L’IDENTITÀ “MINORATA” DEI DESTINATARI
5.5 Elementi di resistenza
5.5 Elementi di resistenza
Van Dijk parla di ideologia di sottomissione e di resistenza (1999) per descrivere le possibili posizioni dei gruppi dominanti in rapporto ai dominati.
Nel caso di questa ricerca emerge una posizione quasi univocamente organizzata su una modalità subordinata rispetto alle dimensioni portanti dell’ideologia etnocentrica dello sviluppo.
Sono presenti tuttavia delle eccezioni, alcuni elementi di resistenza ideologica principalmente riscontrati con persone di livello socioeconomico più elevato e tendenzialmente non raccolti dal resto del gruppo. Presentiamo di seguito una rapida rassegna di estratti legati a questi spunti di resistenza ideologica. Questo materiale potrebbe essere utile in una futura ricerca-‐intervento per costruire pratiche discorsive che possano disinnescare il processo costruttivo dell’identità stigmatizzata. Importante notare come gli elementi di resistenza dei quali parliamo non sono semplici disenfatizzazioni (come le molte già incontrate nella
trattazione), ma spunti di una visione contrastante e competitiva, seppur fortemente isolata, rispetto ai pilastri portanti dello schema di dominazione guidato dall’ideologia etnocentrica dello sviluppo: capacità, intelligenza, risorse, conoscenza.
(1)
For me they have this opinion that they are more intelligent than the Africans. Their culture is of course superior to ours. So all good things must come from them. But I think this is not absolutely true…
Questo passaggio è rappresentativo di una posizione di resistenza generale e probabilmente non è un caso che sia stato portato dalla persona con più potere, un solido background educativo nelle migliori scuole del paese, dirigente di un grande ospedale e parente di importanti uomini politici.
(2) And there is also another issue related to environment… things like hurricanes, hearthquakes are not very common in Africa and they occur quite regularly in the white man’s land. And it’s only maybe the residue that arrive here and the damage is not so great. So you find that some people will prefer to come here… and even the environment pollution is very low compared with white man’s world so they tend to move here and you know? Maybe they desire a change of environment…
In questo passaggio si coglie una visione molto semplificata e inesatta (probabilmente sovrastimando alcune immagini e notizie rispetto ad alcuni disastri naturali come gli uragani patiti sovente dagli Stati Uniti ma non riferibili all’Europa) e allo stesso tempo si pone l’accento su un tema importante, quello della degradazione delle risorse naturali occidentali e dell’interesse per quelle africane. Questo tema ricorre in vari altri passaggi.
(3) Negative aspects as well, like… things like natural resources that the white man wants and the African man doesn’t want to give…
(4) Some of them come and think that the Africans are not bright people, some of them think the Africans don’t know things… and you see them getting surprised to find out that someone knows…
Nell’estratto numero 4 si fa ancora riferimento, sfidandolo a livello semantico
locale e tramite un’evidenza, al tema della conoscenza, punto cardine dell’ideologia
appresa sul progresso.
(5) But others say the whites were created by nature like us, but because the long suffering they had this taught them a lot [ridono], because of bad weather and wars for example…
Con una move argomentativa legata all’uso dell’ironia si propone qui una spiegazione “antistigmatizzante” della differenza in termini di conoscenza. Non è
reale resistenza al nucleo principale dell’ideologia, ma si propone di disinnescarne almeno il corollario in termini di superiorità pura e razziale. A proposito di razzismo, il tema, completamente evitato in tutte le interviste con i cooperanti, emerge parzialmente in due dei cinque focus group:
(6) Racialism is basically about inferiority and superiority. The whites thinks ‘we are superior and that is a fact of life’… The magnitude of this attitude may not be as big as it was in the past but… we cannot deny that is still there…
Nell’estratto numero 6 si utilizzano moves argomentative (evidenze,
generalizzazioni) per affermare che nel discorso dei bianchi il razzismo è presente.
La contraddizione dilemmatica è legata al fatto che nella stessa discussione si confonde spesso il confine tra una superiorità dei bianchi in termini di “dono” e capacità innate rispetto a una legata a condizioni storiche. Anche questo è considerato da chi scrive uno spunto di apertura e una possibile indicazione di approfondimento per una seconda fase di ricerca e intervento volta a stimolare pratiche discorsive alternative. Nell’estratto successivo è riportata un’argomentazione (sotto forma di esempio) nella quale si attacca e si discute la retorica, spesso sostenuta esplicitamente dai locali, della superiorità di conoscenza dei bianchi in senso generale:
(7) Yes, I have one experience. When I worked in Gulu hospital with some medical personnel of Médecins Sans Frontières. They were not medically trained but pretending you to do what they say and yet not correctly. Assuming that they know… but from your point of view, you could see that they didn’t had a medical training but they expected you to accept just what they were telling you, maybe just because they were white…
5.6 Conclusioni
L’immagine che emerge da questa parziale esplorazione dell’autorappresentazione identitaria dei cittadini del distretto di Gulu è in linea con alcune delle premesse e delle domande di ricerca. L’identità è qui intesa come processo costruttivo e ricostruttivo, fluida, frammentata e complessa. Nella sua dimensione confinante con alcuni temi chiave dell’ideologia occidentale dello sviluppo, questa identità si integra con il discorso dei professionisti della cooperazione facendo propria quest’ideologia, riproducendola tramite il discorso con pratiche e temi quasi sovrapponibili (conoscenza, qualità, efficienza, scoperte, sviluppo, benessere ecc.).
Interessante è ricordare come l’identità sia una posizione intermedia tra quanto emerge localmente e l’incontro con categorie più ampie (De Fina, 2006) e che gli intervistati “ballino nel mezzo”, ricucendo le implicazioni stigmatizzanti dell’inferiorità accettata attraverso disenfatizzazioni sulle altre dimensioni. Una sorta d’indecisione tra lo sfidare e l’accogliere l’ideologia dell’altro, risolta a quanto sembra con un’accettazione che produce un’immagine di sé legata al gruppo di appartenenza fortemente lesionata nel rapporto e nel confronto con il mondo occidentale. Con possibili conseguenze, tutte da esplorare in quanto non hanno trovato spazio in questo lavoro, sulla propria percezione di sé individuale e rispetto alle proprie capacità personali tout court.
Esattamente in linea con la metafora portante di questo lavoro, quella delle carriere morali di goffmaniana memoria, sosteniamo qui l’idea che se il discorso degli ugandesi trovasse pratiche, metafore, strutture in grado di disinnescare la reificazione della posizione d’inferiorità nel confronto con l’occidente, si potrebbe allora inquadrare tutta l’impresa cooperativa sotto una lente differente, senza pagare questo prezzo identitario altissimo.
Resta certamente da capire se e come il nuovo ipotetico discorso interattivo tra cooperazione e destinatari possa rinnovarsi senza perdere il suo senso complessivo, fortemente radicato nella metafora dello sviluppo, ma anche questo è un terreno che lasciamo a un possibile lavoro successivo.