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Sant’Elpidio 1946. Czellnick, a destra della bandiera con il Generale Wladislaw Anders

Ecco come descrive la sua fuga dal Paese natale dopo l’invasione della Polonia da parte della Germania na-zista: “Il 18 maggio siamo partiti con tre amici per la Francia… dove non siamo mai arrivati per il passaggio illegale della frontiera fra Austria e Ungheria. Dopo una settimana di ga-lera però, tramite il Consolato polac-co di Budapest, abbiamo raggiunto la Francia e da lì siamo passati in Me-dio Oriente, Libano, Siria, Palestina, Egitto, arruolati nella Brigata dei fu-cilieri dei Carpazi sotto il comando dell’8a Armata Inglese”.

Il primo compito in Libia della Bri-gata al comando dal Generale Kopan-ski fu la difesa, nel 1941, della for-tezza di Tobruk in sostituzione degli australiani destinati al riposo.

“Erano tempi duri – scrive Czellnik - isolati dal mare e da terra, circonda-ti dal nemico avevamo a disposizio-ne solo acqua salmastra e cibo in sca-tola e combattevamo di continuo per mantenere le posizioni senza riuscire a conquistare la collina del Medauer dalla cui fortificazione in cemento ar-mato il nemico controllava con occhio penetrante le nostre posizioni. Ricor-do che il primo settembre del 1941 i tedeschi pensavano di averci ‘fatto la festa’ con un centinaio di bombardieri calati a picco sulla nostra artiglieria.

Che soddisfazione constatare alla fine del fracasso che i danni erano limitati a qualche ferito non grave!”

E ancora sempre su Tobruk: “Era-vamo già da due mesi nella fortezza di Tobruk è ancora non avevamo ca-pito quali fossero i nostri nemici: gli Italiani o i tedeschi? Ma la situazio-ne vensituazio-ne chiarita quando un matti-no,dopo una intensa pioggia notturna, i soldati nemici, distanti da noi solo duecento metri, uscirono dalle trin-cee infangate per riscaldarsi cammi-nando all’aperto. Pane per i denti di un artigliere come me! In automati-co ho dato disposizioni per distanza e direzione del tiro. Ma il mio superio-re non ha dato seguito al mio ordine per differenti disposizioni del coman-dante inglese di Tobruk. Era di fatto una tregua fra noi polacchi ed i ‘ne-mici’ italiani, ugualmente colpiti dal-la pioggia, con i quali per tre giorni ci eravamo scambiati viveri, generi di conforto e persino serenate. Ma il ter-zo giorno, a trincee asciutte, la musica ricominciò: l’amore era finito e biso-gna menarsi di nuovo. Questo episo-dio dimostra che l’uomo in sé non è cattivo e lo diventa ‘per ordini supe-riori’.”

Così scrive della conquista di Bar-dia: “l’esercito italo tedesco, nel riti-rarsi in gran fretta da Bardia aveva

lasciato una sacca di resistenza che dovevamo liquidare: per questo, da-to che il nostro Reggimenda-to di arti-glieria carpatica era quasi integro ci chiesero di affiancare la divisione in-glese per l’attacco toccava a me con il mio camioncino munito di radio e i miei commilitoni: era il 31 dicembre del 1941, data che non scorderò mai.

L’attacco era cominciato all’alba ma presto si era alzato il vento caldo che allora chiamavamo hamsin e che poi avrei imparato a chiamare Ghibli nei lunghi anni della mia permanenza da civile in Libia: la visibilità ridotta per i vortici di sabbia era talmente com-promessa da farmi perdere i contat-ti con la fanteria inglese: mi illusi di averla ritrovata poco dopo, vedendo emergere dal nulla un solo carro ar-mato inglese ai piedi del quale i sol-dati erano intenti a preparare il tè del-le cinque con la spiritiera e poco più avanti altri soldati a riposo con il ti-pico elmetto ‘Tomi’; non ebbi il tem-po di esprimere loro il mio sollievo perché sentii dietro di me una ingiun-zione in tedesco che riconobbi subi-to: Hende hoch! Mani in alto! Senza quasi rendermene conto fui disarma-to e fatdisarma-to prigioniero come i miei col-leghi inglesi a riposo forzato nel de-serto. Mentre ci accompagnavano a Bardia per consegnarci al

coman-Tripoli, anni ‘50. Dipendente della Shell Fermo 1947. Enek in divisa

do italiano, sotto il fuoco costante dell’artiglieria inglese e polacca, pen-savo alla singolare scarogna di essere ammazzato dalla propria artiglieria.

Da prigioniero ho goduto di un trat-tamento corretto come da convenzio-ne di Giconvenzio-nevra (sapevano già che la resa era imminente?): paglia per dor-mire, cena frugale anticipata (i prigio-nieri mangiano presto come i bambi-ni).

