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Eclettismo e sperimentazione (1929-1953)

professionale e azione culturale

3.1. Eclettismo e sperimentazione (1929-1953)

Com’è emerso dalla ricostruzione del metodo dell’autore che si ha avu- to modo di illustrare nelle prime due parti di questo lavoro, l’empirismo che caratterizza il suo fare progettuale, è per Ignazio Gardella, condizione connaturata all’idea stessa di architettura, che si mostra nell’immagine del- le opere costruite.

A tale empirismo, relativamente all’uso del linguaggio, corrisponde un eclettismo che assume, fin dagli esordi, carattere di sperimentazione. Il termine eclettismo nei progetti dell’architetto milanese, non è da consi- derarsi come citazione di elementi linguistici storici, fatto che ha caratte- rizzato l’interpretazione critica di alcune opere, come nel caso della casa alle Zattere ad esempio.

Al pari dei processi compositivi che abbiamo visto ripetersi nel corso del tempo e in diversi tipi di residenza, lo s’intende mostrare qui, come il ri- sultato di un lavoro sulla continua ridefinizione formale e applicazione alle architetture, di pochi ed essenziali elementi della costruzione, che ritor- nano e si ripresentano in diverse opere ed evolvono lungo la sua carriera, mantenendo una loro riconoscibilità.

Significativo è notare, relativamente ai progetti della residenza ma non solo, come nei primi anni dell’attività, iniziata nello studio del padre Arnaldo, Gardella realizzi progetti profondamente differenti, come la casa per la fa- miglia Calvi a S. Vito di Gaggiano (1933-34), che si è già vista a proposito della trattazione dei caratteri della villa unifamiliare, il grattacielo Tognella, in via Vittor Pisani, anch’esso già considerato o l’ampliamento della villa Borletti a Milano (1933-36), intervento molto trattato dalla critica.

Da questa prima semplice osservazione, è possibile immediatamente rica- vare uno dei tratti dell’eclettismo gardelliano, individuabile nell’eteroge- neità di fonti di riferimento utilizzate dall’autore.

Una prima, deriva dalla ri-proposizione, diremo quasi letterale, dello stile architettonico che caratterizza molte delle opere di residenze del padre. È il caso ad esempio della villa di S. Vito, in cui si ritrovano alcune caratteri- stiche riconducibili alle forme e ai linguaggi eclettici di metà ottocento.1

1 C. De Seta, La cultura architettonica in Italia tra le due guerre, Electa, Napoli, 1988. L’eclettismo ottocentesco, giunge fino agli inizi del novecento, come visibile in opere di molti autori, come S.Elia, che intraprendono poi strade differenti nel corso dei decenni successivi. Fatto che sembra manifestarsi tardivamente anche in quest’opera dell’autore. Più che la volontà di riproporre forme e stili revival alla maniera inglese o di costruire un

A. Gardella, L. Martini, Rifugio Ferraro Arquata Scriva, 1908. (da M. Casamonti (a c. di), Ignazio Gardella

architetto (1905-1999): Costruire le modernità, 2006).

I.Gardella, villa Calvi, S.Vito di Gaggiano (MI), 1933-34, vista. (CSAC coll. 80/2). H. Tessenow, casa II nella campagna della Ruhr, vista. (da M. García Roig (a c. di),

H.Tessenow, la costruzione della casa, 1999).

Sull’esercizio stilistico, prevale in questo progetto l’aspetto materiale di al- cuni elementi architettonici attraverso cui viene comunicato un’ideale di vita domestica, quotidiana, non ostentata; il portico, il camino, le falde del tetto, le finestre riquadrate, l’ingresso. Ciò che conta insieme alla loro vi- sibilità formale, è la familiarità che comunicano, che avvicina le parti della casa alla dimensione pratica dell’abitante, perché «costruire significa origi- nariamente abitare».2

