GIUDIZI E PREGIUDIZI
2.9 Effetto framing
sistematicamente di controllare solo un tipo di previsione, andando a confermare ipotesi inadeguate. Se invece consideriamo l’interpretazione degli eventi, notiamo la tendenza ad attribuire scarsa importanza alle informazioni falsificanti e a costruire più frequentemente rappresentazioni mentali di eventi coerenti con le proprie aspettative. Nel complesso, l’azione di queste tendenze rende il sistema cognitivo piuttosto conservatore: gli individui che tendono a selezionare informazioni positive, attribuendo scarso peso alle informazioni falsificanti, sono soliti rafforzare la validità delle proprie convinzioni, anziché dubitarne. Inoltre, la tendenza alla conferma, contravviene alle norme della logica formale e della filosofia della scienza (Popper, 1959), che procedono attraverso processi di formulazione e falsificazione delle ipotesi.
2.9 Effetto framing
Per framing si intende il modo in cui una questione viene incorniciata in una determinata situazione. Il modo in cui le informazioni vengono presentate può influenzare molto la decisione da prendere. L’avversione alla perdita porta le persone a evitare il rischio di fronte ad alternative che presentano sia possibilità di guadagno che di perdita. Per spiegare meglio la descrizione di questo fenomeno riportiamo uno situazione descritta da Kahneman e Miller (1986). Simuliamo di poter decidere tra due opzioni e indichiamo quella preferita. Quesito 1: scegliete tra: A) un guadagno sicuro di 2.400$ B) 25% probabilità di guadagnare 10.000$ e un 75% di non guadagnare nulla Quesito 2: scegliete tra: C) una perdita sicura di 7.500$ D) un 75% di probabilità di perdere 10.000$ e un 25% di non perdere nulla. La maggior parte delle persone sceglie l’opzione A nel primo set di decisioni e l’opzione D nel secondo. A è la scelta avversa al rischio: il valore atteso dell’opzione B è (2.500$) (1/4 di probabilità di guadagnare 10.000$), solo di poco più alto del
valore di A (2.400$). Al contrario, rispetto alle due possibilità del secondo gruppo, l’opzione D non è certo quella avversa al rischio; tuttavia la maggior parte dei soggetti sottoposti alla presente intervista preferisce sfidare la sorte piuttosto che una perdita sicura. Ci troviamo di fronte alla cosiddetta avversione alla perdita certa, fenomeno sintetizzabile nell’avversione degli individui alla perdita, tale per cui anche una minima possibilità tiene vive le speranze. L’avversione alla perdita rappresenta uno dei cardini della teoria del prospetto elaborata da Kahneman e Tversky. Dall’esempio citato emerge chiaramente come, quando ci si trova in una condizione che presenta una perdita certa e una scommessa che offre prospettive di guadagno, la maggior parte delle persone sceglie l’azzardo.
A livello aziendale, l’avversione alla perdita determina nei responsabili una certa prudenza nel sopportare i rischi, anche se potrebbero produrre effetti positivi. La sensazione di perdere è percepita con maggiore intensità rispetto ai potenziali guadagni. L’avversione alla perdita certa definisce l’avversione a correre un rischio fatta nella speranza di ribaltare le probabilità di insuccesso o perlomeno di andare in pari. In un team di sviluppo software, la situazione tipica è rappresentata dalla tendenza a rifare le diverse soluzioni software per aggiornarle dal punto di vista tecnologico. Se durante una fase valutativa i responsabili hanno assunto una decisione sovrastimando i ritorni futuri, ben presto si troveranno davanti alla decisione se proseguire con quel progetto o abbandonarlo. La resistenza ad abbandonare un progetto fallimentare è causata in primis dall’avversione alla perdita certa, infatti, i responsabili che hanno fatto la scelta preferiranno continuare il progetto per andare almeno in pari con i costi dell’investimento. Gli individui sono, infatti, disposti a correre rischi nel momento in cui si prospetta una perdita certa, e tendono a non voler ammettere il loro errore. 2.10 Effetto dotazione e default Il fenomeno dell’effetto dote (endowment effect), originariamente scoperto da Thaler (1980) e documentato da una serie di esperimenti mostra che le persone risentono dell’effetto dotazione: perché provano più dispiacere quando devono
separarsi da oggetti di cui sono in possesso di quanto piacere arrechi loro acquisire gli stessi oggetti. Si tratta di un’anomalia di notevole rilevanza, in quanto fa dipendere le preferenze degli individui dalle dotazioni iniziali per cui un bene A può essere preferito ad un bene B quando A fa parte della sua dotazione iniziale, e B può essere preferito ad A se questa volta è B a far parte della sua dotazione iniziale. Si producono così curve di indifferenze che si intersecano, violando uno dei cardini della microeconomica dei manuali (Kahneman, Knetsch, Thaler, 1991).
L’effetto dotazione implica inoltre un certo conservatorismo delle scelte, per esempio la tendenza a ribadire la scelta di una particolare tecnologia o di uno specifico linguaggio di programmazione piuttosto che impegnarsi in una nuova decisione. Detto questo, le persone tendono ad attribuire un valore più alto a quanto già in loro possesso, allora le decisioni di cambiare diventano più difficili e meno frequenti.
L’effetto dotazione è connesso a un altro fenomeno diffuso e di notevole interesse: la propensione a privilegiare lo stato in cui già ci si trova. Gli esperimenti di Kahneman, Knetsch e Thaler (1991) mostrano la tendenza a protrarre lo status quo più del dovuto, nel timore che gli svantaggi che si otterrebbero abbandonandolo possano essere maggiori dei vantaggi. A guidare le scelte della maggior parte delle persone non è un più o meno stabile sistema di preferenze, bensì la loro propensione allo status quo. Una possibile spiegazione è che decidere richiede uno sforzo cognitivo, dobbiamo indagare su ciò che davvero preferiamo, valutare le diverse possibilità, confrontare i pro e i contro delle conseguenze delle varie alternative (Motterlini, Guala, 2015).
2.11 Effetto gruppo e debiasing
Un effetto interessante nell’ambito delle distorsioni comportamentali dei manager è determinato dal comportamento del team, che può mitigare o amplifica gli errori cognitivi ai quali gli individui sono inclini. Non di rado accade che le decisioni dei manager siano assunte in gruppo. Per chiarire la portata dell’effetto gruppo sulla presa di decisione riportiamo uno studio sperimentale condotto da White (1993):