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Emilio Cecchi: i «Tarli» (1921-1923)

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Scuola Dottorale di Ateneo Graduate School Dottorato di ricerca in Italianistica Ciclo XXIX Anno di discussione 2017

Emilio Cecchi: i «Tarli» (1921-1923)

SETTORE SCIENTIFICO DISCIPLINARE DI AFFERENZA: L-FIL-LET/11

Tesi di Dottorato di Enrico Riccardo Orlando, matricola 828652. Realizzata in cotutela con l'Université Paris Sorbonne.

Coordinatore del Dottorato Supervisore del Dottorando

Prof. Tiziano Zanato Prof. Attilio Bettinzoli

Co-supervisore del Dottorando

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PREMESSA

Negli ultimi anni la figura e l'opera di Emilio Cecchi sono stati oggetto di un rinnovato interesse da parte degli studiosi. A fronte di una bibliografia critica che si è notevolmente arricchita, contribuendo a esplorare in particolare i diversi aspetti della formazione e della militanza giovanile dell'autore fiorentino, scarseggiano invece le edizioni e le ristampe, anche parziali, dei testi originariamente apparsi su giornali e riviste. Pur essendo articoli che continuano a sorprendere e destare interesse a più di un secolo di distanza, risultano spesso di difficile accessibilità a causa, tra l'altro, della deperibilità dei supporti cartacei che rende la loro consultazione difficoltosa e sottoposta a varie limitazioni. Nell'ottica di operare urgentemente per la salvaguardia di un materiale estremamente fragile e al contempo prezioso, appare di sicuro interesse l'allestimento di un'edizione integrale della celebre rubrica di critica letteraria Libri nuovi e usati, firmata da Emilio Cecchi sul quotidiano romano «La Tribuna» con lo pseudonimo “il tarlo”, tra il 15 luglio 1921 e il 30 novembre 1923. Elogiati da Eugenio Montale e Giacomo Debenedetti, questi articoli restavano finora l’unica serie organica di scritti critici dell’autore non ancora pubblicata integralmente. In ognuno dei 111 interventi che costituiscono la raccolta, il critico fiorentino presenta con vivacità i risultati delle sue vaste letture di opere italiane e straniere svelando, tra le righe, i protagonisti indiscussi del dibattito culturale di inizio secolo e, non di rado, regalando intuizioni e scoperte poi confluite nei saggi successivi. I brevi interventi critici, nonostante un taglio spesso semiserio, dimostrano tutta l’acutezza interpretativa di Cecchi che, con tono sempre misurato e sostenuto da una consapevole perizia critica, affida a questi interventi stoccate ed elogi, realizzando così un vivace affresco della vita culturale e letteraria italiana all’indomani del primo conflitto mondiale.

L'intento primario che si propone questo lavoro è perciò quello di colmare una lacuna, mettendo a disposizione del pubblico il corpus completo degli articoli della rubrica cecchiana e fornendo al contempo gli strumenti per leggerli e interpretarli in maniera puntuale e proficua.

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Nell'ampio saggio introduttivo si presenta la figura e l'opera di Emilio Cecchi all'interno del contesto letterario primonovecentesco, dedicando un'attenzione particolare agli interventi di critica militante che l'autore affidava alle colonne di quotidiani e riviste del tempo: sono ricostruite la sua formazione, la militanza nelle riviste di inizio secolo e in particolare ne «La Voce», l'esperienza vissuta in guerra e le intricate questioni relative alle primissime fasi successive al conflitto. Ampio spazio è riservato inoltre all'esperienza cecchiana ne «La Ronda», un passaggio di estrema importanza per la comprensione degli sviluppi successivi della sua attività. Nella seconda sezione del saggio, espressamente dedicata a Libri nuovi e usati, si fornisce una lettura complessiva della rubrica, marcando le tematiche maggiormente innovative presenti all'interno della raccolta e inserendo i pezzi critici cecchiani nel contesto culturale dei primi anni venti. Trovano spazio in questa sede varie riflessioni sulle peculiarità contenutistiche e stilistiche della rubrica, che sottolineano la continuità con gli interessi manifestati dall'autore fin dai primi anni della sua carriera e gettano luce sulle novità più significative per i successivi sviluppi della parabola critica dello scrittore fiorentino.

Per quanto concerne i criteri di edizione, si è scelto di presentare i testi rispettando le peculiarità ortografiche che caratterizzano la lingua cecchiana, anche quando essa si discosta dall'uso oggi comune: il medesimo criterio conservativo si è adottato nei riguardi della punteggiatura, e in particolare in relazione all'utilizzo frequente del punto e virgola, caratteristico in quegli anni della prosa dell'autore. Sono invece sanati i refusi, necessariamente presenti in testi giornalistici pubblicati nel rapido volgere di poche ore e spesso senza le necessarie attenzioni da parte dei tipografi: si sono inoltre mantenuti gli spazi che suddividono i singoli capoversi, una peculiarità grafica che contribuiva, già sulle pagine della «Tribuna», a scandire gli spazi del testo e a individuarne i nuclei costitutivi. Tratto tipico della lingua dell'epoca è la frequente italianizzazione dei nomi propri degli autori stranieri, carattere che si è naturalmente mantenuto anche in questa edizione. Si è scelto invece di apportare alcune modifiche all'aspetto materiale di alcune citazioni. Nella colonna cecchiana, infatti, le porzioni testuali citate sono abitualmente trascritte in corsivo, come accade per i titoli dei libri e delle riviste prese in esame. Per evitare fraintendimenti, in questi casi, è sembrato opportuno adottare criteri più moderni: il corsivo si è mantenuto unicamente per i titoli dei libri, mentre le citazioni dei brani e le testate delle riviste sono stati collocati tra virgolette. Si sono invece mantenuti invariati, in ciascun testo, il titolo (Libri nuovi e usati) e la firma (Il tarlo): a precedere ogni testo vi è infine il numero progressivo dell'articolo, utile a stabilire i rimandi tra i brani, e la data nella quale è uscito sul quotidiano.

Passando al commento, ogni articolo è accompagnato poi da un cappello introduttivo, volto a inquadrarne i contenuti più generali, e da un apparato di note al testo nel quale confluiscono

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informazioni utili a chiarire ed esplicitare allusioni, accenni e nodi problematici relativi alle molte opere recensite o anche solo citate da Cecchi. Nelle note, confluiscono anche brevi cenni biografici sugli autori meno conosciuti, citazioni di testi rari e spesso di difficile reperibilità e i nuclei più rilevanti dei dibattiti, delle polemiche, degli scambi, che sono al centro delle prose critiche cecchiane. Un'attenzione particolare è riservata alle citazioni di autori stranieri che, sulla pagina del quotidiano, presentavano spesso una quantità di errori superiore alla media: si è provveduto, in questi casi, a sanare eventuali refusi attraverso il confronto diretto con i testi originali. Nella realizzazione delle note si è scelto infatti di citare, ove possibile, le edizioni effettivamente consultate dal critico, in modo da offrire ai lettori uno strumento di approfondimento adatto a intraprendere ulteriori indagini nelle numerose direzioni che qui, forzatamente, sono solo accennate. La tesi è infine corredata da un indice dei nomi, limitato ai soli testi di Cecchi: escludendo i rimandi all'apparato di note, si è evitato di appesantire eccessivamente il volume e, al contempo, si è cercato di fornire ai lettori una chiave d'accesso maneggevole e rapida per orientarsi all'interno della raccolta.

La pubblicazione dei Libri nuovi e usati di Cecchi, in versione integrale e con note esplicative, permette insomma di ricostruire una mappa assai ricca e dettagliata della letteratura italiana ed estera all’indomani della prima guerra mondiale, sulla scorta del punto di vista di un critico autorevole che, negli anni a cavallo della presa del potere da parte di Mussolini, ha il merito di guardare senza pregiudizi oltre i confini nazionali, ponendo basi solide alla definizione di un canone letterario europeo contemporaneo.

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In un articolo del 1972, Eugenio Montale non nascondeva il rimpianto di non poter più leggere integralmente «i celebri «tarli», che per alcuni anni apparvero regolarmente sulla Tribuna di Malagodi senior, così come erano starti consegnati in redazione: considerazioni e più spesso intuizioni critiche intense, mobili, fulgenti come particelle di mercurio, di una sicurezza, eleganza e ricchezza di soluzioni, nella loro breve misura (un colonnino), da meravigliarsi che non abbiano creato un genere»1. Uno degli aspetti che colpivano Montale è la «ricchezza di soluzioni» degli

articoli della «Tribuna»: ricchezza, si intende, non solo formale, ma caleidoscopica varietà di contenuti. A scapito di una «formazione lenta, difficile e dolorosa»2, Cecchi è stato sempre un

«lettore impavido e onnivoro»3, che, fin dagli esordi, «rivela una ricchezza di interessi»4 e una

«cultura grandissima»5 in cui si percepisce «il sintomo di una tendenza largamente partecipata,

tipica della situazione culturale di questi primi anni del Novecento»6. È proprio agli esordi che

Cecchi rivela i caratteri propri di quella «impietosa, frenetica ansia di lavoro»7 che, con fatica e

dedizione, lo condurranno ad essere uno dei più influenti critici italiani del Novecento. Per comprendere gli sviluppi della critica cecchiana, è essenziale dunque gettare luce su alcuni aspetti propri della formazione dell'autore, scoprire le materie prime sulle quali inizia a lavorare, sondare la genesi di un'esperienza letteraria straordinaria per vastità di interessi ed estensione cronologica. È necessario in prima istanza cogliere i motivi caratteristici del primissimo Cecchi e, da qui, sondarne i successivi sviluppi, consapevoli che l'immagine complessiva dell'autore resterà «tutt'altro che nitida; anzi intricata e spezzata come quei ritratti di cubisti e astrattisti che non incontrarono mai né

1 E. MONTALE, Il punto. Critica e storia, in ID., Il secondo mestiere. Prose, vol II, Milano, Mondadori - I Meridiani,

1996, p. 3003.

