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Effetti delle variazioni di temperatura e sedimento sul biofilm di costa rocciosa

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Biologia

Corso di Laurea Magistrale in Biologia Marina

Effetti delle variazioni di temperatura e sedimento sul biofilm

di costa rocciosa

Relatori: Candidato: Prof. Lisandro Benedetti-Cecchi Lorenzo Buccio Dr. Luca Rindi

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Sommario

1. Introduzione ... 4 1.1 Il cambiamento climatico ... 4 1.2 La variabilità ambientale ... 8 1.3 Teoria e concetti ... 10

1.3.1 Variabilità ambientale e non linearità nella risposta degli organismi alle condizioni ambientali ... 10

1.3.2 Prevedere la risposta degli organismi alla variabilità ambientale ... 12

1.4 Scopo della tesi ... 15

2 Materiali e metodi ... 17

2.1 Sito di studio ... 17

2.2 Il Sistema di studio: il biofilm di costa rocciosa ... 19

2.3. Disegno sperimentale ... 20

2.4 Raccolta dei dati ... 23

2.5 Analisi dei dati... 27

2.5.1 Superfici di risposta ... 27

2.5.2 Simulazioni ... 28

3 Risultati ... 31

3.1 Incremento della temperatura e deposizione di sedimento ... 31

3.3 Superfici di risposta ... 34

3.4 Effetti della covarianza sul biofilm di costa rocciosa... 38

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4 Discussione ... 42 5 Riferimenti ... 49

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1. Introduzione

1.1 Il cambiamento climatico

Gli ecosistemi sono costantemente influenzati dal cambiamento climatico, o climate change (Southward et al. 1995, Hawkins et al. 2003, Parmesan and Yohe 2003). Generalmente i popolamenti animali e vegetali subiscono delle modificazioni a causa delle attività antropiche dell’uomo, quali: l’overfishing (Kaiser et al. 2007), l’inquinamento (Terlizzi et al. 2005), il turismo e le attività ricreative legate ad esso (Gray 1997; Agardi et al. 2005) e l’urbanizzazione (Airoldi and Beck 2007). A tali processi locali si sovrappongono le modificazioni delle variabili climatiche su larga scala, quali l’acidificazione degli oceani e l’aumento della temperatura, le quali possono dar luogo a conseguenze impreviste per gli ecosistemi (Hawkins et al. 2009).

Secondo l’IPCC (International Panel on Climate Change) questi fenomeni è previsto che si potrebbero intensificare nel futuro prossimo (Griggs and Noguer 2002, Stainforth et al. 2005). Ciò avverrebbe perché, nell’influire sulle modificazioni climatiche, avrebbe un ruolo anche l’aumento della concentrazione dei gas serra causato dalle attività antropiche (Helmuth et al. 2006b). L’innalzamento della temperatura media, ad esempio, avrebbe causato lo spostamento verso il limite nord dell’areale di distribuzione specie bentoniche intertidali (Helmuth et al. 2006b). Comprendere e prevedere l’impatto del cambiamento climatico sugli ecosistemi rappresenta un’importante sfida nei campi dell’ecologia e della biologia conservazionistica (Root and Schneider 1995, McCarty 2001, Parmesan and Galbraith 2004, Wiens and Graham 2005).

Oltre ad una modificazione nel valor medio delle variabili ambientali, i modelli climatici prevedono cambiamenti nel regime delle fluttuazioni di tali variabili sia periodiche (es. stagionali) che stocastiche, e un conseguente aumento della probabilità che si verifichino eventi estremi come tempeste, alluvioni, ondate di calore, periodi di siccità (Moghaddam and Perreault 1992, Smith and Buddemeier 1992). Un evento climatico estremo può essere considerato come un evento climatico

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inusuale, o statisticamente raro, in grado di alterare le funzioni e/o la struttura di un ecosistema in un modo ben al di fuori di ciò che è considerato tipico o inquadrabile nella normale variabilità (Smith 2011).

L’aumento della probabilità di accadimento degli eventi estremi può avvenire come conseguenza della modificazione della media o della varianza nella distribuzione di frequenza della variabile presa in esame. Consideriamo che una variabile X (es. la temperatura) segua una distribuzione normale con media (𝜇) e deviazione standard (𝜎). Possiamo rappresentare graficamente la distribuzione di frequenza normale della variabile climatica X (Meehl et al. 2000) e valutare come le modificazioni della media e della varianza della distribuzione di frequenza di una variabile X comportino un aumento della probabilità che si possano verificare eventi estremi (Fig.1).

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Figura 1. Effetti delle modificazioni di media e/o varianza nella distribuzione di frequenza di una variabile X rispetto alla probabilità di accadimento degli eventi estremi. Il pannello a rappresenta cosa accade ad una distribuzione di frequenza al variare della media; il pannello b cosa accade al variare della deviazione standard e il c cosa accade al variare della media e deviazione standard. La curva continua rappresenta la distribuzione di frequenza di un ipotetico fenomeno variabile X. La zona ombreggiata rappresenta l’area sottesa alla distribuzione di frequenza che si trova oltre il percentile (linea tratteggiata) scelto arbitrariamente per classificare gli eventi estremi in base alla loro frequenza (sd esempio il 99).Tratto da Meehl et al. (2000).

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L’aumento medio dell’intensità di una variabile può causare una traslazione della distribuzione di frequenza, la quale comporterà un aumento dell’area di una coda della distribuzione (area ombreggiata) e la diminuzione dell’area della coda opposta (Fig.1a). A seguito di tale modificazione, gli eventi di maggiore intensità (lato dx della distribuzione) avranno una maggiore probabilità di accadimento, contrariamente a quelli di minore intensità (lato sx della distribuzione) che avranno una minore probabilità di verificarsi. È importante osservare come la frequenza degli eventi estremi cambi in modo non lineare con il modificarsi della media della distribuzione. Questo perché un piccolo cambiamento nella media della distribuzione può comportare una grande modificazione nella frequenza di tali fenomeni (Mearns et al. 1984).

Al contrario, modificazioni della deviazione standard della distribuzione di frequenza comportano modificazioni nella frequenza degli eventi estremi in maniera simmetrica ad entrambi i lati della distribuzione (Fig.1b). Ciò può modificare il valore dell’area sottesa alla curva, posta oltre alle soglie arbitrariamente scelte per identificare gli eventi estremi, in maniera più drastica che la sola modificazione della media, avendo quindi un effetto notevole sulla frequenza finale degli eventi estremi (Katz and Brown 1992). La modificazione simultanea della media e della deviazione standard può portare, invece, ad alterazioni della forma della distribuzione che modificano in molteplici modi la frequenza degli eventi estremi (Fig.1c).

Numerosi studi correlativi forniscono l’evidenza che eventi climatici estremi possano avere un impatto ad ogni livello dell’organizzazione biologica, dal piano metabolico di un singolo individuo ad un intero ecosistema (Parmesan 2000). Ad esempio, l’ondata di calore che ha colpito l’Australia nel 2016 ha causato non solo la trasformazione della struttura spaziale dimensionale della barriera corallina, per la morte di alcuni taxa di coralli più sensibili allo stress provocato dal calore, ma anche la modificazione del funzionamento ecologico di circa il 29% dei 3863 reefs che compongo il più grande sistema corallino del mondo (Hughes et al. 2018). Similmente, nel Mar Mediterraneo, a causa di ondate di calore si sono verificate diverse morie di massa transfiletiche che hanno interessato le

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comunità coralligene, in particolar modo quelle di poriferi e gorgoniacei (Cerrano et al. 2000, Garrabou et al. 2009, Bavestrello et al. 2016, Bertolino et al. 2016).

1.2 La variabilità ambientale

Nonostante l’importanza della variabilità ambientale nell’influenzare le modalità di distribuzione degli organismi, molti ricercatori indagarono i meccanismi ecologici tenendo solo in considerazione che ad una modificazione della varianza corrispondesse sempre anche una modificazione del valore medio (Hanski 1987, Hurlbert 1990, McArdle et al. 1990, Perry and Woiwod 1992, Gaston and Mcardle 1993, McArdle and Gaston 1993). Furono solo in pochi a pensare alla varianza delle variabili ambientali come indipendente dal modificarsi del loro valor medio, attribuendo quindi alla varianza di un fenomeno un ruolo centrale nei processi ecologici (Butler 1989, Benedetti-Cecchi 2001).

