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I risultati esposti in questo paragrafo riportano come l’effetto della varianza (Total Variance Effect; TVE) sulla biomassa del biofilm si comporta al variare della covarianza tra temperatura e deposizione di sedimento. La Fig.14 mostra l’effetto della varianza, che esprime in termini percentuali la biomassa osservata in condizioni variabili in proporzione alla biomassa ottenuta in condizioni costanti per gli stessi valori medi di deposizione di sedimento e innalzamento di temperatura. Per valori di sedimento di 5 mm, il TVE varia da valori negativi a valori positivi all’aumentare del T. Questo andamento risulta invertito per il livello +10 mm di deposizione di sedimento, in cui l’effetto della varianza passa da valori negativi a valori positivi all’aumentare della temperatura. Nel caso di un’elevata deposizione di sedimento (+15 mm), l’effetto della varianza assume valori positivi per tutto l’intervallo di T per valori di covarianza negativi (<0,1). Al contrario, per valori di covarianza positivi l’effetto della varianza assume, per la maggior parte degli scenari generati, valori negativi.

L’effetto della covarianza, espresso come la modificazione dell’effetto varianza ad opera della covarianza, è maggiore per valori elevati di T e elevata deposizione di sedimento (Fig.14, ultimo pannello). In particolare, in questo scenario l’effetto della covarianza diviene maggiore all’aumentare della temperatura. Inoltre, per il livello di deposizione di sedimento +5 mm i valori di covarianza risultano positivamente correlati con valori TVE. Quindi, a seconda dei livelli di deposizione di sedimento e innalzamento di temperatura (T ), la covarianza non solo è in grado di modulare l’entità dell’effetto della varianza, ma anche il suo segno (positivo o negativo). L’intervallo di temperature in cui avviene l’inversione è determinato dal livello di deposizione di sedimento.

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Figura 14. Effetto totale della varianza. Nei tre pannelli è rappresentato l’effetto della varianza (%, asse y) generato dalle simulazioni a partire dalla SR della biomassa, per i tre livelli sperimentali di trattamento col sedimento (5 mm, 10 mm, 15 mm, titolo del grafico) e per i diversi livelli di covarianza in funzione della simulazione del riscaldamento (T: +0°C/+20°C, asse x). L’effetto della co-varianza, rappresentato dall’ampiezza del fascio di linee (freccia bifronte nera), è stato ottenuto, per ciascun valore di T come il modulo della differenza dell’effetto della varianza nello scenario di covarianza negativa (-1) e l’effetto della varianza nello scenario di covarianza positiva (+1). Per quel che riguarda i pannelli superiori, gli assi sono stati riscalati in ciascun pannello in modo da facilitarne l’interpretazione dei risultati.

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4 Discussione

Il nostro studio ha evidenziato che la covarianza può sia influenzare la biomassa del biofilm che modulare il grado in cui la variabilità (nella deposizione di sedimento e l’innalzamento di temperatura) incide sulla biomassa del biofilm. Inoltre, nello scenario di elevata deposizione di sedimento (15 mm), la biomassa diminuisce linearmente con l’aumentare della covarianza, e tale effetto diviene progressivamente più negativo all’aumentare dell’innalzamento della temperatura. La coincidenza di eventi estremi di temperatura (T > 15°C) con eventi intensi di deposizione di sedimento (covarianza positiva), può quindi ridurre, fino a portare al collasso, la biomassa del biofilm. L’importanza del grado di aggregazione di eventi estremi di temperatura e deposizione di sedimento sul biofilm di costa rocciosa è stata evidenziata da un precedente studio sperimentale (Dal Bello et al. 2017). In tale studio è emerso che la concomitanza temporale di due eventi estremi era maggiormente impattante per il biofilm rispetto allo scenario in cui gli eventi erano separati da un lungo intervallo di tempo. Quindi i risultati di questo studio sottolineano l’importanza della covarianza nel determinare e modificare le modalità di distribuzione degli organismi.

Le simulazioni evidenziano inoltre come l’effetto della covarianza contribuisca fino al 160% nella differenza dell’entità dell’effetto della varianza (Fig.14). Per un dato valore medio di temperatura (T) e spessore del sedimento, la direzione e l’intensità dell’effetto della varianza vengono influenzati tanto dalla curvatura della superfice di risposta (Fig.10a) che dalla sua concavità o convessità (Ruel and Ayres 1999, Martin and Huey 2008). Il marcato effetto negativo della varianza è emerso a elevati valori del  di temperatura e spessore del sedimento (Fig.14; T > 13°C, 10 mm e 15 mm), dove il grado di curvatura e la concavità della superfice di risposta è massimo (soprattutto sull’asse del T). L’effetto negativo della varianza si manifesta anche a bassi valori di innalzamento di temperatura e deposizione di sedimento dove la superfice di risposta mostra un moderato grado di concavità lungo l’asse della temperatura. Al contrario, per valori intermedi del  di temperatura (T = 8°C), la superfice di risposta è convessa lungo l’asse della temperatura ma diviene mano a mano

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concava all’aumentare della deposizione di sedimento. Questo cambiamento nella curvatura della superfice lungo l’asse dello spessore del sedimento causa l’inversione dell’effetto della varianza, che per bassi valori di T passa da valori negativi a valori positivi e che al contrario, per elevati valori di T, passa da valori positivi a valori negativi.

