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eguaglianza, questione sociale, teoria dello stato

SOMMARIO:III.1. Il concetto di eguaglianza (a partire da Paine). – III.1.1. L’eguaglianza tra teoria e prassi. – III.2 Società e governo: un binomio tra bisogni individuali e sentimenti

sociali. – III.2.1. “Con Smith, oltre Smith”: interesse e commercio. – III.3. La povertà co-

me fatto collettivo e la tassazione progressiva: l’emergere di “nuovi” diritti. – III.4. Il

“nodo” della proprietà e il ruolo dello Stato: la regolazione dei diritti. – III.4.1. Potere

politico e proprietà: “democratizzare Locke”. – III.4.2. Basic income e cittadinanza sociale.

It is not charity but a right – not bounty but justice, that I pleading for. The present state of what is called civilization, is the reverse of what it ought to be, and the contrast of affluence and wretchedness continually meeting and offending the eye, is like dead and living bodies chained together. Though I care as little about riches as any man, I am friend to riches Because they are capable of good. I care not how affluent some may be, Provided that none be miserable in consequence of it. (Agrarian Justice 1

)

III.1. Il concetto di eguaglianza (a partire da Paine)

L’opera di Paine restituisce in maniera fedele e articolata i caratteri fon- danti e le tensioni di quella categoria così complessa e multiforme che è l’eguaglianza.

1

TH. PAINE, The Agrarian Justice, p. 405 (trad. it., pp. 354-355: «Quello che io difendo

non è un’elemosina, ma un diritto, non un dono, ma la giustizia. Lo Stato attuale della civiltà è odioso, quanto ingiusto. Esso è del tutto opposto di quel che dovrebbe essere, ed è

Partendo dall’attuale status quaestionis di questa controversa nozione e cercando di individuarne le radici e le basi filosofiche – che nel corso del tempo e degli eventi storici si sono tra loro scontrate e a volte intrecciate ge- nerando molteplici forme e tradizioni politico-giuridiche – è stato rilevato come si possano distinguere quattro specifiche tradizioni a cui sono connesse altrettante specifiche versioni dell’idea di eguaglianza: la tradizione greca classica con la sua idea di isonomia; la tradizione ebraico-cristiana con l’idea dell’eguaglianza di fronte a Dio; la tradizione giusnaturalistica moderna e l’eguaglianza «naturale»; la tradizione rivoluzionaria e l’eguaglianza sostan- ziale2

. È a partire dagli effetti e dalle torsioni che tali declinazioni dell’idea di eguaglianza hanno avuto, in particolare nel corso dell’età moderna, che si può tentare, anche nell’epoca presente, di interrogarsi sulle potenzialità, le forme e i limiti di questo concetto cardine del lessico filosofico-politico e fi- losofico-giuridico. Entro questo quadro di riferimento, qui riprodotto in maniera schematica ma essenziale, si cercherà di mostrare quanto la rifles- sione painiana offra fecondi spunti di riflessione e anche di traduzione prati- co-politica di una “certa idea” dell’eguaglianza per lo scenario politico e so- ciale contemporaneo (e non è un caso, come si mostrerà in seguito, che una delle più recenti declinazioni dell’idea in questione, nella forma di un reddi- to di cittadinanza – basic income – abbia in Paine il suo primissimo teorico).

Ciascuna rivendicazione della quale Paine si fece portavoce, nella sua ininterrotta battaglia per l’emancipazione, si fondava sul riconoscimento della naturale eguaglianza dei diritti degli uomini. L’idea dell’eguaglianza muove e orienta già i suoi primi scritti in «The Pennsylvania Journal», da quelli di condanna per la schiavitù dei neri (African Slavery in America)3

a

necessario che vi si effettui una rivoluzione. Il contrasto fra opulenza e miseria che offende la vista è come lo spettacolo di un vivo e di un morto incatenati l’uno all’altro. Per quanto mi interessi la ricchezza meno che a chiunque altro, sono amico della ricchezza perché è su- scettibile di fare del bene. Non mi importa quanto possano essere ricchi alcuni, purché nes- suno sia miserabile per causa loro»).

2

Gf. ZANETTI, Eguaglianza, in A. Barbera (a cura di), Le basi filosofiche del costituziona-

lismo, Laterza, Roma-Bari, 1997, pp. 43-66, cui si rimanda anche per alcuni essenziali rife-

rimenti bibliografici.

