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L ’economia della produzione artistica grafica

Le figurazioni stampate sulla carta da matrici precedentemente incise, opere originali di un maestro dell’arte oppure riproduzioni, illustrazioni, decorazioni, quali si fossero le finalità intenzionali dei loro autori e quali si siano i nostri giudizi sul loro merito, costituiscono complessivamente la produzione grafica di cui mi pare interessante studiare l’economia.

Singolarmente interessante, non solo per integrare la storia artistica di questa produzione in sè stessa importantissima, ma anche per illuminare l’ambiente generale delle arti figurative e per trarre il pronostico circa fenomeni che vedo delinearsi come molto probabili nell'immediato futuro.

L’applicazione sistematica della pratica di trarre successivi esemplari positivi di pagine di libro da negativi incisi, in luogo di quella di farli scrivere contempo­ raneamente da squadre di amanuensi, determinò uno di quei spostamenti di rapporti di lavoro umano ed uno di quegli allargamenti di mercato propri del passaggio dalla plurimanualità al congegnato automatismo della macchina; ma l'impiego di quel medesimo procedimento per la creazione di una pluralità di opere d’arte tutte originali e tutte eguali tra loro, rivoluzionò addirittura il mondo delle arti figurative. Invece dell’opera d’arte unica, regina col corteggio delle copie delle imitazioni e delle falsificazioni, che solamente da essa traggono un riflesso di valore, una serie numerosa di opere d’arte tutte originali e tutte eguali. Invece dell’opera costituita dal sovrapporsi di segni sul medesimo foglio o muro o tela o tavola, l’opera prodotta da varie operazioni sopra superfici e con medi diversi e compiuta solo, in generale, col concorso di diversi individui. Invece dell’opera fatta per un determinato cliente, o ad un determinato cliente venduta, una serie di opere che devon trovare una

corrispondente serie di acquirenti. Invece dell'opera che da sola deve retribuire il tempo la fatica e la capacità particolare dell'artista, un grande numero di opere che tutte insieme devono assolvere questo compito e che quindi sono vendibili a prezzo bassissimo. Invece dell'opera di difficile trasporto quella che è facile, leggera, manevole per eccellenza.

L'opera figurativa insomma che senza perder nulla del suo carattere d’arte assume anche quelli propri dei prodotti mercantili, destinati ai più vasti mercati. Mutamento, innovazione quindi completa, e che si compì rapidissimamente.

L'opera d'arte grafica ha richiesto quasi subito e quasi sempre per la sua produzione il lavoro di più individui, tutti necessari per portarla a compimento, sebbene tutti sottomessi all'artista creatore, solo insostituibile. Come l’opera teatrale non si realizza che col concorso di suonatori e cantanti e scenografi, di editori o direttori di scena, che possono aggiungere con la loro presenza grande lustro alla rappresentazione, pur essendo sempre fungibili in relazione al musicista creatore dell’opera; così Durer e Daumier hanno avuto egualmente bisogno di ricorrere per la realizzazione di alcune loro opere ad abili intagliatori del legno, cosi A. de Saint Aubin, Choffard e De Longueil lavorarono insieme per la realizzazione di un disegno di C. N. Cochin, cosi Bartolozzi dette l'equivalente incisorio di Guerrino e di Reynolds; cosi, dopo l'esempio della produzione che mostra le firme congiunte di Raffaello e di Marcantonio, una buona parte delle lastre incise in tutta Europa lungo quattro secoli porta i nomi degli autori e degli editori ed anche di altri collabo­ ratori ritenuti « da cartello ».

La necessaria associazione di più individui per la messa in essere della serie di opere, compiute solo di volta in volta che lo stampatore solleva il foglio di carta umido di inchiostro dal piano del torchio, crea già di per sè stessa dei rapporti economici nuovi. Non è più il semplice apprendistato, mirante a preparare colui che domani prenderà il posto del maestro, ma una gerarchia stabile derivante dalla divisione del lavoro, oramai complesso di elementi artistici e di altri meramente tecnici, vorrei dire industriali.

