SOMMARIO: 1. La natura costitutiva della risoluzione per inadempimento nella dottrina e nella giurisprudenza successive al Codice del ’42. – 2. Le tesi dottrinali favorevoli all’abbandono del modello giudiziale di risoluzione per inadempimen- to. – 3. Le critiche alla concezione «costitutiva» dell’azione di risoluzione. – 4. Il recesso per inadempimento ex art. 1385 c.c. nell’interpretazione successiva all’entrata in vigore del Codice del ’42. – 4.1. Recesso per caparra confirmatoria e risoluzione per inadempimento nell’interpretazione delle Sezioni Unite n. 553/2009. – 4.2. Gli effetti del recesso per caparra confirmatoria e della risoluzio- ne per inadempimento. – 5. Diffida ad adempiere e natura dichiarativa della riso- luzione. – 6. Clausola risolutiva espressa e natura dichiarativa della risoluzione. – 7. Il termine essenziale. – 8. L’importanza dell’inadempimento nella risoluzione del contratto. Il criterio generale di «non scarsa importanza» e le ipotesi di aggra- vamento dell’inadempimento rilevante. – 8.1. (Segue). Le figure normative di ti- pizzazione dell’importanza dell’inadempimento. – 9. Risoluzione per impossibili- tà sopravvenuta non imputabile della prestazione e recesso per impossibilità so- pravvenuta parziale. – 9.1. Impossibilità non imputabile e inadempimento: come fermare il «pendolo» della natura automatica o giudiziale della risoluzione. – 10. Preclusione di adempimento successivo alla dichiarazione unilaterale di risolu- zione. – 10.1 Rigetto, inammissibilità o estinzione del giudizio di risoluzione ed eventuale preclusione di successivo adempimento. – 11. La preclusione di adem- pimento successiva alla domanda di risoluzione (art. 1453, terzo comma, c.c.). – 11.1. Il «diritto» del debitore di offrire la prestazione in difetto del requisito di non scarsa importanza dell’inadempimento. – 11.2 Preclusione di adempimento tardivo e previsioni eccezionali di termine “di grazia”: il caso della locazione ad uso abitativo. – 11.3 (Segue). Il termine “di grazia” nel contratto di affitto agrario.
1. La natura costitutiva della risoluzione per inadempimento nella
dottrina e nella giurisprudenza successive al Codice del ’42
Dottrina1
e giurisprudenza2
hanno univocamente interpretato l’art.
1
G.AULETTA, La risoluzione per inadempimento, cit., passim; L.CARIOTA FERRA- RA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Morano, Napoli, 1950, p. 385; L.
1453 c.c. come norma che sancisce il diritto di promuovere l’azione per ottenere la pronuncia costitutiva di risoluzione del contratto. La Rela- zione al Re, invero, non prendeva espressamente posizione sulla natura costitutiva della risoluzione, ma era chiaramente implicito che il diritto alla risoluzione venisse configurato come diritto a necessaria attuazione
giudiziale, là dove la stessa Relazione definisce la diffida ad adempiere
come «procedimento monitorio», evidentemente inteso come procedi- mento “alternativo” alla necessità di adire l’autorità giudiziaria per con- seguire lo scioglimento del contratto in conseguenza dell’alterazione del sinallagma contrattuale3
.
Nella manualistica più diffusa e autorevole è pacifica – negli anni successivi all’entrata in vigore del Codice del ’42 – la distinzione tra ri- soluzione giudiziale (ex art. 1453 c.c.) e risoluzione stragiudiziale (artt. 1454, 1456 e 1457 c.c.)4
. Accanto al convincimento per cui la risoluzio- ne «può essere soltanto opera del giudice», si accompagna quello se- condo cui essa «non può operare, se non su domanda dell’interessato»5
, così implicitamente escludendo tanto l’autotutela stragiudiziale della risolubilità sostanziale quanto la rilevabilità ex officio a protezione del contraente fedele. A sostegno dell’inevitabilità dell’accertamento giudi- ziale funzionale alla pronuncia di risoluzione si adduce la necessità del- la verifica nell’ambito del processo del duplice requisito dell’imputabi-
lità dell’inadempimento e della sua non scarsa importanza.