Oggi vi è una maggiore confidenza riguardo al fatto che i descrittori dell’eterogeneità naturale, come anche la variabilità delle condizioni ambientali, siano in grado di spiegare molti importanti fenomeni ecologici (Benedetti-Cecchi 2003, Benedetti-Cecchi et al. 2006). Per esempio oggi è comunemente accettato, all’interno della comunità scientifica, che per predire l’impatto della variabilità fitochimica delle piante sugli erbivori (Underwood 2004, Hood and Sterner 2010, Wetzel et al. 2016), o per stimare l’effetto dell’aumento della variazione termica sugli ectotermi (Paaijmans et al. 2010, Estay et al. 2014, Vasseur et al. 2014), sia essenziale capire come la varianza influenzi la performance fisiologica degli organismi studiati. Infatti, in natura, la norma è la variabilità piuttosto che l’omogeneità e la costanza: l’ambiente naturale è estremamente eterogeneo a diverse scale spaziali e temporali.

La variabilità ambientale può essere quindi percepita, ad esempio, a livello di popolazione dal momento che individui o gruppi di individui percepiscono differenti valori di un fattore limitante a seconda della propria posizione nell’ambiente. In ogni modo, spesso, variazioni di un fattore limitante possono essere percepite anche a livello individuale, in quanto lo stesso individuo può andare incontro a variazioni repentine delle condizioni ambientali all’interno del proprio ciclo vitale. L’effetto della

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variabilità ambientale (ad esempio la variabilità della temperatura, della luce, del pH, della concentrazione di ossigeno, della qualità e quantità del nutrimento) sulla performance fisiologica andrebbe quindi analizzato alle scale spaziali e/o temporali rilevanti per i singoli individui (Potter et al. 2013). Questa variabilità può essere spaziale (ad esempio gli spostamenti all’interno di un’area termicamente eterogenea) e/o temporale (ad esempio una fluttuazione circadiana della temperatura). Nel coralligeno mediterraneo, per esempio, spostandosi di pochi centimetri nello spazio, a causa dell’articolazione tridimensionale della biocostruzione, tanto la luminosità che la turbolenza dell’acqua possono variare la loro intensità fino a due ordini di grandezza (Ballesteros 2006), similmente a quanto accade spostandosi dalla lamina superiore a quella inferiore di una foglia esposta alla luce solare: anche per questo motivo la micro-variabilità ambientale è un fattore importante da studiare in ambito ecologico (Pincebourde and Suppo 2016, Pincebourde et al. 2016). In un breve arco di tempo il phytoplankton può trovarsi a vivere da una condizione di quasi totale oscurità ad una di completa luminosità (Ruel and Ayres 1999, Litchman 2000, Retkute et al. 2015). Infine, la quantità e la qualità del cibo (nutrienti essenziali, metaboliti secondari) utilizzato dai consumatori può altresì essere estremamente variabile (Park et al. 2004, Simpson and Raubenheimer 2012). Perfino i consumatori che foraggiano da una singola pianta possono doversi confrontare con sostanziali variazioni delle qualità nutritive del loro cibo (Orians and Jones 2001).

Fino ad oggi, tuttavia, gli studi sulla variabilità hanno principalmente considerato un singolo fattore ambientale, ed in maniera approfondita solo la temperatura, largamente tralasciando il fatto che la performance degli organismi può essere simultaneamente co-limitata da diversi fattori. In questo caso, la co-limitazione è definita in senso più ampio, cioè quando la combinazione di simultanei o consequenziali cambiamenti di fattori biotici e/o abiotici ha un differente effetto sulla performance dell’organismo (ad esempio sui tassi vitali quali la crescita, la velocità di maturazione sessuale, la fertilità, la sopravvivenza) rispetto che l’effetto provocato singolarmente da ogni fattore. Effetti della co-limitazione sono stati osservati nelle piante tra la luce e la temperatura (Edwards et

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al. 2016) e tra la temperatura ed i nutrienti (Cross et al. 2015), mentre in altri autotrofi e negli eterotrofi per diverse combinazioni di nutrienti (Harpole et al. 2011, Sperfeld et al. 2016). La co-limitazione della performance fisiologica non coinvolge necessariamente due distinti fattori (come la luce e la temperatura), ma può anche prodursi a partire dallo stesso fattore in differenti contesti. Ad esempio, la temperatura durante la sommersione e l’emersione degli organismi intertidali (Pincebourde et al. 2008, 2012).

Sorprendentemente, la co-limitazione può avere luogo anche tra un fattore fluttuante e la scala temporale, quale fattore co-limitante, delle sue fluttuazioni (Kingsolver and Woods 2016). Nonostante emergano sempre un numero crescente di evidenze sperimentali sull’importanza della co-limitazione sulla performance fisiologica degli organismi, un quadro concettuale su come gli organismi vengano influenzati dalla variabilità ambientale per mezzo dei loro fattori co-limitanti è ancora mancante (Gunderson et al. 2016). Eppure, questo quadro concettuale è essenziale per affrontare il pressante problema di quali possano essere gli effetti sulle trasformazioni ecologiche di driver multipli (Darling and Côté 2008, Jackson et al. 2016).

1.3 Teoria e concetti

1.3.1 Variabilità ambientale e non linearità nella risposta degli organismi alle condizioni ambientali

Le fluttuazioni delle condizioni ambientali, quali ad esempio la temperatura e la quantità di radiazione solare, sono ubiquitarie in natura. Queste fluttuazioni possono influenzare i cambiamenti dei processi vitali all’interno dei singoli individui (a.e. metabolismo cellulare) quanto le interazioni tra questi (a.e. competizione e mutualismo) che, a loro volta, in concerto possono generare fluttuazioni nelle variabili di stato che caratterizzano i sistemi ecologici (a.e. densità).

Nel corso degli ultimi anni la ricerca in campo ecologico si è progressivamente focalizzata sulla comprensione del ruolo della varianza dei processi ecologici nel determinare o influenzare le modalità di distribuzione spazio-temporale di popolamenti animali e/o vegetali (Chesson and Case

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1986, Davis 1986, Butler 1989, Menge et al. 1994, Horne and Schneider 1995, Navarrete 1996, Thrush et al. 2000, Helmuth et al. 2006a, Koussoroplis et al. 2017).

Uno dei principali meccanismi attraverso il quale la performance di un organismo è influenzata dalla variabilità ambientale è la non linearità che caratterizza la maggior parte delle risposte fisiologiche ai diversi fattori ambientali (Ruel and Ayres 1999). Ad esempio, le Temperature Performance Curves (TPC) che caratterizzano la relazione tra un tratto vitale di un organismo (a.e. accrescimento) e la temperatura, sono generalmente caratterizzate da un aumento esponenziale a basse temperature, un graduale aumento fino al picco della temperatura ottimale, seguito da un rapido declino delle performance ad alte temperature. In ambienti termicamente variabili la non linearità delle TPC conduce a effetti sulla performance differenti a seconda che la fluttuazione sia al di sopra o al di sotto dell’optimum. Questo effetto è riconducibile a un fenomeno conosciuto con il nome di Jensen’s inequality (Jensen 1906). La Jensen’s inequality afferma che, per le funzioni non lineari quali le TPC, la performance di un organismo in condizioni costanti (𝑓(𝑇̅)) non equivale alle performance in condizioni variabili (𝑓(𝑇)̅̅̅̅̅̅) dove la variabile ha la stessa media (𝑇̅). L’entità (e il segno) della differenza tra la performance in condizioni costanti (𝑓(𝑇̅)) e la performance in condizioni variabili (𝑓(𝑇)̅̅̅̅̅̅) è una misura dell’effetto dovuto alla varianza (effetto della varianza). Di conseguenza, il grado di curvatura della TPC attorno al valore medio della variabile (𝑇̅) e l’ampiezza dell’intervallo di valori determinano la performance complessiva (Fig.2; punti azzurri) rispetto alla performance prevista in condizioni costanti (Fig.2; linea tratteggiata verde) (Ruel and Ayres 1999, Barraquand and Hušek 2014, Denny 2017).

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Figura 2. Rappresentazione grafica della Jensen’s inequality. L’asse x rappresenta la variabile ambientale temperatura, mentre l’asse y rappresenta la performance di un organismo. Se la fluttuazione avviene nella parte convessa della curva (a), 𝑓(𝑇)̅̅̅̅̅̅ è maggiore del valore atteso 𝑓(𝑇̅). Esattamente al contrario avviene nella parte concava (c,d,e) della curva, ed all’aumentare della varianza od all’aumentare della media (e relativa varianza) verso condizioni più calde (e Vs c) aumenta l’effetto della Jensen’s inequality. Se la funzione è lineare (b), 𝑓(𝑇̅) e 𝑓(𝑇)̅̅̅̅̅̅ coincidono. Si noti come l’eventuale asimmetria della funzione (c) e la forma (d) modifichino il valore di 𝑓(𝑇)̅̅̅̅̅̅. Tratto e modificato da Stoks et al. (2017).