Il portico in legno realizzato con tronchi, il rivestimento di mattoni a vista della canna fumaria, le scandole della copertura, trasmettono l’idea di una costruzione concreta. La casa di S. Vito presenta in maniera molto chia- ra, l’importanza che Gardella affida agli elementi essenziali del costruire attraverso cui comunica tale concretezza. Vi si può riconoscere in questo, anche «un processo di semplificazione formale (…) che ha per fine il di-

rifugio vernacolare, si leggono qui intenzioni inerenti un’idea di casa fenomenologica, coerentemente con l’attenzione dell’autore per quest’approccio al reale, già mostrato nel primo capitolo. Tra la vasta letteratura si veda, M. Heidegger, Costruire, Abitare, Pensare, In Saggi e Discorsi, Mursia, Milano, 1954; I. Abàlos, Heidegger nel suo rifugio: la casa esi-

stenzialista, in Il buon abitare. Pensare le case della modernità, Christian Marinotti edizioni,

Milano, 2009, pp. 43-68; G. Bachelard, La poetica dello spazio, Dedalo, Bari, 1975. 2 M. Heidegger, op. cit., riportata in F. Dal Co, Abitare nel moderno, Biblioteca di cultura moderna, Laterza, Roma-Bari, 1982, p. 28.

svelamento dell’elemento di generalità dell’architettura».3 L’utilizzo di

materiali naturali come la pietra, il legno, il mattone non contiene in sé una critica all’industrializzazione, negli stessi anni Gardella utilizza anche materiali moderni in altri progetti, costituisce una scelta, quasi program- matica, di mostrare l’architettura per la sua solidità e durevolezza.

Se il risultato dal punto di vista linguistico costituisce per la produzione di Gardella un caso unico, ciò che interessa notare a partire da questo pro- getto, è come i successivi lavori siano il risultato del processo compositivo sugli stessi elementi, composti a definire un esito completamente differen- te, applicato a diverse scale e tipologie di abitazioni.

In casa Barbieri a Càstana (1944-47) ad esempio, l’immagine della casa viene realizzata attraverso il carattere affidato agli stessi elementi. Gardella rovescia qui l’inclinazione del tetto, ma gli conferisce le stesse proprietà visuali. Ritroviamo l’importanza di un luogo intorno a cui concentrare l’in- timità dello spazio della casa come il camino, la copertura come chiaro limite del volume ed elemento simbolico, la finestra marcata dal profondo vuoto che la contiene all’interno del muro. L’edificio, come il precedente, realizza un programma minimo in cui si manifesta un «un’ansia di chiarez- za formale e un premere di problemi, di possibilità nuove»,4 che si mostra-

nella semplicità del volume, delle aperture, del materiale di finitura.

3 G. Grassi, L’architettura come mestiere, in H. Tessenow, Osservazioni elementari sul co-

struire, Milano, FrancoAngeli, 2003, p. 46. Si veda poi H. Tessenow, La costruzione della casa, Milano, Unicopli, 1999.

4 G.C. Argan, Ignazio Gardella, Comunità, Milano, 1959, p. 13. Il critico torinese paragona la casa del Viticoltore al progetto di casa Sommerfeld a Berlino di Gropius, di vent’anni precedente e che per la sua espressione materica, nuovamente è avvicinabile alla casa di S. Vito di Gardella.

I.Gardella, villa Calvi, S.Vito di Gaggiano (MI), 1933-34, dettaglio del portico. (CSAC coll. 80/2). H. Tessenow, casa II nella campagna della Ruhr, disegni di particolari relativi a portici e verande.(da M. García Roig (a c. di), H.Tessenow, la

Tra i temi che i progetti mostrati fanno emergere, si rende necessaria una maggiore precisazione relativamente all’uso delle tecniche costruttive, ar- gomento centrale come detto, nell’opera dell’autore. Riprendendo nuova- mente la copertura della casa del viticoltore come elemento rappresenta- tivo della sperimentazione sui linguaggi, forse più che per la volontà di ri- prendere forme e tecnologie appartenenti alla cultura popolare,5 il proget-

to di Càstana, mostra come esso faccia parte di una vera e propria ricerca formale che propone gli stessi risultati, ad esempio nelle unità d’abitazione del progetto delle case popolari in via Jacopino da Tradate e riprende pro- fili visibili ad esempio, nelle opere di G. Ponti.

