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IN CASO DI MANCATO RECAPITO RINVIARE A UFFICIO POSTE ROMA ROMANINA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE PREVIO ADDEBITO.

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AIRL Onlus • Via Nizza, 45 - 00198 Roma • www.airl.it

PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANI RIMPATRIATI DALLA LIBIA - AIRL Anno XLI  n. 3-2019

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P. - D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, Roma

Italiani di Libia

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SOMMARIO

IN CASO DI MANCATO RECAPITO RINVIARE A UFFICIO POSTE ROMA ROMANINA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE PREVIO ADDEBITO.

AIRL Onlus • Via Nizza, 45 - 00198 Roma • www.airl.it PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANI RIMPATRIATI DALLA LIBIA - AIRLAnno XLI  n. 3-2019 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P. - D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, Roma

Italiani di Libia

Italiani di Libia

Periodico dell’Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia

AIRL Onlus Direttore editoriale

Giovanna Ortu Direttore responsabile

Daniele Lombardi Redazione Ileana Christoudis Matilde De Luca Cencelli

Mario Savina Impaginazione

Akhu srl

Registrazione del Tribunale di Roma n. 00267/93 del 23.06.1993 Direzione, redazione e amministrazione

Via Nizza, 45 - 00198 Roma Tel. 0685300882 - Fax 0685300898

E-mail: rivista@airl.it segreteria@airl.it Sito Web www.airl.it

Quote associative e modalità di pagamento Socio ordinario da 40,00 a € 99,00 Socio ordinario residente all’estero da € 50,00 a € 200,00 Socio sostenitore da € 100,00 a € 199,00 Socio finanziatore a partire da € 200,00 Della quota associativa € 7 sono da considerarsi quale abbonamento alla rivista.

• in associazione h. 10-17

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Stampa

Consorzio Grafico e Stampa srls Chiuso in tipografia il 25 settembre 2019

EDITORIALE

Il golpe di Gheddafi pag. 2

di Daniele Lombardi

La nostra copertina pag. 2

Verso il cinquantenario pag. 3

ATTUALITÀ

Libia e Airl nell’incertezza del futuro pag. 4

Il 5 x mille, un aiuto concreto pag. 5

di Daniele Lombardi

Francia vs Italia: addio Libia? pag. 6

di Giulio Terzi di Sant’Agata

Libie o Libia? pag. 9

di Mario Savina

CULTURA

L’azione dell’Italia in Africa pag. 11

di Remo Roncati

Trama e ordito pag. 14

di Jack Arbib

Una dea a spasso per Cirene pag. 16

di Silvana Ticci Pirrello

L’Archeologia in Cirenaica pag. 18

di Maria Cristina Mancini e Oliva Menozzi

AMARCORD

Festa di compleanno pag. 20

di Giovanna Ortu

IL PERSONAGGIO

Coraggio e ironia pag. 21

di Giovanna Ortu

RUBRICHE

Cous Cous cafè pag. 27

Letti per voi pag. 28

Lettere al giornale pag. 30

Voi per l’Airl pag. 31

In memoria pag. 31

La vetrina pag. 32

RASSEGNA STAMPA

pag. 24

In copertina: immagini delle diverse ere libiche, vedi pagina 2.

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EDITORIALE

Questo sarà tra i temi principali del convegno di sabato 28 settembre al Museo delle Civiltà di Roma Eur.

Dopo gli adempimenti statuta- ri – che consisteranno nel sottoporre all’Assemblea ordinaria dei soci gli ultimi due bilanci dell’Associazione

I

l 1 settembre di cinquant’anni fa il giovane Muammar Ghed- dafi prendeva il potere in Li- bia. Uno dei più importanti atti nei suoi primi mesi di gover- no da autopromosso Colonnello, fu espellere gli italiani con il famige- rato decreto di confisca del 21 luglio dell’anno successivo.

Nell’indifferenza quasi generaliz- zata che i media hanno riservato all’e- vento, si segnala la riproposizione del documentario del 2004 “Taliani” di Giuseppe Giannotti (su Rai Storia proprio domenica 1 settembre scor- so); nel montaggio spiccano le parole del Presidente del Consiglio all’epoca dell’espulsione, Emilio Colombo, il quale dopo aver sottolineato l’inevi- tabilità dell’evento, clamorosamente smentite dalle carte desecretate mol- ti anni dopo la sua morte, elenca una serie di attendibili cifre sulle miglia- ia di ettari e le centinaia di imprese confiscate, ma termina affermando che i depositi bancari italiani “resti- tuiti al popolo libico” ammontavano a ben 80mila sterline… 80 mila!

Diviso 20mila italiani farebbe 4 sterline a testa nel conto in banca: al cambio del 1970 - di 1 sterlina per 1763 lire - erano la bellezza di 7000 lire! Fu probabilmente un lapsus, ma certamente freudiano... per diminuire i sensi di colpa in relazione alla mo- destia della cifra. Dopo mezzo secolo i rimpatriati hanno anche ritrovato il gusto dell’ironia!

Sicuramente non verso il Ministe- ro dell’Economia di oggi che candi- damente afferma di avere trattenuto 18 dei 200 milioni di euro che ha im- piegato 10 anni a distribuire, ma ac- campa scuse variegate ed inattendi- bili per giustificare tale decisione.

A 50 anni di distanza i rimpatriati lottano ancora per i risarcimenti

Il golpe di Gheddafi

di Daniele Lombardi

(purtroppo, come i lettori di Italiani di Libia ben sanno, in forte perdita), – ci concentreremo sull’azione legale da intraprendere per rientrare in pos- sesso del residuo indebitamente inca- merato dal Ministero.

LA NOSTRA COPERTINA

Le

foto che riproponiamo nella copertina di questo numero testi- moniano come il popolo libico nella sua storia non abbia mai goduto di quella felicità e libertà alla quale avrebbe avuto diritto.

Nella prima di copertina una foto simbolo della situazione at- tuale; in seconda e terza la lunga dominazione turca di un paese arretrato e la successiva conquista italiana con le inevitabili atrocità della guerra accompagnata dall’innegabile sviluppo del paese; in quarta l’illusione di libere elezioni democratiche, nel ricordo del simbolo Senussita, rappresentato dalla bandiera.

E oggi? Meglio non parlarne... ma come questa foto testimonia non è certo Gheddafi il dittatore da rimpiangere, qui ritratto nel periodo del suo ultimo massimo fulgore in visita in Italia.

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vicenda della collettività italiana bru- talmente espulsa, fatto che lo storico tripolino Bono ha, con una sorta di compiacimento, definito inevitabile.