1.3.2 Prevedere la risposta degli organismi alla variabilità ambientale

I cambiamenti nella performance possono essere quantificati per mezzo di un approccio mean-field (Morozov and Poggiale 2012), che è il cuore della Scale Transition (ST) Theory. Questo approccio si basa sull’adattamento delle equazioni che descrivono le dinamiche locali di un popolamento a scale spaziali e temporali maggiori (Chesson 2012), permettendo lo scaling up, ovvero la previsione delle modalità di distribuzione ad un’ampia scala spaziale e/o temporale sulla base di studi condotti su piccola scala.

𝑓(𝑇̅) 𝑓(𝑇)̅̅̅̅̅̅ 𝑓(𝑇̅) 𝑓(𝑇)̅̅̅̅̅̅

𝑓(𝑇̅) 𝑓(𝑇)̅̅̅̅̅̅ 𝑓(𝑇̅) 𝑓(𝑇)̅̅̅̅̅̅

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La ST Theory prevede che la performance complessiva di un organismo (o di un popolamento), che vive in un ambiente soggetto a variazioni ambientali, possa essere espressa come somma della performance in condizioni constanti (mean-field; 𝑓(𝑇̅)) e di un termine di correzione (ScaleTransition, 1

2𝑓"(𝑇̅)𝜎𝑇

2) che tenga conto dell’effetto della varianza ambientale e della non linearità della relazione che lega la performance alla variabile ambientale d’interesse (a.e. nella TPC). Si giunge così all’equazione seguente (Dowd et al. 2015):

𝑓(𝑇)

̅̅̅̅̅̅ ≈ 𝑓(𝑇̅) +1

2𝑓"(𝑇̅)𝜎𝑇 2

(Eq.1) Dove 𝑓(𝑇)̅̅̅̅̅̅ è la performance complessiva durante le condizioni variabili di T. 𝑓(𝑇̅) è la crescita attesa in base al valor medio della variabile, 𝑇̅. 𝑓"(𝑇̅) è la derivata seconda di 𝑓 e quantifica la non-linearità della funzione della performance misurata a 𝑇̅. La varianza della variabile intorno a 𝑇̅ è 𝜎𝑇2. Si noti che 𝑓"(𝑇̅)>0 per le funzioni convesse, e 𝑓"(𝑇̅)<0 per quelle concave, spiegando così gli effetti rispettivamente positivi o negativi della variabilità ambientale. Per le funzioni lineari, dove 𝑓"(𝑇̅)=0, ritorniamo a 𝑓(𝑇)̅̅̅̅̅̅=𝑓(𝑇̅), ovvero non esiste l’effetto della varianza.

L’equazione sopra esposta (1) riguarda l’applicazione della ST Theory ad una sola variabile ambientale (a.e. temperatura) (Dowd et al. 2015, Koussoroplis et al. 2017). I sistemi ecologici sono costantemente esposti a molteplici variabili ambientali (McNaughton 1983, Chapin et al. 1987, Ballesteros 2006). Un punto di forza della ST Theory risiede nella sua capacità di integrare e modellizzare l’effetto di numerose variabili ambientali. Nel caso di due variabili ambientali (a.e. temperatura – indicata come T – e spessore del sedimento – indicato come S – ) la performance complessiva corrisponde a: 𝑓(𝑇, 𝑆) ̅̅̅̅̅̅̅̅̅ ≈ 𝑓(𝑇̅, 𝑆̅) +1 2 [𝑓"𝑇,𝑇(𝑇̅, 𝑆̅)𝜎𝑇 2+ 𝑓" 𝑆,𝑆(𝑇̅, 𝑆̅)𝜎𝑆2+ 2𝑓"𝑇,𝑆(𝑇̅, 𝑆̅)𝜎𝑇,𝑆] (Eq.2)

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Dove 𝑓"𝑇,𝑇(𝑇̅, 𝑆̅) e 𝑓"𝑆,𝑆(𝑇̅, 𝑆̅) sono la derivata seconda parziale per la temperatura e il sedimento calcolate mantendo costante l’altra variabile (𝑇̅, 𝑆̅) e stimano l’effetto della non linearità di ciascun fattore preso sigolarmente. Questi due termini interagiscono a loro volta con le varianze delle due variabli (𝜎𝑇2 e 𝜎𝑆2). Il termine 2𝑓"𝑇,𝑆(𝑇̅, 𝑆̅) è la derivata seconda parziale che stima il contributo della non linearità generata dall’effetto non additivo delle due variabili (T e S). Quest’ultimo interagisce a sua volta con la covarianza delle due variabili (𝜎𝑇,𝑆). In questo caso la relazione non lineare tra la performance e le due variabili, temperatura e deposizione di sedimento, può essere rappresentata da una superfice di risposta (“respone surface”). Questa metodologia, impiegando dei modelli statistici (a.e. Generalized Additve Models GAM), permette la ricostruzione dell’andamento della risposta (performance) del sistema in funzione di due (o più) variabili.

Oltre a predirre l’effetto sulla performance di due variabili ambientali, l’equazione (Eq.2) permette la stima del contributo di ciascun fattore alla performance complessiva. 𝑓"𝑇,𝑇(𝑇̅, 𝑆̅)𝜎𝑇2 e 𝑓"𝑆,𝑆(𝑇̅, 𝑆̅)𝜎𝑆2 stimano infatti l’effetto della varianza di ciascun fattore (𝑇 e 𝑆), mentre 2𝑓"𝑇,𝑆(𝑇̅, 𝑆̅)𝜎𝑇,𝑆 l’effetto della covarianza tra questi due fattori. Quest’ultimo termine (effetto della covarianza) dipende a sua volta dalla media della variabile (𝑇̅ e 𝑆̅), dalla sua varianza (𝜎𝑇2 e 𝜎

𝑆2) e dal grado di correlazione spaziale e/o temporale tra le due variabili (𝜎𝑇,𝑆). L’entità dell’effetto della covarianza è inoltre modulato dal termine 𝑓"𝑇,𝑆(𝑇̅, 𝑆̅), il quale riflette l’effetto congiunto delle due variabili sulla performance.

Finchè le due variabili esercitano un effetto non additivo sulla performance complessiva, ovvero la somma dei loro singoli effetti differisce dal loro effetto complessivo, la performance integrata dalla ST Theory dipenderà strettamente dall’azione simultanea dei due fattori, in quanto 𝑓"𝑇,𝑆(𝑇̅, 𝑆̅) ≠ 0. Nel caso di un effetto antagonista (sub-additivo) delle due variabili, 𝑓"𝑇,𝑆(𝑇̅, 𝑆̅) assume valori negativi, il che si traduce in una correlazione negativa tra performance e covarianza.

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Al contrario, nel caso di effetti sinergici (super-additivi), il termine 𝑓"𝑇,𝑆(𝑇̅, 𝑆̅) assume valori positivi e ciò comporta che la performance e la covarianza siano positivamente correlate.

In un recente studio di laboratorio, Koussoroplis and Wacker (2016) hanno formalmente valutato gli effetti della covarianza tra temperatura e abbondanza di risorse su tre tratti vitali di Daphnia magna (Straus) (tasso di crescita, tasso di maturazione sessuale e fecondità). Questo studio ha evidenziato come la covarianza sia in grado di modulare gli effetti prodotti dai cambiamenti nella varianza sulla performance di D. magna. Da quanto emerge dalla letteratura, questo risulta l’unico studio che ha esplicitamente testato l’effetto dei cambiamenti nella covarianza su un sistema naturale. In conclusione, quello che appare evidente è l’urgente necessità di colmare le lacune sugli effetti della covarianza dei processi ambientali tramite esperimenti sul campo volti a testare gli effetti dovuti a cambiamenti nel grado di covarianza di tali processi sulle modalità di distribuzione, abbondanza e diversità di specie e popolamenti.

1.4 Scopo della tesi

Il presente lavoro di tesi ha avuto come scopo la valutazione degli effetti dei cambiamenti nella variabilità dei processi ecologici, quali la temperatura e la deposizione di sedimento, sul microphytobenthos epilitico (MPBE) di costa rocciosa (da qui in avanti denominato per semplicità biofilm). Nello spazio la variabilità ambientale si riflette con l’alternanza di aree caratterizzate da condizioni ambientali diverse (a.e. temperatura e/o irradianza). Questo fa sì che in diverse porzioni dello spazio due (o più) variabili ambientali siano positivamente (covarianza positiva) o negativamente associate (covarianza negativa). Ad esempio, la costa di Calafuria presenta avvallamenti e depressioni, i quali favoriscono l’accumulo del sedimento, ma al contempo creano ombreggiamento e favoriscono l’umettamento, esponendo così il biofilm ad una covarianza negativa tra temperatura e deposizione di sedimento. Analogamente, dove la roccia forma delle prominenze, la deposizione di sedimento, così come la ritenzione idrica, è sfavorita, sottoponendo il biofilm a livelli negativi di covarianza tra temperatura e sedimento. Entrambe queste situazioni possono aver

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luogo simultaneamente in diverse porzioni della costa influenzando la modalità di distribuzione e le prestazioni del biofilm (in termini di biomassa e efficienza fotosintetica). La comprensione, quindi, di come il biofilm di costa rocciosa sia influenzato dal diverso grado di concomitanza di temperatura e deposizione di sedimento è essenziale.

