Le emissioni di GHG - quei gas presenti in atmosfera trasparenti alla radiazione solare in entrata sulla terra ma che riescono a trattenere, in maniera consistente, la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre, dall’atmosfera e dalle nuvole - sono riconosciute come le maggiori responsabili dei cambiamenti climatici. Esse vengono espresse in Global Warming Potential (GWP), ovvero una misura di quanto un dato gas serra contribuisce al riscaldamento globale rispetto alla CO2.
Visto il trend di cambiamento climatico in atto, a livello internazionale sono stati definiti impegni per mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2°C, con l’obiettivo ultimo al 2050 di riduzione delle emissioni del 50% rispetto ai valori del 1990 (del 20% al 2020 in Europa).
Nel 1992 è stata istituita la United Nations Framework Convention on Climate Change con il compito di stabilizzare le concentrazioni di gas serra in atmosfera. L’Italia, nel 1994,
ha ratificato questa convenzione e, come Stato membro, si è impegnata a sviluppare e pubblicare l’inventario nazionale dei gas serra che comprende i settori emissivi, come definiti dall’IPCC): energia, processi industriali, solventi, agricoltura, rifiuti e uso del suolo, variazione di uso del suolo e selvicoltura (Lulucf) (Còndor et al., 2009).
In Italia, le emissioni in agricoltura vengono misurate dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), responsabile dell’Inventario Nazionale dei gas serra secondo la metodologia dell’IPCC. I risultati contenuti nel National Inventory Report (NIR) e nel rapporto specifico sull’agricoltura identificano nel settore agricolo il principale responsabile dell’emissione di metano (CH4) e protossido di azoto (NO2) –
derivanti dall’uso dei fertilizzanti e da attività zootecniche - e il più alto contributore di emissioni in termini di tonnellate di CO2 equivalente, dopo il settore energia (Còndor,
2011).
Anche in Italia, secondo l’inventario nazionale (Ispra, 2009), nel 2007 la prima fonte emissiva a livello nazionale è rappresentata dal settore energia con una quota pari all’83%; l’agricoltura è al secondo posto, ma è responsabile solo del 6,7% delle emissioni nazionali, mentre a livello europeo genera il 9% delle emissioni totali di gas serra.
Appare, dunque, evidente che una questione rilevante è come cercare di ridurre le emissioni agricole, tenendo ben presente che ci si trova in un contesto complesso e articolato. Parlare di agricoltura significa implicitamente considerare il binomio uomo- cibo, la catena alimentare, i processi e gli equilibri dinamici biologici e chimico-fisici, il ciclo del carbonio e dell’acqua e, non ultime, la disponibilità di suolo e gli aspetti legati alla produzione di bioenergie (Zerlia, 2011).
La strada intrapresa negli ultimi anni è stata quella di promuovere incentivi e investimenti nell’ambito della politica e di accordi internazionali sul clima, tuttavia tra gli scettici delle politiche climatiche si contesta il fatto che, non essendo ancora riusciti a disporre di dati misurati attendibili, si è spesso fatto ricorso a stime il cui livello di affidabilità e tutt’ora in discussione.
Le due criticità principali rispetto all’affidabilità delle stime riguardano essenzialmente l’incertezza rispetto ai fattori di emissione dei gas serra e alla effettiva capacità di assorbimento dei suoli.
I fattori di emissione indicano, in modo sintetico, la quantità di un dato gas serra rilasciato in un’attività antropica. Se consideriamo, ad esempio, il Metano (CH4) da
fermentazione enterica rilasciato annualmente da un capo di bestiame, esso dipende da una serie di caratteristiche dell’animale (razza, età, alimentazione, metabolismo) che a loro volta variano in funzione di specificità a livello nazionale, regionale e locale (posizione geografica, condizioni climatiche, etc.). Pertanto, generalizzare le stime a livello globale sembra lasciare ampi margini di incertezza. Lo stesso IPCC sostiene che a livello generale i fattori di emissioni stimati con tale metodo possano avere un margine di errore superiore al 30% e, in alcuni casi, possano addirittura raggiungere un livello di incertezza prossimo al 50% (IPCC, 2007).
Riguardo, invece, all’assorbimento e rilascio di carbonio ed altri GHG del suolo, l’argomento sta assumendo sempre maggiore importanza nel dibattito scientifico internazionale potendo essere la discriminante per il raggiungimento degli standard di qualità imposti a livello europeo dalla direttiva Red (2009/28/CE). La biosfera - suolo e componente legnosa in particolare - possono infatti funzionare anche da serbatoi di CO2
(sink o pozzi) con accumulo (sequestro biologico) del carbonio, mitigandone così il livello della concentrazione atmosferica. CO2 e Carbonio del suolo e della vegetazione sono,
infatti, in equilibrio dinamico (ciclo del Carbonio) col risultato di consentire lo scambio di Carbonio - sotto forma di monossido (CO) e Biossido di Carbonio (CO2) - tra oceani,
atmosfera, terra e biosfera (Zerlia, 2011).
Il problema, anche in questo caso, riguarda l’incertezza su entità, localizzazione, variabilità e stabilità nel tempo dello stock di carbonio accumulato dal suolo.
A livello quantitativo, riguardo le capacità di assorbimento del settore agricolo, nel dibattito che si è sviluppato a livello internazionale ed Europeo (Copenaghen, 2009) si è ritenuto che la sola superficie forestale italiana, pari a circa 10,6 milioni di ettari, di cui il 63% è di proprietà privata, assorba 10,2 milioni di tonnellate di CO2 (ENEA, 2011).
Mentre gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni già prevedono, come detto, misure riguardanti interventi di forestazione, riforestazione e deforestazione, è solo con la direttiva 2009/29/CE - che propone modifiche al sistema degli scambi delle quote di emissione dei Paesi UE (ETS – Emission Trading System) e la decisione 4006/2009/CE - che riguarda gli sforzi che gli Stati membri sono tenuti a porre in essere per ridurre emissioni dei GHG entro il 20205 (ed in particolare l’art. 9, che invita a valutare le modalità di inclusione delle emissioni provenienti dai settori Lulucf ed eventualmente a !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
produrre delle proposte normative di contabilizzazione degli stessi), l’uso del suolo agricolo viene ad essere considerato come fattore determinante.
In sostanza il saldo emissivo dell’agricoltura dovrebbe tener conto non solo delle emissioni generate ma anche e soprattutto della capacità di assorbimento del carbonio propria di foreste e suoli agricoli.
Un’analisi più profonda e dettagliata di questi aspetti viene riportata nel paragrafo successivo, dove sarà illustrato il contenuto della proposta della Commissione Europea in tema di inclusione della contabilità delle emissioni agricole del settore Lulucf.