Ma l’altra ricorrenza, quella per noi più importante ed anche più dolorosa – che dobbiamo saper celebrare per ela- borare definitivamente il lutto – deve ancora avvenire: il 21 luglio del 1970 saranno cinquant’anni dalla confisca, seguita in ottobre dall’espulsione.

Ecco perché abbiamo organizza- to questo convegno “preparatorio” al MuCiv di Roma Eur. Verrà presa in esame l’opportunità di intraprende- re una azione giudiziaria per indur- re il Mef a redistribuire i 18 milioni di euro trattenuti sul nostro stanzia-

L

a nostra Assemblea

Generale si svolgerà come da convocazione pubblicata nella pagina che segue. Al termine, è prevista una tavola rotonda incen- trata sul contenzioso ancora aperto col Ministero dell’Economia e sul più grande convegno che ci attende l’an- no prossimo per ricordare i cin- quant’anni del rimpatrio.

Sottolineo l’importanza di alcune date che in questo periodo di vacanza si sono succedute ed hanno richiama- to l’attenzione dei media: il 20 luglio è stato il cinquantenario della conqui- sta della luna che forse è l’ultima cosa lieta che i più vecchi di noi ricordano.

Solo qualche mese più tardi, il primo settembre 1969, la rivoluzione libica colse tutti di sorpresa; poco meno di un anno dopo – il 21 luglio del 1970 – Gheddafi avrebbe emanato il decreto di confisca con susseguente espulsio- ne. La prima di queste due ricorrenze – il cinquantenario dell’entrata in sce- na del Colonnello – ha trovato mol- to spazio su Rai Storia che ha ripro- posto documentari e servizi anche di molto tempo fa, puntando il faro sulla

mento. D’altra parte, insieme al Di- rettore del Museo, Filippo Maria Gambari, vogliamo individuare le iniziative più opportune per ricorda- re – nell’ottobre 2020 – il nostro “sa- crificio” di 50 anni fa. La vostra par- tecipazione è un riconoscimento per quanto Airl Onlus nei decenni ha fat- to al fine di restituire dignità, orgo- glio ed anche parziale sollievo eco- nomico alla categoria.

Di proposito non parlo di quanto potremo fare con i libici e per i libi- ci quasi per scaramanzia: nel momen- to in cui scrivo la situazione è in pro- gressivo costante peggioramento per cui dobbiamo limitarci a registrare i fatti giorno per giorno.

ATTUALITÀ

Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia Onlus

CONVOCAZIONE ASSEMBLEA GENERALE 2019

L’Assemblea Generale del 2019 dell’Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia Onlus è convocata a Roma presso il MuCiv (Piazza Guglielmo Marconi, 14) venerdì 27 settembre 2019 alle ore 23,00 in prima convo- cazione e sabato 28 settembre alle ore 9,30 in seconda convocazione, per discutere e deliberare sul seguente Ordine del Giorno:

1. Relazione del Presidente sull’attività dell’Associazione

2. Dibattito sulle criticità e opportunità del sodalizio in relazione alla situazione in Libia 3. Programma del Centro Culturale “Silfio”

4. Relazione del Consigliere Amministrativo e approvazione dei bilanci 2017 e 2018 5. Varie ed eventuali

Al termine dell’Assemblea avrà luogo la tavola rotonda

“Italiani di Libia: conti in sospeso. 1970-2020 verso il cinquantenario”

Verso il cinquantenario

di Giovanna Ortu

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PROGRAMMA

9,00 Accoglienza e registrazione dei partecipanti 9,30 Assemblea Generale AIRL Onlus

11,00 Tavola rotonda

“Italiani di Libia: conti in sospeso.

1970-2020 verso il cinquantenario”

13,00 Lunch all’adiacente “Pier” (euro 15,00)

Il programma dettagliato verrà inviato via e-mail ed è pubblicato sul nostro sito.

Prenotazioni via e-mail: segreteria@airl.it

o telefono (dalle 10,00 alle 16,30): 06/85300882

Tutti a Roma sabato 28 settembre per l’Assemblea Generale Airl onlus

COSA È IL MUCIV, DOVE SI TROVA E COME

RAGGIUNGERLO

D

a settembre 2016, in un com- plesso piano di riforma e di ri- assetto delle strutture del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, è nato a Roma il Museo delle Civiltà.

La sua istituzione raggruppa in un unico organismo importanti mu- sei nazionali: il Museo preistorico etnografico “Luigi Pigorini”, il Mu- seo delle arti e tradizioni popolari

“Lamberto Loria", il Museo d’arte orientale “Giuseppe Tucci”, il Mu- seo dell’alto Medioevo “Alessandra Vaccaro”, ad essi si è aggiunto il Museo coloniale Italo-africano, non ancora esposto.

Il MuCiv si trova in Piazza Gu- glielmo Marconi n. 14, a Roma EUR. È possibile raggiungere la struttura:

- in metro (da Termini): Linea B, fermate Eur Fermi o Eur Pala- sport (equidistanti dal Museo);

- in bus (da Termini): Linea 714, fermata Colombo/Civiltà del la- voro

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P

er il secondo anno con- secutivo AIRL Onlus ha beneficiato del 5 per mil- le ad essa destinato e re- lativo alle dichiarazioni dei redditi per l’anno 2017. Con un po’

di sorpresa abbiamo constatato che la somma è esattamente la stessa dell’an- no scorso, 17.300 euro, pur essendo aumentato di una ventina di unità il numero dei sottoscrittori: 463 l’anno scorso, 486 quest’anno!

È doveroso dunque ringraziare que- sti quasi 500 simpatizzanti i quali - se è pur vero che nulla grava sui lo- ro redditi -, hanno comunque deciso di ricordarsi dell’impegno dell’asso- ciazione a favore dei rimpatriati dal- la Libia e quindi di indirizzare il loro contributo verso di essa.

Vorremmo esprimere la nostra ri- conoscenza in maniera più diretta ma, come sapete, per motivi di privacy non abbiamo modo di conoscere i no- mi dei singoli sottoscrittori né le quote individuali che ci sono state destina-

te ma solo l’ammontare complessivo e il numero totale dei generosi firmata- ri nella casella della dichiarazione dei redditi. Il grazie è quindi collettivo ma non per questo meno forte e sentito.

Purtroppo però, come abbiamo già avuto modo di evidenziare nel corso di questi mesi, i 17mila euro del 5 per mille sono corroboranti ma non cer- tamente esaustivi per coprire le spe- se richieste dal nostro quotidiano im- pegno in favore dei profughi e non possono assolutamente sostituire il versamento della quota associativa annuale, la somma delle quali nem- meno risulta sufficiente allo scopo.