In questo studio abbiamo combinato l’approccio sperimentale con la modellizzazione matematica al fine di esplorare come il biofilm risponda a diversi scenari di covarianza di temperatura e deposizione di sedimento. In particolare, abbiamo valutato gli effetti di diversi scenari di covarianza tra temperatura e sedimento su tre importanti variabili che caratterizzano il biofilm: biomassa e efficienza fotosintetica al buio e alla luce. Il primo passo è stato l’allestimento di un esperimento volto a valutare gli effetti dell’aumento progressivo di temperatura e dell’accumulo di sedimento sul biofilm. I risultati dell’esperimento sono stati utilizzati per costruire una superfice di risposta (response surface, RS) che rappresentasse la relazione tra biofilm, temperatura e deposizione di sedimento. Infine, le superfici di risposta sono state a loro volta utilizzate per generare previsioni riguardo alla risposta del biofilm a diversi livelli di covarianza tra le due variabili oggetto di studio.

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2 Materiali e metodi

2.1 Sito di studio

L’esperimento è stato allestito presso la località di Calafuria (Livorno, 43°30’N, 10°19’E), tra maggio 2017 e agosto 2017, nella porzione più elevata della fascia intertidale (0,3-0,5 m sopra il livello inferiore di bassa marea). Tale area è caratterizzata da piattaforme di arenaria che degradano dolcemente verso il mare (da cui il nome Scogli Piatti) (Bracci et al. 1984). Dal punto di vista geografico Calafuria è orientata in direzione S-SO, ovvero esposta ai venti e le mareggiate provenienti dal III° e IV° quadrante. A quest’altezza della costa si possono trovare popolamenti di biofilm, principalmente costituiti da cianobatteri (Maggi et al. 2017), e cirripedi (Chtamalus stellatus [Poli] e Chtamalus montagui [Southward]) interspersi da zone di roccia apparentemente spoglia (Dal Bello et al. 2015). Uno degli organismi più comuni è la littorina Melaraphe neritoides (Linnè) (Dal Bello et al. 2017), che si aggrega nelle crepe e nelle cavità quando il substrato è asciutto e si nutre di biofilm durante le mareggiare e le piogge (Skov et al. 2010). L’unico altro gasteropode erbivoro che foraggia a quest’altezza della costa è Patella rustica (Linnè) (Dal Bello et al. 2015).

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Figura 3. Il biofilm di costa rocciosa. In alto, biofilm e M. neritoides (Linnè), foto scattata a dicembre 2017. Le densità di littorine nel sito di studio è maggiore durante il periodo autunno-invernale rispetto a quello primaverile estivo (Dal Bello et al. 2017). In basso, alternanza di aree colonizzate da biofilm e aree colonizzate da cirripedi della specie

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2.2 Il Sistema di studio: il biofilm di costa rocciosa

Il biofilm di costa rocciosa è composto principalmente da organismi fotosintetici quali: diatomee, cianobatteri, spore di macroalghe e propaguli che vivono all’interno di un gel mucopolisaccaridico autoprodotto che prende il nome di EPS (Extracellular Polymeric Substances) (Barlocher and Murdoch 1989, Hawkins 1991). Le EPSs svolgono un ruolo fondamentale nella sopravvivenza del biofilm alle marcate fluttuazioni ambientali tipiche dell’ambiente intertidale. Le EPSs permettono al biofilm di resistere agli elevati livelli di essiccamento e radiazione solare (UV) durante i periodi di bassa marea e elevata pressione barometrica (Flemming and Wingender 2010, Flemming 2016, Flemming et al. 2016). Nonostante le piccole dimensioni degli organismi che lo compongo, il biofilm ricopre un ruolo fondamentale nei sistemi intertidali di costa rocciosa. In questi sistemi, infatti, il biofilm contribuisce in modo significativo alla produttività primaria (Yallop et al. 1994); influenza l’insediamento di spore macroalgali e delle larve di alcuni invertebrati sessili (Keough and Raimondi 1995, 1996, Thompson et al. 1998, Wieczorek and Todd 1998); infine, rappresenta la principale risorsa di cibo per molti erbivori, specialmente molluschi microfagi quali patelle e littorine (Underwood 1979, 1984, Hawkins and Hartnoll 1983, Hawkins and Hugh 1992, Thompson et al. 2004).

Il biofilm possiede diverse caratteristiche che lo rendono un sistema di studio ideale: il rapido tasso di crescita e il breve ciclo vitale delle specie che lo compongono gli permettere di rispondere rapidamente ai trattamenti sperimentali e alle modificazioni ambientali. Oltre a queste caratteristiche, il biofilm presenta ulteriori vantaggi riguardo alle modalità di campionamento: è un sistema che si ritrova diffuso in maniera ubiquitaria in tutti gli ambienti di costa rocciosa a livello globale e le dimensioni microscopiche degli organismi permettono l’analisi di un ampio range di scale spaziali (dai mm fino alle centinaia di metri). Inoltre, lo sviluppo di nuovi metodi di campionamento (es. colour-infrared imagery, CIR) permette di ottenere in situ misure quantitative di clorofilla a (misura indiretta di biomassa) per un ampio intervallo di scale spaziali ed ad una risoluzione elevata (Dal

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20 Bello et al. 2015).

2.3. Disegno sperimentale

Al fine di costruire la superfice di risposta (“response surface”, RS) del biofilm in funzione della temperatura e della deposizione di sedimento, è stato applicato un disegno completamente fattoriale (Fig.4) in cui sono state manipolate la temperatura dell’aria e la deposizione di sedimento producendo 16 condizioni di temperatura e sedimento. Il disegno sperimentale era costituito da due fattori: la temperatura (riscaldamento dell’aria; fisso, 4 livelli: 0°C, 5°C, 10°C e 15°C) e la deposizione del sedimento (ricoprimento delle repliche sperimentali; fisso, 4 livelli: 0 mm, 5 mm, 10 mm e 15 mm). Per ciascuna condizione sperimentale sono state considerate 4 repliche che consistevano in aree di substrato di 0,4 m x 0,4 m. I plot sono stati posizionati casualmente lungo la costa e sono stati marcati agli angoli con dei tasselli inseriti in appositi buchi, al fine di poterli rilocalizzare facilmente. Infine, a causa dell’impossibilità di effettuare i trattamenti sperimentali in un’unica data, le diverse repliche sono state intersperse e distribuite casualmente in sei diversi giorni.

Figura 4. Disegno sperimentale.

L’aumento della temperatura dell’aria è stato ottenuto mediante l’utilizzo di camere in alluminio equipaggiate con stufe a butano (camere riscaldanti). Le camere avevano le seguenti dimensioni: larghezza 0,4 m x lunghezza 0,4 m x altezza 0,4 m. Un foro circolare presente su uno dei lati permetteva di assicurare la stufa alla camera e di mantenerla ad un’altezza di circa 10 – 15 cm dal substrato, mentre una finestra, dotata di uno sportellino, sul lato opposto, consentiva ad un operatore

(21)

21

di modulare la temperatura interna. Il trattamento di riscaldamento, pertanto, consisteva nel mantenere per 120 minuti la differenza di temperatura dell’aria tra l’interno della camera e l’esterno (T ) ad un valore il più vicino possibile al valore nominale del trattamento (a.e. +5°C).

Durante il trattamento la temperatura dell’aria all’interno e all’esterno della camera è stata costantemente monitorata attraverso l’utilizzo di termometri digitali e registrata ad intervalli regolari di un minuto grazie a data logger digitali. Dato che la struttura stessa delle camere avrebbe potuto generare degli artefatti, alterando ad esempio il livello di irradianza, 3 unità sperimentali sono state assegnate alla condizione controllo artefatto (CA) consistente in una scatola di cartone, con dimensione analoghe a quelle delle camere riscaldanti, non equipaggiata con la stufa a butano (Dal Bello et al. 2017).