BARASSI, La teoria generale delle obbligazioni, vol. III, Giuffrè, Milano, 1948, p. 335; L. MOSCO, La risoluzione per inadempimento, Jovene, Napoli, 1950, p. 145 ss.; G.MIRA- BELLI, Dei contratti in generale, in Comm. cod. civ., Utet, Torino, 1958, p. 472; M. GIORGIANNI, L’inadempimento, Giuffrè, Milano, 1959, p. 84; R. SCOGNAMIGLIO, Con-
tratti in generale, in Tratt. di dir. civ., diretto da G. Grosso-F. Santoro Passarelli, Giuf-
frè, Milano, 1964, p. 265; A.DALMARTELLO, Risoluzione del contratto, in Noviss. Dig.
it., vol. XVI, Utet, Torino, 1969, p. 140.
2
Cass., 11 giugno 1958, n. 1935, in Rep. Giur. it., 1958, voce «Obbligazioni e con- tratti», n. 550, c. 2582; Cass., 15 giugno 1965, n. 1243, in Mass. Giur. it., 1965, 450; Cass., 12 ottobre 1967, n. 2437, ibid., 1967, 918.
3
Relazione al Re, par. 129.
4
A.TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, 9a
ed., Cedam, Padova, 1956, p. 651; D. BARBERO, Sistema del diritto privato italiano, vol. I, Utet, Torino, 1962, 6a
ed., p. 503. Anche nella manualistica recente e autorevole è diffusa la concezione «giudiziale” della risoluzione per inadempimento: A. TORRENTE-P.SCHLESINGER, Manuale di di-
ritto privato, Giuffrè, Milano, 2011, p. 644; F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Esi, Napoli, 2013, p. 1024; P. ZATTI-V.COLUSSI, Lineamenti di diritto privato, Cedam, Padova, 2011, p. 519.
5
F.MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, 3a
ed., vol. III, Giuffrè, Mi- lano, 1959, p. 681.
Non sono mancati, tuttavia, isolati tentativi dottrinali volti a confu- tare la natura giudiziale della risoluzione per inadempimento. Già negli anni ’60 si tentò6
di valorizzare il dato normativo consistente nelle con- seguenze sostanziali prodotte dalla domanda di risoluzione, consistenti, da un lato, nell’impossibilità di domandare l’adempimento (art. 1453, secondo comma, c.c.) e, dall’altro, nel divieto di adempimento successi- vo alla domanda di risoluzione (art. 1453, terzo comma, c.c.)7
. In parti- colare – tenuto conto che, nella vigenza del Codice Civile del 1865, era considerato pacifico il potere di adempiere o chiedere l’adempimento fino a quando la risoluzione non fosse pronunciata con sentenza del giudice – risulterebbe inconcepibile, in virtù delle innovative previsioni normative dell’art. 1453, secondo e terzo comma, c.c., la risoluzione “giudiziale” di un contratto che «per effetto della domanda di risoluzio- ne, non dà più né il diritto di chiedere l’adempimento né la facoltà di prestarlo, cioè di un contratto che non esiste più perché si è già risolu- to»8
. Il divieto per una parte di chiedere, e per l’altra di prestare, l’adempimento quando si è richiesta la risoluzione non configurerebbe, dunque – secondo tale prospettiva – una preclusione processuale, bensì un effetto sostanziale dello scioglimento del contratto.
La tesi sopra esposta non raccolse, tuttavia, né i favori degli interpreti né della giurisprudenza, incentrata com’era sulla rilevante svalutazione del- la norma dell’art. 1455 c.c.9
, considerato alla stregua di una mera “svista” del legislatore o, addirittura, di un «fossile [...] del soppresso potere di be- neficiare l’inadempiente con una dilazione»10
. Eccessiva e irragionevole
6
A. KLITSCHE DE LA GRANGE, Risoluzione per inadempimento e potestà del giudi-
ce, in Riv. dir. civ., 1964, I, p. 29 ss.
7
A. KLITSCHE DE LA GRANGE, op. ult. cit., p. 30: «crediamo perciò di poter dire che la chiave del problema è in tali disposizioni: se fosse lecito interpretarle nel senso che, dopo proposta la domanda di risoluzione, sia definitivamente impossibile chiedere o prestare l’adempimento, bisognerebbe necessariamente concludere nel senso che la domanda ex art. 1453 produce per se stessa la risoluzione del contratto, di guisa che il giudice potreb- be rendere, anche in tal caso, solo una pronuncia di mero accertamento».