3

L’articolo, scritto nel 1774 e pubblicato l’anno successivo, si inseriva nel solco della

tradizione umanitaria quacchera (cfr. J. SYKES, Storia dei quaccheri [1959], Sansoni, Firen-

ze, 1966, in part. p. 73). In esso si sosteneva non solo il diritto naturale alla libertà dei neri in quanto figli di Dio, ma anche che gli ex proprietari di schiavi avrebbero avuto il dovere di offrire assistenza a quegli schiavi vecchi o infermi, del cui lavoro avevano in passato go-

quelli contro la discriminazione femminile (An Occasional Letter on the Fe- male Sex)4

: testi, questi, che anticiparono fondamentali battaglie civili che hanno segnato la storia americana come «storia di espansione della libertà»5

, ben oltre la guerra di Indipendenza e il tempo di Paine, e che hanno attraver- sato per l’intero secolo scorso (e in parte attraversano tutt’oggi) le coscienze e la società nordamericane6

.

È opportuno, allora, interrogarsi sulle origini di tale fede nell’eguaglianza, una fede che poggia su solide basi umanistiche. In Paine l’eguaglianza ha in- nanzitutto una matrice religiosa e può trovare la sua originaria collocazione

esclavidud de los negros, in AA.VV., Studi in memoria di Giovanni Ambrosetti, 2 voll., Giuf-

frè, Milano, 1989, vol. I, pp. 374-385; J.V. LYNCH, The Limits of Revolutionary Radicalism:

Tom Paine and Slavery, in “Pennsylvania Magazine of History and Biography”, 123, 1999,

3, pp. 177-199. Paine fu uno dei fondatori dell’“American Anti-Slavery Society” e lavoran- do come segretario per l’Assemblea legislativa della Pennsylvania contribuì a stendere un

primo testo di legge che prevedeva l’abolizione della tratta (cfr. C. HITCHENS, Thomas Pai-

ne’s The Right of Man, cit., pp. 33 e 47). Tuttavia, a parte qualche rarissima eccezione, i

primi movimenti abolizionisti – religiosamente ispirati – non citavano l’«infedele» Paine

(H.J. KAYE, Thomas Paine and The Promise of America, cit., pp. 147-151). Su questi aspetti

si veda: P.LINEBAUGH,M.REDIKER, I ribelli dell’Atlantico. La storia perduta di un’utopia

libertaria (2000), Feltrinelli, Milano, 2004, pp. 232-233. Cfr., più in generale, D.B. DAVIS,

The Problem of Slavery in the Age of Revolution, 1770-1823, Oxford University Press, New

York, 19992

, in part. pp. 101, 268-269, 279-286, 327; P. GOODMAN, Of One Blood: Aboli-

tionism and the Origins of Racial Equality, University of California Press, Berkeley, 1998,

pp. 161-172.

4

Le più importanti figure del movimento per l’affermazione degli women’s rights, attive al contempo per l’affermazione della racial equality, erano grandi ammiratrici di Paine – l’alfiere della lotta contro il dispotismo monarchico e quello religioso – e oltre a suggerire la lettura dei suoi testi, insieme a quelli di Wollstonecraft, ne tessevano pubblicamente l’elo-

gio: cfr. H.J. KAYE, Thomas Paine and The Promise of America, cit., pp. 151-153. Occorre

però ricordare che, pur criticando le relazioni di dipendenza che legano le donne agli uomi- ni, Paine non propone mai il diritto di voto alle donne, anche quando sostiene il suffragio universale.

5

Cfr. E. FONER, Storia della libertà in America, cit., incentrato sullo stretto intreccio tra

i concetti di «libertà» e di «identità nazionale americana». Foner si sofferma anche sull’«atmo- sfera egualitaria dell’America rivoluzionaria», richiamando al riguardo le posizioni di Paine (pp. 33-34).

6

Ma le tesi di Paine hanno inciso in forme più o meno dirette anche sulla teoria e le pratiche politiche, nonché sui modelli costituzionali, latinoamericani, come mostra molto

bene B. CALANDRA, “El impresionante brillo de la felicidad”. Il pensiero di Thomas Paine in

America Latina, in AA.VV., L’età di Thomas Paine, cit., pp. 193-216. Cfr. anche M. ROSTI,

I modelli giuridici del federalismo argentino, in “Materiali per una storia della cultura giuridi-

nella tradizione ebraico-cristiana (la seconda radice sopra richiamata). E que- sta radice religiosa dell’eguaglianza è strutturalmente connessa con l’origine dei diritti naturali. Alcuni passi emblematici attestano la pervasità di tale de- clinazione del concetto in Paine e dunque vale la pena riportarli integral- mente. In Common Sense si trova scritto:

Mankind being originally equals in the order of creation, the equality could only be destroyed by some subsequent circumstance; the distinctions of rich and poor, may in great measure be accounted for, and that without having recourse to the harsh ill sounding names of oppression and avarice7

.