La costa di Calafuria, per la sua conformazione geologica, pendenza e ambiente circostante, è soggetta a episodi di run-off in seguito a precipitazioni intense, i quali causano il trasporto e la successiva deposizione di sedimento sul substrato roccioso. Tale sedimento è costituito generalmente da una componente terrigena, consistente in detrito di varia granulometria che proviene dalle aree boschive circostanti, e da limo, generato dall’erosione dell’arenaria (Airoldi 2003, Dal Bello et al. 2017). Se agli eventi di deposizione causati da precipitazioni molto intense (>10 mm in 24 ore; Dal Bello et al. 2017) seguono periodi di alta pressione con condizioni di mare calmo, nelle aree di Calafuria in cui gli scogli sono più piatti è possibile vedere numerosi accumuli di sedimento con granulometria variabile e con uno spessore di circa 5 mm. Il sedimento impiegato nei trattamenti è stato raccolto dagli accumuli naturali presenti sulla costa, mescolato con acqua dolce e depositato uniformemente sui plot, in modo tale da formare uno strato che avesse uno spessore che si avvicinasse il più possibile a quello predetto dal trattamento sperimentale (a.e. 5 mm). A tale scopo, con l’utilizzo di un calibro è stato misurato lo spessore del sedimento in 8 punti scelti a caso all’interno dei plots.

(22)

22

Figura 5. Sedimento naturalmente depositatosi nelle concavità della roccia. L’ambiente intertidale di Calafuria è estremamente variabile nello spazio. La micro-topografia della superfice rocciosa fa sì che ci siano aree dove è favorito l’accumulo di sedimento e al contempo è favorita anche la ritenzione idrica e l’ombreggiamento, riducendo così la temperatura.

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23

Figura 6. Trattamenti sperimentali. Nel pannello A osserviamo lo strato di sedimento depositato sul plot sperimentale. Nei pannelli B e C osserviamo le camere riscaldante in alluminio equipaggiate con la stufa a butano e termometri per monitorare la temperatura all’interno e all’esterno della camera.

2.4 Raccolta dei dati

La risposta del biofilm ai trattamenti sperimentali è stata valutata per tre variabili di risposta: la biomassa, l’efficienza fotosintetica (yield) misurata in condizioni di buio e l’efficienza fotosintetica misurata in condizioni di luce. I campionamenti sono stati effettuati dopo circa 7, 14 e 21 giorni dall’applicazione del trattamento, facendo 3 misurazioni per lo yield al buio e 6 misurazioni per lo yield alla luce.

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24

Le stime di biomassa del biofilm sono state ottenute mediante misure indirette in situ della quantità̀ di clorofilla a presente tramite una tecnica di remote sensing (Murphy and Underwood 2006, Murphy et al. 2009) che prevede l'utilizzo di una fotocamera digitale a infrarossi. La fotocamera usata (Agricolture Digital Camera TETRACAM, ADC) è in grado di registrare la luce riflessa a più̀ lunghezze d'onda, ovvero verde (525-575 nm), rosso (645-689 nm) e Near-InfraRed (NIR, 758-833 nm).

Durante la fase di campionamento ogni plot sperimentale è stato fotografato più̀ volte, variando tempo di esposizione ed apertura del diaframma e utilizzando un distanziatore (60 cm di altezza) per mantenere fissa la distanza dal substrato e in modo da tenere la fotocamera in posizione perpendicolare rispetto all'area da fotografare. All'interno dell'area è stato posizionato uno standard di reflettanza (ovvero una superfice lambertiana in grado di riflettere omogeneamente la luce) per compensare le differenze dovute alle diverse condizioni d’illuminazione e le impostazioni d’esposizione del sensore fotografico.

Le immagini ottenute sono state convertite dal formato RAW al TIFF ed è stato poi utilizzato il programma Image J per calcolare i valori dell’indice vegetazionale per 6 ROI (Region of Interest) da 256 x 256 pixel (corrispondenti ad un’area di circa 4 cm x 4 cm) per ogni immagine.

Gli indici vegetazionali (IV) sono stati sviluppati in modo da poter sintetizzare le informazioni presenti da osservazioni a bande multiple ad un singolo valore numerico (Wiegand et al. 1991), e si basano su rapporti costruiti usando al posto del numeratore la reflettanza alle lunghezze d’onda in cui la clorofilla a è capace di riflettere e al denominatore la reflettanza alle lunghezze d’onda in cui la clorofilla a assorbe efficientemente (Murphy et al. 2005). L’indice utilizzato nel presente studio è il Ratio Vegetation Index (RVI; Jordan 1969), il quale si basa sul rapporto tra reflettanza nella banda del NIR e nella banda del rosso: all’aumentare della quantità̀ di clorofilla a, corrisponde un

(25)

25

incremento nell'assorbimento nella banda del rosso rispetto alla banda del NIR e quindi una diminuzione della reflettanza nella banda del rosso, che si tradurrà̀ in un aumento del valore del RVI.

L’analisi delle immagini è stata costituita da più̀ fasi. La prima fase di analisi è stata rappresentata dalla calibrazione di ciascuna fotografia con lo standard di reflettanza, in modo da poter rendere comparabili i valori dell’indice RVI ottenuti da differenti immagini. I valori dei singoli pixel di ogni banda sono stati così normalizzati rispetto al fattore di reflettanza dello standard di calibrazione per la stessa banda, secondo l’equazione:

𝜌(𝑖𝑚𝑚𝑎𝑔𝑖𝑛𝑒) =𝐷𝑁(𝑖𝑚𝑚𝑎𝑔𝑖𝑛𝑒)𝜌(𝑠𝑡𝑎𝑛𝑑𝑎𝑟𝑑) 𝐷𝑁(𝑠𝑡𝑎𝑛𝑑𝑎𝑟𝑑)

(Eq.3)

Dove 𝜌(𝑖𝑚𝑚𝑎𝑔𝑖𝑛𝑒) rappresenta la reflettanza di ogni pixel dell’immagine, 𝜌(𝑠𝑡𝑎𝑛𝑑𝑎𝑟𝑑) alla reflettanza dello standard, DN(immagine) è il Digital Number (valore del pixel) di ciascun pixel dell’immagine e DN(standard) è la media dei DN dei pixel dello standard (Murphy et al. 2009).

La seconda fase ha previsto il calcolo dell’indice RVI per le immagini precedentemente calibrate, ottenendo tale valore dalle aree selezionate all’interno di ciascuna immagine. I valori di RVI ottenuti con l’ADC sono legati alla quantità di clorofilla a presente sulla roccia da una relazione lineare ottenuta da un precedente studio (Dal Bello et al. 2015).

Al fine di valutare un eventuale effetto dovuto ai molluschi gasteropodi della specie Melaraphe neritoides (Linnè), ciascun plot è stato fotografato con una macchina fotografica digitale. Una volta in laboratorio, le immagini sono state digitalizzate e mediante il programma ImageJ è stato contato il numero di individui di M. neritoides. Sebbene questo gasteropode sia il principale erbivoro che si nutre di biofilm (Skov et al. 2010), l’analisi delle immagini ha evidenziato che nel corso dell’esperimento è stata osservata, tra le 3 date di campionamento, una media di sole 0,091 littorine M. neritoides per replica sperimentale.

(26)

26

L’efficienza fotosintetica del biofilm è stata stimata per mezzo di un fluorimetro da campo (Diving PAM Waltz - Pulse Amplitude Modulation) (Schreiber et al. 1986). La fluorimetria permette di ottenere misure dell’attività fotosintetica (come l’efficienza fotosintetica del fotosistema II, PSII) (Schreiber et al. 1995) in modo non invasivo e pressoché istantaneo (Serôdio et al. 2007).

Il campionamento con il PAM ha permesso di misurare l’efficienza fotosintetica (yield) in seguito ad adattamento al buio e in condizioni di luce naturale. La misura dell’efficienza fotosintetica dopo adattamento al buio è stata ottenuta oscurando per 5 minuti delle porzioni di substrato dei plots con degli oscuratori. La fase di oscuramento ha causato la dissipazione del gradiente protonico trans-tilacoidale e l’apertura dei centri di reazione (CR). In tale stato, l’energia che raggiunge i CR ha la massima probabilità di essere utilizzata per il processo fotosintetico piuttosto che essere riemessa sotto forma di calore e/o fluorescenza; la fluorescenza misurata corrisponde così alla fluorescenza minima (F05 ).

Al termine di questa misurazione, il PAM emette un impulso di luce saturante in grado di chiudere tutti i CR così da bloccare il processo fotochimico; la fluorescenza misurata subito dopo corrisponde alla fluorescenza massima (Fm).

Al termine del periodo di adattamento al buio sono state effettuate le misure in condizioni di luce naturale. In tale stato, è stata misurata la fluorescenza variabile (F’ ) e, in seguito all’impulso saturante, la fluorescenza massima (Fm’ ). Prima di effettuare le misurazioni i plot sperimentali sono stati bagnati con acqua di mare (Maggi et al. 2013).

