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ENERGIA CEDUTA DALL’IMPIANTO

Luogo  Clima  Funzione  Progetto

5.4 LA PROBLEMATICA DELL’ENERGETICA DEGLI EDIFIC

5.4.4 ENERGIA CEDUTA DALL’IMPIANTO

L’energia ceduta dall’impianto è frutto di trasformazioni energetiche dell’energia primaria esterna (ad esempio olio combustibile, gas) in energie fornite a fluidi termovettori (acqua, aria) che le trasportano ai terminali (radiatori, fan coil, bocchette) posti nei vari ambienti.

Dal 1995 con il D.Lgs 192 ad oggi molte leggi e decreti si occupano dell’efficienza energetica dell’edificio e degli impianti.

Il D.Lgs 28/2011 addirittura impone che un’aliquota (35% dal 1/01/2014, ma si arriverà al 50% nel 2017) di energia richiesta dagli edifici sia proveniente da fonti di energia rinnovabili (FER). Di fatto gli impianti diventano parte integrante degli edifici.

Ancora di più lo sarà negli anni futuri se si pensa all’applicazione della nuova direttiva europea 2010/31/CE che introduce l’esigenza di Edifici a Quasi Zero Energia, cioè di edifici che consumano una quantità di energia specifica molto bassa, dell’ordine di 10-15 kWh/(m².anno).

Scelta della tipologia impiantistica

Se il calcolo dei carichi termici (fittizi o reali) è effettuato con metodi matematici e spesso con l’ausilio di programmi di calcolo appositamente predisposti, la scelta della tipologia

impiantistica è la fase più delicata ed impegnativa di tutto l’iter progettuale.

E’ proprio in questa fase che il Progettista deve decidere come realizzare l’impianto. Qualche esempio può chiarire quanto si vuole evidenziare.

Un impianto di riscaldamento (probabilmente la tipologia impiantistica più diffusa) si può realizzare in più modi, ad esempio:

 con radiatori;

 con termoconvettori;

 ad aria calda (con distribuzione dell’aria mediante canali e bocchette di mandata);  a pavimento (pavimento radiante).

La distribuzione dell’acqua calda può essere eseguita in diversi modi, ad esempio:  a collettori complanari;

 con distribuzione monotubo.

La scelta delle caldaie è quanto mai varia (come si vedrà nel seguito) e lo stesso si deve dire per i componenti di impianto.

Le cose si complicano ulteriormente per gli impianti di climatizzazione estivi per i quali si hanno almeno tre tipologie:

 ad aria:  ad acqua;

 misti con aria primaria.

In definitiva questa fase è la più delicata e impegnativa e fortemente dipendente dall’esperienza del progettista. Inoltre la scelta impiantistica è spesso dipendente (direi anche

fortemente dipendente) anche dall’architettura dell’edificio e dal budget disponibile per gli

impianti.

Si hanno spesso condizionamenti di vario tipo che rendono difficile la progettazione degli impianti e la vita degli impiantisti.

Ad esempio spesso non si sa dove inserire gli impianti perché mancano gli spazi dei locali tecnici o non si hanno cavedi tecnici per il passaggio delle tubazioni e ancor più non si hanno spazi sufficienti per il passaggio dei canali che sono molto più ingombranti delle tubazioni.

5.5 COMPORTAMENTO TERMICO DEGLI EDIFICI

La climatizzazione degli edifici17 è attuata con l’inserimento di impianti opportuni, cioè con l’inserimento di impianti (attivi, in contrapposizione all’edilizia passiva) capaci di mantenere all’interno condizioni ambientali di benessere per gli occupanti.

Per potere correttamente dimensionare gli impianti occorre prima conoscere il comportamento termico degli edifici, ossia come variano le condizioni interne di temperatura e umidità (la velocità dell’aria è di solito controllata dagli stessi impianti di distribuzione) al variare delle condizioni climatologiche esterne. Queste dipendono dal sito e cioè dalla latitudine, dall’orografia, dalla presenza di masse d’acqua come il mare o i laghi o anche i fiumi, dalla presenza di masse edificate (isola di calore), ... In generale si può dire che le condizioni climatiche esterne non sono mai stabili durante il giorno ma continuamente variabili anche e soprattutto per la periodicità dell’alternarsi del dì e della notte e quindi per la presenza della radiazione solare nel periodo diurno dall’alba al tramonto.

