al fatto di più impiegati, ciascuno risponde per la parte che vi ha presa, tenuto conto delle attribuzioni e dei doveri del suo ufficio, tranne che dimostri di aver agito per ordine superiore che era obbligato ad eseguire”.

169 “I funzionari impiegati ed agenti, civili e militari, compresi quelli dell'ordine giudiziario e quelli

retribuiti da amministrazioni, aziende e gestioni statali a ordinamento, autonomo, che nell'esercizio delle loro funzioni per azione od omissione imputabili anche a sola colpa o negligenza cagionino danno allo Stato e ad altra amministrazione dalla quale dipendono sono sottoposti alla giurisdizione della Corte nei casi e modi previsti dalla legge sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato e da leggi speciali.

La Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto”.

79

A partire dagli anni ’50, in ragione anche della vis espansiva esercitata dalla giurisprudenza contabile sulla base del nuovo art. 103 Cost. che riserva alla Corte dei Conti la giurisdizione in materia di contabilità, in luogo del rapporto di impiego, viene fatto riferimento ad una categoria più ampia rappresentata dal rapporto di servizio170. Sulla stessa linea si assesterà, negli anni successivi, anche la giurisprudenza ormai costante della Suprema Corte171 la quale ha fornito una nozione ampia di rapporto di servizio, inquadrandolo nella “relazione (non necessariamente organica ma) funzionale che implichi la partecipazione del soggetto alla gestione di risorse pubbliche e il suo conseguente assoggettamento ai vincoli e agli obblighi volti ad assicurare la corretta gestione dei beni”172.

La giurisprudenza della Corte dei Conti, peraltro, facendo leva sia sulla portata ritenuta immediatamente precettiva dell’art. 103 Cost., sia sulle normative degli anni ’90 che hanno “sdoganato” l’ipotesi di c.d. “danno obliquo” (ovvero del danno compiuto nei confronti di una Amministrazione diversa da quella di appartenenza), ha ulteriormente esteso, a partire dagli anni ’90, con forte resistenze della giurisprudenza di legittimità, il perimetro dei soggetti potenzialmente attratti nella sua giurisdizione.

In particolare, anticipando solo brevemente quello che verrà adeguatamente scandagliato nel prosieguo del presente lavoro, i giudici contabili, ponendosi in una prospettiva “patrimonio-centrica” – che attribuiva decisiva rilevanza, ai fini del riparto giurisdizionale, alla natura pubblica o meno del denaro o bene oggetto di gestione – ha attirato nella propria orbita decisionale anche soggetti incardinati in enti fino ad ora esclusi quali gli enti pubblici economici e le società a partecipazione pubblica.

Prima componente strutturale dell’illecito è rappresentato dalla condotta dell’agente che può essere sia di tipo commissivo che di tipo omissivo.

A differenza del sistema penale, al di là delle marginali ipotesi per così dire “speciali” di responsabilità amministrativa rinvenibili nel diritto positivo, il sistema della responsabilità amministrativa è caratterizzato dall’atipicità analogamente a quanto disciplinato a livello civilistico dall’art. 2043 c.c..

170 Ex multis Corte dei Conti, Sez. I, n. 8741 del 1958, Corte dei Conti Sez. Riunite n. 5 del 1961, Corte dei Conti Sez. Riunite n. 128 del 1972;

171 Ex multis Cass. SS.UU. n. 4060 del 1993, Cass. SS.UU. n. 22513 del 2006, Cass. SS.UU. n. 4582 del 2006.

80

Secondo orientamento consolidato, tale forma di responsabilità consegue a comportamenti costituenti violazione degli obblighi di servizio e comunque causative di un danno di natura erariale cagionato nell’esercizio delle funzioni ex art. 18 d.p.r. n. 3 del 1957, art. 82 r.d. n. 2440 del 1923 e art. 52 r.d. n. 1914 del 1934.

La condotta, per essere rilevante, deve maturare in un contesto di occasionalità necessaria rispetto all’attività svolta dal soggetto legato da un rapporto di servizio. L’assenza di tale requisito impone che, per ogni eventuale danno “pubblico” cagionato, il giudice competente sarà quello ordinario.

Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, tale elemento ricorre ogni volta in cui il fatto illecito determinativo del danno, seppur compiuto al di fuori dell’esercizio normali della mansioni affidate, trovi l’occasione necessaria nell’espletamento del servizio.

Questione di interesse, in ragione dell’ampio dibattito sviluppatosi sul tema, è quella relativa al rapporto tra comportamento illecito ed illegittimità dell’atto amministrativo. È evidente come, sotto un profilo naturalistico, non potrà mai rilevare ai fini della valutazione della responsabilità amministrativa l’illegittimità dell’atto in sé. Ciò che rileva è esclusivamente il comportamento umano che, in quanto antigiuridico, può essere ritenuto censurabile.