Questi dati hanno permesso di stimare:

1) l’efficienza fotosintetica in seguito ad adattamento al buio (d’ora in poi chiamata yield al buio; ovvero 𝐹𝑚−𝐹0

5

𝐹𝑚 ), che è una misura del rendimento massimo del processo fotosintetico quando

tutti centri di reazione sono aperti.

2) L’efficienza fotosintetica in condizione di luce naturale (d’ora in poi chiamata yield alla luce; ovvero 𝐹𝑚

−𝐹

𝐹𝑚′

(27)

27

fotosistema II che fornisce una misura della proporzione di luce assorbita che viene utilizzata nel processo fotosintetico.

2.5 Analisi dei dati

L’obiettivo dell’analisi dei dati è stato la generazione delle superfici di risposta per le tre variabili di risposta (biomassa, yield misurato al buio e alla luce) e la simulazione, tramite l’utilizzo delle superfici di risposta, degli effetti di diversi scenari di covarianza temperatura-sedimento sul biofilm, come evidenziato nel workflow sperimentale sottostante:

Figura 7. Workflow sperimentale. Come si vede dallo schema, La fase delle predizioni è stata sviluppata a partire dalle

Superfici di risposta ottenute nell’esperimento di campo. Più precisamente, le simulazioni hanno coinvolto il confronto

tra il valore delle le variabili risposta e gli scenari di covarianza, e l’effetto totale della varianza a seconda di differenti

scenari di temperatura e sedimento.

2.5.1 Superfici di risposta

Le superfici di risposta per la biomassa e l’efficienza fotosintetica al buio e alla luce del biofilm sono state ottenute mediante i Generalized Additive Models (GAM) (Hastie 2015). La particolarità di questa tecnica d’inferenza è che permette la derivazione di modelli i quali non si basano su funzioni scelte arbitrariamente a priori, modellizzando la relazione tra una variabile dipendente e diversi predittori mediante le penalized regression splines. Qui di seguito è riportata la formula generale del modello:

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28

𝑌𝑖𝑗𝑘~𝛽0+ 𝑠1(𝑇𝑖) + 𝑠2(𝑆𝑗) + 𝑠3(𝑇𝑥𝑆𝑖𝑗) + 𝜀𝑖𝑗𝑘

(Eq.4) Per la biomassa e lo yield alla luce e per quello misurato al buio i termini 𝑠1e 𝑠2 corrispondono a spline di tipo cubico mentre il termine 𝑠3 corrisponde ad un tensore che è stato utilizzato per modellizzare l’interazione tra sedimento e temperatura.

La scelta dei termini (penalized regression splines e tensori) e della struttura del modello è avvenuta selezionando il modello che assumeva il valore minore del Generalized Cross-Validation (GCV) score (Zuur et al. 2009, 2013). Il GCV fornisce una stima dell’errore dovuto al modo in cui il modello approssima i dati; minore è il GCV minore è l’errore commesso dal modello.

La verifica delle assunzioni di normalità e omogeneità delle varianze tra trattamenti è avvenuta graficamente tramite l’ispezione visiva dei grafici tra i residui osservati Vs i residui predetti dal modello, il “QQPlot” ed il grafico dei residui in funzione dei livelli di temperatura (T ) e sedimento (S ).

2.5.2 Simulazioni

Le superfici di risposta che presentavano il termine d’interazione (𝑠3(𝑇𝑥𝑆𝑖𝑗) ) significativo sono state utilizzate per generare previsioni sugli effetti di differenti scenari di covarianza temperatura-sedimento sul biofilm. In particolare, sono state generate due tipologie di previsioni: in condizioni costanti e in condizioni variabili. Le previsioni in condizioni costanti sono state generate per diverse condizioni di temperatura (che variavano da 0°C a +20°C con un incremento di 0,5°C) e di deposizione di sedimento (che variavano da 0 mm a 15 mm con un incremento di 0,1 mm). Le previsioni in condizioni variabili sono state generate estraendo casualmente 1000 valori di temperatura e deposizione di sedimento da una distribuzione normale multivariata 𝒩(𝜇, ∑) dove la media era definita come:

(29)

29 𝜇 = (𝜇𝑇

𝜇𝑆)

(Eq.5) Dove 𝜇𝑇 e 𝜇𝑆 corrispondevano valori di temperatura e sedimento generati nelle condizioni costanti e la matrice di covarianza: ∑ ( 𝜎𝑇 2 𝜎𝑇𝜎𝑆𝜌 𝜎𝑇𝜎𝑆𝜌 𝜎𝑆2 ) (Eq.6) che definiva il grado di covarianza tra sedimento e temperatura. Il termine 𝜌 definiva il grado di correlazione tra i valori di temperatura e la deposizione di sedimento, mentre le deviazioni standard 𝜎𝑇 e 𝜎𝑆 corrispondevano alle deviazioni standard stimate dai valori di temperatura (σT =4,54°C) e spessore del sedimento (σS =0,41 mm) misurati nell’esperimento. Quindi, sono stati generati 1000 valori della variabile d’interesse (biomassa, yield misurata alla luce e al buio) di cui è stato calcolato il valor medio. Questa procedura è stata ripetuta per un ampio intervallo di valori di covarianza (𝜌 da -1 a +1 con un incremento di 0,2), generando a sua volta 11 valori della variabile di risposta per ciascuna combinazione di temperatura e sedimento. L’effetto complessivo della varianza (“Total Variance Effect”, TVE; vedi paragrafo 1.3 per maggiori dettagli) per una data combinazione di temperatura e deposizione di sedimento è stato stimato come:

𝑇𝑉𝐸 = [(𝑋𝑣𝑎𝑟;𝑖,𝑗− 𝑋𝑐𝑜𝑠𝑡;𝑖,𝑗) 𝑋𝑐𝑜𝑠𝑡;𝑖,𝑗

] × 100

(Eq.7) Dove Xcost;i,j e Xvar;i,j indicavano il valore della variabile di risposta generata in condizioni costanti e variabili per una data combinazione di temperatura i e deposizione di sedimento j. Questo indice esprime in termini percentuali lo scarto della biomassa osservata in condizioni variabili rispetto a

(30)

30

quelle costanti in proporzione alla biomassa ottenuta in condizioni costanti per gli stessi valori medi di deposizione di sedimento e innalzamento di temperatura. Pertanto valori negati di TVE corrisponderanno a valori minori, ad esempio di biomassa, in condizioni variabili rispetto ai valori osservati in condizioni costanti (di deposizione di sedimento e innalzamento di temperatura) e perciò ad un effetto negativo della varianza.

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31

3 Risultati

3.1 Incremento della temperatura e deposizione di sedimento

I dati ottenuti mostrano che il trattamento di riscaldamento ha provocato un aumento della temperatura dell’aria rispetto alla condizione naturale e che questo aumento è risultato conforme con i livelli predetti di temperatura (T: +5°C, +10°C, +15°C; Fig.8a). L’analisi della varianza ad un fattore (ANOVA) ha rilevato delle differenze significative tra i tre livelli d’innalzamento di temperatura del trattamento riscaldamento (F=59,47, n=43, p<0,001; Tab. 1) ed i tre livelli di deposizione del sedimento (F=6270, n=43, p<0,001; Tab.2). Il grafico (Fig.8c) mostra i profili temporali della temperatura media dell’aria rispetto a quella esterna (T ) per i tre livelli di riscaldamento (Fig.8c) si evince durante i 120 minuti di riscaldamento, nonostante una fase iniziale di avviamento della camera, che la temperatura è stata mantenuta prossima al valore predetto.

I dati dello spessore del sedimento hanno mostrato che il trattamento di aggiunta di sedimento ha provocato un aumento dello spessore conforme con i livelli predetti di aggiunta di sedimento (Fig.8b).

Tabella 1. Risultati dell’ANOVA della temperatura applicata durante l’esperimento.

Sorgente di

variabilità G.l. Devianze MS F p

Temperatura 3 927,90 309,30 59,47 <0,001

Residui 42 218,40 5,20

Tabella 2. Risultati dell’ANOVA dello spessore di sedimento applicato durante l’esperimento.

Sorgente di

variabilità G.l. Devianze MS F p

Sedimento 3 14,07 4,69 6270 <0,001

(32)

32

Figura 8. Relazione tra i valori osservati e valori nominali. Nel primo pannello, a, osserviamo per i tre livelli nominali di temperatura (T: +5°C, +10°C, +15°C, asse x) le differenze di temperatura effettivamente ottenute (asse y) con relativo errore assoluto. Nel secondo pannello, b, osserviamo per i tre livelli nominali di sedimento (5 mm, 10 mm, 15 mm, asse x) lo spessore di sedimento effettivamente ottenuto (asse y) con relativo errore assoluto. Nell’ultimo pannello, c, i profili temporali della temperatura media dell’aria rispetto a quella esterna (T) per i tre livelli di riscaldamento, con l’intervallo di confidenza al 95% rappresentato dagli aloni colorati.

