Gli elementi particolarmente interessanti relativi alla ricostruzione proposta in questa sede non si esauriscono con l’analisi dei due commenti di Boezio all’Isagoge, ma possono essere estesi anche ad altre opere boeziane dalle quale possono essere ricavati interessanti elementi di semantica anch’essi utilizzati da Abelardo nella formulazione della propria risposta alla questione degli universali. Volendo dare una lettura semantica della soluzione abelardiana del problema della natura degli universali, come sarà meglio esplicitato in seguito, risulta di particolare interesse individuare già nelle opere di Boezio quei contenuti che verranno poi esplicitati ed approfonditi da Abelardo nelle sue opere logiche.
Già Boezio, infatti, sia nei due commenti in questa sede precedentemente esaminati, sia in altre opere logiche successive, giustifica e difende lo stretto rapporto che lega la funzione logica e linguistico-semantica dei termini universali al loro rimando extralinguistico e, dunque, al mondo delle res, avendo comunque ben chiara la distinzione tra l’aspetto metafisico e fisico e l’aspetto logico della considerazione dei generi e delle specie. Oggetto di studio della logica è infatti non l’analisi dell’essere, quanto piuttosto l’analisi dei termini e delle forme del discorso79. Già in Boezio
dunque, come sarà poi per Abelardo, esiste un nesso tra la questione degli universali e la questione relativa al collegamento tra la logica, il linguaggio e la realtà80.
Ancora Boezio però, pur tenendo ben salda l’autonomia della logica dalla metafisica, seguendo l’impostazione voluta da Porfirio, mantiene stabile la connessione continua tra le categorie e il mondo extralogico, poiché le voces significativae traggono la loro valenza semantica, e dunque la possibilità di essere utilizzate, proprio dal loro rapporto con la realtà.
79 Cfr. Anicii Manlii Severini Boethii In Cateogrias Aristotelis Commentaria Liber Primus, col 161C-161D: «Quare quoniam omnis
ars logica de oratione est, et in hoc opere de vocibus principaliter tractatur […] principaliter tamen refertur ad logicam, de cuius quodammodo simplicibus elementis, id est, de sermonibus in eo principaliter disputavi».
80 Dagli studi proposti da De Rijk emerge inoltre che non soltanto Abelardo fu influenzato da questa impostazione boeziana, ma
anche il pensiero logico successivo che ha sottolineato il carattere linguistico e sermocinalis della logica. Cfr. De Rijk L.M., Logica Modernorum. A contribution to the history of early terministic logic, I, Assen 1962.
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Poiché ci sono dieci generi primi di tutte le cose, era necessario che dieci fossero le voci semplici che si predicano delle cose subordinate: infatti tutto ciò che la voce significa si dice in riferimento alla realtà stessa che essa significa81.
Dunque, anche se l’oggetto primo e privilegiato della logica è la trattazione dei segni linguistici e del loro significato, proprio in forza di questa reciproca connessione, indirettamente e naturalmente verranno trattate anche le cose82.
La concezione del linguaggio proposta da Boezio, che lo vede composto di un insieme di termini in grado di riflettere differenti aspetti della realtà, è di derivazione e neoplatonica e aristotelica. Interessante, al fine dell’analisi della logica, dunque, non è il segno fonetico in quanto tale, la vox quindi, ma la sua funzione di simbolo e di veicolo di significati mentali e concettuali (e quindi il suo ruolo di vox significativa). Il ruolo fondamentale della vox è quello di significare concetti ricavati a loro volta dalla rappresentazione della realtà. A questo proposito, Boezio dedica tutto il primo capitolo del suo secondo commento al De Interpretatione di Aristotele all’analisi della questione semantica e all’analisi del fatto linguistico partendo dal passo aristotelico che afferma che i segni scritti sono simboli delle parole dette le quali, a loro volta, rimandano a concetti: se i segni scritti e le parole dette sono frutto di convenzione, poiché possono variare da lingua a lingua, i contenuti mentali sono invece comuni a tutti gli uomini poiché “affezioni dell’anima” naturalmente ottenute dalla realtà83. Queste considerazioni sono rintracciabili anche nella produzione di Porfirio quando, nel commento alle Categorie, fa riferimento al discorso interiore (ἐ ῆ α γ ) che è comune a tutti gli uomini e che ha luogo anche quando non parliamo. La logica, però, si occupa non tanto di questo tipo di discorso interiore, quanto di quello che permette la comunicazione umana.