L’illegittimità dell’atto potrà, semmai, rilevare quale importante sintomo dell’illiceità della condotta e con la conseguenza che il giudice contabile, ferma restando la competenza esclusiva del Giudice Amministrativo in ordine alla declaratoria di illegittimità, potrà comunque valutare in via incidentale i profili di legittimità del provvedimento amministrativo173.

Anche in sede contabile trovano ovviamente spazio, al fine di escludere l’antigiuridicità della condotta, le scriminanti tipiche riconosciute sia dal codice civile che dal codice penale quale la legittima difesa, lo stato di necessità, l’adempimento di un dovere ecc.. A livello positivo, con preciso riferimento all’operato del dipendente, viene effettuato un espresso richiamo a tali istituti nell’art. 29 l. 3 del 1957 secondo cui “la responsabilità personale verso i terzi di cui agli articoli precedenti è esclusa, oltre che negli altri casi previsti dalla legge, quando l'impiegato ha agito per legittima difesa di sé o di altri o quando sia stato costretto all'azione od omissione dannosa da violenza

173 Sul tema FRANCESE M., L’illegittimità e illiceità al cospetto del giudice contabile, con particolare

81

fisica esercitata sulla persona. Quando ha agito perché costrettovi dalla necessità di salvare se o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona ed il pericolo non è stato da lui volontariamente causato ne' era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuto dall'amministrazione cui l'impiegato appartiene un indennizzo”174.

Quanto all’ipotesi di condotta compiuta in esecuzione di ordine gerarchico, tipico degli ordinamenti di natura militare, è da ritenere che, anche in questo caso, possa ritenersi esclusa l’antigiuridicità della condotta, salvo, ovviamente, che l’agente abbia adempiuto in maniera diligente al dovere di rimostranza verso il superiore.

Altro importante limite alla configurabilità della responsabilità amministrativa è individuato espressamente nell’art. 1 comma 1 della l. n. 20 del 1994 (così come modificato dalla l. n. 639) secondo cui sono da ritenersi insindacabili il merito delle scelte discrezionali.

Tale limitazione, considerata secondo un’impostazione diffusa quale “esplicita applicazione e puntualizzazione della limitazione della responsabilità amministrativa al dolo e colpa grave”175, trova la sua ratio nei principi espressi dall’art. 2236 c.c. in tema di professioni di natura intellettuale con riferimento ai problemi tecnici di speciale difficoltà.

È evidente, infatti, che la scelta da parte di un amministratore o dirigente pubblico effettuata tra le opzioni legittimamente possibili (costituenti il nocciolo del merito decisionale) non può essere in alcun modo censurata, nonostante gli esiti eventualmente infelici della stessa.

Altrettanto evidente, però, è il fatto che tale insindacabilità non può essere interpretata in termini assoluti. Costante giurisprudenza contabile sul punto, infatti, ha ritenuto comunque censurabili le scelte effettuate, su una base di una valutazione ovviamente ex ante, in violazione di legge, di eccesso di potere o comunque manifestamente irrazionali anche alla luce dei principi di efficacia, economicità (recentemente positivizzati, peraltro, dalla l. 241 del 1990).

Con riferimento specifico agli amministratori di società a partecipazione pubblica, il tema si pone soprattutto in ordine alla sindacabilità delle scelte imprenditoriali

174 Il comma successivo prevede espressamente che per potersi avvalere di tali cause di giustificazione “l'impiegato ha l'obbligo di informare i superiori prima di essere convenuto in giudizio per il

risarcimento del danno o prima che gli siano notificate le diffide previste dagli articoli 25 e 26” della

d.p.r. n. 3 del 1957.

82

effettuate. Sul tema, come vedremo meglio nel prosieguo, possono essere replicate le considerazioni appena enunciate relativamente ai limiti per così dire “esterni” alle scelte discrezionali intraprese, mutuando, a tal fine, ad esempio, i principi costantemente espressi dall’Amministrazione finanziaria e dalla giurisprudenza tributaria sui comportamenti imprenditoriali (astrattamente insindacabili nel merito anche sotto il profilo fiscale) connotati da palese antieconomicità ed irrazionalità.

Quanto alla eventuale sussistenza di un concorso di persone, è necessario preliminarmente distinguere due ipotesi.

Quella di un extraneus che concorra alla condotta dell’intraneus che vedrà il concorrere della giurisdizione ordinaria e quella contabile.