Dell’architettura rurale, si ritrova invece la razionalità delle forme e della tecnica costruttiva ad esse strettamente legata, che ispira anche Pagano,6

più che elementi del linguaggio da utilizzare per commenti di natura socia- le e politica.

È la scala minuta stessa con cui si confronta l’opera di Gardella a favori- re questo tipo di approccio, misurato sempre su ville unifamiliari, picco- le unità d’abitazione, ospedaletti.7 Dimensione che si presenta in special

modo nella prima parte della sua carriera, successivamente come si vedrà, affrontando maggiori complessità, il linguaggio si consoliderà mantenen- do comunque molti dei caratteri provenienti da questa prima, lunga fase di sperimentazione ed eclettismo.

Proseguendo nell’analisi dei contributi di cui la ricerca linguistica si av- vale, negli anni della prima attività professionale, quelli che concorrono

5 F. Ceriani F. (a c. di), Ignazio Gardella: progetti e architetture 1933-1990, (catalogo della mostra, Milano, Padiglione d’arte contemporanea, 22 gennaio-18 marzo 1992), Marsilio, Venezia, 1992, p. 90.

6 G. Pagano, G. Daniel, Architettura italiana rurale, Quaderni della Triennale, Ulrico Ho- epli, Milano, 1936.

7 G.C. Argan, op. cit., p. 8

I. Gardella, casa Barbieri, Castana, (PV), 1944-47, soluzione B preliminare. (da F. Buzzi Ceriani, Ignazio

Gardella: progetti e architetture 1933-1990, 1992).

I. Gardella, casa Coggi, Milano, 1942-55. (da Stile di

in maniera significativa alla definizione del linguaggio sono riconducibi- li all’attenzione verso le più avanzate ricerche di stampo razionalista. Ad esempio quelle condotte da Mies van de Rohe, in riferimento alla già citata villa Borletti8 o ai lavori svolti in collaborazione con il gruppo di architetti

razionalisti milanesi, in particolare su progetti di concorso banditi dal re- gime per edifici pubblici: il concorso per la torre Littoria di Piazza Duo- mo nel 1935 e quelli per l’E42, per il Palazzo della civiltà italiana, (con F. Albini, G. Palanti, G. Romano, B. Revel), per il Palazzo dell’Acqua e della Luce (con F. Albini, G. Palanti, G. Minoletti, G. Romano) nel 1938 e nello stesso anno, per il piano urbanistico Milano Verde (con F. Albini, G. Pa- lanti, G. Minoletti, G. Romano, G. Pagano, G. Predaval).

La diversità che connota questi progetti, è da considerarsi nuovamente come la manifestazione del tratto eclettico nell’uso del linguaggio che, re- lativamente alla regola razionalista, in particolar modo nella sua accezione funzionalista, diventa utile strumento per contrastare il codice e la norma di uno stile utilizzato in maniera ingenua.9 La sua adesione nel dopoguerra

a molte associazioni, come l’INU, la FAIAM (Federazione delle Associa- zioni Italiane di Architettura Moderna), con la quale si intendeva raggrup- pare istanze razionaliste e organicistiche, e soprattutto il Msa (Movimen- to Studi per l’Architettura), esplicita nuovamente come per Gardella, «il movimento moderno era un insieme di ricerche e di linguaggi e che non

8 D. Vitale, Razionalismo e rigenerazione figurativa, in “Hinterland”, nn. 13-14, gen-giu. 1980, p. 21.

9 Il concetto è utilizzato qui, riprendendo una considerazione di A. Monestiroli, a pro- posito del già proposto accostamento del metodo di Gardella alla maniera empirica degli architetti scandinavi, in Cos’è architettura, in “Casabella” n. 800, aprile 2010, p. 20.

I. Gardella, R. Menghi, A. Castelli Ferrieri, quartiere Feltre 1958-61.

(fotografia dell’autore) Casa Calvi a S. Vito di Gaggia- no, fotografia del 1945 ca. (da Archivio privato famiglia Calvi).