Boezio fa una precisa analisi dei diversi segni linguistici fino a giungere alla definizione della vox significativa84 e alla distinzione da lui proposta tra “locutio” (termine con il quale traduce il greco ), che indica l’espressione linguistica, e vox significativa o dictio (corrispondenti al termine aristotelico φ )85.
ύli elementi fondamentali che permettono la comunicazione interpersonale sono per l’autore le cose, i concetti e le voci atte a comunicarli. Ad essi Boezio propone poi di aggiungere le litterae che
81 Cfr. Anicii Manlii Severini Boethii In Cateogrias Aristotelis Commentaria Liber Primus, col 162 D: «Quoniam rerum prima decem
genera sunt, necesse fuit decem quoque esse semplice voces, quae de subiectis rebus dicerentur: omne enim quod significat de illa re dicitur quam significant…»
82 Cfr. Anicii Manlii Severini Boethii In Cateogrias Aristotelis Commentaria Liber Primus, col. 161 C: «Res etenim et rerum
significatio iuncta est sed proncipalior erit illa disputatio quae de sermonibus est: secundo vero loco illa quae de rerum ratione formatur».
83 Cfr. Aristotele, De Interpretatione, 16 a 1-17.
84 Al fine della ricostruzione di questa analisi è interessante anche il confronto con il De Divisione. In particolare, cfr. De Divisione,
traduzione italiana, introduzione e commento a cura di Pozzi L., Liviana, Padova 1969, pagg. 81-84).
85 Maioli ritiene che queste analisi e suddivisioni non siano totalmente un contributo originale di Boezio, dato che si ritrovano già sia
in Ammonio, nel suo commento al De Interpretatione, sia in David, nel suo commento all’Isagoge di Porfirio. Cfr. Maioli B., Gli universali. Alle origini del problema, cit., pag. 261.
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hanno il compito di designare in forma scritta le voces. Questi quattro elementi non sono collegati tra di loro da una correlazione casuale, ma da un ordine naturale ben determinato:
[…] tutta la struttura del discorso è costituita da questi tre fattoriμ dalle cose, dai concetti e dalle vociέ Infatti le cose sono comprese attraverso l’intellettoέ δa voce invece significa i concetti dell’animo e dell’intellettoν in verità i medesimi concetti e concepiscono le cose subordinate e sono significati dalle voci. Sebbene dunque siano tre gli elementi attraverso i quali è perfezionato ogni discorso e ogni comunicazione, le cose che sono subordinate, i concetti che concepiscono le cose e che insieme sono significati dalle voci, e infine le voci che designano i concetti, ce n’è in realtà un quarto tipo, che sono le lettere e che servono a designare le voci stesse. Infatti le lettere scritte significano le stesse voci. Dunque sono queste quattro, ovvero le lettere che significano le voci, le voci che significano i concetti, i concetti che concepiscono le cose, e questi sono legati da una correlazione né casuale né fortuita, ma si fondano su un ordine determinato della propria natura86.
Tutti questi fattori hanno nella comunicazione una funzione ben determinata e necessaria, e l’ordine che li lega non può essere in alcun modo modificatoέ Approfondendo i vari rapporti che legano questi quattro elementi, si evince che tra res e intellectus sussiste un rapporto di correlazione naturale e necessario: la realtà, preesistente rispetto alla conoscenza umana, viene rielaborata dall’intelletto che da essa astrae i concetti che ne sono valide rappresentazioniέ Siccome la realtà è identica per tutti, comuni a tutti saranno anche i concetti da essa astratti. Questi ultimi, dunque, non sono frutto di convenzione ma provengono naturalmente dalla realtà. La convenzione linguistica riguarda dunque i restanti elementi della comunicazione, per cui due (le res e gli intellectus) risultano essere ex natura, mentre gli altri due (le voces e le litterae) sono ex positione. Boezio si richiama qui esplicitamente all’autorità di Aristotele87.