In ecologia è stato ampiamente studiato l’effetto esercitato da sorgenti multiple di stress sugli ecosistemi e sulla biodiversità (a.e. per il phytoplankton riscaldamento ed acidificazione [Benner et al. 2013, Schlüter et al. 2014], acidificazione e nutrienti [Lefebvre et al. 2012], o altre combinazioni di stressors [Boyd et al. 2015]). Dal punto di vista concettuale, gli organismi soggetti all’azione di più variabili possono esibire tre tipi di risposte: additiva, antagonista o sinergica (Todgham and Stillman 2013). Un effetto additivo è quello, ad esempio, del corallo biocostruttore Porite panamensis (Verril), il quale, se soggetto separatamente a temperature elevate e pH ridotto, subisce una decrescita della massa dei singoli polipi del 21% e 24% rispettivamente, mentre in concomitanza dei due fattori del 45% (Anlauf et al. 2011). In questo caso la somma dell’effetto dei singoli stressors è uguale all’effetto complessivo dei due stressors combinati. Gli effetti antagonisti sono ad esempio quelli che Rautenberger and Bischof (2006) hanno riscontrato nel loro studio sulla macroalga antartica Ulva bulbosa (Linnè), la quale, a fronte di un aumento della radiazione UV inibisce la fotosintesi, riducendo l’efficienza fotosintetica del 17%. Questa inibizione, tuttavia, scompare in presenza di un innalzamento della temperatura (Rautenberger and Bischof 2006). In questo modo l’effetto combinato degli stressors è minore della somma dell’effetto degli stressors presi singolarmente. Infine, un effetto sinergico è ad esempio quello per cui l’aumento dell’acidità dell’acqua riduce il successo della fecondazione in Acropora tenuis (Dana) di circa il 7%, mentre l’aumento della temperatura lo riduce del 15%. Nonostante ciò, la sinergicità tra i due effetti emerge a partire dal fatto che la compresenza dei due stress riduce il successo della fecondazione del 39% (Albright and Mason 2013). In questi casi l’effetto combinato è maggiore della somma dell’effetto isolato dei singoli stressors.

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Le simulazioni evidenziano inoltre come l’effetto della covarianza vari sia in funzione dell’innalzamento di temperatura che della deposizione di sedimento (Fig.13). L’effetto della covarianza emerge quando temperatura e sedimento agiscono in maniera non additiva su una specifica variabile risposta (Chesson et al. 2005). Nel nostro modello, il marcato effetto negativo sulla biomassa della covarianza è emerso a elevati valori dello spessore del sedimento (Fig.13): ciò suggerisce che temperatura e deposizione di sedimento agiscono in modo super-additivo, mentre per valori inferiori di spessore di sedimento, dove l’effetto della covarianza è nullo o positivo, i due fattori agiscono in maniera additiva o perfino sub-additiva.

Il modello qui sopra presentato (superficie di risposta; Tab.4 e Fig.10) è di natura fenomenologica, che a differenza di quelli meccanicistici, non incorpora specifiche equazioni che modellizzano in maniera esplicita i meccanismi che governano le dinamiche del sistema di studio (nel nostro caso l’innalzamento della temperatura e la deposizione di sedimento) (Frigg and Hartmann 2017). Mentre la relazione tra biomassa del biofilm e temperatura (Thermal performance curve) è stata derivata da un precedente studio (Dal Bello et al., submitted), la relazione tra deposizione di sedimento e biomassa non era stata mai descritta prima. La relazione, quindi, tra queste due variabili è stata modellizzata mediante l’utilizzo di modelli (GAM) che non impongono la conoscenza della relazione tra variabile dipendente e predittori. Questo aspetto aumenta la cautela con cui devono essere interpretate le previsioni provenienti da modelli che non incorporano esplicitamente i meccanismi che governano il sistema di studio (Koussoroplis and Wacker 2016).