Non è superfluo infatti precisare che corrispondere il 5 per mille non rappresenta alcun sacrificio econo- mico per il socio che sottoscrive, in quanto quella piccola percentuale dell’Irpef andrà alla Onlus proposta anziché allo Stato. La sottoscrizione della quota associativa invece com- porta un esborso diretto che dovrebbe essere rapportato alla generosità e al-

le condizioni economiche di ciascuno e che comunque può essere anche di entità molto piccola, nella misura mi- nima prevista di 40 euro l’anno.

Facciamo dunque ancora appello alla vostra generosità in vista dell’im- portante anniversario che cadrà il prossimo anno: nel 2020 saranno pas- sati ben cinquant’anni da quei giorni terribili dell’espulsione dalla Libia, una ricorrenza che, anche grazie al vostro aiuto, non può e non deve pas- sare inosservata.

E allora vi invitiamo ad uno sfor- zo extra mediante versamento di una tantum collegata proprio alla ma- nifestazione con la quale dobbiamo poter degnamente ricordare – a cin- quant’anni di distanza – l’ingiustizia subita e il lungo impegno con il quale abbiamo cercato di recuperare alme- no in parte i beni perduti.

Daremo naturalmente conto de- gli importi pervenuti, sperando siano sufficienti ad affrontare quest’ultima decisiva battaglia.

Il 5 x mille,

un aiuto concreto

di Daniele Lombardi

Grazie ai quasi 500 sottoscrittori in favore dell’AIRL

9 6 0 2 0 1 5 0 5 8 5 Mario Rossi

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Francia vs Italia:

addio Libia?

di Giulio Terzi di Sant’Agata

R

elazioni internaziona- li: forma e sostanza divergono, tra Est e Ovest. Parliamo di un tema fondamentale, che riguarda l’interesse nazionale del no- stro Paese.

Riguarda l’interesse nazionale per- ché Europa e Mediterraneo sono le due dimensioni geopolitiche di asso- luta rilevanza per tutti gli italiani e per la nostra Sovranità nazionale.

Ricordiamoci sempre, al di sopra di ogni altra questione, che abbia- mo doveri ben precisi nei confronti di decine di migliaia di nostri fra- telli ignominiosamente cacciati da Gheddafi nel 1970 ed ho il piacere e l’onore di salutare la partecipazio- ne qui oggi della presidente nazionale dell’Associazione Italiani Rimpatria- ti dalla Libia (Airl Onlus), Dottoressa Giovanna Ortu.

L’Associazione svolge un’encomia- bile attività di tutela dei diritti dei nostri connazionali e di memoria di quanto avvenuto.

Nel 2020 ricorre il cinquantenario del rimpatrio della collettività italiana dalla Libia.

Queste le date:

– 21 luglio 1970, decreto di confisca di tutte le proprietà;

– 7 ottobre 1970, decreto di espul- sione.

La ricorrenza dovrà essere occasio-

ne per il Governo Italiano di chiude- re nei confronti degli aventi diritto un contenzioso che si trascina da mezzo secolo.

Ho pregato la Presidente Ortu di rendere disponibile per tutti Voi una scheda di sintesi sull’intera questione.

Il tema dei rapporti Italo-france- si, anche in relazione alla Libia re- lativamente facile da affrontare a colpi di slogan. Meno facile, forse, è metterlo a fuoco con realismo e for- mulare concrete proposte politiche.

Diciamoci subito che gli ultimi cin- que/sei anni hanno cambiato radical- mente – e destrutturato – forma e so- stanza delle relazioni internazionali.

Ma questo è avvenuto in modo di- verso tra i due distinti emisferi del pia- neta.

In quasi tutto l’Occidente è dive- nuta dominante una forma “grida- ta” di politica estera, per suscitare indignazione e per acquisire con- sensi interni quale che sia il prezzo da pagare all’estero.

Assistiamo praticamente ogni gior- no a esternazioni di questo tipo in America e in Europa, con insulti tra personalità di Governo e dichiarazio- ni offensive per Governi e interi Paesi.

Non solo tra Paesi di schieramenti av- versi, come DPRK e USA – ricordia- mo gli scambi fra Trump e Kim Jong due anni fama anche, e ciò è ancor più preoccupante, tra Paesi e Governi al-

leati che condividono identici valori e comuni interessi nazionali. Numero- si sono i Leader Europei con i quali il Presidente Trump ha polemizzato pubblicamente, venendone poi ripaga- to con la stessa moneta. E questi stessi Leader, e i loro gregari, hanno fatto lo stesso tra di loro.

Nella sostanza questa “nuova” poli- tica estera provoca lo smantellamento irriflessivo di politiche mirate a garan- tire la Sovranità degli Stati, a mante- nere regole efficaci nel commercio internazionale, nella risoluzione dei conflitti, nella limitazione degli arma- menti, nella collaborazione tra gli Sta- ti per la sicurezza e la crescita econo- mica. Si generalizza – per l’America quanto per l’Europa – la linea del “di- simpegno”, della rinuncia a compete- re, e della rinuncia – spesso gratuita- ai propri spazi di influenza.

In quasi tutto l’emisfero Orien- tale del pianeta ultimi anni hanno invece rafforzato potentemente la continuità della politica estera tra- dizionale, in Russia come in Cina, in India come in Iran: attraverso una diplomazia che ricorre senza esitazioni anche alla forza milita- re o economica e che nella forma e nella sostanza, risponde a strate- gie precise di affermazione dell’in- teresse nazionale, alla proliferazio- ne di sistemi di Governo autocratici e illiberali, alla promozione di asse-

Riportiamo l’intervento dell’Ambasciatore Terzi di Sant’Agata, già Ministro degli Esteri, a Roma,

nella Sala Nilde Iotti della Camera dei Deputati lo scorso 5 marzo, per l’importanza del contenuto e

la centralità che attribuisce all’Italia e all’AIRL per i buoni rapporti tra Italia e Libia.

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riti “valori tradizionali”, religiosi e politici.

Non che Putin o Xi Jinping si asten- gano da una rumorosa propaganda, fatta di accuse e provocazioni all’Oc- cidente, di appelli al “proprio” popolo contro lo straniero – o contro il “diver- so” – visto come nemico. Ma è quasi- sempre facile individuare gli obiettivi di queste campagne di disinformazio- ne. E’ possibile dire lo stesso a propo- sito degli scambi polemici e estempo- ranei tra i Leader europei?

Nella sostanza, l’emisfero Orienta- le, si caratterizza per politiche estere

“tradizionaliste”, che molti chiamano

“neo-imperialiste”: sul piano politico (la promozione di regimi autocratici), su quello militare (l’enorme spesa in rapporto al PIL, pensiamo a Russia, Cina e Iran), sul piano economico (gli investimenti predatori cinesi, e i con- dizionamenti energetici russi). Mosca, Pechino e Teheran non fanno mistero di voler conquistare nuovi spazi di in- fluenza e di dominio, regionale e glo- bale. Ne deriva tra Est e Ovest una pa- radossale incongruenza, interamente a nostro svantaggio, nel modo di “fa- re” politica estera, di rappresentare e di attuare l’interesse nazionale.