2 E. CECCHI, Letteratura italiana del Novecento, a cura di P. Citati, Milano, Mondadori, 1972, p. XI. 3 Ibid., p. XI.

4 G. MACCHIONI JODI, L'esordio critico di Cecchi, in «Nuova Antologia», n. 2079, marzo 1974, p. 366.

5 E. CECCHI, Letteratura italiana del Novecento, cit., p. XI. 6 G. MACCHIONI JODI, L'esordio critico di Cecchi, cit., p. 365.

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la sua simpatia né la sua approvazione»8. È grazie anche a tale groviglio che l'esperienza critica del

giovane fiorentino appare fin dai primi testi così straordinariamente singolare.

Nel 1902, la sorella maggiore Annunziata, già malata, muore appena ventenne. L'umore del padre, legatissimo alla figlia, subisce un brusco incupirsi, che peserà «drammaticamente sulla situazione familiare»9. Dopo la breve parentesi del servizio militare, dove occupa le ore della

mattina in studi e letture e impara da autodidatta l'inglese, il giovane Emilio è costretto a offrire il proprio contributo economico al magro bilancio domestico: viene assunto per un breve periodo al Credito Italiano, aiuta il padre nella gestione della bottega di famiglia, lavora come contabile presso l'Ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze. Nonostante la necessità di lavorare, «nel tempo libero studia […] legge con avidità i testi di filosofia e religione, si interessa di arte e di letterature straniere, si esercita a tradurre dall'inglese»10: è chiaro da subito che la vocazione artistica, sostenuta

da una tenacia e costanza notevoli, attende solo il momento più proficuo per sbocciare. Diplomatosi all'Istituto tecnico solo per volere della famiglia, vuole ottenere la licenza liceale e iscriversi alla Facoltà di Lettere. Una missiva, datata al 5 maggio 1909 e indirizzata alla futura moglie Leonetta Pieraccini, esprime compiutamente lo stato d'animo dell'autore in tempi prossimi all'esordio critico:

Ho avuto una grande tristezza nella mia infanzia; ma ho coscienza d'una vera generosità di carattere, che allora possedevo, e che m'era origine di molta solitudine e molto dolore. Soltanto tardissimo ho fatto studii letterarii, perché i miei vollero, malgrado i consigli altrui ed iterate proteste mie, indirizzarmi a una professione pratica. Anche per questo so di aver passato molti e molti momenti di grande amarezza11.

Grazie all'amico Nello Tarchiani pubblica alcune recensioni e una poesia per il settimanale fiorentino di lettere ed arti «La Medusa». La svolta, improvvisa, è segnata dalla conoscenza con Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini. Per loro tramite pubblicherà i primi scritti e allargherà le sue letture: «Non mi aiutarono con discorsi e con insegnamenti, ma prestandomi tanti libri che non avrei saputo che esistessero, e che mi sarebbe stato impossibile procurarmi», confiderà in seguito12.

L'esordio di Emilio Cecchi è datato 7 febbraio 1903. Il critico non ha ancora compiuto 19 anni, e un suo scritto viene pubblicato dal settimanale «Il Regno»: fondata da Enrico Corradini, la rivista fiorentina si pone fin da subito l'obiettivo di imporre «l'egemonia della classe borghese in Italia», di favorire «l'espansionismo […] per combattere e vincere il socialismo» e di sospingere «il paese ad

8 Ibid., p. 84.

9 E. CECCHI, Saggi e viaggi, a cura di M. Ghilardi, Milano, Mondadori - I Meridiani, 1997, p. XXXII.

10 A. FARINA, Il giovane Cecchi e il Leonardo (1903-1907), in «Otto/Novecento», n. 3, 2004, p. 125. 11 E. CECCHI, Saggi e viaggi, cit., p. XXXII.

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imprese militari», indispensabili per «conquistare territori ai quali possa dirigersi il flusso ingente della […] emigrazione»13. La pubblicazione «rivela in ogni punto il proprio contenuto classista. Se

d'un lato innalza il mito della guerra vittoriosa, cui il ricordo della sconfitta non lontana di Adua accresce forza emotiva, dall'altro più realisticamente si sforza di trarre appoggio alle sue tesi militariste dalle vicende internazionali […]. La guerra è esaltata per il suo valore estetico e morale: è una moderna «lezione d'energia» e di eroismo, che dimostra la falsità e il carattere utopistico degl'ideali democratici, pacifisti e umanitari, dei socialisti e della borghesia di governo»14.

L'attenzione dei collaboratori del «Regno» si sposterà ben presto, molto concretamente, sulla guerra russo-giapponese: mentre i socialisti sembrano auspicare una vittoria dei giapponesi, Papini sostiene apertamente le classi dirigenti russe sulla base dei principi di stabilità, ordine e gerarchia contro lo spirito di rivolta. Non sembra un caso che anche Cecchi si occupi, nel suo primo intervento sul «Regno», di uno scrittore russo: con Leonida Andréief, il critico fiorentino cerca di giustificare e motivare le scelte tematiche ed espressive dell'autore in chiave sociologica, valorizzando il nesso tra le crude condizioni politiche e civili della Russa zarista e le scelte artistiche di Andréief. Alcolismo, visone bestiale dell'uomo, schiavitù, aspirazione alla libertà, diventano i tanti tasselli di un mosaico che Cecchi tenta di ricostruire, con il fine di divulgare la conoscenza di «uno scrittore ancora pressoché sconosciuto in Italia»15. Da notare la tendenza a far parlare i testi attraverso il riassunto

del contenuto: il giovane critico ha la necessità di fornire al lettore una visione sintetica del fatto letterario, senza avviare un processo ermeneutico rigoroso. La scelta dell'autore, in linea con gli indirizzi della rivista, appare dunque emblematica.

Cecchi, già in quegli anni, è perfettamente consapevole del cambio di prospettiva radicale subito dall'immagine dell'intellettuale: la crisi dell'accademismo ottocentesco, ha generato la figura di un intellettuale ideologo e militante che inserisce la letteratura nel «quadro della cultura nel suo significato più vasto, ne fa lo specchio di una concezione del mondo», la rende «componente di un sistema»16. Questo nuovo sistema, che «mette in crisi l'ottimismo della scienza positiva di origine

ottocentesca», è incrinato a sua volta da linee di frattura profonde «poiché al tramonto delle vecchie certezze non ha ancora saputo sostituirne delle nuove abbastanza solide per placare l'ansia di ricerca che invece caratterizza l'inquietudine di questi giovani»17. In questo clima, evidentemente, Cecchi

preferisce rivolgersi non ad autori che garantiscono prodotti esteticamente raffinati ed evasivi, ma si interessa di scrittori che possano «essere interrogati su problemi più essenziali, legati al destino

13 D. FRIGESSI, La cultura italiana del '900 attraverso le riviste. I. «Leonardo», «Hermes», «Il Regno», Torino, Einaudi, 1960, p. 63.

14 Ibid., p. 64.

15 G. MACCHIONI JODI, L'esordio critico di Cecchi, cit., p. 370. 16 Ibid., p. 365.

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dell'uomo, di quell'uomo che è vittima, appunto, di una crisi totale»18. Di qui l'adesione al «Regno»:

di qui la scelta di dedicarsi ad Andréief, autore inquieto in cui è vivo e pulsante «il conflitto morale e il dramma della coscienza»19.

