CAPITOLO VII. Sguardi italiani sulla Spagna di fine Ottocento
7.2. Elena Mario, una viaggiatrice italiana in Spagna
Vorrei principiare il paragrafo dedicato alla viaggiatrice Elena Mario precisando che il suo nome compare soltanto all’interno di uno dei contributi dedicati alla letteratura di viaggio della studiosa Soledad Porras Castro, Hombre, Sociedad y cultura popular: viajeros italianos a España en el siglo XIX.330 Purtroppo, dopo essere riuscita a ottenere una copia del libro di viaggio in questione, Ricordi di un viaggio in Spagna 1882, inviatomi da Berlino, si è rivelato invece impossibile reperire indicazioni o informazioni in merito alla sua persona e al viaggio da lei intrapreso. Ho conseguentemente tentato di formarmi una personale idea della viaggiatrice italiana, in quanto scrittrice-viaggiatrice non ancora delineata, né da studi speciali, né in opere generali.
Nel caso della scrittura femminile, asserisce infatti Ricciarda Ricorda, ci si trova di fronte a una sorta di «silenzio al quadrato: a mancare non solo le indagini sui viaggi di italiane, ma proprio ricerche ed analisi sulle autrici “nostrane”»;331
prosegue, affermando che l’Italia non vanta una tradizione di viaggiatrici celebri. Assai diversificate risultano poi le forme in cui le viaggiatrici decidono di narrare le proprie esperienze. Molte di loro propendono, infatti, per forme di comunicazione alquanto private: lettere indirizzate ad amici o familiari, spesso destinate a disperdersi negli epistolari, in parte ancora da scoprire, oppure diari per i quali non è prevista la pubblicazione, realizzata solo in un secondo momento, postuma o a opera di altri.332 Pertanto Elena Mario, molto probabilmente donna appartenente a una classe sociale agiata, potrebbe essere un
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Roberto Ubbidiente, «La Spagna di Edmondo De Amicis», in Michel Bastiaensen (a cura di),
La Penisola Iberica e l’Italia: rapporti storico-culturali, linguistici e letterari, Firenze, Franco
Cesati Editore, 2008, p. 381.
330 Soledad Porras Castro, «Sociedad y cultura popular: viajeros italianos a España en el siglo XIX», Garoza, n. 4, 2004, p. 226.
331 Ricciarda Ricorda, «Viaggiatrici italiane in Italia tra Sette e Ottocento», in Ilaria Crotti (a cura di), Il viaggio in Italia, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999, p. 105.
122 esempio di tali viaggiatrici, il cui diario risulta stampato a Foligno nello stabilimento tipografico Pietro Scariglia il 26 luglio 1884.
Potrebbe, inoltre, rappresentare una delle poche donne ad aver potuto intraprendere un viaggio in Spagna dall’Italia nel XIX secolo, secolo che inizia ad aprire anche alle donne il mondo dell’avventura e del viaggio: il Grand Tour al femminile prende avvio più tardi rispetto a quello maschile, anche se non mancano le eccezioni, soprattutto in area anglosassone, e si deve attendere la seconda metà dell’Ottocento, se non l’inizio del Novecento, perché divenendo pratica più consueta, giunga ad assumere pienamente i caratteri dell’esperienza formativa.333 In Inghilterra, infatti, prende vita il fenomeno delle victorian travelling ladies o spinters abroad, e allo stesso modo iniziano a viaggiare anche francesi, austriache e americane. Meta dei loro viaggi, l’Italia. Motivo, l’attrazione che assunse e suscitò la lotta per la libertà del popolo italiano durante il periodo del Risorgimento:
La proclamación de Amedeo de Saboya como rey de España, hace que los italianos vean con profunda simpatía al pueblo que lo ha elegido. [...] En general se sienten fascinados por Andalucía, región que comparan con la Campania italiana. Su atmósfera blanca y misteriosa les acompañará siempre, produciéndoles una amable melancolía, mientras admiran a todo aquel que habita en ese jardín donde abundan las rosas y el azahar.334
L’interesse politico non sembra però essere il motivo del viaggio intrapreso da Elena Mario nel 1882, infatti nelle sue memorie, redatte sotto forma di diario, non compaiono osservazioni o considerazioni in merito alla questione. Non mancano invece commenti personali su luoghi, monumenti, personaggi incontrati e sembra molto attenta a distinguere aspetti che apprezza da altri che giudica negativamente; lo si può verificare nella descrizione delle donne spagnole, nelle quali riscontra come unico segno negativo la voce dura e severa:
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Ricciarda Ricorda, «Viaggiatrici italiane in Italia tra Sette e Ottocento», in Ilaria Crotti (a cura di), Il viaggio in Italia, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999, p. 106.