Italia, Francia, Libia

Una politica estera imperniata sull’interesse nazionale, sulla pun- tuale affermazione della nostra So- vranità, e sulla rigorosa tutela dei

diritti dei nostri concittadini de- ve riferirsi a dati di fatto concreti:

di natura politica, economica, milita- re; oltre che a tutta quella straordina- ria cornice culturale che rappresenta la storia comune di due giganti del- la costruzione Europea, e della storia del Mediterraneo, che sono l’Italia e la Francia. Roma e Parigi sono “par- tners necessari”, con interessi spesso identici e comunque sempre comple- mentari.

I motivi sono evidenti:

* La Francia assorbe una quota elevata della nostra esportazione, 46€mld, l’11% del totale mondiale, su un interscambio complessivo ita- lo francese pari a 82 mld€, con no- stro attivo di 11€mld, un saldo attivo record per il nostro attivo in Europa, analogo a quello che vantiamo con la Gran Bretagna.

* Al forum economico italo-fran- cese della scorsa settimana a Ver- sailles si è sottolineato come che “gli imprenditori che lavorano nei due pa- esi siano molto delusi per le tensioni politiche tra i due Governi”. Auto, chi- mica, attrezzature industriali, banche, distribuzione, moda, turismo, servi- zi sono assi portanti dell’integrazio- ne tra le due economie, e per ora non sono stati intaccati dal peggioramento di clima politico. Ma i grandi progetti infrastrutturali, come la TAV, potreb- bero avere un considerevole impatto negativo, se si arrestassero. I france-

si, come gli italiani, si sono detti pre- occupati soprattutto dal rallentamento della nostra economia, e per l’aumento del debito pubblico.

* La Francia, oltre ad essere una delle cinque potenze con status nu- cleare ufficialmente riconosciute dal TNP, è membro Permanente del Consiglio di Sicurezza, con poteri di iniziativa e di veto sulle materie con- cernenti la sicurezza internazionale;

con influenza ben maggiore di quan- to non abbiano tutti gli altri 188 Sta- ti membri non permanenti dell’ONU.

* La partnership tra Italia e Francia è assolutamente essenziale alla stabilizzazione della Libia. Non possiamo illuderci di avere la forza, il posizionamento strategico, il sostegno internazionale per risolvere l’imma- ne questione libica senza trovare una piattaforma comune con la Francia;

una piattaforma che dobbiamo con- solidare in collaborazione con l’Egit- to, gli Emirati – e gli Stati Uniti per quel che ancora sono disposti a fare, essenzialmente nell’antiterrorismo – e sin dove possibile anche con la Rus- sia. Affidarci ciecamente all’ONU e a quanto doveva da tempo fare il Gover- no di Accordo Nazionale, troppo con- dizionato dalla Fratellanza Musulma- na, non basta.

Su Farefuturo, Mario Presutti ha riportato recentemente opinioni che sono da tempo anche le mie. L’Italia non è più in grado, e comunque non lo è mai stata negli ultimi sei anni, di guidare da sola la stabilizzazione politica e di sicurezza in Libia. An- che al vertice UE – Lega Araba, il Pre- sidente Al Sisi ha rafforzato, grazie al- le relazioni privilegiate che lo legano agli Emirati Arabi, alla Francia e alla Russia, il suo ruolo in Libia e nel Me- diterraneo. E’ evidente l’interesse del Presidente egiziano a radicare ulte- riormente la sua influenza non soltan- to sull’intera Cirenaica ma, attraver- so l’ormai consolidato rapporto con il Generale Haftar, a essere protagonista dell’evoluzione politica, di sicurezza – vedasi la lotta contro gli islamisti e i Fratelli Musulmani – e nel control- lo degli idrocarburi. Un controllo che non è ancora consolidato fra Tripoli,

Giulio Terzi di Sant’Agata

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Tobruk e Bengasi, essendo l’Eni sem- pre un protagonista nell’estrazione e distribuzione degli idrocarburi libici.

Un controllo che tuttavia, sia pure con alterne vicende, da due anni a questa parte sembra scivolare sempre più in mani russe e francesi.

Per quanto riguarda la Russia non è affatto da sottovalutare che centinaia di contractor russi sono attivi in Libia al fianco del generale Khalifa Haftar. L’azienda di sicurez- za privata Wagner Group ha fornito ad Haftar 300 uomini, artiglieria, carri armati, droni e munizioni. Una fonte vicina alla Libyan Russian Oil&Gas Joint Company avviata a Bengasi lo scorso aprile ha detto che “tanti com- battenti Wagner sono andati (in Libia).

I contractor di Wagner sono “inter- scambiabili con l’intelligence militare russa”, e lo scopo della loro presenza in Libia è “garantire i porti di Tobruk e Derna alla Flotta russa”, per essere anche in grado “di controllare il flus- so petrolifero verso il Sud dell’Euro- pa” qualora prendessero il controllo dell’industria energetica del Paese. Le forze di Haftar hanno conquistato nel- le ultime settimane i principali siti pe- troliferi del Paese, Sharara e al-Feel, situati nella regione meridionale del Fezzan, e controllano già dallo scorso anno i terminal presenti nella cosid- detta Mezzaluna petrolifera nell’Est del Paese.

Il Gruppo Wagner è legato a Yev- geny Prigozhin, uno degli uomini più ricchi di Russia, a capo di circa una trentina di società con un impero che va dal catering ai ristoranti stellati, il cui nome è apparso anche nel filone di indagini Usa del RussiaGate ed è finito sotto sanzioni americane. Pro- prio Prigozhin venne immortalato al tavolo dell’incontro tra il ministro del- la Difesa russo e Haftar, lo scorso no- vembre, in un video della Novaya Ga- zeta.

Secondo i media britannici, i dati di volo hanno mostrato un jet privato le- gato a Prigozhin volare più volte da e verso lo spazio aereo libico, l’ultima volta lo scorso gennaio.

Il problema politico di fondo per l’Italia, è quello se continuare a puntare prevalentemente sul Go-

verno di Accordo Nazionale, rico- nosciuto dalle Nazioni Unite – Go- verno che evidentemente dobbiamo continuare a sostenere ma sulle cui prospettive di rappresentanza esclusiva di tuta la Libia non pos- siamo illuderci; o se invece diven- tare convinti partners di un vasto fronte internazionale – composto da Russia, Francia, Egitto, con il sostegno di altri attori regionali come l’Algeria e i cinque Paesi del Sahel – impegnato sul piano politi- co al ridimensionamento delle com- ponenti islamiste, contigue al terro- rismo jihadista.