Essendo le voci e le lettere frutto di convenzione, e variando quindi a seconda delle diverse lingue, non sono collegate ai concetti attraverso una correlazione naturale e necessaria, come invece accade tra concetti e cose. Il significato, dunque, non è una proprietà naturale dei segni linguistici ma è frutto di convenzione. Afferma infatti Boezio che un’emissione di voci o un insieme di lettere diventano un nome nel momento in cui vengono convenzionati per significare un certo concetto e
86 Cfr. Boezio, In Liber De Interpretatione Commenta, col. 402 B-Cμ «…tribus his totus orandi ordo perficitur: rebus, intellectibus
atque vocibus. Res enim ab intellectu concipitur. Vox vero conceptiones animi intellectusque significat; ipsi vero intellectus et concipiunt subiectas res et significantur a vocibus. Cum igitur tria sint haec per quae omnis oratio collocutioque perficitur, res quae subjectae sunt, intellectus qui res concipuint, et cursus a vocibus significantur, voces vero quae intellectus designant, quartum quoque quiddam est, quo voces ipsae valeant designari, id autem sunt litterae. Scriptae namque litterae ipsas significant voces. Quare quatuor ista sunt, ut litterae quidem significent voces, voces vero intellectus, intellectus autem res concipiant, quae scilicet habent quamdam non confusam neque fortuitam consequentiam, sed terminato naturae suae ordine constant».
87 Cfr. Boezio, In Liber De Interpretatione Commenta, col. 404 D: «Ex quibus quatuor, duos Aristoteles esse naturaliter dicit: res et
animi conceptiones, id est eam quae fit in intellectibus orationem, idcirco quod apud omnes eaedem atque non mutabiles sint; duas vero non naturaliter, sed positione constitui, quae sunt nomina et litterae».
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quindi, indirettamente, una certa cosa: «In questo modo dunque i verbi e i nomi non sono soltanto voci, ma sono disposte ad una certa significazione di un concetto»88.
Una volta che la convenzione linguistica è stata consolidata, ci si potrebbe chiedere che cosa precisamente sia significato dalle voces, ovvero se da esse vengano trasmessi immediatamente gli intellectus o le res. Per rispondere a tale quesito Boezio si appella a Porfirio, perché meglio di tutti gli altri aveva dato corretta interpretazione della vis significationis delle voces. Anche se i segni linguisti significano sia le res sia gli intellectus, primariamente il loro rimando diretto è ai concetti e solo in seconda battuta e mediatamente significano le cose. Il segno linguistico, istituto attraverso la convenzione, ha la primaria e immediata funzione di significare concetti e solo indirettamente la realtà dalla quale i concetti sono astratti89.
Nella sua ricostruzione della questione della semantica, Boezio, parlando di vox, intellectus e res, riprende dunque elementi già presenti nella produzione aristotelica. Il suo grande merito consiste nell’aver proposto un’analisi interessante e una sistematizzazione in un quadro organizzato ed unitario di elementi già emersi nella cultura greca, facendo riferimento anche ai precedenti contributi di Porfirio e di Ammonio. Le sue opere risulteranno essere di fondamentale importanza, oltre che come già detto per Abelardo e per la successiva logica terministica90, anche per tutta la logica modernorum successiva, che si occuperà approfonditamente proprio dell’analisi del legame tra logica, linguaggio e realtà.
In conclusione, dalla breve analisi del pensiero boeziano qui proposta si può evincere come gli scolastici medievali abbiano tratto le fonti, l’impostazione della problematica, il linguaggio e le soluzioni che verranno da loro sviluppate nel successivo dibattito medievale sugli universali sia dai due commenti di Boezio all’Isagoge (in particolare dal secondo) sia dalle tesi e analisi contenute negli altri suoi trattati.
88 Cfr. Boezio, In Liber De Interpretatione Commenta, col. 408 C-D: «eodem quoque modo verba et nomina non solum voces sunt,
sed positae ad quamdam intellectus significationem».