La preparazione delle lastre, dei ferri e degli acidi, degli inchiostri e della carta, e la stampa di migliaia di fogli ha richiesto per mettersi a punto un mezzo secolo di quel Rinascimento che non difettava certo di ingegni, e richiedeva l’intera attività di individui che non avessero altre cure, mentre l’artista preparava il suo proprio lavoro, da solo o con aiuti; e talvolta non solo lo preparava ma lo cer­ cava o ne assicurava il collocamento, come un buon capo di industria. Egli tal­ volta stringeva con committenti singoli di importanza contratti formali che preve­ devano non solo il prezzo, le penalità ed i premi relativi alla consegna dell'opera finita, ma anche le modalità di esecuzione e pagamento; talvolta aveva un contratto permanente e fluttuante con editori, e gestiva in proprio solamente il labora­ torio di incisioni e stampa ; talvolta univa le due aziende di produzione e di vendita, e non aveva rapporti che con mercanti.

La grande produzione romana del XVI creò i primi grandi mercanti di capacità internazionale, venuti a Roma per comperare merce ed inviarla ai rispettivi

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paesi di origine, trattenutivisi poi per esercitare stabilmente il commercio, talvolta trasformatisi anche in editori; dando a questa parola il significato che essa ha modernamente per quanto riguarda la pubblicazione di libri.

Grandi mercanti e grandi centri mercantili si formarono poi successivamente in tutte le città di Europa dove avevano sede grandi incisori, presentando la notevole caratteristica della stabilità attraverso le generazioni di una stessa famiglia e qualche volta attraverso i secoli. E abbastanza interessante notare che nel secolo XVIII hanno termine le grandi case italiane e dei Paesi Bassi nate verso la fine del XVI o al principio del XVII, mentre si formano prevalentemente per opera di italiani altre case che prendono sede in Inghilterra, in Austria, in Russia e vivono tuttora dove gli avvenimenti politici recenti o le nuovissime istituzioni non le hanno travolte. La produzione litografica del XIX ha poi fatto sorgere nuove case che, più o meno trasformatesi, esistono ancora.

Questa stabilità, che non ha riscontro nell’ industria e nel commercio di molte altre merci, si spiega in parte con la durabilità delle matrici e con la possi­ bilità di accumulare ingenti quantitativi di esemplari, conservanti integro il loro valore artistico ed economico, ed illumina a sua volta la peculiarità dell’ambiente eco­ nomico della produzione grafica.

Migliaia di originali per ogni opera, miliardi di fogli nel loro insieme, vanno per il mondo come la più internazionale delle merci : difficile quindi è seguirne le sorti e sorvegliarle, praticamente impossibile difenderli dalle imitazioni e dalle falsificazioni. Tuttavia i primi tentativi per il riconoscimento e la difesa dei diritti di autore nel campo delle arti figurative nasce con le prime contese processuali di grandi incisori come Mantcgna, D a r c i c Marcantonio, intenti a procacciarsi o a difendere l’utile che la nuova pratica artistica offriva loro.

I vari governi riconoscono lentamente questi nuovi diritti con privilegi di esclusività, limitati dapprima all’uso della firma e poi al diritto di stampa e vendita ed infine nel settecento al diritto di proprietà investente il complesso dell’opera. Dato il frazionamento dello giurisdizioni da un lato, e dall'altro la particolare natura dell'opera artistica, sulle cui qualità costitutive, definibili in assoluto e rico­ noscibili dal magistrato, ancora oggi si discute invano, la protezione legale non fu molto efficace mai, e costò agli artisti ed agli editori tutta una serie di imposizioni fiscali indirette e dirette.

Le prime comprendono, oltre le personali, quelle riguardanti le materie prime impiegate, sopratutto la carta che aumenta colla tiratura cioè col successo dell'opera grafica; le seconde andarono dal prelevamento in natura di un determinato numero di esemplari dell'opera di cui si chiedeva la protezione, ad un « bollo » per ogni esemplare messo in commercio, come nel terzo quarto del XVIII in Francia. Nelle altre misure fiscali gravanti sul commercio internazionale si trova talora lo scopo della protezione del prodotto indigeno, come nella guerra doganale tra Inghilterra e Francia nell’epoca precitata; prodotto indigeno che era importante non tanto per ra­ gioni di prestigio ma anche per ragioni puramente e semplicemente economiche, e che era difeso anche con altri mezzi come l'invito ai grandi artisti stranieri, italiani sopratutto, la fondazione di scuole-laboratorio statali, una legislazione corporativa specialmente liberale.