8
A. KLITSCHE DE LA GRANGE, op. ult. cit., p. 36.
9
La norma dell’art. 1455 c.c., al contrario, aveva già ricevuto la sensibile attenzione della giurisprudenza che, sin dai primi anni successivi all’entrata in vigore del Codice Civile, l’aveva ritenuta espressione del principio di buona fede contrattuale: ex pluri-
mis, Cass., 17 maggio 1949, n. 1220, in Foro it., 1949, I, c. 936; nello stesso senso, in
dottrina, E. ENRIETTI, Della risoluzione del contratto, in Comm. Cod. civ. diretto da M. D’Amelio-E. Finzi, G. Barbera editore, Firenze, 1948, sub art. 1455, pp. 820-821.
10
A. KLITSCHE DE LA GRANGE, Risoluzione per inadempimento e potestà del giudi-
appariva, in particolare, la pretesa di escludere l’applicabilità dell’art. 1455 c.c., al fine di considerare automaticamente significativo per la risoluzione del contratto ogni ritardo, anche di minima consistenza.
Ma l’obiezione di maggior rilievo consiste nella sostanziale inutilità di predicare un effetto risolutivo immediato come necessaria conse- guenza della proposizione della domanda di risoluzione: in tal senso, la distinzione tra natura costitutiva e natura dichiarativa del giudizio di risoluzione trascende nel sofismo concettuale11
, là dove non si consenta che l’effetto estintivo del vincolo contrattuale possa essere prodotto da un atto sostanziale non necessariamente bisognoso del successivo ac- certamento da parte del giudice.
In senso parimenti critico verso la tesi sopra esposta può rilevarsi che il presupposto dell’importanza dell’inadempimento non può essere certamente ritenuto ostativo all’efficacia risolutiva di un atto sostanzia- le espressivo della volontà di sciogliere il contratto, com’è dimostrato dalla consolidata applicazione sia dell’art. 1454 c.c. sia dell’art. 1385 c.c. In entrambi i casi, la giurisprudenza non dubita, invero, che la necessi- tà di valutare l’importanza dell’inadempimento al momento di esercizio del potere sostanziale di diffida o di recesso incidano sulla natura me- ramente dichiarativa della successiva pronuncia giudiziale12
.
2. Le tesi dottrinali favorevoli all’abbandono del modello giudiziale
di risoluzione per inadempimento
La dottrina, tuttavia, ha progressivamente accentuato l’attenzione verso il problema della natura giuridica della risoluzione per inadem- pimento e delle significative affinità con l’istituto del recesso nella pro- spettiva di una tendenziale convergenza sistematica e applicativa13
.
11
In questa linea muove l’autorevole critica di R.SACCO, I rimedi sinallagmatici, in Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno, vol. X, t. II, 3a
ed., Utet, Torino, 2004, p. 654, nt. 15, secondo cui «sul piano dogmatico, dire che l’effetto è prodotto dalla sen- tenza con retrotrazione, e dire che è prodotto dalla domanda purché segua la sen- tenza, significa formulare due espressioni fungibili».
12
La giurisprudenza ritiene applicabile il requisito della non scarsa importanza dell’inadempimento alla risoluzione per diffida ad adempiere a far tempo da Cass., sez. un., 28 giugno 1950, n. 1663, in Foro it., 1951, I, c. 835, con nota di CORTESI.
13
Particolarmente significativa, in questo senso, la ricerca CNR coordinata dal Prof. Giorgio De Nova, che ha condotto all’ampio volume Recesso e risoluzione nei
La prima significativa valorizzazione dell’efficacia sostanziale della dichiarazione stragiudiziale di risoluzione del contratto si rinviene nell’autorevole dottrina14
che attribuisce a tale dichiarazione l’effetto preclusivo della richiesta di adempimento, in conformità al disposto dell’art. 1453, secondo comma, c.c., che letteralmente subordina alla proposizione della domanda di risoluzione il divieto della successiva domanda di adempimento. Pur nella prospettiva della natura costitutiva del giudizio di risoluzione e ribadendo che «l’esercizio stragiudiziale del diritto di risoluzione non perfeziona, nel nostro diritto, la fattispecie ri- solutoria di cui all’art. 1453», si sottolinea, infatti, la contrarietà al prin- cipio di buona fede del comportamento del creditore, il quale – dopo aver stragiudizialmente esonerato il debitore dall’obbligo di eseguire la prestazione, imponendogli implicitamente l’obbligo di eventuale resti- tuzione della controprestazione ricevuta – «muti parere quante volte gli piaccia e agisca infine per l’adempimento»15
.