89 Cfr. Boezio, In Liber De Interpretatione Commenta, col. 409 C: «Nam cum ea quae sunt in voce res intellectusque significent,
principaliter quidem intellectus, res vero, quas ipsa intelligentia comprehendit, secundaria significazione per intellectum medietatem».
90Per un’analisi approfondita realtiva alla logica terministica cfrέ Preti ύέ, “Studi sulla logica formale nel εedioevo”, in Rivista
critica di storia della filosofia 1953, pagg. 346-373; cfr. Preti Gέ, “δa dottrina della vox significativa nella semantica terministica classica”, in Rivista critica di storia della filosofia 1955, pagg. 224-2θ4ν cfrέ Dal Pra εέ, “Studi sul problema del linguaggio nella filosofia medievale: 1 – Cogitatio vocum e cogitatio rerum nel pensiero di Anselmo”, in Rivista critica di storia della filosofia 1954, pagg. 309-343.
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Capitolo II
1. La disputa sugli universali nel Medioevo
La vera e propria disputa sugli universali nel Medioevo fiorì in Occidente principalmente a partire dal XII secoloμ è proprio in quest’epoca, infatti, che vediamo apparire per la prima volta i termini latini Reales e Nominales per indicare le più importanti correnti di pensiero sorte all’interno del dibattito. Essa ha rappresentato uno dei temi più frequentati dal pensiero medievale ed è stata oggetto di studio storico-filosofico già a partire dal XIX sacolo, quando Victor Cousin e Barthélémy Hauréau hanno iniziato a dedicarsi alla questione della natura dei generi e delle specie, della quale entrambi avevano sottolineato l’importanza fondamentale all’interno della storia del pensiero91. Il
pensiero medievale in generale, e quello sugli universali in particolare, è stato oggetto di una dura critica da parte di Karl Prantl nella sua Storia della logica in occidente92. In questo testo egli
91A propostio degli studi sugli universali nel medioevo appartenenti al XIX secolo e all’inizio del XX secolo cfrέ, ad esempio,
Cousin Vέ, “Introduction” in Ouvrages inédits d’Abélard pour servir à l’histoire de la philosophie scolastique en France, Imprimerie Royale, Paris 1836; Cousin V., Fragments philosophiques. Philosophie Scholastique, 2ª ed., Ladrange, Paris 1840; Rousselot X., Études sur la philosphie dans le Moyen-Âge, 3 volls., Joubert, Paris 1840-1842; Ritter H., Geschichte der christlichen Philosophie, III, Perthes, Hamburg 1844, pagg. 354-474; de Rémusat C., Abélard, 2 vollsέ, δadrange, Paris 1κ4ην Kœhler, Realismus und Nominalismus in ihrem Einfluss auf die dogmatischen Systeme des Mittelalters, Perthes, Gotha 1858; Ubaghs C., Du problème ontologique des universaux et de la veritable signification du réalisme, Vanlinthout, Louvain 1861; Prantl C., Geschichte der Logik im Abendlande, vol. II, Hirzel, Leipzig 1861, pagg. 116-152 (2ª ed., Leipzig 1885; traduzione italiana: Prantl C., Storia della logica in Occidente, II. Età medievale. Parte Prima. Dal secolo VII al secolo XII, a cura di Limentani L., La Nuova Italia, Firenze 1937, pagg. 215-278); Stöckl A., Geschichte der Philosophie des Mittelalters, 2 volls., Kirchheim, Mainz 1864-1866; Barach C. Z., Zur Geschichte des Nominalismus vor Roscellin. Nach bisher unbenützten handschriftlichen Quellen der Wiener Kaiserlichen Hofbibliothek, Braumüller, Wien 1866; Hauréau B., Historie de la philosophie scolastique. remi re partie de Charlemagne à la fin du XII si cle), Durand et Pedone-Lauriel, Paris 1872; Loewe J. H., Der Kampf zwischen dem Realismus un Nominalismus im
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Bruxelles 1900, Canella G., Della dialettica nelle scuole dopo la Rinascenza carolingia e dell’Origine della Controversia degli
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Internationale des Instituts d’Études εédiévales, δouvain-la-Neuve 2009, pagg. 451-4θιν εarenbon Jέ, “Préface” a Erismann Cέ,
L’Homme commun. La gen se du réalism ontologique durant le haut Mo en Âge, Vrin, Paris 2011, pagg. v-xi; Erismann C., L’Homme commun, cit., pagg. 1-3.