Con la lettura di documenti autentici è possibile mettere insieme qualche cifra sicuramente indicatrice della portata economica della produzione grafica, e rivelatrice della sua importanza in relazione all'ambiente sociale.

La fecondità di un artista incisore professionale all'acquafòrte o su legno o su pietra può assumersi in mille incisioni, di un incisore a bulino in trecento, di un ar­ tigiano incisore riproduttore a duemila e mille rispettivamente. La tiratura, durante e dopo la vita dell’artista creatore, può essere posta su una media di cinque mila copie. Meno facile è indicare quanti artisti incisori vi furono in quattro secoli di storia eu­ ropea, ma cinque mila nomi li conosciamo di certo.

Cinque milioni di opere e venticinque miliardi di esemplari sono totali che certamente peccano in difetto; eppur danno sessanta milioni di esemplari e dodici mila opere l’anno, per quattrocento anni. Il numero degli scambi fu certamente assai più grande, poiché la vendita si effettuava nell'immensa maggioranza dei casi attra­ verso organi intermediari di commercio e poiché le stampe furono in tutti i secoli successivamente rivendute come oggetto d’arte antiquariale.

La somma di danaro che mutava mano per ogni scambio appare notevolmente quasi costante, e ciò si capisce se si considera da un lato la vastità del mercato e l'in­ ternazionalità della merce, dall'altro le funzioni pratiche che grandissima parte delle stampe assolvevano in modo eguale, indipendentemente dal merito artistico e dalla fama del loro autore.

Le incisioni in rame di Durer e di Luca di Leida ammontano, in un determi­ nato momento della vita dei due grandi artisti, l'anno 1521, allo stesso numero ed hanno il medesimo valore. Il primo ne vende parecchie migliaia di esemplari a un prezzo di quattro soldi di fiorino d'oro le grandi e mezzo soldo le più pic­ cole; in un anno di viaggio ne vende per duecento fiorini, mentre ne spende settanta per viaggiare assai comodamente nei Paesi Bassi assieme alla moglie ed alla dome­ stica, durante lo stesso anno. Alla stessa data l'inventario successorio fiorentino di un’azienda editrice porta a quattro e cinque soldi delle incisioni in rame grandi fio­ rentine, e a otto decimi di soldo, di lira sempre si intende, delle stampe da legno. Ma mezzo secolo dopo l'editore Plantin d’Anversa acquista in loco e vende per l'Italia delle stampe di Durer non più a quattro soldi e mezzo soldo di fiorino, ma a tre fiorini e a quattro soldi rispettivamente. Nello stesso tempo egli invia ad uno solo dei suoi corrispondenti di Parigi delle stampe contemporanee, prodotte in Anversa da artisti belgi e italiani, per trentacinque fiorini un anno, per centosessan- tatre fiorini qualche anno dopo, e non sappiamo che cosa sia stato fatto nell’inter­ vallo.

Cento anni dopo le stampe di Della Bella di medio formato e quelle piccole di Rembrandt si vendevano a Parigi a quattro cinque soldi l’una. I rami di Della Bella, piccoli, da serie, nuovi valevano quindici lire, già in uso da una quindicina di anni valevano da un terzo di lira a sei lire, ma il rame di una sua grande importante com­ posizione, edita da quindici anni, era comperato ancora da un editore a trecento lire. Tornato a Firenze, il Della Bella spediva in una sol volta ad un editore di Parigi circa mille stampe, per un valore di duecentotrentacinque lire, di cui centotrentasei dovevano servire per pagare gli arretrati, purtroppo non specificati, della pigione.

Un indizio sulla retribuzione rispetto al tempo impiegato ce lo .dà la notizia

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che Hollar, cecoslovacco, di buon nome e valore, residente a Londra, lavorava per illustrazione di libri in ragione di dodici danari l'ora.