Da anni andiamo tutti dicendo che la stabilizzazione della Libia non può che avvenire con un impegno il più possibile unitario degli “attori globa- li”, a cominciare dai 5 membri per- manenti del Consiglio di Sicurezza, e dai protagonisti regionali che ho ap- pena menzionato. Roma ha invece da- to per troppo tempo la sensazione di credere che una legittimazione pura- mente formale del Governo di Tripoli e delle Forze prevalenti della capitale, potesse dare un impulso decisivo al- la soluzione dell’intera vicenda libica.

Ma questo purtroppo non è avvenuto.

Leggiamo infatti nella “Relazio- ne sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2018” della Presi- denza del Consiglio dei Ministri:

“Nell’anno passato, in continuità con il periodo precedente, le ormai endemiche criticità che affliggo- no lo scenario libico hanno pesato sull’interlocuzione tra i principali attori, alimentando logiche di con- flitto.

In particolare, strapotere delle mi- lizie e affermazione dell’uso del- la forza per fini politici, competizio- ne per le risorse petrolifere e per il controllo delle istituzioni finanzia- rie centrali, concorrenza intorno agli introiti dei traffici illeciti hanno fat- to da sfondo ad uno scontro che non si è esaurito nella contrapposizione Tripoli/Tobruk, ma è andato artico- landosi, trasversalmente, anche tra altri schieramenti – “secolari”/isla- misti, salafiti/Fratellanza Musulmana, Gheddafisti/post-rivoluzionari… L’ag- gregazione delle numerose milizie

sotto un comando unico, con la loro confluenza in strutture statuali, costi- tuisce uno dei nodi più spinosi del- la transizione libica. Si tratta di for- mazioni a composizione eterogenea, che vedono la compresenza di assetti militari formali e informali e di ele- menti ideologizzati, a volte anche di orientamento estremista. L’uso spre- giudicato della forza armata per fini politici rappresenta, d’altra parte, un paradigma negativo ormai consolida- to dei processi libici.

In Cirenaica, oltre al Libyan Natio- nal Army (LNA), guidato dal Gene- rale Khalifa Haftar con l’appoggio di realtà tribali, sono attive le Petroleum Facility Guards (PFG), che hanno più volte cercato di bloccare l’operatività dei siti estrattivi dell’Oil Crescent, e milizie radicali di ispirazione salafita riferibili ai Consigli rivoluzionari di Derna e Bengasi…”.

L’“Institution Building” libico è una priorità per la politica estera e di sicurezza del nostro Paese. Esso deve prevedere un ampio “Security Compact”. Al tempo stesso non do- vrebbero trascurarsi le iniziative che si stanno definendo in seno alla so- cietà civile in Libia. Si tratta di una realtà nella quale sono stati assenti e sistematicamente negati per 40 anni i principi della rappresentatività de- mocratica, della tutela delle minoran- ze, delle libertà fondamentali: in altre parole dello Stato di diritto Nessuno sforzo delle Nazioni Unite, dei Paesi partner della Libia e del Governo di unità nazionale sarà sufficiente se non verranno sostenute le iniziative anche di coloro che conoscono a fondo quel mondo, per aver vissuto e sofferto sot- to il regime di Ghedaffi.

Un esempio dello straordina- rio impegno nel riannodare i lega- mi nella società civile è certamente quello di David Gerbi che da an- ni promuove il grande progetto di inserire nel processo di riconcilia- zione nazionale tutte le minoranze, inclusi gli Ebrei, i Tuareg, gli Ama- zegh, i Tebu per ristabilire quel- la convivenza basata sul mutuo ri- spetto e sulla tolleranza che era pur stata il tratto distintivo di lunghi periodi della storia libica.

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I

l 18 luglio presso il Centro Studi Americani, in via Ca- etani, strada famosa per tri- sti eventi (nel 1978 fu rinve- nuta l’auto con il corpo di Aldo Moro), è stato presentato il nu- mero monografico di Limes, “Dalle Libia all’Algeria. Affari nostri”.

Il mensile ha come tema gli inte- ressi italiani nel Nord Africa, con un focus su Libia e Algeria. Gli italia- ni, ma anche gli europei in generale, guardano alla sponda Sud del Medi- terraneo come ad un luogo distante anni luce dai nostri territori, quando in realtà è un’area non solo prossima ma anche importantissima se non decisiva nell’attuale scacchiere in- ternazionale, e soprattutto europeo.

Un ambiente strategico, il Mediter- raneo, nel quale affondano le radi- ci della nostra nazione e, in parte, dell’Europa stessa, oggi declassato ad aerea di sconto per le ambizioni delle principali potenze geopolitiche mondiali. Da una parte gli Stati Uni- ti, preoccupati di una sempre più cre- scente penetrazione russa e cinese, e dall’altra Italia e Francia, protagoni- ste di una continua battaglia fratrici- da sulle sole questioni migratorie ed energetiche.

Il panel vedeva presenti illustri personaggi tra cui: il Direttore di Li- mes, Lucio Caracciolo; il già Presi- dente del Consiglio e Presidente del PD, Paolo Gentiloni; il Direttore Re- lazioni Internazionali di Eni, Lapo Pistelli; moderatore Alessandro Are- su, Consigliere scientifico di Limes.

Il primo a prendere la parola è sta- to naturalmente il padrone di ca- sa (in quanto Direttore della rivista) Caracciolo. Il fulcro del suo discor- so non poteva che essere la situazio-

ne attuale della Libia, sconvolta da una lunga guerra civile in corso dal 2011, dal caos migratorio che non cenna a fermarsi e dall’imbarazzo europeo sulle decisioni da prendere.

Soffermandosi sulla necessità di un ricordo storico coloniale, importan- te per rafforzare la posizione italia- na nel Mediterraneo oggi, Caraccio- lo ha messo in evidenza come l’Italia abbia “creato” la Libia che conoscia- mo oggi, unificando i diversi territori governati da tribù locali in un unico Stato; l’Italia è stata per anni e con- tinua ad esserlo il principale interlo- cutore per i libici, nonostante episodi di crisi assoluta come la cacciata dal- la Libia degli italiani residenti volu- ta da Gheddafi appena insediato. E’

questo forse il punto più interessante, dal nostro punto di vista, fra le varie argomentazione affrontate dal Diret-

tore Caracciolo: l’importanza della memoria storica e la necessità di non dimenticare un episodio giudicato troppo fastidioso all’epoca, che ha avuto come conseguenza il fatto di essere stato volutamente trascurato da quasi tutta la bibliografia storica.