334 Soledad Porras Castro, «Concepto y actualización de la literatura de viajes. Viajeros en Españ en el siglo XIX», Castilla, n. 20, 1995, p. 185.
123 Per povera e stracciata che sia una donna spagnola avrà sempre la scriminatura da parte, i riccioli sulla fronte ed il piedino in calzatura elegante. Tutta questa grazia femminile in ogni ceto è già stata descritta tante volte ma nessuno ha mai menzionato l’unica cosa che le spagnole hanno di brutto: è la voce rauca quasi dura, mentre invece la lingua che parlano è tanto dolce, tanto cortese, tanto cordiale che si perdona l’uno per l’altro.335
La sua visione richiama l’attenzione del lettore, poiché il suo è un punto di vista femminile che descrive i fatti di carattere locale e costumbrista che spesso vengono tralasciati dagli uomini; dettagli di carattere vivace come le tranvie trainate da asini o i giorni di mercato, un luogo pervaso di colori, odori, suoni, pieno di vita. Il suo è uno sguardo rivolto a carpire i dettagli, ragion per cui tutto ciò che la circonda viene descritto con minuziosità.
Per quanto riguarda gli spagnoli, vengono presentati, se così si può dire, in movimento: nelle vie a piedi o con vari mezzi di trasporto, nei porti delle varie città, durante manifestazioni come la corrida oppure intenti a lavorare, e spesso è l’aspetto estetico o il modo di vestire ad attirare la sua attenzione, come mostra la descrizione riportata qui sotto:
Un fazzoletto rosso legato stretto intorno al capo, i calzoni corti, la faja intorno alla vita, le scarpe di corda ai piedi e sulle spalle la capa rigata a vari colori […] I paesani che lavorano nel campo nelle ore più calde non portano altro che una camicia bianca allungata in pantaloni fino al ginocchio, le gambe nude e i piedi calzati nella solita maniera dimostrano nel loro colore la potenza dei raggi solari.336
Già i due brevi brani del diario qui riportati avranno permesso di coglierne lo stile descrittivo, spoglio, semplice, di percepire una probabile mancanza di revisione formale, l’andamento poco ordinato del discorso, non privo di qualche ripetizione o imprecisione: si tratta, del resto, di un testo con molta probabilità
335 Elena Mario, Ricordi di un viaggio in Spagna nel 1882, Foligno, Scariglia, 1884, p. 10. 336 Ivi, p. 26.
124 non propriamente destinato alla stampa. Ciononostante, molti sono gli elementi di interesse che vi si rintracciano: lo sguardo della viaggiatrice risulta attento a cogliere i diversi aspetti della realtà che le sta intorno.
Il viaggio di Elena Mario, un viaggio che non compie da sola anche se non viene mai precisato chi siano i suoi compagni di avventura, inizia a Barcellona, il cui porto viene descritto come «un continuo andirivieni di gente premurosa di correre al fatto suo, gente di ogni classe, di ogni colore, di ogni vestire, parte a piedi, parte in carrozze»;337 osserva, inoltre, molti spagnoli di ritorno dall’America e apprezza per la prima volta il cibo spagnolo, gustando una «deliziosa» tortilla, del pesce fritto, costolette di montone e della frutta «squisita», felice di immergersi in un «meraviglioso» cielo azzurro, in un orizzonte senza nuvole e di lasciarsi scaldare da un sole radiante. Divide la tavola con italiani, francesi, tedeschi, un olandese e un russo stabilitisi in Spagna più per interesse che per diletto:
Si lagnavano degli ostacoli che l’indolenza spagnola pone all’agevolamento dell’industria e alla frequenza dei forestieri, enumeravano tutte quelle istituzioni senza senso comune che incomodano tutti quelli che vengono da altri paesi, che danno fastidio principalmente ai francesi avvezzi a essere rispettati e protetti dalle istituzioni pubbliche. Si lagnavano anche della gran pigrizia che regna in Catalogna benché sia la provincia più industriale.338
In un primo momento, tali osservazioni contribuiscono a creare nella mente della scrittrice impressioni negative riguardo quelle cosas de España, ma il suo buon umore non verrà mai intaccato da questi primi commenti sulla terra che si accinge a scoprire.