Per verificare che non vi fossero artefatti legati all’utilizzo delle camere riscaldanti, abbiamo svolto un’ANOVA, per ciascuna delle tre variabili di risposta, per confrontare i controlli con i controlli

a

b

c

(33)

33

artefatto. Non è stato riscontrato nessun artefatto dovuto all’uso delle camere riscaldanti, dal momento che controlli e controlli artefatto non sono risultati statisticamente differenti (Tab.3, Fig.9).

Tabella 3. Risultati dell’ANOVA per le tre variabili di risposta (biomassa, yield alla luce e al buio) per valutare la presenza di artefatti dovuti all’utilizzo delle camere riscaldanti.

Biomassa Sorgente di variabilità G.l. Devianze MS F p Temperatura 1 0,70 0,75 0,076 >0,05 Residui 88 864,40 9,82 Yield al buio Sorgente di variabilità G.l. Devianze MS F p Temperatura 1 0,01 0,01 0,25 >0,05 Residui 42 0,91 0,02

Yield alla luce Sorgente di

variabilità G.l. Devianze MS F p

Temperatura 1 0,03 0,03 0,76 >0,05

Residui 70 2,56 0,04

Figura 9. Controlli vs controlli artefatto. L’unità di misura della biomassa sono i g chl a cm-2, mentre l’unità di misura

(34)

34

3.3 Superfici di risposta

I GAM ci hanno permesso di modellizzare la relazione tra le variabili di risposta (biomassa - clorofilla a -, yield alla luce e yield al buio) e la deposizione di sedimento e l’aumento di temperatura.

L’analisi tramite i GAM mostra un effetto significativo della temperatura, della deposizione di sedimento e dell’interazione di queste due variabili sulla biomassa del biofilm (Tab.4; Fig.10). In particolare, questi risultati evidenziano che l’effetto congiunto della deposizione di sedimento (+15 mm) e dell’innalzamento della temperatura (T = +15°C) ha ridotto drasticamente la biomassa rispetto alla condizione di controllo (Fig.10).

Osservando la relazione tra biomassa e temperatura per diversi livelli di deposizione di sedimento (Fig.10b), notiamo che la biomassa diminuisce non-linearmente all’aumentare della temperatura (salvo un leggero aumento iniziale) per i livelli di deposizione di sedimento 0 mm e +5 mm, mentre per i livelli più intensi di deposizione di sedimento (+10 mm e +15 mm) la relazione non lineare scompare. Osservando i profili biomassa-sedimento per i diversi livelli d’innalzamento della temperatura (Fig.10c), emerge una relazione lineare negativa tra biomassa e deposizione di sedimento, la cui pendenza va a diminuire con l’aumentare della temperatura. Al contrario, per il livello di temperatura +10°C, la biomassa aumenta linearmente all’aumentare dello spessore dello strato di sedimento.

L’analisi GAM non ha evidenziato alcun effetto significativo della temperatura o della deposizione di sedimento, e neppure un significativo effetto interattivo di queste due variabili, sia per quel che riguarda l’efficienza fotosintetica misurata alla luce che quella misurata al buio (Tab.5 e 6, Fig.11 e 12).

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35

Tabella 4. Risultati dell’analisi dei general additive models per la costruzione della superficie di risposta della biomassa (g chl a cm-2) in funzione dell’innalzamento della temperatura e la deposizione di sedimento.

Sorgente di variabilità G. l. Effettivi G.l. F p Temp. 1,00 1,00 10,53 <0,01 Sed. 2,98 3,00 5,13 <0,01 TempxSed. 1,85 9,00 1,09 <0,01 R2 Devianza GCV n Scala 0,29 38,20% 2,73 46 2,33

Figura 10. Superfice di risposta della biomassa. Nel primo pannello, a, è rappresentata la superfice di risposta della biomassa (g chl a cm-2 ) in funzione dell’intensità del riscaldamento (T) e dell’accumulo di sedimento (Spessore

sedimento). I punti rappresentano i valori medi di biomassa di ciascuna replica sperimentale calcolato sulle tre date di campionamento (n=3). I pannelli b e c rappresentano, rispettivamente, sezioni della superfice di risposta (profili di biomassa) per i diversi livelli sperimentali di sedimento e temperatura.

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Tabella 5. Risultati dell’analisi dei general additive models per la costruzione della superficie di risposta dello

yield alla luce in funzione dell’innalzamento della temperatura e la deposizione di sedimento.

Sorgente di variabilità G.l. effettivi G.l. F p Temp. 1,00 1,00 0,34 >0,05 Sed. 2,77 2,96 2,06 >0,05 Temp.xsed. 0,01 9,00 0,00 >0,05 R2 Devianza GCV n Scala 0,07 14,90% 0,01 48 0,01

Figura 11. Superfice di risposta dello yield alla luce. Nella figura è rappresentata la superfice di risposta dello yield alla luce (F/Fm) in funzione dell’aumento di temperatura (T) e dell’accumulo di sedimento (Spessore sedimento). I punti rappresentano i valori medi di biomassa di ciascuna replica sperimentale calcolato sulle tre date di campionamento (n=3).

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Tabella 6. Risultati dell’analisi dei general additive models per la costruzione della superficie di risposta dello

yield al buio in funzione dell’innalzamento della temperatura e la deposizione di sedimento.

Variabili predittive G.l. Effettivi G.l. F p Temp. 1,00 1,00 0,45 >0,05 Sed. 2,50 2,81 1,48 >0,05 Temp.xSed. 0,50 9,00 0,10 >0,05 R2 Devianza GCV n Scala 0,04 12,30% 0,01 48 0,01

Figura 12. Superfice di risposta dello yield al buio. Nella figura è rappresentata la superfice di risposta della variabile

yield al buio (F/Fm) in funzione dell’intensità del riscaldamento (T) e dell’accumulo di sedimento (Spessore sedimento). I punti rappresentano i valori medi di biomassa di ciascuna replica sperimentale calcolato sulle tre date di campionamento (n=3).

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3.4 Effetti della covarianza sul biofilm di costa rocciosa

La relazione tra i valori di biomassa del biofilm derivati dalle simulazioni e i valori di covarianza tra sedimento-temperatura è stata rappresentata in un grafico composto da tre pannelli (Fig.13). Ciascun pannello mostra, per un determinato livello di deposizione di sedimento, la relazione tra biomassa del biofilm e covarianza (espressa come correlazione) per i livelli sperimentali d’innalzamento di temperatura. Per il livello di deposizione di sedimento +5 mm, la biomassa aumenta linearmente all’aumentare della covarianza e questa relazione si mantiene per i diversi livelli d’innalzamento di temperatura. La biomassa rimane costante (intorno ad un valore prossimo a 4 g chl a cm-2 )

all’aumentare dei valori di covarianza per i livelli di deposizione intermedi (+10). Per livelli estremi di deposizione di sedimento (+15 mm), la biomassa diminuisce linearmente all’aumentare della covarianza e la pendenza di questa relazione diviene mano a mano più negativa con l’aumentare della temperatura. In particolare, nello scenario con T =+20°C e covarianza pari ad 1 la biomassa del biofilm ha raggiunto valori prossimi allo zero.

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Figura 13. Effetto della covarianza sulla biomassa del biofilm. Nei tre pannelli è rappresentato il valore di biomassa

(g chl a cm-2, asse y) ottenuto dalle simulazioni, per i tre livelli sperimentali di deposizione di sedimento (5 mm, 10 mm,

15 mm) in funzione della covarianza (asse x). Per ciascun livello di deposizione di sedimento sono stati generati 5 scenari d’innalzamento della temperatura (T: +5°C, +10°C, +15°C, +20°C).

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40

3.5 Effetto totale della varianza

I risultati esposti in questo paragrafo riportano come l’effetto della varianza (Total Variance Effect; TVE) sulla biomassa del biofilm si comporta al variare della covarianza tra temperatura e deposizione di sedimento. La Fig.14 mostra l’effetto della varianza, che esprime in termini percentuali la biomassa osservata in condizioni variabili in proporzione alla biomassa ottenuta in condizioni costanti per gli stessi valori medi di deposizione di sedimento e innalzamento di temperatura. Per valori di sedimento di 5 mm, il TVE varia da valori negativi a valori positivi all’aumentare del T. Questo andamento risulta invertito per il livello +10 mm di deposizione di sedimento, in cui l’effetto della varianza passa da valori negativi a valori positivi all’aumentare della temperatura. Nel caso di un’elevata deposizione di sedimento (+15 mm), l’effetto della varianza assume valori positivi per tutto l’intervallo di T per valori di covarianza negativi (<0,1). Al contrario, per valori di covarianza positivi l’effetto della varianza assume, per la maggior parte degli scenari generati, valori negativi.

