• Non ci sono risultati.

Emilio Cecch

Nel documento Emilio Cecchi: i «Tarli» (1921-1923) (pagine 131-200)

[1] «La Tribuna», venerdì 15 luglio 1921.

LIBRI NUOVI E USATI

Si dice, dunque, e si conferma da ogni parte, che la letteratura va gradatamente risollevandosi dall’abbiezione nella quale l’avevano precipitata il futurismo prima; poi la guerra; e infine i troppi denari ch’erano in giro.1 Vediamo se fosse il caso di riaprire, dopo tant’anni, questa nostra

botteguccia di libri nuovi e usati; senza che abbia quell’aria di tutte le librerie, che ora chiudono gli sporti: un’aria esclusivamente di Profumeria Bertelli2 o di negozio di biancheria.

Un povero tarlo, abituato alla fibra secca e crocchiante degli aldini, in realtà non ci si ritrovava, dentro le stive di quei fogli menci come la tarlatana, umidicci come la zuppa inglese, e intrisi di odori da dare il batticuore. E credendo d’essere, al solito, fra le pagine d’un libro, il più delle volte doveva invece riconoscere ch’era fra le pieghe d’un pajo di culottes. Che confusione!

Gli scrittori più giovani e avveniristi, ormai si ripresentano alle venerabili soglie delle biblioteche, e gridano kamerad! al bibliotecario dai forti occhiali da miope e allo spolveratore. Per doni propiziatori recano in mano certi còmpiti di grammatica: come quel satiro che, nell’opuscolo di San Girolamo, appare ad Antonio eremita e palmarum fructus eidem ad viaticum, quasi pacis obsides, afferebat…3

In mezzo a quali contrasti e miracoli c’è toccato a campare! Anche le bestie infine escono dalle spelonche e confessano il Signore.

Libri nuovi signori! E libri usati! Per tutti i gusti: purché non siano cattivi gusti. E per tutte le borse. E, senz’altro si principia.

… «Prima di lasciare la boscaglia di castagni, entrammo in una chiesetta, vicina a poche casupole di contadini, e vi trovammo su due panche coperte di fiori, fra due candele, una bambina morta. Ella era tutta vestita di seta e intorno al collo aveva avvolti due vezzi di coralli rossi. Due grandi orecchini d’oro a cerchio, le pendevano dai lobi degli orecchi, rilucendo su le guance cenerognole: fra le manine incrociate sul petto teneva un crocifisso d’argento.

Vicino alla coltrice improvvisata, una donna accovacciata in terra agitava un ramoscello di rosmarino scacciando le vespe e le mosche, che come punti d’oro, vibranti ne l’aria, sciamavano attorno alla morticina; me le avvicinai per darle qualche soldo, ma la disgraziata crollò le spalle, e si nascose il volto tra le mani. Quel rifiuto mi arrivò al cuore. Uscii dalla chiesetta e vi rientrai con un mazzo di ciclamini. Mentre li stavo spargendo su la morticina, due contadini si fermarono su la porta e guardarono dentro. Dopo un istante, il più vecchio alzando la voce e le spalla disse alla donna, che scoteva sempre nell’aria il ramoscello di rosmarino: - Fulomè!... nun ce pensà, c’a chillo c’à fatto chessa ne fa n’àuta!

La poveretta nascose ancora una volta il viso tra le mani, e i contadini si allontanarono e sparirono nel folto del bosco…».4

Se questa pittura vi piace, - e guai a voi se non vi piace! - ne potrete trovare di simili, con un’abbondanza che non compromette mai la qualità, nell’edizione completa delle Prose (1880- 1890), «curata, integrata e sola riconosciuta dall’Autore», che Pascarella ha fatto uscire quest’anno (Soc. Tipogr. Editr. Nazionale: Torino), insieme alle pagine sul Caffè Greco, le quali, lette una trentina d’anni fa a Firenze,5 erano rimaste inedite fino a oggi.

Non siamo alla grande arte dei Sonetti antichi e nuovi.6 Ma che incantevole vena di riso e di

malinconia popolaresca: che nitidezza di sguardi sulla campagna ; e che pulizia di mestiere!