Quella del concorso di più soggetti intraneus. Tale ultima ipotesi si concretizza frequentemente nel fenomeno delle decisioni di natura collegiale e relativamente al quale legislatore176 e giurisprudenza hanno cristallizzato alcuni principi importanti. In primo luogo, è da escludere che una qualche forma di responsabilità amministrativa possa configurarsi in capo al soggetto che abbia espresso in sede di delibera “incriminata” un voto contrario.

Con riferimento ai componenti che hanno espresso un voto favorevole, la responsabilità troverà necessaria graduazione in relazione alla tipologia di ruolo ricoperto (presidente, relatore ecc.) potendo, altresì, essere esclusa ogni volta in cui il consigliere sia stato indotto in errore dagli altri nel maturare la propria scelta.

Elemento centrale della responsabilità amministrativa è ovviamente rappresentato dal concetto di danno erariale che costituisce il nucleo dell’istituto ed allo stesso tempo il limite sotto il profilo delle conseguenze patrimoniali.

Non esistono in tal senso figure di danno tipizzate ex lege, ed è doveroso, pertanto, il rinvio alle nozioni di matrice civilistica di cui all’art. 1223 di danno emergente e lucro cessante.

Altra distinzione rilevante è quella di danno c.d. “diretto” ed “indiretto”.

La prima ipotesi è rappresentata dal danno cagionato direttamente all’amministrazione di appartenenza; la seconda, invece, si concretizza ogni volta in cui il soggetto titolare di un rapporto di servizio causi con la sua condotta nocumento a terzi subendo così la “rivalsa” dell’Amministrazione che si è trovata a dover risarcire il danno.

83

Quanto alla natura patrimoniale o meno del danno risarcibile, si è assistito nei decenni ad una decisa evoluzione giurisprudenziale al punto che in dottrina si è sovente fatto riferimento alla mutazione del danno erariale nel c.d. danno c.d. “pubblico”.

Secondo un’impostazione ormai risalente, l’unico danno ritenuto risarcibile era quello che fosse comunque suscettibile di una valutazione economica.

A partire dagli anni ’70, sulla spinta anche della giurisprudenza di legittimità177, hanno trovato spazio anche interessi di natura collettiva, quali, ad esempio, quelli in tema ambientale.

La Corte dei Conti, in particolare, con la sentenza n. 39 del 1973 (Sez. I) ha “ridefinito” il concetto di danno erariale quale “danno pubblico alla collettività” prendendo, quindi, le distanze da una concezione classica legata a logiche prettamente ragionieristiche. Pronunce successive, nel porsi sulla stessa linea178, hanno ribadito la funzione della Corte dei conti quale giudice “naturale” degli interessi della collettività quali la bellezza paesaggistica, l’ambiente faunistico, floristico ed ecologico in ragione delle norme di matrice costituzionale contenute agli artt. 25 e 103.

Altro importante arresto del 1989, a seguito del noto scandalo Eni-Petronim, ha offerto l’occasione di attrarre sotto la giurisdizione contabile l’innovativa ipotesi di danno erariale quale “danno all’economia nazionale conseguente al mancato rispetto da parte del Ministero competente delle norme in materia valutaria”179.

Tale evoluzione ha trovato, poi, un’importante ulteriore approdo nelle numerose pronunce che, a partire dagli anni ’90, hanno riconosciuto in favore dell’Amministrazione il ristoro dei danni subiti all’immagine (anche nella sua variante del c.d. “danno da tangente” a seguito dei noti fatti accertati nel 1992 dalla Procura di Milano) oltre ulteriori figure innovative quali ad es. il danno da “disservizio” ed il danno alla “concorrenza”.

177 Si segnala ex multis Cass. SS.UU. n. 2 del 1980 secondo cui “non riscontrandosi nella lettura della

legge alcuna qualificazione oggettiva del danno erariale e non incontrandosi alcun limite ai fini del collegamento dell’antigiuridicità ad un comportamento soggettivamente concreto, la concezione ontologica del danno erariale debba essere individuata nella lesione di un interesse di pertinenza dello Stato”.

178 Corte dei Conti n. 108 del 1975, n. 61 del 1979, n. 10 del 1981. 179 Corte dei Conti n. 54 del 1989.

84

Sotto il profilo del diritto positivo, alcuni autori180 hanno ritenuto di individuare

riscontri in tal senso sia nello stesso art. 82 della legge sulla Contabilità di Stato e art. 52 nel T.U. sulla Corte dei Conti ove, nel fare riferimento al “danno”, non viene fatto riferimento alla sua natura necessariamente patrimoniale; sia - argomentando a contrario - nella legge del 1986181 che ha espressamente sottratto alla Corte dei Conti la giurisdizione in tema di danno ambientale.