Il viaggio prosegue toccando città quali Valencia, Cartagena, Granada, Cadice, Siviglia, Toledo, Madrid, spostandosi di volta in volta col treno, spesso obiettivo delle sue lamentele dovute a qualche ritardo, alla sporcizia o alle troppe persone presenti nel suo scompartimento.
337 Elena Mario, Ricordi di un viaggio in Spagna nel 1882, Foligno, Scariglia, 1884, p. 2. 338 Ivi, p. 4.
125 Nella maggior parte dei libri di viaggio aventi come meta la Penisola Iberica è importante notare che l’Andalusia diviene sempre protagonista indiscussa dell’itinerario.339
Il motivo risulta evidente: all’epoca i viaggiatori ritenevano che in quella terra fosse ancora presente un vivo legame con il passato più primitivo, con lo stato naturale, selvaggio. L’Andalusia era il luogo in cui tratti arabi riuscivano a fondersi armonicamente con quelli locali. Siviglia, Cordova, Cadice e Granada furono molto spesso punto di partenza e di arrivo.
A partire dal secolo XVIII le mete predilette furono, in realtà, Francia, Germania e Italia; solo nel secolo successivo i viaggiatori europei iniziarono ad avvertire una forte attrazione nei confronti della Spagna. In alcuni casi, i viaggiatori visitavano il Paese, ritenuto culturalmente lontano dal proprio, giudicando, conseguentemente, tutto ciò che udivano e osservavano, in altri casi, intraprendevano il viaggio per ricercare quelle che ritenevano le origini romantiche, per trovarvi gli aspetti più esotici ed entusiasmarsi con il paesaggio.
Elena Mario incarna una viaggiatrice entusiasta - ma spesso anche molto critica nei confronti della realtà spagnola, a detta sua, alquanto decadente - e lo si nota, in particolar modo, nel momento in cui giunge a Granada, dove può godere della fresca acqua che le offrono i venditori ambulanti e del fascino della città andalusa.
La descrizione dell’Alhambra rivela quanto la scrittrice rimanga impressionata dalla magnificenza dell’antico palazzo-fortezza:
Vorrei descrivere la ricchezza e la varietà degli ornamenti scolpiti a mano sullo stucco; vorrei parlare delle cupole, ora in mosaico di cedro, ora in stalattiti luccicanti, in oro, verde e rosso; vorrei dire dell’incomparabile eleganza delle leggiadre colonnine che portano con tanta sicurezza gli archi forati a pizzo che hanno saputo resistere a secoli. Vorrei enumerare questi luoghi celebri e noti a tutto il mondo, facendo la piazza del palazzo come esiste ora; vorrei accompagnare i miei amici nel patio de los leones, nella sala dei divani, dove le belle riposavano dopo il bagno, e in tutti quei siti che fanno sognare ancora dei romantici tempi passati.340
339 Cfr. Soledad Porras Castro, «Concepto y actualización de la literatura de viajes. Viajeros en Españ en el siglo XIX», Castilla, n. 20, 1995, p. 185.
126 La scrittrice appare triste quando si vede costretta a lasciare queste sale, questi cortili in cui «giace dormente la poesia lirica in mezzo ai sogni sorridenti»341 e, nel momento in cui la porta si chiude alle sue spalle, si sente ormai esclusa dalla magica atmosfera che avvolge quel luogo.
Per le stradine strette della città vede girovagare asinelli carichi di verdure oppure di calce o di mattoni; grazie alle porte delle case lasciate aperte, rimane colpita anche dalla bellezza delle fontane e dei fiori che ornano il patio. Inoltre, ammira le terrazze sui tetti, da cui «si piegano, sopra i viandanti, i rami pesanti dei graniti carichi di frutti che spiccano pittorescamente sull’azzurro profondo del cielo».342 Curiosa, inoltre, la descrizione di ciarlatani e donne che offrono le loro merci gridando ininterrottamente:
Il ciarlatano racconta in mezzo alla piazza non so che storia meravigliosa di un drago e di un gigante ed intasca il cuarto che gli danno alcuni bambini intenti ad ascoltare; vecchie donne siedono sulla strada col coltello in mano, pronte ad aprire la buccia spinosa del fico d’India porgendone l’interno a chi passa, ognuno ne mangia da cinque a otto la mattina, perché viene considerato dallo spagnolo quel frutto igienico, necessario alla salute.343
Nelle stradicciole rimane altresì incuriosita dagli artigiani e dai negozianti che lavorano al cospetto di tutti senza porta o vetrina che separi il locale dalla strada, dalle piccole botteghe in cui il popolo compra il carbone in piccole quantità, utilizzando piccolissime ceste, dimostrando così la semplicità, la parsimonia degli spagnoli. Attraverso simili descrizioni, a volte per nulla banali e ricche di dettagli, l’autrice delinea alcuni dei tratti tipici e alcune delle usanze del popolo spagnolo.