Poesia di Dante (Ed. Laterza, Bari, 1921),7 del quale già si discorse a lungo su queste colonne,8 un

periodetto, fra gli altri, ci ha nuovamente fermati e costretti a negare.

È dove il Croce osserva: «Nel leggere gli episodi degli amanti di Rimini o del Conte Ugolino, guai a tener presenti i risultati delle indagini erudite, anziché i soli tratti segnati da Dante… Svanirebbe di colpo quanto v’ha di pietoso e di tragico in quelle figure… Gli amori d’una Francesca più che trentenne col cognato più che quarantenne, parrebbero un’ignobile tresca…».9

Non siamo d’accordo; affatto. Soltanto le abitudini della retorica hanno perpetuato la leggenda dei grandi amori… intatti: uso Romeo e Giulietta. E il Coleridge, del resto, dimostrò benissimo che Romeo è più un immaturo intellettuale romantico che un vero amante.10 Troppo bambini!

Bisogna che un cuore abbia perso tutte le illusioni, e sia morto a tutto il resto del mondo, perché vi nasca la passione e la pietà che lega a Isotta Tristano e a Paolo Francesca. E forse è anche necessario che ci sia la possibilità che amori simili possano essere scambiati per «ignobili tresche», perché risalti di più la loro qualità drammatica e fatale di grandi amori. La contraddizione è elemento essenziale del sublime.

E la giovinezza illibata, ignara, specie nella donna amante, vien sempre decantata come una condizione sine qua non. Ma le grandi amorose, di tutti i tempi e tutte le fisionomie morali: da Fedra, a Francesca e a Madame de Mortsauf,11 son tutte maritate e piuttosto mature.

… C’è insomma, da credere che non ci potremo ritener stagionati per l’assoluto indubitabile amore, almeno prima dei sessant’anni.

La rubrica di critica letteraria Libri nuovi e usati esordisce sulle colonne de «La Tribuna» con un articolo introduttivo nel quale l'autore finge di riaprire, dopo molti anni e dopo la guerra, la propria botteguccia di libri. Si trova di fronte a una clientela molto varia da accontentare: d'ora in avanti si occuperà settimanalmente di proporre ai lettori una vasta gamma di letture, con l'unica accortezza di offrire alla propria clientela materiali selezionati con buon gusto. Una lunga citazione introduce il lettore alle Prose di Cesare Pascarella. Nella seconda sezione dell'articolo, Cecchi, prendendo spunto dalla pubblicazione della Poesia di Dante di Benedetto Croce, invita il lettore a riflettere in maniera scanzonata sul rapporto tra età e maturità delle vicende amorose di alcuni personaggi letterari. Come spesso accadrà anche negli elzeviri successivi, le letterature italiana e straniera sono poste a dialogo con una naturalezza esemplare: Coleridge aiuta a comprendere Shakespeare, ma permette anche di polemizzare con un passo dell'opera di Croce relativo all'amore tra Paolo e Francesca. Questo brano è stato ripubblicato in Tarli 1999 (pp. 3-6).

1 Con Ritorno all'ordine («La Tribuna», 19 maggio 1919), Cecchi aveva ripreso ufficialmente la propria attività di

critico letterario, manifestando «con assiduità» le «discussioni intorno alla letteratura contemporanea» interrotte con la guerra: promette quindi ai lettori di continuare a trattare di questi temi nello «stile possibilmente allegro» che aveva contraddistinto molti dei suoi scritti giornalistici. «Parecchie forme d'idee e di vita», comprese le esperienze delle avanguardie, gli apparivano già allora «generalmente scadute» e il panorama letterario del tempo necessitava di essere rifondato dalle basi.

2 Fondata nel 1888 da Achille Bertelli, nasce come azienda produttrice di medicamenti. Subito dopo la fine della prima

guerra mondiale, inizia la produzione di profumi, di ciprie e di creme, aprendo numerosi punti vendita nelle maggiori città italiane. Grande cura era riservata alla confezione dei prodotti e alla pubblicità. Oltre ai manifesti, divenuti simboli di quell'epoca, l'azienda produceva piccoli almanacchi profumati, distribuiti in omaggio dai parrucchieri: forse è proprio quest'ultimo lo spunto per l'associazione cecchiana tra il negozio di profumi e i libri.