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Architettura italiana rurale,

esistevano solo Gropius e Le Corbusier».10 Lo stesso autore dice in propo-

sito: «mi sono allontanato dal razionalismo ortodosso perché ho sempre creduto che nell’architettura ci fosse qualcosa in più, qualcosa di inafferra- bile razionalmente. I razionalisti pensavano che la ragione dei loro edifici corrispondesse alla loro funzione. Invece se cerchiamo la verità delle cose, dobbiamo andare al di là della loro funzione, dobbiamo andare oltre le cose».11 Il Dispensario Antitubercolare di Alessandria, è in tal senso il pro-

getto che meglio rappresenta il libero uso del linguaggio razionalista. Alle bianche superficie delle facciate che compongono i piani di un volume dalla perfetta forma geometrica, Gardella accosta nuovamente elementi riconducibili a quel valore materiale dell’architettura che si è già consi- derato a proposito della casa Calvi, che rivelano l’ «assenza d’innovazio- ne programmatica»,12 che caratterizza tutta la produzione architettonica

dell’autore almeno fino alla metà degli anni cinquanta. Mancanza, che non rivela nessuna nostalgia per il mondo rurale o volontà di citare elementi della cultura popolare o spontanea. Gardella utilizza i materiali e le tecni- che tradizionali come dato di ancoraggio al presente della realtà culturale e della civiltà del luogo e come «esercizio intellettuale di una ricerca spaziale votata alla modernità»13 come ritroviamo in molte opere degli anni trenta e

quaranta: la Cappella-Altare a Varinella (1935), l’edicola Pirovano al cimi- tero di Missaglia (1940) fino alle chiese di Cesate (1954) e Bolgiano (1964).

10 M. Porta (a c. di), L’architettura di Ignazio Gardella, Etas libri, Milano, 1985, p. 232. 11 A. Monestiroli, Ignazio Gardella, La Scuola di Milano, Electa Milano, 2009, p. 23. 12 A. Samonà, Ignazio Gardella e il professionismo italiano, Officina, Roma, 1981, p. 14. 13 P. Zermani, Ignazio Gardella, Laterza, Roma-Bari, 1991, p. 46.

I. Gardella, casa Barbieri, Castana, (PV), 1944-47. (da F. Buzzi Ceriani, Ignazio

Gardella: progetti e architetture 1933-1990, 1992).

W. Gropius, casa

Sommersfeld, Berlino, 1920-21 (da W. Nerdinger,

Walter Gropius, 1988).

I. Gardella, Villa Gatta, Pineta di Arenzano, 1961-63. (CSAC coll. 76/6).

Gli spazi ridotti all’essenziale per conferire un valore simbolico14 ottenuto

dall’astrazione, vengono riportati alla loro presenza materica dai materia- li tradizionali e dai sistemi costruttivi moderni, ricomposti per contrasto. La geometria pura delle superfici, rimanda ad un maniera di comporre contemporanea, a cui si aggiunge la dimensione “locale” delle trame delle pareti costruite in materiali dalla forte presenza sensibile. Alla pietra sca- bra ad esempio delle pareti della Cappella, è giustapposto il laterizio della scalinata o del grigliato di fondo (ripreso dal Dispensario di Alessandria), o la pietra di fiume dei muri dell’edicola Pirovano, (lo stesso che riveste i muri dell’ampliamento della villa Borletti) dialoga con le lastre di beola. Ciò che interessa dunque a Gardella, è la creazione di un ambiente in cui alla qualità spaziale si sommi la composizione delle trame di materiali e di textures, la valenza espressiva e le suggestioni prodotte dai chiaroscuri e dal colore. «Non tanto come colore di superficie o di posizione, ma come risultato di una calcolata asprezza o porosità o discontinuità della materia, è elemento fondamentale nella definizione di una situazione ambientale: inseparabile, dunque dalla profonda ragione costruttiva, dalle radici for- mali dell’edificio».15 «L’obbiettivo della ricerca di Gardella non è la forma

come struttura, o l’inverso, ma la strutturalità della forma o della visione, quella ricerca deve svilupparsi in gran parte, come studio della strutturali- tà della superficie, come di fatto accadde, in vera e propria volumetria».16