A seguire è intervenuto Lapo Pi- stelli, in qualità di rappresentante dell’Eni. Come quasi sempre accade quando si parla di Eni, di petrolio, di relazioni energetiche fra sponda nord e sponda sud del Mediterraneo, il tutto parte dalla figura “leggendaria”

di Enrico Mattei. La sua abilità nel cambiare le regole di contrattazione e di relazioni con i Paesi nordafrica- ni è servita da apripista e ha portato ad un cambiamento significativo e ri- voluzionario: gli Stati esportatori di petrolio diventano veri e propri part- ner alla pari nel commercio energeti-

Libie o Libia?

di Mario Savina

Limes presenta il numero dedicato al Nord Africa e alla situazione libica

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co. Alcune condivisibili osservazio- ni dell’oratore: il Sahara dovrebbe essere considerato come un risorsa e non come un confine; la soluzione del problema libico sta nel cercare di costruire la Libia e non ricostru- irla, perché è impossibile ricostruire qualcosa che non esiste, e al momen- to lo Stato libico non esiste.

Il Presidente del Partito Democra- tico, Paolo Gentiloni, ha argomenta- to in maniera chiara e semplice alcu- ni concetti che sono alla base dello studio della geopolitica: l’importanza degli interessi nazionali e di tutta l’a- rea mediterranea, fondamentale per il nostro Paese, in un’ottica di crescita e di pacificazione della zona: diversi sono i focolai (oltre al caso libico) ac- cesi, dalla Tunisia all’Algeria, dall’E- gitto (Gentiloni sottolinea l’ancora aperto caso Regeni) alla questione palestinese, dalla Siria all’ingerenza della Turchia e delle monarchie me- diorientali negli affari mediterranei.

Gentiloni è passato poi ad analizzare la crisi che vede protagonisti Haftar e al-Serraj: un accordo fra le due fazio- ni sembra improbabile, secondo l’ex

Ministro degli Esteri. Il disimpegno degli Stati Uniti, lo scarso interesse italiano, l’atteggiamento errato di al- cuni Paesi, come la Francia e l’Egit- to, che sostengono la spinta militare di Khalifa Haftar anziché intrapren- dere una via diplomatica, sono tutte cause scatenanti di una guerra civile che dura ormai dal 2011. Tra le pos- sibili soluzioni: una ritirata delle mi- lizie guidate dal generale Haftar, il feldmaresciallo non viene visto come un possibile salvatore, e soprattutto un cambiamento radicale dell’odier- no atteggiamento del governo italia- no, troppo neutrale, secondo il parere di Gentiloni.

Agli interventi è seguito un breve dibattito con osservazioni e doman- de dei presenti: l’interesse sempre maggiore della Cina nell’area medi- terranea e nell’Africa; l’Egitto assen- te prestigioso nell’intero dibattito.

Interessante l’intervento del Consi- gliere Nazionale dell’AIRL Onlus:

Hasan Gritli, presente insieme ad alcuni esponenti dell’Ambasciata Li- bica a Roma, ha affermato chiara- mente e in maniera alquanto decisa

che non esistono due Libie ad oggi, ma un’unica Libia e soprattutto un unico popolo libico.

Mi sembra opportuno chiudere con la parte iniziale dell’editoriale del Direttore Caracciolo, che spie- ga in maniera chiara ed illuminan- te come noi italiani (ma si potreb- be tranquillamente dire noi europei) guardiamo a quelle terre tuttora con- siderate estranee e lontane: “Al Nord Africa noi italiani siamo usi guar- dare con occhio pigro. Strabico.

Strabismo distante, divinamente au- tocompiaciuto come nella Venere di Botticelli. Ne derivano due opposte rappresentazioni geopolitiche. La prima, fino a ieri dominante, imma- gina quello spazio prossimo side- ralmente lontano: dagli occhi, dal cuore, dalla mente. Ininfluente. Al meglio, esotico. L’altra, oggi preva- lente, talvolta ossessiva, lo designa incombente minaccia. Trampolino dell’invasione aliena che travolgerà la nostra civiltà. Spesso le percezio- ni s’intrecciano, contribuendo ad offuscarci vista e pensiero”.

Paolo Gentiloni, Lucio Caracciolo e Lapo Pistelli

La copertina del numero

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L

eggere l’articolo di Lo- renzo Del Boca, appar- so su “Panorama” e ri- portato nella rassegna stampa di “Italiani di Libia” n. 1/2019, mi da lo spunto per fare alcune riflessioni

Nell’Ottocento apparve necessaria l’opera civilizzatrice europea nel con- tinente africano; sui risultati ottenuti sarà in futuro lo storia a giudicare.

Ritenere che l’Italia in Africa sia stato un Paese sfruttatore, appare ine- satto e fuorviante, frutto spesso di una incompleta analisi delle condi- zioni storiche, geografiche, economi- che, sociali dei territori all’epoca in cui l’Italia iniziò ad operare.

Sono giuste le affermazioni di Ser- gio Romano, che invita i Capi di Sta-

to dei Paesi indipendenti africani e fare un serio esame di coscienza su quanto avrebbero potuto fare e spes- so non hanno fatto: “L’era coloniale è terminata quasi settant’anni fa, tra la fine della Seconda guerra mondia- le e la fallita spedizione anglofrance- se a Suez del 1956. Il bilancio delle cose fatte e da fare deve cominciare da allora, non da cento anni prima. E l’esame di coscienza devono farla an- zitutto i “decolonizzati”, non i “colo- nizzatori”.

Così scrive Romano: “I mea culpa e le richieste di perdono appartengo- no ormai alla liturgia dei rapporti in- ternazionali e sono le forche caudi- ne sotto le quali sono passate tutte le vecchie potenze coloniali. Ma sono anche manifestazioni di ipocrisia, de-

stinate ad essere contraddette prima o dopo, dalla realtà degli interessi”.

L’Italia si trovò in territori di ma- grissime risorse, quasi al limite delle aree valorizzabili dall’uomo. Affron- tò i gravi problemi senza soffermarsi su calcoli di convenienza economica e operò per elevare il livello di vita delle popolazioni locali ritenute arre- trate. Consapevole di questi doveri si dimostrò rispettoso delle tradizioni e dei culti delle genti, escludendo qual- siasi intento di sfruttamento.

A questo proposito occorre ricorda- re i giudizi sereni di tanti storici ita- liani e stranieri, i quali hanno messo in risalto l’azione benefica svolta dal nostro Paese.

Teobaldo Filesi, grande storico ita- liano dell’Africa, in “Trasformazio- ne e fine del colonialismo” ha scritto:

“L’Italia si dimostrò non solo prezio- so elemento di equilibrio, ma Poten- za amministratrice assai equilibrata.