L’illustre Autore accentuerà in seguito l’esigenza di tutelare la parte debitrice, riconoscendo al debitore – salvo il caso di manifesta soprav- venuta inutilità della prestazione – il diritto di adempiere pur dopo la dichiarazione stragiudiziale di risoluzione, entro un termine congruo non inferiore a quindici giorni (in analogia al termine previsto dall’art. 1454 c.c.)16
. Ma, nel momento in cui si ammette che il diritto all’adem-
14
R.SACCO, I rimedi sinallagmatici, in R.SACCO-G.DE NOVA, Obbligazioni e con-
tratti, in Tratt. di dir. priv., diretto da P. Rescigno, vol. X, t. II, Utet, Torino, 1982, p.
520; successivamente, R. SACCO, in R.SACCO-G.DE NOVA, Il contratto, 2, t. II, Utet, Torino, 2004, p. 646 ss.
15
R.SACCO, in R.SACCO-G.DE NOVA,Tratt. Rescigno, cit., p. 520; in giurispru-
denza, si affermava, tuttavia, che «alla parte è preclusa la possibilità di chiedere l’adempimento del contratto solo ove la sua risoluzione sia stata richiesta in via giu- diziale e non anche ove la stessa sia stata domandata in via stragiudiziale» (Cass., 7 febbraio 1979, n. 837, in Mass. Giust. civ., 1979, 2).
16
R. SACCO, in R.SACCO-G.DE NOVA, Il contratto, cit., p. 648. Altra autorevole dottrina – nel condividere l’impostazione di Sacco – ha affermato che «leggere la domanda di risoluzione come diffida ad adempiere può avere un (...) apprezzabile senso pratico: attenua il rigore della preclusione a carico del convenuto, consenten- dogli di adempiere (e così salvare il contratto) anche dopo la domanda di risoluzio- ne, purché lo faccia entro un tempo non più lungo di quello corrispondente a un termine “congruo”. Ciò può suonare poco rispettoso dell’art. 1453, comma 3: ma è coerente con la massima giurisprudenziale secondo cui l’adempimento successivo alla domanda di risoluzione, pur non cancellando l’inadempimento verificatosi, può essere apprezzato dal giudice come fattore che lo riporta sotto la soglia della scarsa
importanza (il che significa ammettere un adempimento successivo alla domanda,
capace di evitare la risoluzione)»: V. ROPPO, Il contratto, in Tratt. dir. priv., diretto di G. Iudica-P. Zatti, 1a ed., Giuffrè, Milano, 2010, p. 912.
pimento tardivo possa essere esercitato anche dopo la proposizione del- la domanda giudiziale, sia pure per giungere ad attribuire natura “di- chiarativa” alla sentenza di risoluzione, si finisce con lo svalutare l’effi- cacia estintiva della dichiarazione sostanziale di risoluzione e con l’equiparare la domanda di risoluzione – come è stato rilevato in senso critico17
– a «un avvertimento ultimativo, al quale dovrebbero consegui- re gli effetti sostanziali di una diffida ad adempiere».