Dopo una bella dormita, la mattina mi svegliai da uomo libero. Il tenente italiano Palermo, incaricato di sorve-gliare me e gli altri sette ufficiali in-glesi si tolse la pistola di ordinanza, me la consegnò con significative pa-role sulla inversione delle parti. Poco dopo giunse il sottotenente incarica-to di cercarmi: non poteva credere di avermi ritrovato vivo perché pensava che il mio mezzo fosse stato centra-to in pieno dacentra-to che le comunicazio-ni radio erano cessate all’improvviso!

Questa avventura, una delle più brevi detenzioni della storia militare, doveva rendermi famoso, perché fu trasmessa dalla radio polacca di Lon-dra: il telecronista lesse fedelmente il dettagliato rapporto da me scritto per il comandante del Reggimento.”

Meritato riposo: “Nell’aprile 1942 la Brigata di cui facevo parte è sta-ta ritirasta-ta dal fronte per un periodo di riposo in Egitto per poi ricongiunger-si in Iraq con le truppe polacche pro-venienti dalla Russia, al comando del generale Anders.”

Considerazione finale: “Alcuni tor-narono dal fronte con qualche ‘cime-lio’ di valore: una Topolino, una moto con sidecar, una Lancia… a me bastò riportare a casa la pelle, dato che al cimitero di Tobruk abbiamo lasciato oltre cento soldati!”

Lasciata la Libia, la vita militare di Czellnick proseguì su altri fronti; nel 1942 partecipò insieme ai francesi al-la difesa delle truppe inglesi, appog-giando, dopo l’attacco di Rommel, il loro ritiro verso l’Egitto. E, come ac-cennato, entrò a far parte del Secon-do Corpo d’Armata Polacco, inserito nell’Ottava Armata Britannica al co-mando del Generale Anders, destina-to alla guerra di liberazione dell’Ita-lia.

Arrivò così nelle Marche, a Fermo, dove il 20 giugno del 1944 doveva fa-re l’incontro della sua vita. Una gio-vane donna con una bimba di quattro anni si avvicinò al suo carro arma-to e chiese la nazionalità dei soldati;

era Lidia Trozzi, vedova di un avia-tore, colpito nei primi giorni di guer-ra e padre della piccola Maria Gguer-razia.

Non si lasceranno più.

Quando Enek, con il grado di ca-pitano, si congeda dall’esercito, il 25 giugno del 1947, è già il marito di Li-dia ed insieme progettano felicemente il loro futuro che lei intelligentemen-te dirige – anziché verso Argentina o Australia, come suggerito da Enek – verso la Libia, dove la famiglia Troz-zi ha risieduto per anni e dove mam-ma Zebina - insegnante prodigiosa di generazioni di scolari – è pronta ad accogliere la giovane coppia. Maria Grazia, teneramente amata dal papà adottivo, avrà la compagnia di due fratelli: Cristina quasi subito e, mol-ti anni dopo, il vivacissimo Stefano.

Questa è la storia di un soldato va-loroso, privato della libertà, costretto a lasciare il suo Paese natale, con la soddisfazione di vederlo nuovamen-te libero e democratico alcuni decen-ni dopo. Ma chi ha conosciuto Enek

nella vita quotidiana non può non ri-cordare qualcuna delle sue singolari abitudini: non fare il bagno in mare prima del 1 luglio “perché l’acqua non è abbastanza calda”; riuscire a legge-re il quotidiano in spiaggia da cima a fondo anche nei giorni di ghibli, van-tandosi di “ripiegarlo alla fine quasi fosse nuovo”; la cura dei gerani del suo giardino cui dedicava gran parte del tempo libero.

In realtà l’ottimismo, la tenacia, l’intelligenza e l’eclettismo hanno ac-compagnato Enek per tutta la vita.

A Tripoli ha fatto una brillante car-riera alla Shell dove è rimasto per quasi trent’anni, superando con diffi-coltà l’amarezza di vedere la moglie rientrare a Fermo dopo l’espulsione.

E poi i lunghi anni di vita serena accanto alla sua Lidia, dedicandosi agli amati nipoti, fortunatamente non più in grado di accorgersi che l’adora-ta consorte negli ultimi mesi non era più accanto a lui.

Singolare una delle sue ultime bat-tute da persona cosciente, con accan-to Lidia ancora in discreta salute. Ad un atteggiamento piuttosto perentorio della sua badante aveva prontamente così reagito: “Io ricevo ordini soltanto dal Generale Anders!”

Fermo, 2015. La famiglia Czellnick festeggia i suoi centenari

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