3 Si cita qui un passo della Vita Sancti Pauli eremitae di San Girolamo. Nell'episodio citato, durante un viaggio,

all'eremita Antonio si presenta un omuncolo con il naso adunco, con le corna sulla fronte e con gli arti inferiori caprini. Il santo, spaventato, afferra scudo e corazza, ma il satiro si presenta pacificamente come un essere mortale, come figlio di Dio, e gli offre, a nome di tutta la sua tribù, una manciata di datteri per rifocillarsi durante il suo cammino.

4 C. PASCARELLA, Prose (1880-1890), Torino, Società Tipografico-Editrice Nazionale, 1920. La raccolta comprende

dodici testi: Memorie d'uno smemorato (pp. 9-38), Il modello (pp. 39-52), Il manichino (pp. 53-88), In Ciociaria (pp. 89-160, suddivisa in cinque sezioni), Il pianto delle zitelle (pp. 161-204), Monte Giano (pp. 205-224), Un congresso

alpino (pp. 225-238), Gita sentimentale (pp. 239-254), Le capanne di Ripetta (pp. 255-272), Il mio pellegrinaggio (pp.

273-286), Carciofolata (pp. 287-300), Il Caffè Greco (pp. 301-364). La citazione di Cecchi è estratta dalla parte IV di

In Ciociaria (p. 134).

5 C. PASCARELLA, Il Caffé Greco, in ID., Prose (1880-1890), cit., pp. 301-364. Il poeta romano Cesare Pascarella (1858-

1940) si tuffa giovane nella vita mondana della capitale, frequenta il Caffè Greco e collabora con «Cronaca bizantina» e «Fanfulla della domenica». Spirito irrequieto e incline all'avventura, viaggia molto non solo in Europa ma anche in America Latina, negli Stati Uniti e in estremo Oriente. Pubblica diverse raccolte poetiche tra le quali Er morto de

campagna (1881), La serenata (1883), Er fattaccio (1884), Villa Gloria (1886), La scoperta de l'America (1894), I sonetti (1904). Attorno al 1911 comincia un progressivo isolamento dalla realtà a lui contemporanea e, complice una

sordità, è sempre più incline alla solitudine: si sottrae agli incontri mondani che prima lo appassionavano e lo coinvolgevano, anche se tuttavia non perde i contatti con i propri amici e corrispondenti. Nel 1920 pubblica Le prose e

Viaggio in Ciociaria.

6 C. PASCARELLA, Sonetti, Roma-Torino, Casa Editrice Nazionale Roux e Viarengo, 1906. Cecchi si era già occupato

diffusamente delle poesie del Pascarella in un articolo apparso su «Cronache letterarie» il 15 maggio 1910, poi ripubblicato in Studi Critici (pp. 257-266).

7 B. CROCE, La poesia di Dante, Bari, Giuseppe Laterza e Figli, 1921.

8 Si fa qui riferimento all'ampia recensione cecchiana sul volume di Croce: E. CECCHI, La poesia di Dante, in «La

Tribuna», 19 dicembre 1920 (ora in ID., Ricordi crociani, Milano-Napoli, Ricciardi, pp. 54-62).

9 B. CROCE, La poesia di Dante, cit., pp. 19-20.

10 In Romeo and Juliet, una delle sue Lectures sull'opera di Shakespeare, Coleridge sottolinea che l'amore di Romeo per

Rosaline non è che un sintomo del suo stato di incompletezza, al quale solo Juliet potrà mettere fine: «Rosaline was a mere creation of his fancy; and we should remark the boastful positiveness of Romeo in a love of his own making, which is never shown where love is really near the heart» (Coleridge's Essays & Lectures on Shakespeare & Some

Other Old Poets & Dramatists, London, Dent, 1907, p. 103). L'amore di Romeo, oltre ad essere incompleto, appare così

fortemente ingenuo e immaturo: «Take notice in this enchanting scene of the contrast of Romeo's love with his former fancy; and weigh the skill shown in justifying him from his incostancy by making us feel the difference of his passion. Yet this, too, is a love in, although not merely of, the imagination» (Ibid., p. 104).