Sempre nel 1903, Cecchi fa il suo esordio sul «Leonardo» di Papini e Prezzolini. Prodotto di una «convergenza d'intellettuali eterogenei tra loro»20, la rivista fiorentina si pone da subito l'obiettivo di

una rivalutazione dell'attività di pensiero per rivendicare la necessità di una rivoluzione di valori sorretti da un concreto impegno ideologico. I collaboratori si definiscono «giovini, desiderosi di liberazione, vogliosi d'universalità, anelanti ad una superior vita intellettuale […] pagani e individualisti […] amanti della bellezza e dell'intelligenza, adoratori della profonda natura e della vita piena […] personalisti e idealisti» che «nell'arte amano la trasfigurazione ideale della vita»21. Il

«marcato eclettismo»22, un impegno politico e ideologico onnicomprensivo e il forte interessamento

di D'Annunzio e Croce23, lo rendono ben presto un luogo privilegiato di sperimentazione e accesi

dibattiti interni. Il primo articolo cecchiano ivi pubblicato è intitolato Il concerto. Da subito appare chiaro uno degli aspetti chiave per la comprensione della critica cecchiana: la molteplicità degli interessi artistici. L'articolo affronta la questione della musica, tematica che è sviluppata attraverso «l'adozione della terminologia papiniana» e affrontata sulla base del «contrasto tra «spirito» e «materia», l'uno chiuso nella propria dimensione mistica, l'altra elemento degenere, principio di corruzione»24. Ciò che colpisce di questo primo contributo metodologico cecchiano, al di là dei

motivi affini all'ideologia della rivista e dei suoi direttori, è una prima, lucida testimonianza della prosa di un autore in piena sperimentazione che tenta di articolare in un unico discorso riflessione teorica e fantasia letteraria, lucidità di pensiero e immagini visivamente forti: se l'anima è «un immenso giardino dove si intrecciano i fiori più diversi e mescolano i loro odori […] dove anche germinano, muoiono e rinascono, come in un sogno osceno, i logli ed i funghi velenosi», la poesia è «il fiore più bello» di questo giardino, «l'arbusto preferito che splende in mezzo all'aiuola bianchissima»25. La confusione mistificante di arte e vita non nasconde una visione aristocratica ed

egocentrica dell'arte affine a certe teorie di D'Annunzio. Nel secondo articolo pubblicato, Cecchi si occupa di pittura26: al di là degli aspetti specifici del contributo (una recensione a una mostra

18 Ibid., pp. 365-366.

19 P. LEONCINI, Emilio Cecchi dal «Leonardo» alla «Voce», in «Studi Novecenteschi», n. 7, marzo 1974, p. 97.

20 D. FRIGESSI, La cultura italiana del '900 attraverso le riviste. I. «Leonardo», «Hermes», «Il Regno», cit., p. 13.

21 Ibid., p. 89.

22 P. CASINI, Alle origini del Novecento. Leonardo, 1903-1907, Bologna, Il mulino, 2002, p. 49.

23 Ibid., p. 60.

24 P. LEONCINI, Emilio Cecchi dal «Leonardo» alla «Voce», cit., p. 78. 25 Ibid.

26 E. CECCHI, Tre anime, in «Leonardo», 20 dicembre 1903. Tra de Karolis e Costetti, entrambi collaboratori del

«Leonardo», Cecchi dichiara di preferire il secondo, in quanto capace di unire «alla nobiltà antica il senso della febbrilità moderna»: l'ammirazione per l'artista è dimostrata dal fatto che in fondo al primo articolo cecchiano sul «Leonardo» compare proprio un'incisione di Costetti con impresso lo pseudonimo giovanile di Cecchi, Aymerillot.

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romana dei tre artisti Costetti, De Karolis e Zoir), ciò che colpisce è un'immediata quanto prematura presa di coscienza da parte di Cecchi della «difficoltà intrinseca dell'esperienza critica»27, derivata

direttamente dall'assunto leonardiano dell'incomunicabilità tra anime. Il critico fiorentino si rende conto già in questa fase che la critica da un lato è un rifacimento dell'opera per mano del critico stesso, dall'altra ha l'obbligo di rispettare l'opera recensita: essa, al contempo, essendo frutto di una lettura soggettiva e di un dato momento, produce risultati del tutto imprevedibili28. Si rileva già «la

bipolarità di ricreazione e adesione che costituisce una costante presenza nei migliori scritti cecchiani, quando cioè rimanga vivo il senso di un disagio della critica, nell'ampliarsi e nel complicarsi di questa antinomia originaria»29, che «impedisce il possesso integrale dell'oggetto

critico, la sua assunzione oggettiva»30. Sono ancora una volta le metafore e i dettagli figurativi a

fungere da mezzo di comunicazione efficace tra il critico e il lettore, infarciti dal ricorso marcato di quella terminologia papiniana che aveva scandito il primo articolo del «Leonardo».

Sempre sul «Leonardo», Cecchi pubblicherà una recensione a un volume sulle religioni orientali antiche31. Anche in questa occasione è evidente il ricorso a un linguaggio di chiara matrice

leonardiana, dove è ancora una volta l'anima ad assumere una posizione centrale. Cecchi guarda al buddhismo come a una via d'uscita dall'aridità occidentale, come veicolo per un possibile recupero di un mondo perduto, lontano e misterioso: «l'antichissima saggezza indiana» è una consolazione per l'uomo moderno, una fonte privilegiata di «dolci ricordi» che sono gelosamente custoditi tra le «jungle rigogliose» e le «vive rupi dell'Hjmaja»32. La recensione è il primo sintomo dell'interesse di

Cecchi per l'Oriente, mentre gli ambienti naturali, rigogliosi e remoti, qui appena abbozzati, anticipano le atmosfere degli studi successivi su Kipling.

Frutto di un'instancabile curiosità di lettore, nel marzo 1904 inizia ufficialmente «la carriera di anglista di Cecchi […]. Sono solo poche righe, ma inaugurano una pratica che egli non abbandonerà più, continuando a occuparsi dei suoi amati «inglesi» fino alla morte»33: con la recensione ai Sonetti di John Keats dell'Allodoli, il critico fa il suo ingresso in un campo di studi letterari ancora limitato in ambito italiano34. Al di là delle «circostanze fortuite» che hanno permesso a Cecchi di leggere e

27 P. LEONCINI, Emilio Cecchi dal «Leonardo» alla «Voce», cit., p. 80.

28 A. FARINA, Il giovane Cecchi e il Leonardo (1903-1907), cit., pp. 136-137. «Queste idee sembrano provenirgli dalla

lettura, cui era stato indirizzato da Prezzolini, del filosofo americano Ralph Waldo Emerson, padre del Trascendentalismo. Cecchi, tra l'altro, avrebbe dovuto curarne un'edizione nella collana dei mistici diretta, appunto, da Prezzolini. Emerson […] vorrebbe [la critica] della stessa sostanza lirica e dello stesso valore estetico dell'opera a cui si riferisce […]. Solo in una critica di questo genere Cecchi ritiene onorevole cimentarsi e si sente già l'orgoglio del futuro saggista, consapevole delle difficoltà del suo compito» e consapevole della propria impotenza nell'uscire da sé per comprendere gli altri (G. MACCHIONI JODI, L'esordio critico di Cecchi, cit., p. 367).

29 P. LEONCINI, Emilio Cecchi dal «Leonardo» alla «Voce», cit., p. 80. 30 G. MACCHIONI JODI, L'esordio critico di Cecchi, cit., p. 367.

31 E. CECCHI, G. de Lorenzo. India e Buddismo antico, in «Leonardo», 20 dicembre 1903.

32 P. LEONCINI, Emilio Cecchi dal «Leonardo» alla «Voce», cit., p. 84. 33 A. FARINA, Il giovane Cecchi e il Leonardo (1903-1907), cit., p. 126.

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studiare testi in lingua inglese, un merito importante nell'approdo a questo campo di studi è da ricercare nella situazione della Firenze di inizio secolo, «città che può vantarsi di essere una delle più internazionali d'Italia», «residenza, o meta privilegiata di molti esponenti dell'intellighenzia anglosassone», «patria ideale» di «una vera e propria comunità di artisti, intenditori d'arte, collezionisti ed eccentrici gentiluomini di provenienza specialmente inglese e americana»35. Lo

stesso Cecchi, come avrà modo di ricordare molti anni dopo in un vivace quadro d'insieme36,

sembra essere coinvolto dal grande entusiasmo che si respira nella città toscana e nei suoi dintorni. Come si è accennato in precedenza, Cecchi ha studiato l'inglese da autodidatta all'epoca del servizio militare: nel corso degli anni ne otterrà una conoscenza approfondita, ma mai una buona pronuncia. Già nel 1903, aveva tradotto la Defence of Poetry di Shelley, opera che avrebbe visto la luce solo qualche anno dopo37. Con la recensione su Keats38 entra nel vivo del dibattito, ed è l'entusiasmo del

giovane critico a colpire: Cecchi «appare […] fanaticamente imbevuto di cultura straniera, spregiudicato nel mescolare i più disparati riferimenti letterari senza preoccupazioni filologiche […]. Completamente assorbito dal tentativo di rinnovamento promosso dai leonardiani, […] il giovane Cecchi non si accorge di commettere colossali errori di prospettiva. Forse perché giovane, forse perché italiano, tutto ciò che profuma di straniero gli sembra nuovo, accattivante, sfolgorante, moderno. L'estetismo di Wilde […], ad esempio, lo lascia senza parole»39. Lo affascina la figura del dandy, carattere che ha potuto conoscere a Firenze con i «tratti del fine intenditore d'arte e sublime conoscitore del mondo,[…] anticonformista, lontano dalle mode, spesso solitario e incompreso, un personaggio con cui il giovane Cecchi, che si sentiva ancora isolato dagli ambienti letterari che contavano, si doveva facilmente identificare. Nell'estetismo, dunque, egli ravvisa la migliore incarnazione dell'anticonformismo anglosassone»40, e non è un caso se proprio sulle pagine del

«Leonardo» Cecchi pubblicherà nel 1905 alcune traduzioni del De profundis e una significativa scelta di aforismi di Wilde che, oltre a manifestare l'entusiasmo del critico fiorentino per la sensibilità romantica, sottolineano dell'autore irlandese il piglio polemico e le peculiarità logiche e

università, mentre prima di allora la familiarità con l'inglese e con la sua letteratura dipendevano in sostanza dagli sforzi individuali e dalle circostanze più o meno fortuite con cui uno riusciva […] ad entrare in contatto con quel mondo» (A. FARINA, Il giovane Cecchi e il Leonardo (1903-1907), cit., pp. 126-127).