Fra contrasti interni ed esterni, dif- ficoltà ambientali, carenza di mezzi, essa riuscì ad attuare una politica co- loniale nel suo complesso saggia ed illuminata. Dire che tale politica fu immune da errori sarebbe peccare di presunzione; ma dire che le poche ombre furono fugate da molta luce che seppe diffondere è verità inconfu- tabile. L’impulso dato ai servizi sani- tari, igienici, educativi, assistenziali e in genere sociali fu dovunque note- vole e l’ossatura economica fu un po’

dovunque trasformata soprattutto per le straordinarie cure rivolte a tutti i settori delle opere pubbliche”.

L’azione dell’Italia in Africa

di Remo Roncati

Valutazioni sull’operato del nostro Paese nelle ex colonie

CULTURA

Aratura del deserto

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Lo storico Dennis Mack Smith, in

“Le guerre del Duce”: “Nelle colo- nie furono riversati ininterrottamen- te fiumi di denaro, con guadagni as- sai scarsi e la bilancia commerciale, a dispetto di tutte le speranze, in nes- sun momento fu favorevole all’Italia.

Gli amministratori coloniali fecero spesso un buon lavoro e talvolta otti- mo. Costruirono vaste reti stradali e le popolazioni locali ricevettero con l’abolizione giuridica della schiavitù, del controllo delle epidemie e delle carestie e dell’amministrazione del- la giustizia, vantaggi più concreti che non le popolazioni delle più vicine colonie britanniche”.

Il Prof. Armando Maugini, grande studioso dell’agricoltura e dell’eco- nomia dei Paesi tropicali e subtropi- cali, nello studio “Lavoro Italiano in Africa” ha scritto: “l’Italia dette alle colonie intelligenza, denaro e lavoro, desiderosa di assolvere il proprio do- vere e convinta di poter raggiungere col graduale estendersi e dell’avva- loramento economico, favorevoli ri- sultati nell’avvenire. I dati statisti- ci hanno soltanto un valore relativo;

essi vanno interpretati tenendo con- to dei numerosi fattori di natura ge- ografica, storica, agronomica. Alla stessa quantità di lavoro e di capitali impiegati e di capacità organizzati- ve, non corrispondono uguali risulta- ti; la natura è avara di risorse l’ope- ra dell’uomo deve superare difficoltà gravi per affermarsi.

Le colonie italiane erano fra le re- gioni più povere del continente afri-

cano, veri relitti se paragonati ad al- tri vasti territori ricchi di possibilità che attendevano di essere valoriz- zati. Nei predeserti, l’Italia si impe- gnò con larghezza di mezzi e di pro- grammi assai più di quanto abbiano fatto altri paesi coloniali nelle lorio promettenti colonie. È una verità che non può essere smentita. […]. L’Italia in Africa si trovò a dovere agire al li- mite delle regioni abitabili dal gene- re umano. In questo apprezzamento concordano scienziati, esploratori ed uomini d’azione. Si può immaginare quanto dure e penose debbano esse- re state le lotte sostenute dai tecnici e dai lavoratori italiani per mettere in valore tali terre. Non vi furono faci- li conquiste, rapidi successi ed arric- chimenti, dovunque si dovette soffri- re, lottare, qualche volta sacrificare l’esistenza nel duro scontro con la re- altà.

È giusto che di questi fatti si ten- ga conto nella valutazione e nella in- terpretazione dell’opera compiuta e che era appena al suo inizio. L’Italia era consapevole delle difficoltà che avrebbe dovuto affrontare, ma si mi- se ugualmente al lavoro per il bene delle popolazioni, fiduciosa nelle sue capacità, sicura che il tempio avreb- be premiato i sacrifici, spinta dal bi- sogno di dar lavoro e pane agli ita- liani”.

Per quanto riguarda la Libia va te- nuto presente che l’Italia trovò un ter- ritorio desertico semi abbandonato, con una popolazione scarsa che vive- va in condizioni difficili dovute alle

limitate risorse e alle precarie condi- zioni sanitarie. Il quadro economico era tutt’altro che florido e rispecchia- va le condizioni del Paese.

In Tripolitania si era in presenza di terreno agrario mobilissimo, spazza- to spesso dai venti. La flora arbusti- va annuale era limitata ad un ridotto numero di specie generalmente a por- tamento xerofilo; il clima sub-arido; i pozzi con portate modeste. Si prati- cavano semine estensive dei cereali e si curavano i pochi ulivi coltivati, dai quali si ottenevano produzioni mode- ste. L’industria per mancanza di ma- terie prime, era pressoché assente e il commercio piuttosto ridotto.

La Cirenaica era un paese estre- mamente povero a carattere deserti- co; un territorio arido, quasi allo stato naturale. Presentava un certo interes- se da un punto di vista agrario e zo- otecnico solo una esigua parte del- la regione settentrionale influenzata dal Mediterraneo, mentre il versante meridionale era coperto di steppa, la quale andava a confondersi col deser- to. La pastorizia aveva una profonda influenza negativa poiché il pascolo continuato rappresentava uno dei fat- tori della grave deforestazione della Cirenaica.

Un territorio privo di, strade, scuo- le (ad eccezione di quelle coraniche) e di moderne infrastrutture. Le malat- tie veneree e la sifilide avevano una notevole diffusione; frequenti le ma- lattie infettive epidemiche e la morta- lità infantile. Un solo ospedale milita- re a Bengasi.

La valorizzazione agraria. Trebbiatura

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La popolazione sedentaria, spes- so priva di mezzo di sostentamento, viveva in poche città, dedite in modo particolare all’esercizio del commer- cio e di povere piccole industrie loca- li. I giardini irrigui venivano coltivati solo in prossimità dei centri di con- sumo, mentre i giardini lontani dai centri di consumo e dai mercati era- no lasciati in parziale abbandono. La pastorizia era l’attività maggiormen- te praticata, con spostamenti continui delle greggi alla ricerca di pascoli e di acqua.

In Libia fu continua l’azione dell’I- talia. Trascorsi appena due mesi dal- la occupazione di Tripoli il ministro dell’Agricoltura Francesco Saverio Nitti ritenne doveroso inviare una commissione di tecnici in Libia per studiare l’oasi di Tripoli e le zone vi- cine, l’economia delle popolazioni, i sistemi di allevamento del bestiame, le coltivazioni praticate, l’ambiente.

Successivamente vennero inviate va- rie missioni di tecnici agricoli e sa- nitari.

La presenza di tante terre demania- li, di terre abbandonate o inutilizzate, res nullius, o di terre scarsamente o solo occasionalmente coltivate spinse a studiare le possibilità di far stabi- lire nel territorio agricoltori italiani;

nonostante la valorizzazione agraria comportasse difficoltà tecniche no- tevoli e investimenti finanziari rile- vanti.