Nell’Albaicín, l’antico quartiere Saint Germain di Granada, le resta difficile rifiutare l’invito di coloro che la invitano a riposare nelle loro dimore; accetta anche di assaggiare un ottimo bollito, i cui ingredienti vengono descritti in maniera molto precisa e scrupolosa.
341Elena Mario, Ricordi di un viaggio in Spagna nel 1882, Foligno, Scariglia, 1884, p. 56. 342 Ivi, p. 57.
127 A questo punto la narrazione diventa più pessimista:
La classe più povera abita qui, su questa collina, non lungi dalle tane dei gitani che si stendono verso ponente, ma le case trascurate degli spagnoli fanno spesso un’impressione più mesta dei buchi degli zingari, vacillanti e storte, […] fanciulli nudi giocano sul selciato cattivo; […] c’erano strade dappertutto, ma rovinate dal tempo, si sciolgono i sassi che rotolano giù e nessuno si cura di riformare questa desolazione e pare un’ironia il vedere il portalettere nella bellissima uniforme celeste oscura coi bottoni luccicanti cercare un cammino fra i sassi e le case diroccate.344
La scrittrice descrive la decadenza del luogo, accusando il comune di Granada di un’indolenza imperdonabile in ogni cosa, anche per quanto riguarda la limpieza de las calles: nel centro della città vede, infatti, un uomo scaricare il cesto delle immondizie, le quali forse spariranno dalla strada soltanto grazie alla pioggia. A suo parere, infatti, il comune non valorizza la bellezza di quei luoghi meravigliosi; i signori e i consiglieri comunali li lasciano decadere lentamente, come spesso fa emergere dalle pagine del suo diario.
Contrariamente alla maggior parte dei viaggiatori italiani, Elena Mario non si lascia trasportare dal potere seduttivo solitamente esercitato da due delle più importanti tradizioni appartenenti alla cultura spagnola, il flamenco e la corrida. Sebbene la viaggiatrice non apprezzi moltissimo la danza spagnola, infatti la definisce «ballo originalissimo ma brutto»,345 a mio parere, riesce comunque a descrivere la scena in modo talmente avvolgente da catturare pienamente l’attenzione del lettore, il quale lascia che la sua fantasia lo trasporti all’interno di quell’atmosfera:
Le ballerine portano vesti larghe, bianche o rosse, la vita nera per lo più è coperta da un bel fazzoletto di seta e i capelli pettinati ed unti con gran cura sono seminati di quei fiori odorosi che paiono stelle, […] ballano storcendosi il corpo sui fianchi, battendo il suolo coi piedi; le mani, le braccia, le smorfie
344 Elena Mario, Ricordi di un viaggio in Spagna nel 1882, Foligno, Scariglia, 1884, p. 61. 345 Ivi, p. 75.
128 accompagnano gli slogamenti del corpo; la musica consiste in accordi monotoni di chitarra, in un canto cadenzato e nel battere le mani; di quando in quando la musica ed i circostanti stimolano le ballerine a nuovi storcimenti di fianchi gridando energicamente ¡Anda!.346
La sola cosa che le fa piacere è la musica, e i suoni armoniosi emessi da quella chitarra sembrano dar vita a una vera e propria sinfonia, sembrano esprimere il «frastuono di una battaglia, il suono del tamburo, un colloquio amoroso interrotto da guerrieri vincitori», e tali immagini portano l’autrice a scrivere che non avrebbe mai pensato che questo strumento si prestasse a scene tanto grandiose.347
Elena Mario è una forestiera il cui obiettivo è vedere tutto ciò che vi è di più originale, di più tipico e, per questo motivo, decide di assistere anche a una corrida nella città di Granada, sebbene ritenga tale spettacolo sinonimo di crudeltà: è domenica, l’arena è vicina alla plaza de Triunfo; l’anfiteatro è colmo di gente; il toro salta furibondo, aizzato e attirato in varie direzioni dai mantelli rossi dei campeadores; si tratta del début di Alfonso Díaz. Alla fine dello spettacolo la scrittrice, disgustata, lascia l’anfiteatro per tentare «di distrarre la propria mente che assolutamente non si poteva assuefare alle corride».348
Il suo viaggio prosegue nella città di Siviglia, la città più vivace della Spagna, quella città in cui «carrozze e cavalli, risa, chiacchiere, canti e suoni di mandolini si confondono fino alle prime ore del mattino»,349 ragion per cui i forestieri sono mattutini, mentre gli spagnoli riposano fino a tardi. In questa città il suo interesse si rivolge anche all’arte, in particolar modo verso la pittura, che fino a questo momento ha avuto un ruolo piuttosto marginale all’interno dell’opera e del suo viaggio:
Ammirammo alcuni quadri del Murillo che è davvero senza rivali nel rendere col suo magico pennello il fervore religioso e il sentimento mistico e questa qualità lo rende caro agli animi dolci e ferventi mentre il colorito energico gli acquista l’ammirazione delle menti forti e degli artisti.350
346 Elena Mario, Ricordi di un viaggio in Spagna nel 1882, Foligno, Scariglia, 1884, p. 75. 347
Ivi, p. 62. 348 Ivi, p. 72. 349 Ivi, p. 115. 350 Ivi, p. 133.