È interessante notare, fin d’ora, come all’idea di un’eguaglianza naturale tra gli uomini, creati eguali, si affianca la messa a fuoco della distinzione tra poveri e ricchi che già rimanda ad un’altra costellazione di problemi che tra- valicano la sfera dei rapporti individuali, per introdurre questioni che impli- cano la presenza e l’organizzazione interna della società. Ma procediamo con ordine. Se il passo riportato richiama, immediatamente, un’idea di orizzon- talità di tutti gli uomini di fronte ad un Dio creatore trascendente, a ben ve- dere, esso fa emergere anche un’altra fondamentale radice dell’eguaglianza: quella connessa con il giusnaturalismo moderno (la terza secondo lo schema iniziale). Nell’affermazione «poiché gli uomini sono originariamente uguali nell’ordine della creazione, l’eguaglianza può essere stata distrutta unicamen- te da qualche circostanza successiva», riecheggia l’ispirazione lockiana, espres- sa nelle note frasi del Secondo Trattato sul Governo:

[…] for men being all the workmanship of one omnipotent and infinitely wise maker; all the servants of one sovereign master, sent into the world by his order and about his business; they are his property, whose workmanship they are made to last during His, not one another’s pleasure. And, being furnished with like faculties, sharing all in one community of nature, there cannot be supposed any such subordinationamong us that may authorise us to destroy one another, as if we were made for one another’s uses, as the in- ferior ranks of creatures are for ours8

.

7

TH. PAINE, Common Sense, p. 12 (trad. it., p. 74: «Poiché gli uomini sono originariamen-

te uguali nell’ordine della creazione, l’uguaglianza può essere stata distrutta unicamente da qual- che circostanza successive: le distinzioni tra poveri e ricchi si possono spiegare per la maggior parte senza dover ricorrere al suono aspro e sgradevole delle parole oppressione e avidità»).

8

J. LOCKE, Two Treatises of Government (1691), trad. it. Trattato sul governo, a cura di

L’eguaglianza dei diritti (alla vita e alla salute, alla libertà, agli averi) si configura come corollario dell’eguaglianza di fronte al Creatore.

Un altro passo – che, tra l’altro, richiama molto da vicino il modello rous- seauiano – è assolutamente indicativo di quanto si sta argomentando, questa volta tratto dalla prima parte dei Rights of Man:

The error of those who reason by precedents drawn, respecting the rights of man, is, that, they do not go far enough into antiquity. […] But if we pro- ceed on, we shall at last come out right; we shall come to the time when man came from the hand of his Maker. What was he then? Man was his high and only title, and higher cannot be given him […]. We are now got at the origin of man, and at the origin of his rights9.

Emergono qui il fondamento e la sanzione dei diritti individuali e innati dell’uomo, che trovano la loro fons et origo nella creazione divina. Questi di- ritti spettano all’individuo indipendentemente da qualsiasi aspetto sociale e soprattutto da qualsiasi titolo.

La critica ai titoli nobiliari, la lotta all’aristocrazia naturale, come si è vi- sto nel capitolo precedente, costituiscono il filo rosso della riflessione pai- niana e lo snodo cruciale della sua durissima polemica nei confronti di Bur- ke e della sua idea di società gerarchica (fondata su titoli ereditari e sulla di- stinzione tra re e sudditi, e tra ricchi e poveri). La parole di Paine anche in questo caso sono illuminanti, allorché, richiamando la Costituzione francese del 1791, egli osserva:

The French Constitution says, There shall be no titles, and of consequence, all that class equivocal generation, which in some countries is called “aristoc- racy”, and in others “nobility”, is done away, and the peer is exalted into

indipendenti, nessuno deve ledere gli altri, nella vita, nella salute, nella libertà o negli averi. Infatti essendo tutti opera di un solo Creatore onnipotente e infinitamente saggio […] gli uomini sono proprietà di colui di cui sono creature, fatti per durare […]. E poiché siamo forniti di pari facoltà, partecipi di una comune natura, non si può supporre tra noi una su-

bordinazione tale che ci autorizzi a distruggerci a vicenda». Sul punto cfr. M. GRASSO,