L’uso di tecniche tradizionali è quanto permette a Gardella di arricchire il linguaggio e al tempo stesso di «sdrammatizzare le nuove tecnologie».17

Lo si vede anche nei progetti per residenze di questo periodo, a cavallo della seconda guerra mondiale. Ad esempio nelle superficie grezze, rusti- che, della casa Barbieri, accostate alla forma pura del volume, ancora nel portico di villa Matarazzo, il cui telaio in cemento a vista, composto ad archi al piano terra e travi al primo piano, mitiga la sua astrazione geome- trica grazie agli inserti delle pareti in pietra, da ultimo nell’accostamento dell’esile e leggero telaio metallico della veranda posta in testata di villa Vaccarino, con la continuità del paramento murario che riveste omogene- amente tutto l’involucro.

Nel lavoro sul paramento di rivestimento e sulle sue qualità, è possibile leggere poi un ulteriore elemento che alimenta l’eclettismo di Gardella, proveniente da quella cultura architettonica novecentista, molto presente a Milano negli anni della sua formazione e della prima professione, che si mescola nello stesso periodo con l’ultima fase della stagione razionalista e

14A proposito della Cappella Altare si veda, G. Pagano, Una lezione di modestia. Altare per

i caduti in guerra di Varinella, in “Casabella” n. 111, mar. 1937, pp. 2-5.

15 G.C. Argan, Ignazio Gardella, Comunità, Milano, 1959, p. 13. Si veda anche L. Fiori,

L’architetto e materiali. Tra invenzione e necessità, in “Costruire per abitare”, n. 4, nov.

1984, pp. 78-80, in cui l’architetto dice « ognuno ha i sui colori. Io se devo pensare ad un colore penso alla testa di moro e al rosa».

16 Ivi, p. 18.

che costituisce il terzo fondamentale contributo alla definizione dell’archi- tettura dell’autore.

Esso si va definendo dunque come sintesi del costante lavoro di utilizzo di linguaggi provenienti dal razionalismo, dall’uso delle tecniche tradizionali, dal Novecentismo, che si va ora a considerare.

Novecentismo e razionalismo si fondono in questo periodo, in special modo se confrontati con il progetto della residenza. «La contaminazio- ne del razionalismo prebellico e Novecento milanese, appare evidente nell’edilizia comune, ad esempio nella corrente produzione di case d’abi- tazione, dove i confini tra scuole e tendenze sono forse più sfumati».18

Quando lo stesso afferma «se c’era un rapporto tra architettura razionalista e Novecento milanese, a noi architetti razionalisti sembrava conflittuale»,19

si riferisce ad un fatto stilistico, formale forse, non certamente ad un’idea di architettura e di contesto urbano che in Gardella sembra trovare molti punti in comune, come visto nel capitolo precedente.

18 D. Vitale, op. cit., p. 21.

19 I .Gardella, Prefazione, in E. Mantero (a c. di), Il razionalismo italiano, Zanichelli, Bolo- gna, 1984, p. 20.

I. Gardella, ampliamento villa Borletti, Milano, 1933-36. (da G.C. Argan,

Ignazio Gardella, 1959).

I. Gardella, edicola Pirovano al cimitero di Missaglia, 1940-41. (da G.C. Argan,

I.Gardella, villa Matarazzo a S.Paolo, (Brasile), 1946-1947, (CSAC coll. 81/4).

I.Gardella, villa Vaccarino a Dormelletto (NO), 1944-46, (CSAC coll. 81/1).