129 Il museo del Prado di Madrid la lascia esterrefatta; rimane affascinata dai tanti capolavori, dalla Venere di Tiziano alle tele espressive di Velazquez, di Rubens e di Van Dyk, perché «dalle tele che pendono nelle sale del gran palazzo spira il profumo del genio che penetra nell’anima d’ognuno con sovrumana possanza».351
Il viaggio di Elena Mario delinea un vero e proprio viaggio di piacere; scrive il suo diario descrivendo minuziosamente tutto ciò che le si presenta davanti, i paesaggi intorno a lei; niente sfugge alla sua penna, neppure le critiche, infatti queste le parole con cui termina il resoconto:
Le cose caratteristiche della Spagna che non sono tutte da lodarsi certamente, ma alle quali mi ero abituata, mi mancano qui e nonostante che ritroviamo negli alberghi il confortabile europeo e vediamo nei campi benefiche conseguenze del lavoro mi rattrista l’aver perduta di vista la contrada spagnola così bella malgrado l’inerzia del suo popolo e la visibile decadenza. Ora che mi ritrovo alla fine del viaggio mi ritornano alla mente tante cose indimenticabili che mi si prestarono ogni tanto dove; le bellezze della natura meridionale coi suoi colori energici, le classiche linee di architettura e soprattutto quegli usi nazionali tanto di novità e originalità. Gl’incidenti disaggradevoli spariscono, quasi lasciando nella nostra mente un vago ricordo che serve a far spiccare di più l’interessante ed il bello.352
351 Elena Mario, Ricordi di un viaggio in Spagna nel 1882, Foligno, Scariglia, 1884, p. 155. 352 Ivi, p. 172.
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CONCLUSIONI
Quale deve essere il proposito di un viaggio?
Nel saggio intitolato Of Travel, Francis Bacon sancisce l’utilità pedagogica e scientifica del viaggio, che diventa un evento necessario per la formazione dell’individuo, ed evidenzia pertanto la sua concezione sostanzialmente didattica e documentaria. Con il passare del tempo, però, i racconti di viaggio si trasformano sia dal punto di vista del contenuto che della forma, poiché non si viaggia più soltanto per trarre considerazioni politiche o filosofiche, ma anche per puro piacere personale. Di conseguenza, anche la figura del viaggiatore subisce varie modifiche, giungendo progressivamente a un’identificazione con quella dello scrittore, i cui ricordi di viaggio diventano parte integrante dell’opera. Il racconto stesso diviene, come ricorda Le Huenen, la principale condizione del viaggio, invece che il risultato o le sue possibili conseguenze.
Così come lo studioso americano Edward Said si era posto come obiettivo quello di ricostruire, nel suo saggio intitolato L’Orientalismo, l’immagine che l’Occidente si era edificato dell’Oriente, io ho invece tentato di ricostruire l’immagine che alcuni viaggiatori spagnoli dell’Ottocento, di diversa origine culturale e ideologica, avevano dell’Italia.
La scelta di trattare di questi due Paesi durante il XIX secolo è stata dettata dal fatto che essi vivono percorsi politici simili e il viaggio diventa così il pretesto per conoscere le loro differenze e analogie.
La comune origine, le vicende politiche per le quali spagnoli e italiani furono più volte, lungo i secoli, legati a un comune destino, l’affinità delle lingue e del