Il nostro studio ha evidenziato un effetto negativo dell’innalzamento della temperatura e della deposizione di sedimento sul biofilm di costa rocciosa. Dal Bello et al. (2017) avevano riscontrato una diminuzione di circa il 50% della biomassa del biofilm in seguito all’applicazione di trattamenti estremi di innalzamento della temperatura e deposizione di sedimento. Due meccanismi fisiologici potrebbero spiegare la risposta del biofilm all’innalzamento della temperatura osservata nel nostro studio. In primo luogo, lo stress termico può causare morte cellulare disorganizzando la struttura

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proteica della phycocianina, un pigmento fotorecettore, fenomeno descritto proprio per i cianobatteri (Nakamoto et al. 2000), o perfino i complessi molecolari nelle membrane dei cloroplasti (Armond et al. 1980) o dei tilacoidi (Sharkey 2005). Sebbene una risposta agli shock termici, simile a quella degli eucarioti per mezzo dell’espressione ed all’accumulo di Heat Shock Proteins (HSP), conferisca una maggior tolleranza alle alte temperature alle cellule procariote, il tasso di sopravvivenza può ridursi drammaticamente (Warner et al. 1996, Nakamoto et al. 2000). Secondariamente, il riscaldamento può anche causare uno stress osmotico. Episodi di idratazione/disidratazione associati con il ciclo mareale e l’esposizione ad elevate temperature dell’aria possono causare la lisi cellulare ed una conseguente riduzione della biomassa del biofilm.

Numerosi studi evidenziano come l’erbivoria da parte delle littorine, nella fascia più alta dell’intertidale roccioso, possa avere un ruolo significativo nel guidare le modalità di distribuzioni spazio-temporale del biofilm (Mak and Williams 1999, Skov et al. 2010, Dal Bello et al. 2017). In alcuni casi, gli effetti di questo fenomeno si riscontrano solo in aree ristrette intorno agli aggregati di littorine (Inghilterra nord orientale, Stafford & Davies 2005) formando aloni ben visibili (Skov et al. 2011). Questo fenomeno tuttavia non ha interessato il nostro studio, in quanto le littorine erano virtualmente assenti durante tutta la durata dell’esperimento. Il numero e il pascolo da parte di M. neritoides è maggiore durante il periodo autunno-invernale, cioè quando le mareggiate e la maggiore piovosità creano condizioni ideali e termicamente meno stressanti per lo svolgimento dell’attività di pascolo (Dal Bello et al. 2017). Il sedimento può limitare l’azione di foraggiamento delle littorine impendendo il loro l’accesso nelle porzioni di costa in cui esso si deposita e le stesse aree, che a causa della loro conformazione (con depressioni e avvallamenti) favoriscono l’accumulo si sedimento, possono favorire l’accumulo delle littorine (fornendo loro riparo e una maggiore umettazione), generando quindi una covarianza negativa o positiva tra littorine-sedimento. Il passo successivo sarà l’inclusione dell’erbivoria come fattore negli esperimenti che investigheranno gli effetti della covarianza sul biofilm di costa rocciosa.

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L’accumulo di sedimento può ridurre drasticamente la quantità di radiazione luminosa utilizzata dal biofilm per il processo fotosintetico. È stato infatti osservato che la radiazione luminosa utile al processo fotosintetico riesce a penetrare solo all’interno dei primi 2 millimetri dello strato sabbioso (Jesus et al. 2006). Tuttavia, la riduzione o la completa terminazione dell’attività fotosintetica non è l’unico effetto che può essere causato dalla deposizione di sedimento. In assenza di radiazione luminosa, infatti, rimangono comunque attivi i processi di respirazione cellulare, che si interrompono solo in caso di formazione di strati anossici nella parte inferiore del sedimento. Come conseguenza secondaria dei processi di respirazione, in assenza di fotosintesi (la quale permette il riassorbimento della CO2) si può assistere all’acidificazione dell’ambiente tanto intra che extra cellulare (abbassamento del pH) (Vogel 2015, Vogel et al. 2015). La sensibilità del biofilm mediterraneo di costa rocciosa alle variazioni di pH è stata riportata anche da Taylor et al. (2014), che hanno osservato come i popolamenti batterici intertidali si modificassero in seguito all’esposizione ad acqua di mare con differenti parametri chimici. Infine, nel caso di prolungato ricoprimento, il complesso fotosintetico si modifica in funzione delle condizioni della luce ambientale. Un repentino passaggio da condizioni di buio o ridotta illuminazione a quelle di pieno sole, magari a causa di un onda che improvvisamente rimuove lo strato di sedimento, potrebbe potenzialmente comportare dei danni al complesso fotosintetico a cui avrebbe chiaramente un costo metabolico ovviare (Takahashi and Badger 2011). Larson and Sundbäck (2012) hanno osservato, dopo una settimana, una diminuzione del 75% della biomassa microalgale totale (misurata come concentrazione di clorofilla a) in seguito all’accumulo di sedimento, ed effetti di maggiore durata (7 settimane) rispetto a quelli causati da altre fonti di disturbo. A conferma di ciò Alsterberg et al. (2007) hanno riscontrato che gli effetti dei biocidi antifouling possono durare meno di 10 giorni sul biofilm. La deposizione di sedimento può avere degli effetti positivi sul biofilm di costa rocciosa. Ad esempio, il sedimento potrebbe contenere nutrienti (PO4, NO2 e NO3) che potrebbero diffondere all’interno della matrice extracellulare ed essere utilizzati dalle cellule batteriche. Effetti controversi,

