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L’educazione fisica: impiccio o valore

L’educazione fisica (qualcuno la chiamava ginnastica con fare spregiativo, magari ignorando che il termine greco ha il significato di “fare esercizi fisici nel ginnasio nudi”) a scuola è mal sopporta-ta se non crea problemi, diviene detessopporta-tasopporta-ta se qualche problema lo provoca.

Il mens sana in corpore sano di Giovenale è stato banalizzato con il significato che una buona educazione deve mirare sia al vi-gore intellettuale sia a quello fisico, ma se leggiamo tutto l’adagio (orandum est ut sit...) esso assume una valenza profondamente di-versa, cioè che bisogna chiedere alla divinità un’anima forte, ma soprattutto un fisico robusto in grado di sopportare le fatiche e non temere la morte.

La palestra non destava particolari curiosità fra i colleghi del-le altre materie, anzi per molti era un locadel-le poco frequentato. Ne vedevo qualcuno se necessitava delle mie ore o aveva la classe impegnata in qualche torneo interno, ma erano apparizioni fugaci;

ma quando organizzai un torneo di ping-pong s’iscrissero anche i professori che, oltre a duellare tra di loro, giocarono degli incontri contro i propri alunni in cui nessuno ci stava a perdere.

Per la maggioranza dei colleghi, mi tengo stretto, l’educazione fisica era considerata poco più di un perditempo; alcuni, immagi-nando che avrebbero avuto un orario più comodo, chiedevano che le lezioni di ginnastica venissero spostate al pomeriggio, non valu-tando bene (o forse sì) che ci avrebbero rimesso gli alunni che sa-rebbero stati costretti ad affrontare le mattinate infarcite d’italiano, matematica, ragioneria, diritto, inglese, tecnica e informatica, ma questi erano dettagli di poco conto.

All’università mi avevano detto che lo scopo dell’educazione fisica, a cui non si è mai riconosciuto un ruolo fondamentale, al pari delle altre discipline, nell’obiettivo centrale della formazione

e della crescita culturale dello studente, è quello di sviluppare le funzioni e le capacità psico-motorie senza le quali non è possibile una crescita equilibrata della personalità e un adeguato adattamento dell’individuo di fronte agli apprendimenti sociali, scolari e spor-tivi.

Mi avevano spiegato che, il fra il ‘700 e l’‘800, l’homo faber prende conoscenza del proprio corpo e l’homo ludens, accanto all’economia, politica, religione e morale, sente il bisogno e la ne-cessità di dedicarsi allo svago e al divertimento. È la grande rivo-luzione culturale, nata in Inghilterra, che fa sì che il corpo, con l’animo, l’intelletto, la morale, sia considerato uno dei luoghi pri-mari dove poter svolgere i nuovi processi educativi per far sorgere i protagonisti ideali della nuova civiltà e dei nuovi impegni sociali, fra i quali lo sport.

All’atto pratico e al di là di quello che spiegano i testi scientifici scritti da esperti dell’educazione, ho capito che l’educazione fisica ha la funzione d’interrompere la scaletta di cui sopra, reintegrare il fisico degli studenti con il gioco o esercizi mirati al fine di ripristi-nare le loro energie mentali per gl’impegni successivi.

Tutto bello. Ma lo studente che esegue degli esercizi, anche mi-rati, suda un po’ e prima di rientrare in aula avrebbe bisogno di una doccia. Quando arriverebbe in classe? Meglio che rimanga sudato!

Per non sovraccaricare ulteriormente la palestra dell’istituto, al-cune classi facevano lezione nella piscina di Vallemiano, ma era un rimedio che non risolveva la questione, perché, in via Marini, due classi nello stesso ambiente c’erano comunque e creavano un non senso educativo.

Non so a chi, ma a qualcuno venne un’idea che sulle prime parve peregrina, invece diventò decisiva.

Sotto la palestra c’era l’archivio che, avendo quasi le dimensioni del piano superiore, ad eccezione dell’altezza, avrebbe potuto sal-vare capra e cavoli. Sarebbe stato possibile, eliminando l’archivio,

creare cioè un altro ambiente per le lezioni di educazione fisica.

C’erano altri due insegnanti giovani in palestra, la Marinella, una bella donna mora e un po’ misteriosa, e Altero, un tipo riservato di carnagione chiara, amante del calcio: entrambi si dissero favorevoli all’iniziativa; allora ne discutemmo con genitori ed alunni che con-divisero l’idea, ma non sarebbe accaduto nulla se alcuni di loro non avessero incalzato il preside che, sulle prime, sembrava seccato, poi si calmò.

Infatti Trifogli fece in modo che partissero i lavori e la scuola, in breve tempo, si trovò con due palestre, che gli studenti chiamarono quella di sopra e quella di sotto.

Così il Benincasa, oltre ad essere l’istituto con il maggior nume-ro d’iscritti, si tnume-rovò con due palestre nello stesso edificio: attrezza-ta al meglio, come ho già scritto, quella di sopra e sufficientemente quella di sotto, anche per via di spogliatoi ridotti, ma entrambe per-misero che le lezioni si svolgessero in modo più ordinato e proficuo.

Durante la presidenza di Franciolini, la scuola si arricchì di un mini-impianto all’aperto. Esisteva un cortile esterno, contiguo alla palestra di sotto, invaso dall’erbaccia e confinante con il terreno di un contadino.

C’era la possibilità di trasformare quel luogo in una palestra all’aperto dove esercitare gli studenti nel salto in lungo e nei lanci del disco e peso.

Ne parlai con Franciolini che fu entusiasta dell’idea. L’iter con la Provincia, subito aperto, non fu facile, ma l’insistenza, meglio l’ostinazione, del preside fu premiata.

Una mattina soleggiata che annunciava la primavera imminente, vennero gli operai. Liberarono il cortile dall’erbaccia, scavarono la buca che colmarono di sabbia (anche se non era quella di fiume, come avevo richiesto), istallarono la pedana, costruita da un artigia-no di Vallemiaartigia-no, per i lanci.

Una piccola cerimonia d’inaugurazione, con la presenza del

pre-sidente della Provincia e di tutto lo staff dell’istituto, rese operativo il mini-impianto che arricchì il Benincasa di una ulteriore attrezza-tura sportiva.

Una rarità in una città dove alcune scuole erano costrette a chie-dere l’ospitalità del palazzetto dello sport di via Veneto per far svol-gere le lezioni di educazione fisica.

La palestra di sopra. La palestra di sotto.