Lo studio del comportamento termico degli edifici (oggetto della Termofisica dell’edificio) parte proprio da queste considerazioni e pertanto valuta le condizioni transitorie determinate in risposta alle variazioni climatologiche esterne. Si accennerà brevemente nel prosieguo alle condizioni transitorie degli edifici, anche a scopo euristico.

Si osserva, come per altro indicato da tutta la legislazione e dalla normativa vigente, che non si può pensare di progettare un impianto di climatizzazione senza prima conoscere la problematica dell’interazione edificio-impianto.

5.6 COMPORTAMENTO IN REGIME STAZIONARIO DEGLI EDIFICI

Molto spesso ci si riferisce ad un comportamento termico degli edifici molto semplificato e facile da studiare, supponiamo cioè che l’edificio sia in regime stazionario. Si tratta di un’ipotesi molto semplificativa, come meglio si chiarirà nel prosieguo, ma che tuttavia risulta molto utile e indispensabile nelle normali applicazioni impiantistiche.

Va subito detto che le condizioni di stazionarietà sono rare e limitate a pochi casi pratici, nella realtà l’evoluzione termica degli edifici è sempre non stazionaria e ciò comporta notevoli difficoltà di calcolo. Per edifici termostatizzati18 la temperatura interna viene artificialmente mantenuta al valore desiderato, ad esempio 20 °C in inverno e 26 °C in estate, secondo quanto già visto per le condizioni di comfort termico. Le condizioni esterne, però, non sono mai costanti poiché sia la temperatura esterna (e l’umidità relativa nel caso di climatizzazione completa) che l’intensità di radiazione solare variano continuamente durante la giornata.

Pertanto immaginare che i carichi termici (disperdimenti o rientrate termiche, a seconda della stagione) siano costanti è una pura illusione. Vedremo, tuttavia, come spesso, anche secondo indicazioni di decreti e leggi varie, spesso ci si riferisca all’ipotesi che i carichi termici si mantengano costanti e che l’edificio sia in condizioni stazionarie. Vedremo più avanti come affidarsi pedissequamente all’ipotesi di regime stazionario possa portare ad errori notevoli nella valutazione della reale evoluzione termica degli edifici con conseguenze gravi per i progettisti.

Ad esempio, il carico termico invernale indicato dalla L. 10/91 come carico di picco è un carico fittizio che dovrebbe fornire il carico termico massimo nelle peggiori condizioni. E quali

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Sarebbe più opportuno, come più volte indicato, parlare di climatizzazione in generale non solamente riferita agli edifici. Si pensi alla climatizzazione degli aerei, delle capsule spaziali, delle stazioni orbitanti, delle capsule sottomarine, …

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Cioè in edifici nei quali un impianto contribuisce a mantenere la temperatura interna degli ambiente costante mediante opportuni scambi di calore con i terminali (ad esempio radiatori o fan coil).

possono essere le peggiori condizioni? L’assenza di contributi gratuiti (cioè di energia solare e di sorgenti interne) e la stazionarietà della temperatura esterna al valore minimo di progetto.

In definitiva nel calcolo del carico di picco non si tiene conto della radiazione solare (si suppone che nelle brutte giornate invernali ci sia cielo coperto e quindi assenza di radiazioni solari dirette) degli apporti gratuiti interni (lampade, sorgenti interne, persone, ...) e che all’esterno la temperatura sia poco variabile (anche per l’assenza della radiazione solare) e pari al valore minimo di progetto. Tutte queste ipotesi sono certamente irrealistiche poiché abbiamo sempre la radiazione solare diffusa, una variazione (seppur minima) della temperatura esterna e la presenza di sorgenti interne (affollamento, lampade, …). Trascurare gli apporti gratuiti significa però porsi nelle condizioni peggiori ed ecco perché questo calcolo fittizio viene definito come carico di picco.

Un’osservazione importante va fatta sulle modalità di calcolo dei carichi termici in regime stazionario.

Si ricorda, infatti, dalla Trasmissione del Calore che il flusso termico trasmesso fra due fluidi separati da una parete composita in regime stazionario è data dalla nota relazione:

Q U S  T

ove U è la trasmittanza termica definita dalla relazione: 1 1 i 1 i i e U s hh  

con hi ed he coefficienti di convezione interna ed esterna e con i

i

s

resistenza termica degli strati di materiale compresi fra i due fluidi.

Questa relazione, fondamentale per la l’impiantistica termotecnica vale, si ricordi, solo in

regime stazionario. In regimi tempo variabili occorre tenere conto degli accumuli termici nei vari

strati (vedi nel prosieguo) e il flusso termico trasmesso fra i due fluidi sarebbe ben più complesso da calcolare.