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invece, li hanno le modificazioni delle dinamiche di disseccamento e stress osmotico da ricoprimento causati dal materiale colloidale prodotto dalla commistione tra pioggia e sedimento. Da un lato, questo strato protegge certamente dal sole e dalle alte temperature, che come visto in Dal Bello et al. (2017) possono causare stress osmotico e lisi cellulare; dall’altro lato l’acqua piovana è povera di sali disciolti, modificando la pressione osmotica a cui sono adattate le membrane cellulari esposte all’acqua marina (ricca invece di sali disciolti).

Come premesso, tuttavia, il test di queste ipotesi di natura meccanicistica non può avvenire a partire dalla costruzione di una superfice di risposta fenomenologica. La costruzione di una superfice di risposta ha infatti permesso di ottenere previsioni, sull’effetto di diversi scenari di covarianza sedimento-temperatura sulle performance del biofilm, senza affrontare la natura ed i nessi di causalità tra i diversi meccanismi eco-fisiologici. Per poter avere una visione meccanicistica del problema, infatti, occorrerebbero ulteriori studi sperimentali ed una più approfondita conoscenza del biofilm di Calafuria – tanto in assenza di disturbo che in seguito ad esso – sia nella sua composizione quantitativa e qualitativa in specie (fisiologia) che nelle relazioni ecologiche che sussistono tra le singole cellule (ecologia). Inoltre, l’approccio utilizzato in questo lavoro rispetto al biofilm, pensato ontologicamente come una sorta di black box (Cauer 1942, Bunge 1963, Bertalanffy 1969), non facilita la formulazione ed il test di ipotesi (Popper 1935) di natura meccanicistica sui processi ecofisiologici interni, fatto in netta contraddizione con l’approccio, per l’appunto meccanicistico, utilizzato (ad esempio su D. magna [Koussoroplis and Wacker 2016]) e teorizzato (Koussoroplis et al. 2017) per la Scale Transition Theory. Pertanto l’integrazione e lo sviluppo di modelli meccanicistici che incorporino esplicitamente i meccanismi che guidano le dinamiche del biofilm è un elemento importante che permetterà di generare previsioni più accurate sugli effetti della covarianza. Eppure, dato che il nostro approccio sperimentale si è basato su un modello fenomenologico e non meccanicistico, l’integrazione del nostro approccio sperimentale, con quello modellistico-teorico della ST Theory, non è affatto scontata e priva di problematicità.

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Questo lavoro di tesi, in conclusione, rappresenta quindi solo un primo elemento di un programma di ricerca ben più ampio. Attraverso la costruzione del GAM ci siamo infatti dotati di un modello matematico in grado di fare predizioni riguardo all’effetto che una determinata condizione sperimentale può avere sul biofilm (in termini di biomassa). Se infatti applicare il quadro concettuale da noi utilizzato in esperimenti in laboratorio è già stato fatto (Koussoroplis and Wacker 2016, Koussoroplis et al. 2017), utilizzarlo per testare ipotesi o generare predizioni in contesti più complessi impone ancora un certo grado di sfida che, una volta superata, potrebbe aprire nuove prospettive di sviluppo.

A rendere difficile lo studio delle relazioni di covarianza (a.e. la covarianza negativa che si osserva a Calafuria tra sedimento e temperatura) concorre il fatto che esse si instaurano in natura tra diverse variabili ambientali, sono estremamente diversificate e dipendono strettamente dai fattori considerati (Boyd et al. 2015, Gunderson et al. 2016). Mentre per alcune combinazioni di variabili prevale solo una direzione della covarianza (a.e. la covarianza positiva tra la temperatura e l’intensità delle alluvioni), in altre il senso e la magnitudo della covarianza può variare tra habitats, scale o stagioni in molte altre direzioni (Gunderson et al. 2016). Quindi, sebbene comprendere i dettagli meccanicistici della performance fisiologica degli organismi sembrerebbe aumentare considerevolmente la nostra capacità di predire ed anticipare gli effetti del cambiamento globale alla scala dei popolamenti (Helmuth et al. 2005), ancora molta strada resta da percorrere. In conclusione, questo lavoro di tesi si inserisce in un ambito di ricerca più ampio il quale prevede, come passo successivo, l’allestimento di un esperimento sul campo volto a testare le previsioni generate dal modello.

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