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osserva come, nella disputa sugli universali, non ci siano mai state in realtà personalità preminenti: essa era piuttosto una materia tradizionale, con la quale tutti gli autori erano costretti a confrontarsi nel corso dei loro studi. I problemi e le conseguenti proposte che emergevano non erano mai frutto di una mente originale ed ingegnosa, ma provenivano tutti dalla filosofia precedente: di questa, venivano semplicemente riscoperti nuovi tratti di volta in volta. In generale, comunque, nella filosofia medievale, non si può parlare, a parere di Prantl, di originalità di pensiero, nemmeno nel caso di Abelardo, autore a suo avviso decisamente e ingiustamente sopravvalutato. Quella medievale – secondo Prantl - sarebbe un’epoca caratterizzata dall’immenso sforzo di approfondimento, che non ha saputo portare alcun nuovo contributo teorico. Per ritrovare la filosofia vera e propria e lo sviluppo nella ricerca si dovrà attendere il XV secolo: data questa prospettiva, per Prantl si potrebbe addirittura parlare, in riferimento al Medioevo, di un millennio perduto93.
Più recentemente, l’attenzione degli studiosi sul tema si è concentrata su problematiche diverse ad essa inerenti: mentre alcuni hanno dato maggiore rilevanza alla questione esegetica, relativa all’interpretazione dei primi passi della Isagoge porfiriana e delle traduzioni e dei commenti di Boezio, altri hanno invece enfatizzato la portata metafisica del problema, e altri ancora si sono maggiormente concentrati sull’aspetto logico e semantico connesso alla tematicaέ Caterina Tarlazzi, in Individui universali, propone una puntuale e approfondita ricostruzione degli studi contemporanei, individuando quattro autori di riferimento – quelli di seguito riportati - e i relativi ambiti di riflessione94.
Per quanto riguarda la questione esegetica, particolarmente rilevanti sono gli studi di Alain De Libera, contenuti in La querelle des universaux del 1996 e in L’art de généralites del 199995. Secondo De Libera, per comprendere correttamente la portata della questione degli universali è necessario considerare il contesto epistemologico nella quale essa si sviluppa: tale problematica nasce infatti all’interno dell’aristotelismo nella tradizione neoplatonica, come emerge dal fatto che essa trae le sue effettive origini dal confronto tardo-antico tra aristotelismo e platonismo96.
Di diversa impostazione sono i contributi forniti da Christophe Erismann97, il quale ha ampiamente indagato le caratteristiche e lo sviluppo del realismo ontologico altomedievale,
93 Prantl fu un autore molto criticato dagli studiosi successivi: la sua opera è stata presa in considerazione molto spesso (anche perché
in effetti offre una minuziosa ricerca storica, all’interno della quale si possono trovare contenuti molto interessanti), ma si può dire che sono pochissimi gli autori che concordano con le sue tesi
94 Cfr. Tarlazzi C., Individui universali. Il realismo di Gualtiero di Mortagne nel XII secolo. IV Premio International de Tesis
Doctorales, Fundación Ana María Aldama Roy de Estudios Latinos, Brepols Publisher, 2017, Introduzione, pagg. 14-24.
95 Cfr. De Libera A., La querelle des universaux. De Platon à la fin du Moyen Âge, cit. e De Libera A., L’art de gémnéralites.
Théorie de l’abstraction, Aubier, Paris 1999.
96 Cfr. De Libera A., La querelle des universaux, cit., pagg. 11-65.
97 Gli studi di Erismann sono presentati all’interno di numerosi articoli e di una monografiaμ cfrέ Erismann Cέ, L’Homme commun. La
genèse du réalisme ontologique durant le haut Moyen Âge, Vrin 2011ν Ersimann Cέ, “Generalis essentia. La théorie érigénienne de