I grandi ritrattisti francesi del '600 erano pagati dal singolo committente, per il complesso del disegno, dell’incisione e della stampa di qualche migliaio di copie, come questo esempio riferentesi a Roberto Nanteuil : duemilaottocento lire per una tesi a ritratto, duemilacinquecento esemplari, un anno di tempo. Calcolo che un terzo del prezzo rappresentasse la sua retribuzione personale, netta di spese. Nanteuil fece circa duecento di questi grandi lavori in trenta anni, e la sua attività fu normale.

Facendo il conto proprio sulle spese di impianto, di produzione del lavoro, vediamo che Piranesi un secolo dopo guadagna netto il terzo del prezzo di vendita delle sue vedute, cioè otto baiocchi per foglio. E sono quattromila fogli per rame per la prima tiratura, e un centinaio di rami. L’esenzione del diritto doganale sulla carta, accordatagli dal governo pontificio, ammonta per questa sua sola opera a milledue­ cento scudi, ed una dedica ne vale trecento.

Le mezzotinte inglesi si vendevano a Londra a mezza corona ciascuna, corri­ spondente ai due paoli e mezzo di Roma. 11 prezzo per le incisioni a bulino ed acqua­ fòrte delle grandi lastre non erano inferiori a quelle dei grandi ritratti di Parigi, e Bartolozzi prendeva duemila sterline dall'autore di un quadro per darne l'equivalente incisorio, che richiese due anni di lavoro, sebbene non esclusivo. Nel frattempo si raccolsero però ben 1720 sottoscrizioni.

Quest'ordine di cifre si mantenne, sia per i prezzi che per le sottoscrizioni e le vendite, anche per i bulinisti dell’ottocento, in qualche caso crebbe ancora. Il Longhi per un rame, con il complesso dei diritti relativi, ricevette novantaduemila lire al prin­

cipio del secolo ed il Morghen ricomperò da un mercante una prova di una sua ce­ lebre stampa a quattrocento paoli. Da queste cime la discesa fu rapida e rassomigliò ad una caduta; i litografi commentatori del fatto quotidiano furono pagati a mese come i giornalisti, e gli incisori dell'illustrazione per il giornale furono pagati come dei buoni operai.

Gli incisori artisti raggiunsero nella seconda metà del secolo decimonono dei prezzi discreti, e anche buoni, non tanto per il valore artistico della loro opera quanto in virtù di una artificiosa, assurda limitazione della tiratura a poche decine di copie. Quanta distanza dal tempo felice in cui il prezzo del foglio di carta rappresentava un sesto del prezzo cui l’esemplare era venduto, e l’artista incisore conseguiva tut­ tavia lautissimi guadagni!

Devo necessariamente rinviare al mio volume Odor d i Stampa (Eroica, Milano,

1934) ed alle Note che vado pubblicando su D ìe Graphìschen Kùnste (Vienna,

1933-6) il lettore curioso di conoscere i rapporti di questa produzione grafica con l'ambiente sociale dei quattro secoli della sua storia gloriosa e con le altre arti figurative, tra cui ebbe una parte straordinariamente importante, sebbene tuttora misconosciuta. Vi troverà anche enunciate le cause della insuperabile difficoltà di co­ noscenza della vita economica delle altre arti figurative nello stesso periodo storico, e della conseguente opportunità di illuminarla con la luce riflessa dal campo della grafica.

passato ed il presente, e suggerirne qualche interessante deduzione. La crisi del mer­ cato delle arti figurative non si può risolvere certo nè con gli acquisti da parte degli enti pubblici nè con le commesse decorazioni degli edifici di uso pubblico ; anche se non fosse prevedibile un facile esaurimento delle disponibilità dei primi ed una fa­ cile saturazione dei secondi, non si giungerebbe ad occupare l'attività che di un pic­ colissimo numero di pittori e di scultori. E questi sono tanti, numerabili per centi­ naia in ogni città d'Italia, per migliaia in città straniere come Parigi e Nuova York. Essi non potranno lavorare tranquillamente, la loro produzione non potrà essere as­ sorbita regolarmente, fin quando il grande pubblico non costituirà la vera e naturale clientela.