Thomas Paine, diritti dell’uomo tra governo e costituzione, cit., pp. 38-39. 9

TH. PAINE, Rights of Man, I, pp. 461-462 (trad. it., pp. 142-143: «In merito ai diritti

dell’uomo, l’errore di quanti ragionano basandosi su precedenti tratti dall’antichità è di non risalire abbastanza indietro nel passato. […] Se procediamo ancora, giungeremo infine alla meta, cioè al momento in cui l’uomo uscì dalle mani del suo Creatore. Che cosa era egli al- lora? Un uomo. Uomo era il suo unico e alto titolo, e non si può attribuirgliene uno più elevato […] Siamo così giunti all’origine dell’uomo, e all’origine dei suoi diritti»). Il passo richiama da vicino l’incipit del Contratto sociale.

MAN. […] It is properly, from elevated mind of France, that the folly of ti- tles have fallen. It has out grown the baby-cloaths of Count and Duke, and breeched itself in manhood. French has not levelled; it has exalted10.

Questo passo è rilevante per diversi motivi. Il richiamo alla Costituzione francese avviene nel contesto di una trattazione delle «fonti» (o fondamenti) da cui possono sorgere i governi: superstizione (governo del clero), forza (Stato assoluto), interesse comune della società (democrazia repubblicana)11

. Quando i governi nascono dalla società, spiega Paine, si basano su un contratto. La Costituzione francese esprime il frutto di un contratto sociale, nella sua spe- cifica veste di costituzione scritta: a differenza dell’Inghilterra, dove non esi- ste né è mai esistita una Costituzione inglese del governo inglese, che è sorto dalla conquista e non dalla società ed è dunque sorto non dal popolo, ma al di sopra del popolo12

. Qui, scrive Paine, «il popolo deve ancora creare la co- stituzione». Il richiamo al contratto lega ulteriormente la trattazione di Paine alla tradizione del contrattualismo, in particolare nella versione lockiana, come ha sottolineato Giovanni Tarello13

.

Attraverso l’abolizione dei titoli e l’affermazione di un “elevarsi” da parte dell’uomo – tramite l’eguaglianza sancita nella Costituzione –, emerge, dalle parole di Paine, un’altra fondamentale radice (la quarta): quella rivoluzionaria,

10

TH. PAINE, Rights of Man, I, p. 475 (trad. it., p. 156: «La Costituzione francese af-

ferma che non vi sarà nessun titolo, e di conseguenza tutta quella classe di gente dalle origi- ni equivoche che in certi paesi viene detta ‘aristocrazia’ ed in altri ‘nobiltà’ è eliminata ed il

pari viene innalzato a uomo […]. È proprio in conseguenza dell’elevatezza mentale della

Francia che la follia dei titoli è venuta meno. Essa ha smesso gli abiti infantili di conte e di

duca e ha indossato i calzoni da uomo adulto. La Francia non ha livellato, ma ha elevato»). 11

Ivi, I, p. 466 (trad. it., p. 147).

12

Cfr. ivi, I, pp. 469 e 467.

13

Il quale insiste su questo punto marcando la differenza tra il «vecchio contrattuali- smo» di Locke, ripreso da Paine «in senso rivoluzionario», e il «nuovo contrattualismo» di Rousseau. Il primo prevede, infatti, la «possibilità di annullamento del contratto sociale in seguito alla sua violazione; il contratto sociale contiene anche un patto di sottomissione a un potere con la clausola che tale potere tutelerà i diritti naturali degli individui, la cui tute- la e protezione costituisce appunto la ragione del patto sociale e dell’assunzione di obbe- dienza; la violazione, da parte del potere, della clausola di tutela e protezione dei diritti co- stituisce annullamento del contratto, fa cessare l’obbligo di sottomissione, e ricrea lo stato di natura». Per il nuovo contrattualismo invece, «il contratto sociale non è altro che l’eterna e immodificabile razionalità del coesistere sociale, che può bensì venire violata sul piano del

fatto, ma non può essere annullata sul piano del diritto» (G. TARELLO, Storia della cultura

che ha in Rousseau il suo primo grande interprete. Due sono le riflessioni che possono svolgersi sotto questo profilo.