35 A. FARINA, Il giovane Cecchi e il Leonardo (1903-1907), cit., p. 126.

36 E. CECCHI, Aroldo l'esteta, in «L'Europeo», 5 giugno 1949 (poi ristampato con il titolo Memorie di un esteta, in ID.

Scrittori inglesi e americani, Milano, Il Saggiatore, 1964, pp. 304-306). Nella Firenze di inizio secolo «si vede

risiedere o passare […] una quantità di personaggi, specialmente del mondo anglosassone, destinati ad esercitare su quella cultura un'azione di prim'ordine. Alcuni, come baroni medievali, dimorano nei loro castelli appollaiati sulle colline intorno alla città […]. Una certa idea di tale clima culturale si ricava semplicemente da ciò, che né a Londra né a New York e neanche a Parigi, si sarebbero forse potute trovare (naturalmente in raccolte non commerciali) tante e così egregie opere di pittori impressionisti, come nella piccola e provinciale Firenze».

37 P. B. SHELLEY, Difesa della poesia, traduzione e introduzione analitica di E. Cecchi, Lanciano, Carabba, 1910.

38 E. CECCHI, E. Allodoli. Sonetti di John Keats, in «Leonardo», marzo 1904. 39 A. FARINA, Il giovane Cecchi e il Leonardo (1903-1907), cit., p. 127.

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oratorie41.

La continua sperimentazione che contraddistingue le prime prove critiche cecchiane, si riflette anche su un altro versante della produzione letteraria dell'autore. Proprio sulle pagine del «Leonardo», nel marzo 1904, viene pubblicata una prosa d'arte di grande importanza per comprendere questa prima fase dell'arte cecchiana. Il pellegrino racconta simbolicamente l'iniziazione del giovane Cecchi alla vita. Accantonati gli studi e le fatiche dell'apprendimento dogmatico, buttati «ai topi i volumi magni e gli elaborati manoscritti», il giovane pellegrino deve «nutrirsi di vita vera»42, deve uscire dalla sua «gabbiuzza di parole» e affidarsi alla Natura, «maestra

di vita e di morte». Il brano, caratterizzato da una diffusa tendenza alla paratassi e alla frammentazione dei periodi in brevi unità e immerso in un naturalismo malinconico e sensuale, è la prima testimonianza di «quella prosa poetica e simbolista che è la prima conquista del Cecchi scrittore,[…] alla ricerca di una sua identità, sicuro solo della propria vocazione artistica»43. Sotto

l'influsso di Blake44 e Shelley, modelli indiscussi del Cecchi leonardiano, il critico esplora le

possibilità e i limiti della propria ispirazione letteraria. Di lì a poco inizierà a pubblicare alcune poesie, la prima delle quali vede la luce proprio nel 1904 sulle pagine della rivista fiorentina «Hermes»45 con in titolo di Olea Fragrans46: l'esperienza poetica di Cecchi, ora considerata come

«espressione dell'informe «moralismo» giovanile»47, ora collocata «nell'ambito della tradizione

carducciana», riflette efficacemente quel «lirismo evasivo»48 che è impronta chiara di tutti gli scritti

leonardiani. Al contempo l'esordio di Cecchi sulle pagine di «Hermes» è solo il primo accenno di una riflessione costante sull'opera e la figura del direttore della rivista fiorentina: Giuseppe Antonio Borgese. Con la recensione alla Storia della critica romantica in Italia49, Cecchi anticipa molti degli

aspetti di interesse, anche polemico, che manifesterà in seguito per il critico siciliano: nell'articolo riassume la monografia borgesiana, «informa sulla sua struttura, sulle idee centrali che la animano ma non ne coglie la tesi su cui si sostiene, che è quella di una sostanziale svalutazione della critica

41 Ibid., pp. 128-130. 42 Ibid., p. 130. 43 Ibid.

44 «[...] dove si cimenta in una prosa ritmica, ricca di metafore e immagini sensuali spesso tratte dalla natura, Cecchi si rifà a Blake, poeta e incisore di eccezionale modernità» (A. FARINA, Il giovane Cecchi e il Leonardo (1903-1907),

cit., p. 130). Sarà lo stesso Cecchi che farà leggere a Papini l'autore inglese, come rivela una lettera datata 8 settembre 1905 (G. PAPINI, G. PREZZOLINI, Storia di un'amicizia. 1900-1924, Firenze, Vallecchi, 1966, p. 104). 45 «D'ispirazione strettamente letteraria, apparve nel gennaio 1904 sotto la direzione di Borgese. L'emulazione

reciproca» tra le riviste «non impediva le collaborazioni incrociate: ad esempio, Corradini pubblicava articoli in «Hermes», dove anche Papini pubblicò i suoi primi racconti fantastici» (P. CASINI, Alle origini del Novecento.

Leonardo, 1903-1907, cit., p. 67). Di qui l'assoluta libertà concessa a Cecchi di collaborare con le diverse riviste.

46 P. LEONCINI, Emilio Cecchi dal «Leonardo» alla «Voce», cit., p. 102.

47 Ibid. 48 Ibid.

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romantica per aver operato entro uno spazio storico ma non estetico»50. La qualità maggiore di

Borgese è la sua «capacità di individuare i caratteri esteriori di un fenomeno culturale, e di inserirli in uno schema di prospettiva storica»51: «chi conosce il carattere dell'ingegno di Borgese immagina

a cosa egli abbia mirato nella trattazione della sua storia della critica romantica. Il suo ingegno mi sembra adatto piuttosto che alla contemplazione dirò così astratta delle idee, a studiarle nella loro vita […] egli […] sa sempre farci scorgere il segno del passato e sentire il sapore del futuro»52.

Come è stato rilevato efficacemente, Borgese, accanto a Papini, è per il giovane Cecchi una figura che «pare suggerire nuove vie e procedure di ricerca»53. Il critico fiorentino rilevava nella figura del

Borgese sia una sintesi tra il «problematicismo praticato dal critico siciliano e che lo aveva predisposto a una parziale adesione all'estetica crociana», sia caratteri propri dell'«estetismo, lo psicologismo, l'individualismo che caratterizzavano la milizia giovanile del «Leonardo» e del «Regno». In Borgese insomma Cecchi trovava quel tanto di idealismo che avrebbe potuto in seguito giustificare un certo avvicinamento a Croce e, al tempo stesso, un insieme di istanze che si accordavano sul suo militantismo di «giovane»»54.

La ricchezza degli interessi e la rapida maturazione intellettuale di Cecchi rendono ormai insostenibile l'angusto modus vivendi al quale era stato costretto dai gravosi impegni lavorativi per il sostentamento della famiglia. Il 16 gennaio 1906, all'improvviso, fugge a Roma. Prima di partire, lascia una lettera alla sorella Amalia, la quale si incaricherà personalmente di comunicare al padre la partenza del figlio, riferendole tutta l'insofferenza che sta vivendo e le motivazioni che lo conducono a tentare la fortuna altrove:

È terribile dover separarsi volendosi bene così […]. Le ragioni della separazione tu le saprai ormai: la mia vocazione che non può adattarsi nello stato di cose come quello fino ad ora. Questo stato di cose restando io costà non può mutare. Per ricavare il necessario da vivere, modestamente, con occupazioni che limitino il più possibile lo spreco del mio tempo, bisogna entrare in un certo ambiente, in un ordine di vita troppo diverso dal mio fino ad ora, per aver potuto sperare di giungervi con continui adattamenti. Ho fiducia di trovare questi modi di vita, ho molte probabilità aperte da questo lato55.

Di questa fondamentale parentesi della formazione cecchiana, ci riferisce il carteggio con l'avvocato fiorentino Piero Marrucchi, studioso di letteratura tedesca, di filosofia e religione e collaboratore del «Leonardo» con lo pseudonimo di Pietro Eremita: le lettere di Cecchi a Marrucchi offrono un

50 G. MACCHIONI JODI, L'esordio critico di Cecchi, cit., p. 373. 51 P. LEONCINI, Emilio Cecchi dal «Leonardo» alla «Voce», cit., p. 85.