Ma la pittura e la scultura non sono arti di massa, come lo è la musica ; l’occhio non vede che ad una certa distanza, in una certa luce e direzione; e per vedere bene un quadro od una statua vi è spesso un punto di vista obbligato, nel quale non si può trovare più di un individuo per volta. Non solo, ma perchè la sensazione ottica abbia la giusta risonanza nello spirito occorre spesso, se non l’isolamento, almeno il silenzio. Non è al grande pubblico come insieme quindi che le arti figurative (esclusa una parte delle opere architettoniche) si rivolgono, ma alle categorie di individui più spe­ cialmente preparate, sempre uno per uno considerati. Bisogna portarli, sì, nei musei e nelle esposizioni perchè vedano e comperino, bisogna sì educarli con la storia e la fotografia nelle scuole medie e superiori, bisognerebbe sopratutto far loro conoscere nelle scuole primarie l'alfabeto e la grammatica del disegno; ma poi bisogna andar a portar loro l'opera in casa, bisogna vender loro l'opera adatta alla loro casa.

Ora se la democratizzazione della cultura ha generato una grande quantità di superficialissimi assorbitori, ha anche facilitato l'assimilazione completa alla percen­ tuale dei dotati dalla natura, percentuale che io non so indagare di quanto aumenti o scemi rispetto alla massa, ma che ad ogni modo deve aver dato dei totali sempre e sensibilmente crescenti dall'ottocento in avanti. La suddivisione della ricchezza avendo egualmente aumentato di molto il numero degli individui che godono di un medio tenore di vita economica, possiamQ giungere alla constatazione della esistenza di un cospicuo numero di individui capaci di divenire acquirenti della produzione artistica, purché a basso prezzo e materialmente visibile e spiritualmente godibile anche in pic­ coli ambienti, male o artificialmente illuminati. Semplici, ma naturali e quindi ferree necessità, che condizionano ogni e qualsiasi possibilità di conquista del probabile mer­ cato di domani.

La rivoluzione creata dalla pratica incisoria nella seconda metà del secolo XV ha ben servito fino alla metà del XIX un continuo allargamento ed accrescimento del pubblico delle arti; dopo sembrò esser sostituita dalla fotografia e dai vari procedi­ menti tendenti a fissare e a moltiplicare l'immagine fotografica. In realtà la fotografia diretta dell’oggetto trovò un suo campo specifico di applicazione al servizio della scienza, dell'arte, del commercio, come ognun sa, ma non sostituì mai del tutto l'in­ cisione nel campo delle attività ancillari e non la sostituì mai in quello dell'arte.

E per la ragione molto semplice che l'automatismo del procedimento esclude l'intervento del cervello umano quale trasformatore degli elementi naturali in arti­ stici. L’invarcabilità di questo limite spronò i tecnici alla ricerca dei mezzi adatti a fissare e a moltiplicare la fotografia indiretta dell’oggetto, cioè la fotografia

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magine, preventivamente disegnata e dipinta, dell’opera d’arte. Le difficoltà della ri­ produzione del colore e della riduzione delle dimensioni non sono state superate nè in assoluto nè in relazione tra di loro, tanto meno in rapporto alla desiderata qualità e costanza di risultati ed alla necessaria modicità di prezzo.

Ma è stato invece risolto il problema di compiere fotochimicamente l’incisione dell’opera grafica dell’artista e di stamparla poi con le macchine parzialmente auto­ matiche.

Sicché l'artista che sia oggi capace di dare una sua espressione artistica com­ pleta in opere monocromatiche di piccole dimensioni, ha la possibilità di produrre stampe in condizioni ben superiori a quelle in cui si trovarono Durer o Daumier, ed ha la possibilità di venderle ad un prezzo bassissimo che tende, per le alte tirature, a non comprendere che il costo della carta e la remunerazione dell'artista.

Sicché se vi saranno artisti capaci di questo sforzo, il nostro tempo potrà vedere una nuova fioritura di arte grafica, l'unica che consenta di portare veramente il dono dell'arte figurativa ad una nuova moltitudine di individui.

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