L’IDENTITÀ “MINORATA” DEI DESTINATARI
6.2 Limiti, criticità e possibili sviluppi
6.2 Limiti, criticità e possibili sviluppi
La ricerca affronta un panorama complesso e multidimensionale il quale non lascia spazio, anche coerentemente con l’approccio prescelto, per conclusioni o indicazioni definite e nette. Possiamo qui solo suggerire e illustrare influenze e correlazioni, le quali sono tutte potenziali spunti di approfondimento e base per la possibile sperimentazione di pratiche di intervento. La ricerca mira a essere un supporto teorico e intellettuale per complessificare lo sguardo sul fenomeno e
aumentare la consapevolezza delle persone coinvolte rispetto al ruolo delle pratiche discorsive utilizzate.
Uno degli elementi che certamente meriterebbe un approfondimento è il legame tra l’autorappresentazione subordinata degli ugandesi e la percezione di stigma che essi ne possono ricavare. È infatti una nostra supposizione che i contenuti in essa espressi abbiano le influenze negative sull’identità che noi gli attribuiamo attraverso il senso comune occidentale. In questo senso una futura ricerca per valutare nello specifico le ricadute in termini di benessere, autostima e fiducia dell’accettazione dell’ideologia etnocentrica potrebbe fornire indicazioni importanti e strutturare ulteriormente la base per i suggerimenti di intervento. Altri punti di attenzione risiedono nel materiale linguistico utilizzato. Nella particolare complessità qualitativa della metodologia prescelta la bontà dell’analisi è legata alla padronanza della lingua da parte del ricercatore. Se quest’ultimo elemento era presente nel testo italiano dei cooperanti, lo stesso non si può dire per quello prodotto dagli ugandesi. Inoltre la lingua utilizzata per raccogliere il testo dei locali è stata l’inglese e non l’Acholi, madrelingua del gruppo. Seppur lingua ufficiale nazionale, acquisita durante la dominazione coloniale britannica, possiamo solo presumere che essa restituisca in forma adeguata le costruzioni discorsive che i locali utilizzano quando pensano o interagiscono tra di loro in Acholi.
Un’ulteriore possibilità di sviluppo della ricerca riguarda il legame tra le due formulazioni discorsive. Come esposto nella sezione metodologica e nel commento ai risultati, l’impianto argomentativo di questo lavoro si fonda sulla cornice teorica dell’ideologia. Riteniamo che le continuità di repertorio discorsivo e la base ideologica comune emersa dalle analisi siano un supporto importante per suggerire le reciproche influenze tra i testi dei cooperanti e degli ugandesi. Sarebbe opportuno però sottoporre a un’indagine più propriamente interattiva il fenomeno, ad esempio raccogliendo e analizzando dati riguardanti momenti di interazione discorsiva tra componenti dei due gruppi, possibilmente in contesti quotidiani e spontanei. Ad esempio si potrebbe disegnare una ricerca con metodi di analisi della conversazione riguardanti interazioni lavorative. Un lavoro che nella
pianificazione della presente ricerca non ha trovato spazio per limitazioni logistiche relative soprattutto l’accesso agli ambienti di lavoro in questione.
Per quanto riguarda la scarsezza di elementi di “resistenza” nel discorso dei locali, alcuni spunti di approfondimento riguardano le condizioni storiche e politiche del contesto di raccolta dei dati. Ad esempio pare plausibile che “formule” coloniali differenti, quali quella portoghese o francese, abbiano creato le condizioni per un sentimento di resistenza nazionale più strutturato nel rapporto con l’occidente. Così come alcune caratteristiche culturali specifiche. Il confronto con approfondimenti in contesti nazionali diversi potrebbe in questo senso fornire indicazioni interessanti, così come offrire spunti per la costruzione di materiale discorsivo alternativo.
L’orizzonte di sviluppo più auspicabile per questo lavoro rimane però l’indagine sulle possibili formulazioni discorsive alternative da proporre nel gioco linguistico tra cooperanti e locali. Nella prospettiva costruzionista, l’identità è qualcosa di fluido, dinamico e processuale e il suo canale di costruzione privilegiato è quello discorsivo. Inoltre, in riferimento a quanto esposto sul piano teorico, il sistema sulla quale essa si struttura è un’integrazione continua tra interazioni sociali, discorso ed elaborazione individuale. In questo senso un elemento perturbante introdotto nelle modalità discorsive potrebbe avere riflessi ristrutturanti sulla struttura identitaria nel suo complesso.
Ciò che proponiamo in questo contesto non è un’ambiziosa rivoluzione nella semantica di fondo della cooperazione, ma una più puntuale e pragmatica revisione della narrazione locale che si genera nel rapporto diretto tra cooperanti e locali. L’egemonia culturale ed economica del mondo occidentale sta rapidamente cambiando forma; paesi e culture storicamente considerati in via di sviluppo stanno raggiungendo condizioni di influenza geopolitica su vaste aree del mondo. Un esempio su tutti è rappresentato dalla Cina, la quale è entrata con forza in relazione economica e politica con molti paesi africani con un approccio completamente diverso da quello cooperativo occidentale. Tali fenomeni propongono una riformulazione del modello sviluppista occidentale che potenzialmente svincola il rapporto di subordinazione dal solo asse occidente/resto del mondo. È allora ancora più importante, in un contesto in
rapido mutamento, tendere a operare sul piano delle narrazioni locali in modo da fornire gli strumenti a popoli e culture per emanciparsi da possibili carriere di subordinazione, qualunque sia la controparte.
L’idea di sviluppo non è più un’opzione: essa è ormai è parte del terreno comune anche in un contesto isolato come quello nordugandese. Ciò che invece può essere passibile di una costruzione pragmatica differente è come essa viene integrata con l’idea di conoscenza locale, in modo da permettere l’emersione di una via propria al cambiamento che non necessariamente comprenda l’affannosa corsa per diventare normali agli occhi dell’occidente.
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