52 Ibid.

53 G. MACCHIONI JODI, L'esordio critico di Cecchi, cit., p. 366. 54 Ibid.

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quadro dettagliato dei numerosi contatti del giovane critico con alcune delle personalità di spicco della Roma primo novecentesca. Grazie all'interessamento del Marrucchi, Cecchi è presentato a diversi e influenti personalità della cultura romana, entra in contatto con Giulio Salvadori, per il quale coverà un'antipatia istintiva56, e soprattutto con il gruppo che attorno a lui si riuniva a Palazzo

Pamphilj: Paul Sabatier, padre Semeria, Angelo Conti, Igino Petrone, Giovanni Cena. Conosce Monsignor Salvatore Talamo57 che, nonostante la gentilezza, non inserì Cecchi tra i collaboratori

della tradizionalista «Rivista Internazionale» da lui diretta. Ernesto Buonaiuti commissiona a Cecchi un saggio su Gioacchino da Fiore58 che sembra approvato ma che non apparirà mai né sulle

pagine della colta ed elegante «Rivista storico critica della Scienze Teologiche» né in «Nova e Vetera». Ben più proficua è la conoscenza con Romolo Murri, direttore di «Cultura Sociale», poi «Rivista di Cultura», e di «Athena». Proprio in «Cultura Sociale», con cadenza regolare, Cecchi pubblica «recensioni di libri finalmente confacenti alla sua formazione ed alla sua sensibilità»59:

esordisce con una recensione a Le basi della fede di A. J. Balfour, ne pubblica una sulle Disarmonie economiche e disarmonie morali di Mario Calderoni e una de La rivoluzione francese di Tommaso Carlyle. Non rinuncia all'occorrenza a formulare giudizi piuttosto severi. Della Coltura italiana di Prezzolini-Papini «approva la polemica contro il provincialismo, e quindi il desiderio di un'apertura europea», e vede in Prezzolini «l'animatore culturale, capace di inserire, in una situazione statica, nuovi filoni di interessi e nuovi dibattiti ideologici»60. Al Crepuscolo dei filosofi di Papini dedica

un'analisi basata sulla «puntuale individuazione delle contraddizioni logiche, e quindi della infondatezza teoretica delle tesi papiniane» e accusa apertamente il «rivoluzionarismo assoluto» del «Leonardo» di aver prodotto risultati indistinti e confusi. Cecchi denuncia le numerose incongruenze insite nella teoria papiniana dell'«azione magica» ma al contempo, pur consapevole del proprio personale distacco dal «Leonardo», non vuole eccedere nella polemica e adotta un atteggiamento cauto e discreto, sintomo della riconoscenza e dell'ammirazione ancora notevole per

56 Con impietosa ironia, lo ritrarrà in una lettera a Marrucchi il 12 febbraio 1906: «La peggiore impressione, scusa la mia franchezza, è stata verso Salvadori. È un uomo finito, mi pare; incartapecorito, rosicchiato, sterilito. M'ha fatto andare due volte da lui, senza che in due ore si sia potuto dire nulla; arrossiva come una ragazza; è pieno di timidezza, che quando capità in un uomo di quell'età è un grande difetto, è peccaminosa. M'ha dato pure consigli più borghesi di quelli che m'hanno dato da qualunque altra parte; scoraggiandomi, se fossi stato da scoraggiarmi» (A.PISCINI, Cecchi modernista? Lettere di Emilio Cecchi a Piero Marrucchi (1906), in Sylva: studi in onore di

Nino Borsellino, a cura di G. Patrizi, Roma, Bulzoni, 2002, p. 773-774).

57 Direttore della «Rivista Internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie» fondata a Roma da Giuseppe Toniolo: la rivista accoglieva gli spogli bibliografici relativi alla letteratura tedesca di Marrucchi, e parve offrire un'opportunità di pubblicazione a Cecchi (lettera a Marrucchi del 21 gennaio 1906: A.PISCINI, Cecchi modernista?

Lettere di Emilio Cecchi a Piero Marrucchi (1906), cit., p. 767).

58 Cecchi scrive il 26 gennaio a Marrucchi: «Le notizie che ti chiesi sono per Bonaiuti con quale ho fissato una monografia, compensata, su Joachim da Flore» (A.PISCINI, Cecchi modernista? Lettere di Emilio Cecchi a Piero

Marrucchi (1906), cit., p. 769), ribadendo il 5 febbraio che «Buonaiuti ha avuto l'articolo: pare gli piaccia. E così

alcune recensioni e spogli. Mi propone altri scritti di storia primitiva cristiana, ne riparleremo» (Ibid, p. 772). 59 A.PISCINI, Cecchi modernista? Lettere di Emilio Cecchi a Piero Marrucchi (1906), cit., p. 763.

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la statura intellettuale del concittadino. Su «Athena», pubblica in aprile il primo contributo firmato per intero con il titolo di Nelle letterature straniere: il problema dell'inutilità delle traduzioni e «l'importanza di leggere i testi nella lingua d'origine» affidano al critico la responsabilità di «suscitare il desiderio evocando il fascino di un testo ancora sconosciuto», e di «destare il giuoco delle forze d'ognuno in una sorta di osmosi»61. Riguardo alla tematica della traduzione è

interessante fare riferimento a uno dei tre articoli pubblicati da Cecchi su «L'idea liberale» e recentemente riscoperti62. In Autori italiani e critica d'oltralpe, recensione a La littérature italienne d'aujourd'hui di Maurice Muret, si elogia la Francia «come esempio di Paese che più di altri ha saputo far tesoro delle altre letterature, trasformando «la moneta di tutti i paesi in moneta di corso universale»»63:

Un qualsiasi fatto intellettuale di paternità inglese, lo chiamiamo un fatto inglese ma lo valutiamo, lo traduciamo in un fatto italiano, per mezzo dell'accentuazione forse esagerata di certi caratteri forse insoliti ma, più o meno velatamente non importa, esistenti nella tradizione nazionale. Accettare o meno un autore straniero dipende dalla presenza nella nostra letteratura di certi scrittori. Accettare piglia qui il senso di

trasformare, adottare, tradurre64.

Il critico fiorentino avverte già da questi primi contributi la necessità di creare quel senso di differenza e di distanza che è necessario a inquadrare un'opera letteraria e il suo autore da un punto di vista esterno. Di qui l'esigenza di «usare l'altro per capire il sé, la letteratura, francese in questo caso, ed inglese poi, per leggere quella italiana»65, strategia critica che avrà molta fortuna nella

produzione della maturità e che sarà uno dei motivi ricorrenti di alcuni tra i «Tarli» più vibranti. I «tentativi di penetrare nella società culturale «laica» furono tutto sommato meno riusciti»66 dei

contributi pubblicati per le riviste di Murri, con l'eccezione del saggio su Meredith per la «Nuova Antologia» di Giovanni Cena: attraverso un'analisi attenta dell'opera del poeta inglese, Cecchi «si immedesima, con una sintonia profonda, nel mondo dell'autore che sente congeniale per la

61 A.PISCINI, Cecchi modernista? Lettere di Emilio Cecchi a Piero Marrucchi (1906), cit., p. 763.

62 La rivista, nata nel 1892 a Milano, è «la prima a porsi in modo esplicito l'obiettivo di mobilitare in senso antisocialista un fronte borghese» (V. BAGNOLI, Tre articoli di Emilio Cecchi (1906), in «Lettere Italiane», XLVIII,

p. 437). Considerata un «battistrada» quasi riconosciuto per la nascita del «Regno» e del «Leonardo» (V. BAGNOLI,

Tre articoli di Emilio Cecchi (1906), cit., p. 439), mantiene rapporti stretti con le due riviste fiorentine. Cecchi

pubblica in questa sede tre pezzi, non inseriti nella Bibliografia generale degli scritti di Emilio Cecchi: Autori

italiani e critica d'oltralpe (15 giugno1906), La fisionomia (31 luglio 1906) e Postille foscoliane (25 settembre

1906).

63 V. BAGNOLI, Tre articoli di Emilio Cecchi (1906), cit., p. 443.

64 Ibid., p. 444. 65 Ibid.

66 Nel gennaio 1906, viene pubblicata sulla «Rivista di Roma» la lirica Fontelucente, componimento affine a quel «lirismo evasivo» già registrato per Olea fragrans. «Fallirono invece i progetti di tradurre Trine per l'editore Bocca e lavorare (con una traduzione shakespeariana, come suggerisce M. Ghilardi) per lo Stabile di Roma» (A.PISCINI,

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complessità letteraria, per il rigorismo etico», da cui trapelano «le esigenze più tipiche del Cecchi successivo ma come trattenuto nel procedimento analitico che impedisce l'articolarsi di un linguaggio in cui si possano realizzare, attraverso le sintesi delle metafore e delle immagini, i termini della «comprensione» critica»67.