La nozione di eguaglianza elaborata dal giusnaturalismo moderno, nella sua grammatica contrattualista a partire dall’idea di stato di natura e di patto sociale, con Rousseau supera i confini della categoria filosofica: affermare il valore dell’eguaglianza significa combattere il privilegio14

. L’idea di eguaglian- za si profila così come una categoria filosofica la cui efficacia giuridica e poli- tica si concretizza nell’eliminazione della possibilità di discriminazioni da- vanti alla legge. I cittadini hanno «pari dignità», non è ammissibile alcun or- dinamento sociale gerarchico (come quello, ad esempio, codificato nel Co- dice prussiano del 1794). L’idea di eguaglianza sancita dalla Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 e dalla Costituzione francese del 1791 ha un’origine pattizia, «artificiale», e tuttavia sancisce un’eguaglianza nativa, «naturale». L’antica idea dell’isonomia (la prima radice), dell’eguaglian- za di fronte alla legge, viene enunciata nelle Costituzioni francesi del 1791, del 1793 e del 179515

. Ma accanto all’eguaglianza di fronte alla legge si af- fianca l’idea di eguali e inalienabili diritti, come attestano i due «testi fon- danti della modernità politica (almeno per l’Occidente euroamericano)»16

, la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776 e la Di- chiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino proclamata dall’Assemblea Nazionale nel 1789 in Francia. La prima, con parole famose dettate da Jef- ferson, afferma: «Noi riteniamo che queste verità siano di per sé evidenti, che tutti gli uomini siano creati uguali e che siano stati dotati dal loro Crea- tore di certi inalienabili diritti fra i quali quelli alla vita, alla libertà e al per- seguimento della felicità [pursuit of happiness]»17

. La seconda, al primo arti- 14

Cfr. Gf. ZANETTI, Eguaglianza, cit., p. 58.

15

E successivamente, come ricorda ZANETTI (ibid.), nell’art. 1 della Carta del 1814,

nell’art. 6 della Costituzione belga del 1830, nell’art. 24 dello Statuto albertino, nel XIV emendamento della Costituzione degli Stati Uniti (1868), nell’art. 109 della Repubblica di Weimar (1919), fino ad arrivare all’art. 3 della Costituzione italiana. Per un excursus sull’egua-

glianza come «principio costituzionale» si veda M. FIORAVANTI, Costituzionalismo, cit., pp.

105-133.

Occorre ricordare qui che Paine fu membro dell’Assemblea Nazionale incaricata di re- digere la Costituzione del 1793.

16

T. BONAZZI, Introduzione a Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America,

cit., p. 11. Per un parere analogo cfr. E.J. HOBSBAWM, Le rivoluzioni borghesi 1789-1848

(1962), Laterza, Roma-Bari, 1988, p. 9.

17

Dalla Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, approvata il 4 luglio 1776 a Filadelfia dal Congresso continentale delle 13 colonie inglesi (per una recente edi-

colo, afferma: «Gli uomini nascono e rimangono sempre liberi ed eguali nei diritti. Pertanto le distinzioni tra cittadini non possono essere fondate che sul- l’utilità comune»18

. In entrambe, il valore dell’eguaglianza si presenta come architettonico rispetto ai diritti soggettivi.

Un’altra riflessione può generarsi dal passo precedentemente citato, e più precisamente a partire dalla dicotomia “livellamento/elevamento” genetica- mente connessa, con diverse configurazioni a seconda delle interpretazioni, al- l’idea di eguaglianza. «L’eguaglianza può operare solamente in questi due modi: come elevamento di chi sta in basso, e come atterramento di chi sta in alto»19

. Per Tocqueville, così come per Aristotele e Platone, l’eguaglianza delle democrazie non può che essere del secondo tipo poiché la democrazia è il governo del numero, non del merito (per l’autore della Democrazia in Ame- rica la sovranità popolare è la versione politica del «dogma» sociale dell’egua- glianza20

. Su questo versante critico si collocherà, con un’inaudita radicalità, lo stesso Nietzsche21

, il quale scriverà che la supposta comune natura, in realtà costruzione della legge, ha consentito di esaltare tutti i caratteri che sono contro-natura ed è stata elevata, astratta e falsa, a norma universale del dirit-

zione italiana, con testo a fronte: Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, a cura di T. Bonazzi, cit.). Su pursuit of happiness e rivoluzione americana si vedano, entro

una vasta letteratura, C. ROSSITER, L’alba della repubblica. Le origini della tradizione ameri-

cana di libertà politica (1953), Nistri-Lischi, Pisa, 1963; U.M. von ECKARDT, The Pursuit

of Happiness in the Democratic Creed. An Analysis of Political Ethics, Praeger, New York,

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