Come si è avuto modo di vedere nel precedente capitolo, la ricerca di omo- geneità del tessuto della città, conduce alla definizione di un modello tipo- logico di condominio borghese, che presenta molti caratteri provenienti dalla fertile ricerca sulla residenza popolare. I tratti comuni si individuano nella ricerca di un’economia costruttiva e di una razionalità compositiva fondata sulla ripetizione dei piani, sulla variazione dell’interno favori- ta dall’uso di telai in cemento armato, sulla valorizzazione degli affacci e degli spazi aperti della casa come i balconi e le terrazze. L’allineamento delle finestre e le regole compositive nel rapporto pieni e vuoti (molte le interpretazioni, si vedano ad esempio le realizzazioni di M. Asnago e C. Vender), determinano il rigore e la sobrietà delle abitazioni. A questo ob- biettivo, contribuisce in maniera determinante la composizione del rivesti- mento dei fronti, interfaccia tra casa e città, luogo in cui si manifesta il va- lore civile dell’abitazione nelle cortine continue delle strade o nei blocchi che insistono su lotti di grandi dimensioni. Essi, come si è già visto, sono anche gli elementi di definizione fenomenologica dell’architettura, come testimoniano molti esempi di edifici novecentisti a partire dalla Cà Bruta. Da un punto di vista tipologico, il riferimento alle architetture del Nove- cento, di De Finetti ad esempio, costituisce l’importante base di partenza

per il suo personale processo di ridefinizione di un tipo. Degli architetti della generazione precedente, Gardella prosegue poi anche la lezione rela- tiva alla costruzione della parete come superficie carica di valori espressi- vi, chiaroscurali, visivi, coincidente con l’importanza data dall’autore alla costruzione massiva, muraria, duratura, già vista in occasione dei piccoli edifici citati in precedenza o a proposito dei progetti residenziali degli anni trenta e quaranta. Essa ritorna in numerosi progetti anche molto posterio- ri, come il monumento ai Caduti nel cimitero di Brescia del 1980, in cui il muro diventa non semplice prospetto, ma il recinto che determina l’edifi- cio stesso. È attraverso il riferimento a questi aspetti delle opere di Muzio o Ponti, che Gardella confronta le sue idee circa la costruzione dell’abita-

Pagina precedente: I. Gardella, casa Tognella al Parco Sempione, 1947-59, soluzione non realizzata di prospetto, abaco dei rivestimenti lapidei. (CSAC coll. 81/4). In questa pagina: I. Gardella, edificio in via Marchiondi, Milano, 1949-53. I. Gardella, case alla stazione di Arenzano, 1975-85. (da M. Porta, L’architettura di

Ignazio Gardella, 1985).

zione con la dimensione urbana, mentre i progetti visti i progetti istituisco- no rapporti con luoghi naturali e con il paesaggio.

Lo si vede nel progetto per il grattacielo di via Vittor Pisani, bipartito in una parte basamentale in pietra che separa il piano terra e il mezzanino e in una ai piani superiori, caratterizzata da un uniforme rivestimento in mattoni faccia a vista, che racchiude la regolare disposizione delle finestre. La volumetria compatta che si affaccia sulla strada, si alleggerisce all’in- terno del cortile utilizzando un altro elemento linguistico caratterizzante la ricerca del periodo, il ballatoio, mediante il quale si attua una reinter- pretazione del tema della corte, che trova nella casa Rustici di Terragni, l’esempio più rappresentativo.

Lo stesso ragionamento sulla parete investe altre opere, in cui il rivesti- mento continuo è realizzato in pietra o in clinker, materiale di largo uso nei condomini borghesi milanesi a partire dal dopoguerra e che ritroviamo in gran parte degli edifici più importanti dell’autore progettati in contesti urbani, come la casa al parco Sempione realizzata per lo stesso committen- te del grattacielo di via Vittor Pisani, l’edificio in via Marchiondi o le case per gli impiegati della Borsalino, in cui si sceglie di utilizzare mattoni di scarto, proprio per le valenze cromatiche che l’errato processo di cottura aveva determinato. In questi progetti non si assiste ad un uso dei materiali di facciata per sottolineare le partizioni dell’edificio, i rivestimenti sono continui a rimarcare l’unità del blocco edilizio nonostante la variazione e