La più nitida presa di posizione in favore della natura automatica della risoluzione di cui all’art. 1453 c.c. si rinviene nella dottrina18
che – proprio muovendo dalla critica verso la sostanziale equiparazione tra la domanda giudiziale di risoluzione e la diffida ad adempiere – perviene alla conclusione per cui, in presenza di un inadempimento grave, l’atto stragiudiziale di risoluzione scioglie immediatamente il rapporto con- trattuale, operando alla medesima stregua di un recesso. A fondamento di tale conclusione si richiama principalmente l’orientamento giuri- sprudenziale affermato dalla Sezioni Unite19
, che attribuisce al con- traente fedele il diritto di rifiutare l’offerta tardiva dell’adempimento, per giungere alla condivisibile conclusione, per cui «se con il rifiuto il creditore si affranca dal vincolo contrattuale, a maggior ragione è legit- timato a farlo quando, in presenza di un inadempimento grave, manife- sta stragiudizialmente la volontà di risolvere il contratto»20
. Tale pun- tuale considerazione consente, pertanto, di sviluppare ulteriormente le pregresse tesi, già critiche verso la natura giudiziale della risoluzione, e di pervenire alla nitida affermazione secondo cui «in presenza di un inadempimento grave il contratto [può] essere risolto mediante un atto di recesso: tale è, infatti, la dichiarazione stragiudiziale unilaterale che scioglie il rapporto contrattuale con effetto immediato»21
.
17
C.CONSOLO, Il processo nella risoluzione per inadempimento, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 313, nt. 34.
18
M.DELLACASA,inM.DELLACASA-F.ADDIS, Inattuazione e risoluzione: i rimedi, in Tratt. contr., diretto da V. Roppo, vol. V, t. 2, Giuffrè, Milano, 2006, p. 171 ss.
19
Cass., sez. un., 6 giugno 1997, n. 5086, in Contratti, 1997, p. 40 ss., con nota di L.BARBIERA; Cass., sez. un., 9 luglio 1997 n. 6224, in Giust. civ., 1998, I, p. 825, con nota di L.PICARDI.
20
M.DELLACASA,Inattuazione e risoluzione: i rimedi, cit., p. 172.
21
3. Le critiche alla concezione «costitutiva» dell’azione di risoluzione Un’organica confutazione della natura costitutiva della risoluzione per inadempimento si rinviene, altresì, nell’opera di una studiosa del diritto processuale civile, che esamina la problematica nel contesto del più generale tema della natura dichiarativa di tutte le azioni di c.d. im- pugnativa negoziale, comprese, quindi, oltre all’azione di risoluzione, quelle di rescissione, di nullità e di annullamento22
.
Secondo questa tesi, la domanda giudiziale non costituisce requisito necessario per ottenere la liberazione dagli obblighi derivanti dal con- tratto, posto che l’inadempimento attribuisce al contraente fedele il di- ritto di provocare lo scioglimento del vincolo contrattuale senza impor- re l’onere dell’instaurazione di un processo e l’eventuale ricorso al giu- dice assume, dunque, la sola funzione di controllo successivo sulle con- dizioni dello scioglimento23
.
La ricostruzione del potere sostanziale di risoluzione muove, in pri- mo luogo, dalla constatazione di come l’exceptio inademplenti non est
adimplendum (art. 1460 c.c.) consenta di configurare, altresì, l’eccezione di risoluzione, intesa come potere del contraente, convenuto in giudizio
per l’adempimento, di liberarsi dal vincolo contrattuale facendo valere l’altrui inadempimento come fatto estintivo della contrapposta prete- sa24
. L’individuazione dell’eccezione di estinzione del rapporto contrat-
22
I.PAGNI, Le azioni di impugnativa negoziale. Contributo allo studio della tutela
costitutiva, Giuffrè, Milano, 1998. L’Autrice sviluppa ed amplia la prospettiva erme-
neutica delineata da A.PROTO PISANI, Appunti sulla tutela costitutiva, in Riv. dir.
proc., 1991, p. 78 ss., che conferma, negli scritti successivi, l’auspicio di una riforma
della disciplina delle impugnative contrattuale sul modello tedesco. Cfr. A.PROTO
PISANI, Profili processuali della riforma del diritto delle obbligazioni, in Riv. dir. civ., 2006, p. 549 ss.
23
I.PAGNI, Le azioni di impugnativa negoziale, cit., p. 305 ss.