11 Si fa qui riferimento alla contessa Blanche-Henriette de Mortsauf: protagonista femminile di Le Lys dans la vallée,

uno dei romanzi che compongono La Comédie humaine di Honoré de Balzac (1799-1850), è la moglie del violento conte di Mortsauf, amata in maniera intensa ma platonica dal cadetto aristocratico Félix de Vandenesse.

[2] «La Tribuna», venerdì 22 luglio 1921.

LIBRI NUOVI E USATI

Opera omnia di Gabriele D’Annunzio. 45 volumi!1 Lire (a quanto si sussurra) cinquemila!....

Ecco un’opera che fin da ora posso esser sicuro non possederò mai, a meno di non far l’ipotesi, del tutto inverosimile, che l’editore Treves, un giorno o l’altro, me la regali. Fra i letterati, arriveranno a comprarsela si e no, Adolfo de Bosis2, Goffredo Bellonci3, Ugo Ojetti4 e Guido da Verona.5 Per una

copia sottoscriverà Francesca Bertini.6 Per una il comm. Pogliani.7 Tutte le altre diventeranno copie

anonime, nelle biblioteche pubbliche: o attraverso l’oceano, passeranno nelle ville proconsolari dei fazenderos argentini. Anche i nostri pescicani probabilmente se ne accolleranno un certo numero. E una parte di coteste, presto o tardi, ritornerà intonsa sul mercato, per i buoni uffici della Ditta Corvisieri (Vendite all’asta, Liquidazioni, etc.).8 Ma sempre a un prezzo inaccessibile per le nostre

borse.

Ho qui sulla tavola, Tess of the d’Urbervilles; un volume di 520 pagine vélin, nella magnifica edizione Macmillan’s Pocket Hardy: prezzo due scellini e mezzo.9 Ho anche, sotto gli occhi: Short Stories by George Meredith, 320 pagine, nell’edizione uniforme del Constable; 1919, prezzo degli anni di guerra e d’universale rincaro: cinque scellini.10 Impossibile desiderare di meglio, quanto a

eleganza, anche se non ci sono lettere ornate, né fregi, che poi, in realtà, se anche di mano d’un Botticelli invece che d’un de Karolis,11 finiscon sempre coll’appesantire e ingaglioffire il libro. C’è

da temere che Gabriele d’Annunzio e l’editore Treves abbian creduto troppo a un’ambizione monumentale, i cui effetti, proibitivi nei riguardi del prezzo, sarà difficile, per quel che possiamo aspettarci, sieno compensati dalla purità di stile dell’edizione. Il meglio e il troppo, anche in questa circostanza, avranno finito col mangiarsi il bene.

Quanto a un senso d’orgoglio italiano, per l’imponenza dell’opera che oggi raduna ed esalta, cotesto sarebbe un altro discorso. Rimane il fatto che i più sensibili a tale orgoglio, saranno per l’appunto quelli che, come i topi degli speziali, dovranno contentarsi di annusare attraverso i vetri…

E si vorrebbe dir qualcosa del nuovo romanzo: L’alcova d’acciajo (Milano, Ed. Vitagliano) di F. T. Marinetti.12 Ma arrivati al dunque, non si sa che pesci pigliare. La personalità di Marinetti sta ormai,

essenzialmente, nello slancio, nell’urto, nel ruggito. Coricata in lettere di stampa, ci soffre, si spersonalizza, si convenzionalizza. A dispetto dei suoi grandi doni intellettuali, Marinetti ha preferito incallirsi nella violenza; e così gli sfugge la realtà, nell’aspetto logico e storico, non meno che in quello di poesia. Mida di nuovo genere, s’è condannato eternamente a non toccare che ciottoli, e non aurei; eternamente a non capire. I bei profili uso Fronte interno, che anche oggi, in questo romanzo, ha il fegato di esibirci! Per esempio, quello di Mario Missiroli: «il pallido, indeciso ma troppo intelligente farmacista d’ogni ideologia: spirito tutto a trapani inutili, a spaghetti senza sugo, etc. etc.».13 Mai come in questi anni, in Italia, è stato lecito gloriarsi di non intendere, di essere