Come era stata decisiva nel soggiorno romano del 1906, «la mediazione di Marrucchi fu importante anche per la collaborazione al fiorentino «Nuovo Giornale», che debuttava proprio nei mesi del soggiorno romano di Cecchi», fondamentale palestra in grado di addestrare «Cecchi ad un giornalismo agile, leggero nonostante il fondo morale e problematico»68. Alla redazione della

rivista, fin dal febbraio 190669, Cecchi invia recensioni e articoli che iniziano a comparire

regolarmente dal mese di aprile. Esordisce con uno scritto sullo Swinburne, a cui seguono contributi che spaziano dalle letterature straniere alle questioni italiane: con grande disinvoltura, recensisce le poesie di Francesco Gaeta, il volume di Prezzolini su Novalis, Ugo Ojetti. Scrive di filosofia, ritorna sulle accuse già espresse in precedenza nei confronti del «Leonardo», pone le fondamenta di un'organica riflessione sulla funzione della cultura e sul ruolo che riveste nella società, parole che contribuiscono a tessere la fitta rete di motivi ispiratori che costituiscono la peculiarità del primo Cecchi e che ne ispirano l'ammirazione per gli autori più controversi e tormentati:

Chiamano cultura il gomitolo per guidarsi fuori del laberinto, mentre cultura è quasi sempre l'inganno che conduce e fa smarrire nel più profondo laberinto. Credono cultura la viottola che conduce verso casa attraverso tepidi pomari, belli aranceti e comode vigne, mentre è la via malfida che da casa ci allontana sempre più […]. Credono la cultura uno strumento, una serva, mentre è una tiranna […] la colmatrice di un vuoto, mentre è la scavatrice di vuoti cento volte più profondi. […] Per produrre occorre […] essere ricchi di squilibri, correnti e cascate da sfruttare per forza motrice70.

La febbrile ricerca di profondità e spiriti nuovi da indagare lo porterà a riflettere sul destino stesso del giornalismo, attività che ha appena iniziato a esercitare e «a cui saranno legate le sue fortune di critico e di prosatore»71. Contro la visione positivista dell'attività giornalistica, che disperde le

Tenebre «alla Luce della Verità e della Giustizia», il critico oppone un'attività intellettuale che, accanto a un aggiornamento dei contenuti e dell'aspetto tecnico della loro espressione, propone un ricorso alla fantasia come strumento per «dare alle finzioni una realtà poetica»: il giornalismo non è

67 P. LEONCINI, Emilio Cecchi dal «Leonardo» alla «Voce», cit., pp. 98-99.

68 A.PISCINI, Cecchi modernista? Lettere di Emilio Cecchi a Piero Marrucchi (1906), cit., p. 764.

69 In una lettera del febbraio 1906 Cecchi scrive a Marrucchi: «Al N[uovo] G[iornale] preparerò e manderò presto qualcosa direttamente con una lettera, se credi meglio così» (A.PISCINI, Cecchi modernista? Lettere di Emilio

Cecchi a Piero Marrucchi (1906), cit., p. 775).

70 P. LEONCINI, Emilio Cecchi dal «Leonardo» alla «Voce», cit., p. 88.

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altro che «l'educatore mitico degli uomini», utile all'umanità «per creare quotidianamente una leggenda della vita, per rinsanguare almeno ogni ventiquattr'ore il mondo con una buona ondata di poesia e di fantasia»72. Oltre ad un ricorso marcato alla finzione, appare già indispensabile il

rapporto quotidiano con il lettore, presupposto che, nella continuità e nella puntualità dei contatti, definirà in maniera inequivocabile le sorti dell'attività giornalistica cecchiana.

Già in questa prima fase della sua produzione, inoltre, si nota come il critico sia «stato, agli inizi per necessità, ma in fondo sempre, un grande riciclatore di lavoro e di studio, un jongleur capace di variazioni potenzialmente infinite su uno stesso tema. […] abilissima è la capacità di rinnovare, con pochi mezzi, la fisionomia del suo pezzo»73. Emblematico è il caso di un articolo sul

poeta simbolista Ernest Dowson, pubblicato in tre versioni, nello stesso anno, in tre sedi diverse74.

Mentre nel contributo sul «Leonardo» spiccano «la tendenza ad aderire alla totalità psicologica e umana dell'autore», che sarà propria del Cecchi vociano, e un interesse forte per «la figura morale e artistica, rappresentata però con un linguaggio ancora intriso di magico spiritualismo», nell'articolo per il «Nuovo Giornale» il critico «coglie i caratteri letterari dell'opera con un'attenzione più criticamente avveduta, eliminando le metafore «magiche» e considerando le acquisizioni culturali» e, al contempo, sperimentando «una nuova e personale forma di prosa critica, affidata a un linguaggio lirico e metaforico»75: «la disciplina formale appresa dai classici latini»76 «gli insegnò a

distillare i suoi sogni di decadente e di fumatore di oppio fino a dar loro una fermezza e una precisione alle quali i decadenti non avevan davvero cercato d'avvezzarci»77. Il punto di rottura con

il Cecchi leonardiano sembra qui assumere caratteri ben definiti: quella sul Dowson sarà infatti l'ultima recensione di argomento inglese apparsa sul «Leonardo».

Come si è notato, già nel 1906, anno piuttosto ricco di contributi, Cecchi «va man mano acquisendo una certa solidità di visione […], dimostra di aver in embrione trovata la sua strada. Strada ancora disseminata di intralci estetizzanti, misticheggianti, irrazionalistici, idealistici […] ma nella quale è dato intravedere […] qualche barlume del Cecchi futuro»78. A sancire il tentativo di

distacco e di rinnovamento delle posizioni leonardiane, il 3 novembre 1906 e sempre sulle pagine del «Nuovo Giornale», compare il primo scritto di Cecchi su Benedetto Croce: una recensione al saggio Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel. Il contributo ha un taglio espositivo

72 Ibid., p. 376.

73 A.PISCINI, Cecchi modernista? Lettere di Emilio Cecchi a Piero Marrucchi (1906), cit., pp. 764-765.

74 «[...] sul «Leonardo», […] appare, grazie all'imperizia del tipografo […] come Dowon; sul «Nuovo Giornale», in una seria presentazione al grande pubblico ignaro, con precise notizie biografiche e riassunto delle opere; su «Athena», come stuzzicante aperitivo di un progetto educativo a lungo raggio» (A.PISCINI, Cecchi modernista?

Lettere di Emilio Cecchi a Piero Marrucchi (1906), cit., p. 765).

75 A. FARINA, Il giovane Cecchi e il Leonardo (1903-1907), cit., p. 136.

76 P. LEONCINI, Emilio Cecchi dal «Leonardo» alla «Voce», cit., p. 87. 77 Ibid.

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e ci dice poco in merito alle posizioni di Cecchi nei confronti dell'hegelismo di Croce: «pare che ciò che maggiormente lo attrae e gl'incute rispetto sia il magistero del Croce, la sua capacità di sistematore del pensiero, la sua funzione nell'ambito della cultura italiana»79. Del volume del

filosofo abruzzese, il critico sottolinea l'«importante funzione iniziatrice e direttiva», in grado di convogliare attorno all'insigne intellettuale le forze più valide e veicolarle e indirizzarle nello studio. In linea con questa immagine, è la testimonianza del primo incontro con Croce, avvenuto qualche anno prima nella Biblioteca Filosofica di Firenze:

Aspettavo un pomeriggio di essergli presentato […] Distribuiva compiti senza splendore, che noi portavamo con una contentezza veterana. Era costì la vera funzione del Croce, pensavamo. [...] Insomma se Croce fosse stato un filosofo e niente altro, la nostra venerazione avrebbe potuto diventare maggiore: avrebbe potuto diventare magari terrore: terrore sacro, e non sarebbe stata ciò che fu. Ma Croce era qualcosa di diverso da un filosofo […]. Era l'uomo partito solo soletto in guerra contro l'incoltura italiana: l'uomo che aveva riallacciato solidamente la nostra tradizione filosofica al nostro pensiero europeo; sopratutto era […] uno che tornava a ripetere che bisogna essere e non parere: era un educatore80.

Lo stesso Croce non aveva nascosto la propria stima per quegli intellettuali «vivaci e mordaci, anime scosse e inebriate per virtù d'idee»81 che scrivevano sul «Leonardo», ma al contempo

«ammoniva i leonardiani a evitare ogni eccesso di idealismo, a non insistere nelle generiche professioni di fede, a studiare, lavorare e dare alla filosofia, al di là della «convinzione interna [...] forma di studio, di ricerca, di discussione, di bibliografia»»82. Il filosofo abruzzese sarà

successivamente punto di riferimento privilegiato e fine interlocutore del Cecchi vociano.

I due anni successivi sono piuttosto poveri di pubblicazioni, se confrontati a un 1906 molto proficuo. Il 1907 è per Cecchi, come racconterà, un'«annata sterilissima di idee poetiche, ma eccellente per la caduta di molte fisime, frutto della mia sciagurata cultura, che ora, frattanto, si rinsaguava»83. Stringe amicizia con Giannotto Bastianelli84, critico e musicista che lo stesso Cecchi

79 Ibid., p. 380.

80 Il brano è stato pubblicato il 31 agosto 1919 sulla «Rivista d'Italia», e poi ripubblicato in E. CECCHI, Ricordi

crociani, Milano-Napoli, Ricciardi, 1965, pp. 43-44.