L’effetto della covarianza, espresso come la modificazione dell’effetto varianza ad opera della covarianza, è maggiore per valori elevati di T e elevata deposizione di sedimento (Fig.14, ultimo pannello). In particolare, in questo scenario l’effetto della covarianza diviene maggiore all’aumentare della temperatura. Inoltre, per il livello di deposizione di sedimento +5 mm i valori di covarianza risultano positivamente correlati con valori TVE. Quindi, a seconda dei livelli di deposizione di sedimento e innalzamento di temperatura (T ), la covarianza non solo è in grado di modulare l’entità dell’effetto della varianza, ma anche il suo segno (positivo o negativo). L’intervallo di temperature in cui avviene l’inversione è determinato dal livello di deposizione di sedimento.

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Figura 14. Effetto totale della varianza. Nei tre pannelli è rappresentato l’effetto della varianza (%, asse y) generato dalle simulazioni a partire dalla SR della biomassa, per i tre livelli sperimentali di trattamento col sedimento (5 mm, 10 mm, 15 mm, titolo del grafico) e per i diversi livelli di covarianza in funzione della simulazione del riscaldamento (T: +0°C/+20°C, asse x). L’effetto della co-varianza, rappresentato dall’ampiezza del fascio di linee (freccia bifronte nera), è stato ottenuto, per ciascun valore di T come il modulo della differenza dell’effetto della varianza nello scenario di covarianza negativa (-1) e l’effetto della varianza nello scenario di covarianza positiva (+1). Per quel che riguarda i pannelli superiori, gli assi sono stati riscalati in ciascun pannello in modo da facilitarne l’interpretazione dei risultati.

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4 Discussione

Il nostro studio ha evidenziato che la covarianza può sia influenzare la biomassa del biofilm che modulare il grado in cui la variabilità (nella deposizione di sedimento e l’innalzamento di temperatura) incide sulla biomassa del biofilm. Inoltre, nello scenario di elevata deposizione di sedimento (15 mm), la biomassa diminuisce linearmente con l’aumentare della covarianza, e tale effetto diviene progressivamente più negativo all’aumentare dell’innalzamento della temperatura. La coincidenza di eventi estremi di temperatura (T > 15°C) con eventi intensi di deposizione di sedimento (covarianza positiva), può quindi ridurre, fino a portare al collasso, la biomassa del biofilm. L’importanza del grado di aggregazione di eventi estremi di temperatura e deposizione di sedimento sul biofilm di costa rocciosa è stata evidenziata da un precedente studio sperimentale (Dal Bello et al. 2017). In tale studio è emerso che la concomitanza temporale di due eventi estremi era maggiormente impattante per il biofilm rispetto allo scenario in cui gli eventi erano separati da un lungo intervallo di tempo. Quindi i risultati di questo studio sottolineano l’importanza della covarianza nel determinare e modificare le modalità di distribuzione degli organismi.

Le simulazioni evidenziano inoltre come l’effetto della covarianza contribuisca fino al 160% nella differenza dell’entità dell’effetto della varianza (Fig.14). Per un dato valore medio di temperatura (T) e spessore del sedimento, la direzione e l’intensità dell’effetto della varianza vengono influenzati tanto dalla curvatura della superfice di risposta (Fig.10a) che dalla sua concavità o convessità (Ruel and Ayres 1999, Martin and Huey 2008). Il marcato effetto negativo della varianza è emerso a elevati valori del  di temperatura e spessore del sedimento (Fig.14; T > 13°C, 10 mm e 15 mm), dove il grado di curvatura e la concavità della superfice di risposta è massimo (soprattutto sull’asse del T). L’effetto negativo della varianza si manifesta anche a bassi valori di innalzamento di temperatura e deposizione di sedimento dove la superfice di risposta mostra un moderato grado di concavità lungo l’asse della temperatura. Al contrario, per valori intermedi del  di temperatura (T = 8°C), la superfice di risposta è convessa lungo l’asse della temperatura ma diviene mano a mano

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concava all’aumentare della deposizione di sedimento. Questo cambiamento nella curvatura della superfice lungo l’asse dello spessore del sedimento causa l’inversione dell’effetto della varianza, che per bassi valori di T passa da valori negativi a valori positivi e che al contrario, per elevati valori di T, passa da valori positivi a valori negativi.

In ecologia è stato ampiamente studiato l’effetto esercitato da sorgenti multiple di stress sugli ecosistemi e sulla biodiversità (a.e. per il phytoplankton riscaldamento ed acidificazione [Benner et al. 2013, Schlüter et al. 2014], acidificazione e nutrienti [Lefebvre et al. 2012], o altre combinazioni di stressors [Boyd et al. 2015]). Dal punto di vista concettuale, gli organismi soggetti all’azione di più variabili possono esibire tre tipi di risposte: additiva, antagonista o sinergica (Todgham and Stillman 2013). Un effetto additivo è quello, ad esempio, del corallo biocostruttore Porite panamensis (Verril), il quale, se soggetto separatamente a temperature elevate e pH ridotto, subisce una decrescita della massa dei singoli polipi del 21% e 24% rispettivamente, mentre in concomitanza dei due fattori del 45% (Anlauf et al. 2011). In questo caso la somma dell’effetto dei singoli stressors è uguale all’effetto complessivo dei due stressors combinati. Gli effetti antagonisti sono ad esempio quelli che Rautenberger and Bischof (2006) hanno riscontrato nel loro studio sulla macroalga antartica Ulva bulbosa (Linnè), la quale, a fronte di un aumento della radiazione UV inibisce la fotosintesi, riducendo l’efficienza fotosintetica del 17%. Questa inibizione, tuttavia, scompare in presenza di un innalzamento della temperatura (Rautenberger and Bischof 2006). In questo modo l’effetto combinato degli stressors è minore della somma dell’effetto degli stressors presi singolarmente. Infine, un effetto sinergico è ad esempio quello per cui l’aumento dell’acidità dell’acqua riduce il successo della fecondazione in Acropora tenuis (Dana) di circa il 7%, mentre l’aumento della temperatura lo riduce del 15%. Nonostante ciò, la sinergicità tra i due effetti emerge a partire dal fatto che la compresenza dei due stress riduce il successo della fecondazione del 39% (Albright and Mason 2013). In questi casi l’effetto combinato è maggiore della somma dell’effetto isolato dei singoli stressors.

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Le simulazioni evidenziano inoltre come l’effetto della covarianza vari sia in funzione dell’innalzamento di temperatura che della deposizione di sedimento (Fig.13). L’effetto della covarianza emerge quando temperatura e sedimento agiscono in maniera non additiva su una specifica variabile risposta (Chesson et al. 2005). Nel nostro modello, il marcato effetto negativo sulla biomassa della covarianza è emerso a elevati valori dello spessore del sedimento (Fig.13): ciò suggerisce che temperatura e deposizione di sedimento agiscono in modo super-additivo, mentre per valori inferiori di spessore di sedimento, dove l’effetto della covarianza è nullo o positivo, i due fattori agiscono in maniera additiva o perfino sub-additiva.

Il modello qui sopra presentato (superficie di risposta; Tab.4 e Fig.10) è di natura fenomenologica, che a differenza di quelli meccanicistici, non incorpora specifiche equazioni che modellizzano in maniera esplicita i meccanismi che governano le dinamiche del sistema di studio (nel nostro caso l’innalzamento della temperatura e la deposizione di sedimento) (Frigg and Hartmann 2017). Mentre la relazione tra biomassa del biofilm e temperatura (Thermal performance curve) è stata derivata da un precedente studio (Dal Bello et al., submitted), la relazione tra deposizione di sedimento e biomassa non era stata mai descritta prima. La relazione, quindi, tra queste due variabili è stata modellizzata mediante l’utilizzo di modelli (GAM) che non impongono la conoscenza della relazione tra variabile dipendente e predittori. Questo aspetto aumenta la cautela con cui devono essere interpretate le previsioni provenienti da modelli che non incorporano esplicitamente i meccanismi che governano il sistema di studio (Koussoroplis and Wacker 2016).

Il nostro studio ha evidenziato un effetto negativo dell’innalzamento della temperatura e della deposizione di sedimento sul biofilm di costa rocciosa. Dal Bello et al. (2017) avevano riscontrato una diminuzione di circa il 50% della biomassa del biofilm in seguito all’applicazione di trattamenti estremi di innalzamento della temperatura e deposizione di sedimento. Due meccanismi fisiologici potrebbero spiegare la risposta del biofilm all’innalzamento della temperatura osservata nel nostro studio. In primo luogo, lo stress termico può causare morte cellulare disorganizzando la struttura

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