incapaci a trarre qualunque imparamento dalla tragedia nazionale e sociale! Con una frase sugli spaghetti, il buon futurista è persuaso di rovesciare tutto un sistema politico. E se la sanguinosa realtà dà torto a lui e ragione a quel sistema, niente paura: un futurista ha sempre in tasca un pajo di paraocchi per esimersi dal vedere.

Quando si pensa a quello che un umorista della forza di Antonio Baldini, avrebbe potuto scrivere, in un’epoca letteraria un po’ più rilevata, davvero vien da rimpiangere che, nato un tre secoli prima, egli non abbia fatto a tempo a cavar qualche motivo di sotto la penna del Boccalini; secco e feroce, forse non avrebbe potuto far meglio del ritratto del poeta Molza,14 senza naso, e col viso pieno di

dei bastoni, co’ quali gl’ingegni così pronti di mano com’egli è di lingua, di modo gli hanno segnata la faccia, il petto e le mani che sembrano una lineata carta da navigare».15 Ma in quei tanti altri

generi, sfiorati, o soltanto presentiti nelle fitte centurie dei Ragguagli, avrebbe avuto il suo sfoggio. La storia della barca degli Arcigongolanti,16 o quella del poeta al quale gli sbirri del Parnaso trovano

nelle calze un mazzo di carte da giuocare:17 e altre burle simili, non c’è dubbio che al Baldini gli

sarebbero venute più ornate ed amene.

Salti di gomitolo, l’ultimo libro del Baldini (Ed. Vallecchi, Firenze),18 è, in certi aspetti, uno sforzo

per trasferire il costume letterario odierno, in forme di parodia capricciose. E s’è già detto che ce n’è voluto, per rianimare e tinger d’avventura questo tempo squallido in cui le polemiche pajon quadriglie ballate dagli spettri, e i duelli d’artisti invariabilmente abortiscono in verbali. Il bel tenebroso, Fastidia, Non dar retta a sogni, son miracoli di malizioso ricamo sul più tetro canovaccio; miracoli di riso, obbligato infine a sgorgare nell’inedia più fosca. Percuties petram, deve aver detto il Signore, anche a questo Mosè d’un nuovo deserto. «Percoterai la pietra, la pietra della noja letteraria più massiccia e stratificata. E se non usciranno i fragorosi torrenti delle acque, verrà almeno fuori un certo vinello esilarante…».19 Così è stato.

Ma a differenza dell’antico, il nuovo Mosè, ben prima di morire, anzi mentre promette di campare altri cent’anni, ha potuto metter piede nella sua terra promessa. E Il Ratto delle Sabine, La morte di Romolo e sopratutto Lo Specchio del vero Parnaso, in questo stesso libro, non son più soltanto leggiadrissimo capriccio. Son vera poesia.

Il secondo articolo della rubrica cecchiana esordisce presentando al lettore, con vena ironica, la monumentale edizione dell'opera omnia di Gabriele d'Annunzio progettata in 45 volumi da Treves. Giocando sul punto di vista economico, pone a confronto l'impresa dannunziana con due libri, ben più convenienti e, a suo avviso, di assoluto pregio editoriale:

Tess of the d’Urbervilles di Thomas Hardy e Short Stories di George Meredith. Non manca poi di tornare sulle

polemiche contro il futurismo che più volte lo avevano visto protagonista negli anni precedenti, e stronca Alcova

d'acciajo di Marinetti. Nell'ampia parte conclusiva recensisce un'opera di Antonio Baldini (Salti di gomitoli), ponendo a

dialogo aspetti specifici dell'opera con alcuni spunti tratti da un precursore autorevole, il Traiano Boccalini dei

Ragguagli di Parnaso. L'articolo non è stato più ripubblicato dopo l'uscita sulle colonne della «Tribuna».