24
Osserva I.PAGNI, Le azioni di impugnativa negoziale, cit., p. 305 ss.: «anche se il codice non ha previsto espressamente tale ipotesi c’è parso che non vi fossero ragio- ni per escluderne l’ammissibilità, né per costringere la parte, che voglia produrre l’estinzione dell’obbligo nascente dal contratto e fatto valere in giudizio dall’avver- sario, a proporre in via riconvenzionale la domanda giudiziale ex art. 1453 c.c. L’ec- cezione di risoluzione è stata costruita, dunque, come un’eccezione in senso stretto (quale l’exceptio inadempleti contractus) con la quale si fa valere lo stesso fatto posto ad oggetto di quest’ultima: l’inadempimento. E tuttavia, si è potuto cogliere una dif- ferenza tra le due situazioni sostanziali, che legittima la presenza di entrambe nel sistema e che è data dalla diversa direzione della manifestazione di volontà: mentre l’eccezione di inadempimento non implica disinteresse al conseguimento dell’altrui prestazione, con l’eccezione di risoluzione la parte manifesta la volontà di sciogliersi
tuale consente, da un lato, di svincolare il giudizio di risoluzione dal postulato del giudicato costitutivo e, dall’altro, di affermare che la sua proposizione produce la risoluzione del contratto nella stessa misura della domanda giudiziale, posto che l’efficacia dell’eccezione, nel caso della risoluzione, non si limita al singolo diritto dedotto in giudizio dall’attore, ma si estende all’intero rapporto contrattuale25
. L’eccezione di risoluzione consente, pertanto, di individuare un diritto potestativo di produrre lo scioglimento del contratto, ma da cui è consentito di in- ferire la possibilità di un esercizio stragiudiziale del diritto sostanziale di risoluzione.
L’indagine sopra descritta – pur rivolta a dimostrare la comune na- tura dichiarativa delle azioni di impugnativa negoziale (nullità, annul- lamento, rescissione e risoluzione) – presenta il pregevole merito di confutare e superare le obiezioni alla qualificazione sostanziale del po- tere di risoluzione del contratto dal punto di vista processuale. Le con- divisibili conclusioni meritano, peraltro, un’ulteriore disamina anche dal punto di vista sistematico, con particolare riferimento alle diverse fattispecie di risoluzione per inadempimento nella parte generale della disciplina del contratto, nonché in quella dei singoli contratti nel codice civile e nelle leggi speciali.
4. Il recesso per inadempimento ex art. 1385 c.c. nell’interpreta-
zione successiva all’entrata in vigore del Codice del ’42
Il più immediato riferimento sistematico relativo alla dichiarazione stragiudiziale di risoluzione non può che essere colto nella previsione normativa del recesso come reazione all’inadempimento del contratto ove le parti abbiano pattuito una caparra confirmatoria. Com’è noto, infatti, l’art. 1385 c.c. stabilisce che, in presenza di caparra confirmato- ria, l’inadempimento del contratto attribuisce alla parte fedele il diritto di recedere e di trattenere la caparra (ovvero di richiedere il doppio del-
dal contratto rinunciando all’adempimento dell’altro contraente. Nell’eccezione di risoluzione si ha cioè una trasformazione della funzione dilatoria dell’inadempimen- to nella funzione perentoria che produce il venire meno dell’obbligo».
25
Il principio della domanda (art. 99 c.p.c.). Deve combinarsi col problema dei rapporti giuridici complessi e delle conseguenze, sul piano dei limiti oggetti del giu- dicato, della loro deduzione frazionata nel processo: I. PAGNI, Le azioni di impugna-
tiva negoziale, cit., p. 646. Si veda, in tema, la fondamentale monografia di S. Men-
la caparra versata), in alternativa alla proposizione della domanda di risoluzione e di risarcimento del danno nelle forme ordinarie.
Negli anni successivi all’entrata in vigore del Codice del ’42 la dottrina più autorevole privilegiò un’interpretazione volta a sottolineare la linea di demarcazione tra la risoluzione del contratto in generale e l’istituto della caparra confirmatoria. Mentre della caparra si sottolineava, infatti, la funzione punitiva e risarcitoria, nonché di coazione indiretta all’adempi- mento, si tendeva a diversificarne i requisiti e la struttura rispetto alla ri- soluzione per inadempimento, negando, ad esempio, che l’imputabilità e la non scarsa importanza dell’inadempimento fossero presupposti neces- sari per esercitare il recesso dal rapporto contrattuale26
.
La sottovalutazione dottrinale dell’abbandono della modalità giudi- ziale di scioglimento del contratto e dell’adozione del recesso quale mo- dalità di reazione sostanziale all’inadempimento è conforme, peraltro,