Senza soffermarsi ulteriormente sul tema, che verrà meglio analizzato nel prosieguo del presente lavoro, preme in questa sede solo rilevare come, ai fini della liquidazione di tali figure “innovative”, il criterio utilizzato abbia trovato una decisa sponda nei principi espressi dall’art. 1226 c.c. in tema di valutazione equitativa.

In tema di quantificazione del danno si registrano importanti deviazioni rispetto alle ordinarie regole applicate in tema di responsabilità civile.

L’art. 1 bis della legge n. 20 del 1994 introduce l’importante regola secondo cui “nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall'amministrazione di appartenenza, o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”.

Viene introdotto, in sostanza, un principio di tipo compensativo volto a circoscrivere il danno eventualmente imputabile al pubblico agente al “delta” tra il nocumento creato alla P.A. e i vantaggi comunque conseguiti da quest’ultima in ragione del comportamento infedele tenuto182.

Sul punto, un interessante e recente arresto della Corte dei Conti183 ha delineato

condivisibili coordinate interpretative della norma citata. In particolare, la stessa, in un procedimento relativo alla contestazione di un danno erariale al responsabile dell’Ufficio Tecnico di un Comune condannato al risarcimento per illegittima occupazione di aree di un privato, ha statuito come “i criteri cui il giudice deve attenersi per l’applicazione della norma sui “vantaggi” sono sostanzialmente i medesimi che

180 Sul punto STADERINI F., op.ult.cit., pag. 5, il quale rileva le notevoli perplessità maturate a livello dottrinale in ordine alla configurabilità del giudice contabile quale giudice degli interessi generali o diffusi stante l’evidente incertezza di tale ambito sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo.

181 L. n. 349 del 1983.

182 Sul punto CACCIAVILLANI I., La compensatio lucri cum damno nella gestione contabile di fatto, in

For. Amm., 2000 pag. 263, nota a Corte dei Conti n. 490/1999. 183 Corte dei Conti Sez. III n. 119 del 2006.

85

presiedono alla più generale regola della "compensatio lucri cum damno" : accertamento dell’effettività dell’ utilitas conseguita; medesimo fatto generatore determinante sia il danno che il vantaggio in relazione ai comportamenti tenuti; appropriazione dei risultati stessi da parte della p.a. che li riconosce; rispondenza della stessa “utilitas” ai fini istituzionali dell’amministrazione che li riceve”. La medesima pronuncia ha aggiunto, inoltre, che “se connotati da causa diversa di quella del danno, non è dato tenere conto degli eventuali vantaggi fruiti dall'ente danneggiato o dalla Comunità amministrata”.

Altro parametro di rilievo in tema di quantificazione del danno, che sotto il profilo logico trova applicazione in un momento successivo all’avvenuta quantificazione dello stesso nei termini poco sopra richiamati, è rappresentato dal c.d. “potere riduttivo” in capo al giudice contabile, oggi espressamente disciplinato dall’art. 1 comma 1 bis l. n. 20 del 1994.

Tale peculiare istituto, palesemente derogatorio rispetto ai principi operanti in tema di responsabilità civile, ha origine antica trovando fondamento positivo già nella normativa del Regno di Sardegna (art. 20 l. n. 1483 del 1853) e nell’art. 87 della legge sulla contabilità di Stato n. 2016 del 1894184.

Secondo un orientamento tradizionale della dottrina, trattasi di un potere di natura eccezionale e discrezionale finalizzato ad una determinazione per certi versi equitativa da parametrarsi alla misura della colpa, all’ammontare del danno effettivamente cagionato e tenuto conto di tutti gli elementi di carattere soggettivo ed oggettivo caratterizzanti la fattispecie in esame.

Più recentemente, ha trovato spazio, anche a livello giurisprudenziale, un ulteriore orientamento che individua la ratio di tale potere nel principio civilistico del c.d. “rischio di impresa” e, più in particolare, nella necessità di”limitare la condanna alla parte del danno direttamente dipendente dal comportamento colposo dell’impiegato, con esclusione delle conseguenze pregiudizievoli riferibili a fatti organizzativi anomali ed a fatti oggettivi condizionanti l’attività”185.

Sotto il profilo applicativo, la giurisprudenza amministrativo-contabile ha, quindi, dato rilevanza, ad esempio, alla giovane età dell’agente, all’esperienza effettivamente

184 In termini analoghi anche l’art. 83 legge contabilità del 1923 ed art. 52 del testo unico della Corte dei Conti.

86

acquisita, al curriculum di servizio, agli stati emotivi contingenti, alle condizioni di salute o di lavoro, alle condizioni economiche ecc.186.

A livello di circostanze per così dire oggettive, hanno trovato, invece, spazio elementi quali, ad esempio, la disorganizzazione dell’ufficio e la complessità organizzativa