1 Si tratta qui del progetto di un'edizione monumentale dell'opera omnia dannunziana per l'editore Treves. La

pubblicazione non vede mai la luce, e sarà concretizzata solamente in seguito grazie all'emergente Arnoldo Mondadori: sulla questione numerosi sono gli spunti contenuti nel carteggio tra il poeta e l'editore (D'Annunzio e Mondadori.

Carteggio inedito 1921-1938, a cura di F. Di Tizio, Pescara, Ianieri Edizioni, 2006).

2 Adolfo de Bosis (1863-1924), poeta e traduttore anconetano, frequenta a lungo i circoli intellettuali romani. Legato da

una profonda amicizia a Gabriele D'Annunzio, nel 1895 fonda a proprie spese «Il Convito», rivista definita da Croce «la manifestazione collettiva più solenne dell'estetismo», alla quale partecipano attivamente numerosi intellettuali del calibro di Pascoli, Carducci, Ojetti, Angeli, e, ovviamente, D'Annunzio stesso.

3 Goffredo Bellonci (1882-1964), critico letterario e giornalista bolognese, è allievo di Giosuè Carducci e Francesco

Acri. Si trasferisce presto a Roma e nel 1907 inizia a collaborare con «Il Giornale d'Italia». Scrive su diversi quotidiani e in seguito diviene presidente dell'Istituito internazionale per la storia del teatro di Venezia e del Centro nazionale di

ricerche teatrali di Roma.

4 Ugo Ojetti (1871-1946), scrittore e giornalista romano. Scrive per «La Tribuna», per la «Nuova Rassegna», per il

«Marzocco», per il «Corriere della Sera» di cui nel 1926 diviene anche direttore. Esperto di arte, organizza diverse mostre e dirige le riviste «Dedalo» (1920-1933), «Pegaso» (1929-1933) e «Pan» (1933-1935). Già nel 1894 conosce D'Annunzio e il colloquio con il poeta entra a far parte della fortunata inchiesta Alla scoperta dei letterati che fu pubblicata l'anno successivo. Ojetti è l'oggetto di una delle primissime recensioni cecchiane, uscita sul «Nuovo Giornale» il 25 aprile 1906 con il titolo di Due sorelle che non si parlano.

5 Guido da Verona (1881-1939), scrittore modenese è seguace e grande estimatore di D'Annunzio. Romanziere di

successo nei primissimi anni venti, raccontò nei suoi romanzi le avventure, spesso scandalistiche o erotiche, della società borghese del tempo. Esordisce nel 1901 con la raccolta poetica Commemorazione del fatto d'arme di Brichetto, seguiti in rapida successione da I frammenti d'un poema (1902) e da Bianco amore (1907). Il successo arriva però con i romanzi. Nel 1911 pubblica Colei che non si deve amare, mentre con Mimì Bluette fiore del mio giardino diviene ufficialmente l'autore con il maggior successo editoriale degli anni venti: dell'opera, nel 1922, sono vendute addirittura 300.000 copie. Cecchi si occupa di questo autore in diverse occasioni, spesso criticandolo aspramente: il suo primo intervento fu Un libro quasi spiritoso, recensione a Mimì Bluette, apparsa sulla «Tribuna» il 28 novembre 1916.

6 Nome d'arte di Elena Seracini Vitiello (1892-1985), è un'attrice cinematografica italiana, particolarmente famosa in

quegli anni per le sue interpretazioni teatrali e nel cinema muto. Tra le sue interpretazioni più note è possibile ricordare pellicole quali L'histoire d'un Pierrot (1914), Assunta Spina (1915), Fedora (1916), La signora delle Camelie (1916),

Odette (1916), Tosca (1917), La donna nuda (1922).

7 Il Commendator Angelo Pogliani è prima consigliere delegato e poi direttore della Banca Italiana di Sconto. L'istituto

bancario nasce nel 1914 grazie a capitali francesi e in netta opposizione sia alla Banca Commerciale Italiana che al

Nel documento Emilio Cecchi: i «Tarli» (1921-1923) (pagine 131-200)

Documenti correlati