81 P. CASINI, Alle origini del Novecento. Leonardo, 1903-1907, cit., p. 62.

82 Ibid., p. 63.

83 E. CECCHI, Saggi e viaggi, cit., pp. XXXVII.

84 Conosciutisi alle lezioni universitarie del grecista Vitelli verso la fine del 1906, Bastianelli e Cecchi diventano ben presto inseparabili. L'amicizia fu «determinante in particolare per i nuovi orizzonti aperti alla sua cultura musicale, per l'impronta che lascerà sulle sue preferenze e i suoi gusti» (E. CECCHI, Saggi e viaggi, cit., p. p. XXXVII): «le

letture o lezioni musicali di Bastianelli agli amici e agli amici degli amici, in Firenze ebbero un'eco, una risonanza […] intensissima. […] con un uditorio, un pubblico che, di volta in volta, poteva essere più ristretto di quello di un'aula scolastica [...]: un pubblico colto, appassionato e senza la minima mondanità» (E. CECCHI, Letteratura

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presenterà a Prezzolini85 e al quale dedicherà un affettuoso e limpido ricordo molti anni dopo86.

Continua a pubblicare articoli di critica ed è ancora l'Oriente a ispirarlo e turbarlo: tra il gennaio e il febbraio pubblica due articoli su un'opera di Lafcadio Hearn sugli usi e i costumi del Giappone. L'ampia recensione appare il 13 gennaio sul «Nuovo Giornale» e, nel febbraio, costituisce l'unico contributo pubblicato da Cecchi sulla rivista dei modernisti milanesi «Il Rinnovamento»87. Rispetto

ai contributi leonardiani, il discorso cecchiano presenta ora una maggiore consapevolezza critica e manifesta un nuovo apprezzamento per la cultura orientale: contrapposta alla civiltà occidentale che «è semplicemente un ricco gioco d'intelligenza», essa possiede un «delicato spirito sensitivo» in cui trova espressione una vita interiore che fa dell'«inafferrabilità palese e determinata» la sua forza. Ciò che attrae Cecchi dei miti raccontati da Hearn è il fatto che «son storie d'anime di miracolosa sensibilità»: «Noi percepiamo appena le loro azioni, i loro pensieri spesso no, tanto sottili sono ed evanescenti: e questo vuoto che si fa dietro la loro vita reale, questo buio silenzio della loro vita interiore nelle cui profondità non sappiamo discendere, dà loro uno strano carattere di inafferrabilità palese e determinata»88. Nasce qui la tipica sensibilità cecchiana per l'Oriente, frutto di una

dialettica continua tra «apparenza reale» e «mistero inquietante», tra «attrazione» e «sgomento», che saranno tratti tipici del Cecchi maturo ma che affondano le loro radici nell'interesse giovanile per la ricerca della «verità interiore», del mistero che agisce al di sotto del piano estetico dell'opera, vero punto chiave della ricerca critica dell'autore. La coesistenza tra l'«impronunciabile» e la «compiutezza formale» sarà, da qui in avanti, uno dei tratti propri della critica cecchiana: «la misura del giudizio si fonda sul riscontro insieme delle capacità di non ignorare il recondito, di avvertire l'abisso, ma anche di non lasciarsi trascinare dalla vertigine, di opporre ad essa l'organizzazione della coscienza, la saldezza di una struttura che «tiene»»89. Nel tentativo, già avviato, di mettere

ordine nel proprio modo di fare critica Cecchi avverte la necessità di prendere chiaramente posizione nei confronti del proprio passato. In un articolo su Oscar Wilde, il critico polemizza apertamente contro la confusione tipicamente leonardiana tra arte e vita. L'arte di Wilde appartiene alla «religione del dilettantismo, della cultura fiacca ed arretrata» volta «a costruire un tutto

85 «Vorrei potessimo metterci d'accordo […] perché una monografia sopra un musicista - Mascagni -, occasione a dire cose belle e nuove, fosse affidata a un giovane di genio, che, nel caso, ti farò conoscere. […] Se per un musicista si può lavorare, come ti consiglio in vista del libro che verrebbe fuori, dimmi quando ti potrò presentare l'interessato» (Lettera di Cecchi a Prezzolini datata al 1908: E. CECCHI, «Gli anni che verranno»: lettere a Giuseppe Prezzolini, in «Nuova antologia», n. 1892, agosto 1958, p. 494).

86 E. CECCHI, Amici: Giannotto Bastianelli e Armando Spadini, discorso tenuto a Firenze il 26 febbraio 1955 in

occasione dell'apertura del sesto corso della «Libera cattedra di storia della Civiltà fiorentina», ora in E. CECCHI,

Letteratura italiana del Novecento, cit., pp. 665-677.

87 A.PISCINI, Cecchi modernista? Lettere di Emilio Cecchi a Piero Marrucchi (1906), cit., p. 764.

88 P. LEONCINI, Emilio Cecchi dal «Leonardo» alla «Voce», cit., p. 84.

89 A. NOFERI, Le ragioni difensive della critica di Emilio Cecchi, in ID., Le poetiche critiche novecentesche, Firenze,

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omogeneo»: di fatto è questa la «deficienza delle sue facoltà di creatore»90. È molto lontano il

Cecchi che identificava in Wilde un maestro91: è lontano ma, a livello cronologico, non sono passati

nemmeno due anni. La necessità di garantire concretezza alla ricerca critica e di sondare in profondità i caratteri propri degli autori di cui si occupa, avvicina Cecchi alla filologia. L'occasione è offerta dalla recensione di una raccolta di Scritti inediti di Giacomo Leopardi92, articolo che

consente a Cecchi di riflettere sull'importanza degli inediti per cogliere la «genesi di quelle perfette espressioni», frutto dei «meandri» e dei «tentennamenti d'un pensiero giunto nelle opere giustamente migliorate ad una precisione ed a una trasparenza esemplari». Si scorge, attraverso lo studio di questi testi leopardiani, «l'uomo sotto lo scrittore» mentre la forma inizia già a essere identificata come «risultato dell'iter creativo»93 dell'artista. Cecchi ritrova in Leopardi alcuni aspetti

del proprio percorso di maturazione, di quel lungo sentiero che il critico ha appena imboccato e che fa dello stile proprio e nitido «una conquista [...] faticosa; una lenta maturazione; un frutto della volontà e di un duro lavoro»94.

L'anno seguente, nel mese di febbraio, il padre è colpito da ictus e Cecchi è costretto a sospendere bruscamente studi e pubblicazioni: deve tornare a lavorare al negozio, con la famiglia cambia alloggio diverse volte per assecondare le necessità dovute alla menomazione del genitore. Pubblica solo una raccolta di poesie per l'editore Carabba. Nell'estate del 1909, quando la sorella Luisa «viene ad affiancarlo nella cura del commercio paterno», assumendone poi da sola la gestione, tornerà a «ritagliarsi qualche ora libera per la letteratura»95. L'8 luglio esordisce sulla «Voce» con i Preliminari a una rassegna di poesia con i quali si apre un nuovo capitolo del travagliato percorso intellettuale del primo Cecchi.

Fondata ufficialmente il 20 dicembre 1908, la rivista fiorentina accoglie Cecchi come uno dei collaboratori più influenti: «a questa altezza, egli era giovane sì, ma non giovanissimo, aveva più di venticinque anni»96 e l'esperienza vociana diviene da subito «il momento della verifica di istanze già

maturate, ed anche una possibilità di contatti e di sollecitazioni determinanti per la formazione culturale»97 del critico. In altri termini la collaborazione attiva con «La Voce» appare come un

tassello fondamentale di quella «ricerca di una identità non solo privata ma anche pubblica vissuta

90 P. LEONCINI, Emilio Cecchi dal «Leonardo» alla «Voce», cit., p. 88.

91 A. FARINA, Il giovane Cecchi e il Leonardo (1903-1907), cit.,p. 128. Vedi nota 44.

92 E. CECCHI, Scritti inediti di Giacomo Leopardi, in «Nuovo Giornale», 4 marzo 1907.

93 P. LEONCINI, Cecchi e D'Annunzio. Con appendice di testi critici rari, prefazione di E. Giachery, Roma, Bulzoni editore, 1976, p. 88.

94 V. GUEGLIO, Cecchi giovane e dintorni, cit., p. 90.

95 E. CECCHI, Saggi e viaggi, cit., p. XXXVIII.

96 L. LUGNANI, Cecchi giovane e la «Voce», in «Rassegna della Letteratura Italiana», LXX, 1966, p. 39.

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da Cecchi negli anni che precedono la guerra», una «ricerca strettamente legata tra privato e pubblico, caratterizzata da una continua e non pacata osmosi dei due elementi e che ha come sfondo una società culturale in profonda trasformazione, pari a quella civile e sociale. Un'età di transizioni, di scoperte, di nuovi ruoli emergenti, «mossa» da quello stimolo di attività e di esperienza […] che determina una sempre viva necessità di interrogativi e di ricerca di certezze»98. Questo bisogno

profondo, reso urgente dalla necessità di lavorare per vivere che accomuna le sorti del critico fiorentino a quelle di molti suoi compagni d'avventura99, si affianca alla concezione cecchiana della

cultura non già come svago ma come «via malfida che da casa ci allontana sempre più», come «scavatrice di vuoti […] profondi»100 nelle coscienze. La strada della «Voce» appare quindi

sostenuta da comuni intenti di rinnovamento e dalla necessità di andare oltre alla crisi primo novecentesca, di offrire una via di fuga con la «convinzione della necessità di elaborare ed opporre una nuova idea di letteratura, una nuova moralità letteraria alle degenerazioni dannunziane ed alle estreme retroguardie del naturalismo ottocentesco»101. Al momento dell'adesione alla «Voce»,

Cecchi ha un tono e una tinta che necessitano sì di affinamento e di una compiuta ricerca stilistica, ma che già «sono una tinta e un tono vociani, la misura e l'impegno etico e conoscitivo, a volte poco controllati per esuberanza, degli uomini e soprattutto dei giovani della prima «Voce»»: Cecchi si presenta sulla scena «come uno della razza degli Slataper e dei Boine, con la medesima vivacità morale, il medesimo entusiasmo, la medesima ansia di apprendimento e di chiarezza, la medesima gonfiezza di passione e di eticità»102.

