La prima impressione, entrando nell’istituto, è stata di sorpresa.
File di persone si accalcavano nei due sportelli di una vetrata che separava l’atrio dagli uffici, pensai, di segreteria. Nello stesso atrio, abbastanza grande, c’era una guardiola, dove un bidello rispondeva alle telefonate e dava indicazioni a chi ne avesse bisogno; inoltre delle persone scendevano e salivano una scalinata, con passo ve-loce quelli che venivano giù, lentamente coloro che andavano su, come se costoro risentissero la difficoltà di fare gli scalini.
L’intero ambiente era un vociare continuo che si alzava, alle volte, di tono per ritornare, subito dopo, un parlottio continuo, un sommesso brusio.
Mancavano pochi giorni all’apertura delle scuole dell’anno sco-lastico ‘82-’83 e dovevo presentarmi, come prassi, dal preside, ma non sapevo da dove incominciare e a chi chiedere, così me ne stavo ad osservare ciò che accadeva attorno a me.
Era curioso che fra tanta gente che animava l’atrio non ne co-noscessi alcuna. Non ero anconetano di nascita, ma erano più di tredici anni che risiedevo in città, eppure nemmeno un volto di tutti quelli visti mi riusciva noto.
Mi trovavo lì, perché avevo perso la titolarità di docente di edu-cazione fisica al liceo scientifico Savoia.
Nel linguaggio burocratico ero un soprannumerario, cioè un per-dente posto. Il mio status di celibe mi aveva giocato un brutto tiro.
Avevo scelto, su indicazione del prof. Filippi, coordinatore di educazione fisica presso il Provveditorato agli studi, l’istituto per ragionieri G. Benincasa, una scuola, a detta di lui, in grande crescita numerica con alcune sedi staccate in diversi punti della città.
La sede centrale era (ed è) posta su di un ripiano dopo una dura salita, accanto all’istituto Vanvitelli per geometri. Dalla piazzuola
davanti alla scuola, adibita a parcheggio e già piena di auto, si apri-va (e si apre) un bel panorama su buona parte della città.
Era una mattina di settembre calda e soleggiata con il cielo sgom-bro di nuvole a parte qualche alta striatura simile ad una lanugine di color grigio chiaro sparsa qua e là. Avevo modo con lo sguardo di spaziare dalla campagna circostante alle prime case delle Grazie, poi sin verso il Piano e fino al porto con il mare che si intravedeva laggiù dopo un’infinita serie di tetti.
“Qui doveva sorgere un albergo, non una scuola”, mi venne di pensare. A dire il vero ero un po’ preoccupato per la mia scelta. Da studente avevo frequentato il liceo classico e la parola liceo mi era rimasta nella pelle e aveva un sapore particolare. Voglio dire che finire dal liceo Savoia ad un istituto per ragionieri mi sembrava fare un passo indietro. E dover lasciare colleghi ammirevoli dal pun-to di vista umano e straordinari da quello professionale mi creava qualche problema. Chi avrei trovato in questa nuovo ambiente? Ci stavo giusto pensando, quando, fra quanti scendevano la scalinata, riconobbi il prof. Curti, il padre di un mio ex alunno liceale.
“Allora qualcuno conosco!”, dissi tra me. Lui mi venne incontro e mi salutò cordialmente. Sapeva tutto, sapeva che sarei stato il suo sostituto.
“Son contento che sei venuto tu - mi disse - Ora ti presento al preside. Andiamo di sopra”.
Sapevo chi fosse, perché veniva ai colloqui con il figlio, ma non c’era molta confidenza. Lui non frequentava il Dorico per gli alle-namenti di atletica leggera degli studenti e non esistevano occasioni per incontrarci. Era un tipo di media altezza, robusto, il viso in carne, capelli corti, occhi svelti di persona simpatica. Dava la netta impressione di un compagnone ideale per feste e cene con il gotha della scuola e ne ebbi subito conferma quando, di fronte al preside, aveva atteggiamenti di estrema confidenza.
Il preside era Trifogli, un personaggio in città. Laureato in
lette-re, era sindaco durante il terremoto e non volle che Ancona diven-tasse una specie di baraccopoli com’era accaduto ad altre città ter-remotate; pretese ed ottenne dei finanziamenti per la ricostruzione delle zone danneggiate.
Qualche anno prima era stato preside dell’ITIS di Torrette e poi eletto senatore per la DC; grazie alla sua intraprendenza venne isti-tuita in città l’università con le facoltà di Economia e Ingegneria.
Gli anconetani avrebbero dovuto già immortalarlo con una statua accanto a quella del conte Cavour, ma la riconoscenza, si sa, non è di questo mondo.
La sua presidenza, terminata alla fine degli anni ’80 dopo un te-sta a tete-sta con Franciolini, già professore di ragioneria nell’istituto, è stata contrassegnata dalla piena fiducia che riponeva nel corpo docente e nei collaboratori ai quali delegava funzioni importanti e di responsabilità, non sempre ricevendone in cambio
collaborazio-Il custode Guido Cingolani (a sin.) e il segretario Antonino Valenza attendono il Natale con fiducia. Archivio Benincasa.
ne e spirito di squadra, anzi taluni ne approfittavano per sentirsi più uguali degli altri.
Ma un episodio piuttosto dirompente ha messo in risalto il san-gue freddo e la determinazione di Trifogli nella difesa dei propri collaboratori. Una mattina d’inverno il segretario Valenza e il cu-stode Guido furono trattenuti in questura con l’accusa di avere usa-to in modo improprio l’auusa-to di servizio dell’istituusa-to. Guido andava a prendere il segretario e la moglie a casa per accompagnare lui a scuola e lei all’Asl: questa era l’accusa. Naturalmente i giornali locali hanno scritto di questo fatto e le foto dei due, considerati già rei, hanno fatto il giro della città.
Quello fu il giorno più lungo e a scuola non si parlava d’altro;
la notizia veniva bisbigliata e ognuno diceva la sua badando a non esporsi o a compromettersi.
Che la soffiata fosse giunta dall’interno dell’istituto lo dicevano tutti e che fosse partita da una parte dei bidelli esclusi dai proventi del bar, una specie di gallina dalle uova d’oro, lo pensavano in tanti.
Trifogli incaricò il prof. Rino Pirani, il legale della scuola, di andare in questura e cercare di chiarire la situazione. Rino sosten-ne che l’uso dell’auto era motivato dalle cagiososten-nevoli condizioni di salute del segretario, mentre il percorso in più per la moglie era limitato ad un chilometro.
Il preside, quando la situazione fu chiarita, per limitare i malu-mori dei bidelli, pensò di cambiare la gestione del bar e in parte ci riuscì, ma toccò al suo successore, Franciolini, creare il Circolo Benincasa, dove alunni, professori e collaboratori, purché titolari di una tessera di socio, avevano libero accesso al bar per le consuma-zioni a prezzo facilitato.