Tuttavia la comodità di utilizzare la relazione precedente è importante ai fini dell’economia dei calcoli da effettuare per il calcolo dei carichi termici tanto che molto spesso si preferisce commettere errori (sia pur sotto controllo) che utilizzare equazioni differenziali complesse e codici di calcolo altrettanto complessi ed ostici. E’ questo uno dei motivi pratici per cui si ipotizza il regime stazionario.

Nei prossimi paragrafi si analizzeranno i transitori termici in regime non stazionario e si potrà immediatamente osservare come i calcoli da effettuare per analizzarli siano effettivamente lunghi, complessi e, in molte occasioni, privi di informazioni se non opportunamente interpretati da professionisti esperti e preparati.

Per decenni le nostre leggi hanno sempre fatto riferimento a calcoli fittizi in regime stazionario ma con l’introduzione del D.Lgs 192/05 qualcosa sta cambiando. Per la prima volta, infatti, si parla di surriscaldamento estivo e di valutazione della sua entità con opportuni codici di calcolo. Naturalmente l’ingegnere (o più in generale l’impiantista meccanico) non è un farmacista e pertanto le precisioni a sei cifre decimali non interessano. Sono, però, importanti le conclusioni che si possono e si debbono dedurre dall’analisi in transitorio termico degli edifici, anche per evitare grossolani errori nel dimensionamento impiantistico.

Ad esempio, un edificio molto vetrato (una vera mania dei progettisti moderni) non va solo riscaldato in previsione delle ipotesi di grande freddo (cioè con riferimento al solo carico di picco) ma anche raffrescato per evitare il surriscaldamento delle zone esposte ad est e ad ovest.

In pratica può facilmente accedere che un edificio molto vetrato debba contemporaneamente essere riscaldato e raffrescato anche a gennaio. In questi casi occorre prevedere una tipologia di impianto certamente più complessa del solito, ad esempio con aria primaria e fan coil a quattro tubi.

5.7 TRANSITORIO TERMICO DEGLI EDIFICI

In questo capitolo si farà un breve cenno sul transitorio termico cercando di evidenziare i parametri più significativi del comportamento termico degli edifici. L’applicazione della L. 10/91 e successivi aggiornamenti è ormai routine progettuale mentre lo studio più approfondito dell’evoluzione temporale delle condizioni microclimatiche di un edificio richiede nozioni più avanzate e conoscenza di modellistica raffinate, essendo l’edificio un sistema certamente

complesso.

Il Progettista che intende controllare le conseguenze di una scelta progettuale dal punto di vista energetico dispone oggi di innumerevoli strumenti, dai più sofisticati che richiedono l'uso di grandi computer, capaci anche di un grande rigore e dettaglio, ai più semplici che consentono previsioni veloci e più approssimate. Da qui il primo problema che si deve affrontare. Ciascuno di tali strumenti, infatti, sebbene versatile, risente comunque della impostazione originaria nel senso che, in genere, è stato sviluppato per valutare le prestazioni di specifiche tipologie edilizie o di particolari soluzioni progettuali; si tratta allora di individuare quale tra gli strumenti disponibili è il più adatto e a che livello di dettaglio è opportuno giungere nella raccolta delle informazioni sulla "performance" del sistema.

Esiste tuttavia un secondo problema e forse più oneroso del primo in quanto presenta spesso aspetti paradossali: riguarda la fase della progettazione nella quale eseguire il controllo. Accade infatti che il controllo risulta tanto più efficace quanto più ci si sposta verso la fase iniziale del progetto, quando cioè le decisioni non sono state consolidate e molte possibilità sono ancora aperte. La progettazione bioclimatica postula, ad esempio, uno spostamento dei controlli dalle fasi finali del progetto alle fasi intermedie, nelle quali è ancora possibile modificare e correggere l'impostazione edilizia: orientazione, volume, involucro, finestratura etc.

In ogni caso, una volta assegnati alcuni parametri (che spesso sono vincolanti quali l'area climatica, la posizione rispetto al sole, la destinazione dell'edificio), ciò che qualifica la prestazione

termica dell'edificio è in massima parte il comportamento dell'involucro murario.

Questo rappresenta l'elemento di separazione e di interazione tra il macroclima esterno e il microclima interno e come tale va progettato in modo che la sua risposta sia congruente con i requisiti di benessere termico e richieda il minimo ricorso possibile a sistemi ausiliari di climatizzazione (Energy Conscious Design).

6. LE UNI TS 11300