Al contempo, come già era accaduto in occasione di tutte le collaborazioni precedenti, Cecchi rimane cautamente «guardingo»103 nei confronti dell'ambiente e dei collaboratori con i quali

condivide il percorso intellettuale appena intrapreso, tanto che Prezzolini definirà una «collaborazione [...] di sbieco»104 la partecipazione di Cecchi alla «Voce»: probabilmente anche per

il fatto che il critico fiorentino si stabilì ben presto a Roma, la sua partecipazione non era «così assidua e quotidiana come quella di altri»105, per i quali quella sede era «anche il tessuto di amicizie

e di vicinanze sentimentali e personali», tanto che «si potrebbe dire che egli non fu materialiter vociano»106. La sua posizione, «eccentrica rispetto al nucleo attivo del «moralismo» vociano»107,

98 F. PETROCCHI D'AURIA, Casati e Cecchi negli anni della «Voce», Roma, Bulzoni Editore, 1984, pp. 75-76.

99 Ibid., p. 76.

100 P. LEONCINI, Cecchi e D'Annunzio. Con appendice di testi critici rari, cit., p. 88. 101 Ibid., p. 88, nota 36.

102 L. LUGNANI, Cecchi giovane e la «Voce», cit., p. 40.

103 C. DI BIASE, Emilio Cecchi, Firenze, La Nuova Italia, 1982, p. 21.

104 E. CECCHI, «Gli anni che verranno»: lettere a Giuseppe Prezzolini, cit., p. 492.

105 Ibid.

106 L. LUGNANI, Cecchi giovane e la «Voce», cit., p. 40.

107 G. LUTI, Cecchi critico, in Letteratura Italiana. I critici. Per la storia della filologia e della critica moderna in

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non ostacolerà «la sua consonanza con quel gruppo ideale»108 di «giovani collaboratori della

«Voce», contro l'accademia e la vecchia cultura»109, e gli offrirà una notevole libertà di movimento

che gli permetterà di intraprendere «per proprio conto la sua esperienza di rinnovamento»110. È

probabilmente questa peculiarità di Cecchi a rendere così singolare l'apporto del critico alla «Voce», un'esperienza che gli offre «la possibilità di comunicare con gli esponenti più vivi della cultura dell'epoca, capaci di influenzarlo mediante il contatto diretto oppure, mediatamente, per mezzo di utili indicazioni critiche e metodologiche»: proprio «attraverso questa coesistenza, questo incrocio di esperienze vive si realizza lentamente il lui una intensa e progressiva osmosi con nuovi mondi culturali tradizionalmente tenuti in scarsa considerazione, se non addirittura ignorati, dai letterati italiani»111. In questa fase della maturazione del critico, inoltre, la ricerca di «uno spazio culturale

tanto vasto da esaurire la sua sete di esplorazione e di ricerca» fa nascere in lui «la necessità di una prospettiva ampliata che offra continue intersecazioni e possibilità di scambi, nel tentativo di un arricchimento costante che esaurisca la richiesta di una cultura più attiva e insieme la ricerca di un proprio stile»112. Come già accaduto negli anni degli esordi, ma in modo ancor più marcato, Cecchi

passerà «con disinvoltura dalla lirica alla narrativa, dalla filosofia alla critica letteraria e infine alla critica delle arti figurative. Si tratta di esperimenti e talora di veri e propri fallimenti, comunque sempre interessanti da analizzare per comprendere gli elementi che confluirono e si armonizzarono in una personalità tanto complessa […] come quella di Cecchi»113.

L'inizio della collaborazione con la «Voce» è testimoniato da una lettera di Cecchi a Prezzolini nella quale il critico fiorentino non nasconde di vivere un periodo di profondo disagio e, dopo la fame di determinarsi della quale aveva accennato all'amico in una lettera di poco precedente114, manifesta le proprie perplessità in merito a una distanza intellettuale che pare

difficilmente colmabile:

Non dico di me perché io sono da fare, se non proprio dalle fondamenta, sempre da parecchio, parecchio in giù; ma non veggo in te, per quel poco che posso aver capito da qualche lettera e da poche conversazioni, quella omogeneità razionale, estetica, pratica e quel che vuoi, con la quale soltanto può esser compatibile un lavoro come quello che mi proponi. […] Aver delle voci, tanto meno poi se sono echi, non mi sembra voler dire avere una voce; e tanto meno poi dar diritto a dare sulla medesima agli 108 L. LUGNANI, Cecchi giovane e la «Voce», cit., p. 40.

109 G. LUTI, Cecchi critico, in Letteratura Italiana. I critici. Per la storia della filologia e della critica moderna in

Italia, cit., p. 2367.

110 G. LUTI, Cecchi critico, cit., p. 2368.

111 M. BRUSADIN, Emilio Cecchi e la crisi della lingua letteraria italiana del primo Novecento, in Profili di prosatori

contemporanei, introduzione di P. V. Mengaldo, Padova, Liviana Editrice, 1973, p. 7.

112 G. LUTI, Cecchi critico, cit., p. 2368.

113 M. BRUSADIN, Emilio Cecchi e la crisi della lingua letteraria italiana del primo Novecento, cit., pp. 7-8.

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altri, anche se, a loro volta, essi fanno soltanto finta di averla. Ora finché io non mi sentirò questa voce

mia, non parlerò115.

Prezzolini aveva ammesso la possibilità di avere «differenze e incompatibilità»116 con Cecchi ma,

nonostante questo, gli aveva aperto ugualmente le porte della nuova rivista. Il critico risponde con una risolutezza così limpida che sorprende che la collaborazione sia poi potuta effettivamente avvenire:

Non dico che differenze non ci abbiano ad essere, ma non devono esser differenze arbitrarie. Devono esser differenze fra persone che vivono sullo stesso piano, cioè in una vita profondamente razionale […], e voglion che questa loro vita, fatta omogenea, compatta nel proprio segreto, sia capace di divenire, espressa, assoluta e vita di tutti. Fra gente insomma che voglia esprimersi con parole sue di cose sue, non di esprimersi per modi obliqui, raffrontando le idee e le norme ricevute da certuni, agli strafalcioni e alle gobbe di certi altri. Scusami, ma un lavoro siffatto [...] m'ha un'aria sempre, più o meno, d'incensamenti e livori da sagrestia. Del resto tutto ciò importa ben poco se non ti salterà più in capo, a te persona d'ingegno, di venire con una frase buffa a negarmi il diritto di soffrire in silenzio quel po' di criterio che per avventura posso ritrovarmi, il quale non disturba nessuno e vuol soltanto esser lasciato vivere ed esercitarsi a modo suo117.

La questione che preoccupa Cecchi è la propria autonomia intellettuale, messa a dura prova dall'ingesso in un gruppo di intellettuali con i quali condivide molto ma dai quali pretende di mantenere comunque le distanze. Il definitivo distacco dal «Leonardo», e le critiche nemmeno troppo velate espresse nei confronti di Papini, contribuiscono a rendere Cecchi piuttosto prudente sul da farsi. Il desiderio di inserirsi attivamente nel dibattito intellettuale di quegli anni e la necessità di «affinamento dei propri mezzi critici»118 lo spingeranno comunque ad abbracciare il progetto

vociano già l'anno successivo con un articolo che, da subito, intende definire in modo puntuale la propria posizione nei confronti della letteratura italiana di allora.

Con i Preliminari a una rassegna di poesia119, Cecchi apre la sua collaborazione alla «Voce»

con un contributo nel quale «già determina lo spazio della ricerca richiamando l'attenzione sulla cristallizzazione dannunziana e pascoliana […] e dichiarando apertamente il valore sperimentale della sua letteratura e di tutto il gruppo vociano»120. Il critico tenta subito «una analisi dell'Italia

115 Ibid., p. 495. 116 Ibid., p. 496. 117 Ibid., pp. 496-497.

118 L. LUGNANI, Cecchi giovane e la «Voce», cit., p. 40.

119 E. CECCHI, Preliminari a una rassegna di poesia, in «La Voce», 8 luglio 1909. Ora in P. LEONCINI, Cecchi e

D'Annunzio. Con appendice di testi critici rari, cit., pp. 167-171.

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