Negli anni ‘30, grazie alle direttive governative e alla gestione dell’INPS, dell’Ente Colonizzazione Libia e

dell’I.C.L.E. furono formate migliaia di aziende agrarie ove si insediarono alcune migliaia di contadini italiani, che coltivarono piante diverse dall’u- livo all’orzo, bonificando tante terre quasi sterili e rendendole produttive.

In Libia furono realizzate strade asfaltate: una univa la litoranea dal Fezzan, alla Tripolitania, alla Cire- naica. Sorsero varie città, con chiese e moschee; si sviluppò una intensa vi- ta commerciale. Molti italiani e libici svolsero attività in tutti i settori pro- duttivi. In campo sanitario esisteva- no nel 1940-42 sette ospedali, e die- ci infermerie, 80 ambulatori; era stata svolta una intensa lotta contro il tra- coma (oltre 8.000 nelle oasi interne del Sahara).

Furono emessi provvedimenti a fa- vore degli agricoltori e dei pastori li- bici, quali la distribuzione gratuita di semi freschi e di attrezzi agricoli, as-

Azizia. Coltivazione di ulivi e tabacco

Consolidamento delle dune mobili

sistenza sanitaria del bestiame, sta- zioni di monta; concorsi a premi per i migliori allevamenti, premi per la esecuzione di arature razionali, con- tributi finanziari per la costruzione di pozzi e cisterne.

Fu stabilito, per esempio, per la Ci- renaica che i terreni del patrimonio governativo potevano essere dati in concessione, anche a titolo gratuito, a coltivatori indigeni con formazione di aziende non superiori a ettari 15, che sarebbero passati in proprietà dopo essere stati effettivamente coltivati. I concessionari erano ammessi a fruire dei contributi finanziari.

Si ritenne che la politica a favore della popolazione della Libia sarebbe riuscita ad accrescere il numero de- gli agricoltori, dei salariati fissi, degli operai specializzati nelle cantine, ne- gli oleifici e nelle industrie di essicca- zione dei prodotti.

Sono certamente da condannare le reazioni militari italiane alla guerri- glia perché eccessive e talvolta inu- mane, particolarmente in Cirenaica.

Fu un errore gravissimo la condan- na a morte del capo dei guerriglieri Omar Muktar e fu un provvedimen- to completamente errato l’allontanare i cosiddetti ribelli dalla Libia per de- portarli in isolamento in Italia.

In complesso negli anni che van- no dal 1930 al 1940 si era raggiunta una utile pacificazione con beneficio per la popolazione libica e italiana, le quali poterono collaborare attiva- mente.

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I

l vissuto degli ebrei è spesso definito da una tessitura bipo- lare di gioia e tristezza, di luce e ombra, di amore e te- nebre, bein kodesh le hol בין קודש לחול.

I tessuti della nostra collezione, par- te della quale viene presentata in que- sta mostra testimoniano una storia di devozione, pazienza e creatività.

La curatrice Dr. Anastazja Buttitta ne ha selezionato diversi, in varie cate- gorie di forma e funzione, provenien- za, carattere e trasformazione. Il fon- damentale e raffinato ruolo femminile nel raggiungere il risultato finale è de- bitamente riconosciuto.

In periodi di esclusione e inacces- sibilità a libere professioni, agli ebrei italiani restarono poche possibilità di commercio. Una attività pricipale e diffusa fu quella dei cenciaioli, umi- li raccoglitori e venditori di pezze di

Trama e ordito

di Jack Arbib

Al museo Naom di Tel Aviv presieduto dall’ingegnere tripolino Jack Arbib è stata organizzata questa grande mostra della quale qui di seguito pubblichiamo la sua presentazione che appare sul catalogo.

La mostra inaugurata lo scorso 22 luglio resterà aperta fino a tutto dicembre. Preziosi gli impor- tanti reperti che fanno parte della collezione del museo, alcuni dei quali non erano stati mai esposti prima, tra cui il famoso Paroknet datato 1572 proveniente da Venezia e considerato dagli studiosi uno tra i più antichi tessuti fra quelli trasformati in oggetti cerimoniali ebraici.

Curatrice della mostra è Anastazja Buttitta che è recentemente succeduta ad Andreina Contessa nominata Direttore del Museo Castello Miramare a Trieste. Doretta Davanzo Poli che fa parte del comitato organizzatore nella presentazione del catalogo ha messo in rilievo il ruolo delle donne ri- camatrici ebree dalle cui mano uscivano autentici capolavori, eseguiti nel silenzio e nell’intimità delle loro case, al riparo dalle invidie e dalle persecuzioni che avrebbero colpito – nel deprecabile clima di intolleranze dell’epoca – ogni manifestazione più visibile del loro operato.

Segnaliamo ai nostri lettori che non possono recarsi in Israele l’altrettanto godibile mostra, in corso fino al 27 ottobre alle Gallerie degli Uffizi di Firenze, Tutti i tessuti della tradizione ebraica italiana, curata da Dora Liscia Bemporad e Olga Melasecchi della quale riportatiamo il commen-

to di Giulio Busi apparso su Il Sole 24 Ore. G.O.

I tessuti come allegoria del vissuto ebraico

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La mostra di Firenze, fino al 27 ottobre

Tutti i tessuti della

tradizione ebraica italiana

da Il Sole 24Ore ed Firenze

T

essuti che rifanno il cosmo, colori in cui si specchia l’intera creazione.

La tradizione tessile ha, nel giudaismo, origini sacrali. Quando descrive la tenda appesa davanti alla porta del secondo Tempio di Gerusalemme, di- strutto dai romani nell’anno 70, lo storico Giuseppe Flavio si dilunga sullo straordinario significato simbolico delle tinte che ravvivano la stoffa «fatta di materiali di colore diverso, a simboleggiare l’universo; col rosso infatti si vo- leva alludere al fuoco, col lino alla terra, con l’azzurro all’aria e con la por- pora al mare». Una sapienza arcana, questa dei tessuti ebraici, che non si li- mita certo al mondo della Bibbia. La mostra Tutti i colori dell’Italia ebraica, curata da Dora Liscia Bemporad e Olga Melasecchi, attraversa centinaia di anni e esplora alcuni dei fulcri geografici dell’attiva, creativa, vitale diaspora ebraica italiana. Lo fa di tessuto in tessuto, da un ricamo all’altro, da una lana a una seta. Arredi sinagogali, corredi domestici, prodotti nella Penisola o im- portati di lontano, offerti per pietà religiosa o riposti come beni preziosi, da lasciare in dote o in eredità. Le stoffe e gli oggetti raccolti agli Uffici raccon- tano un’altra storia. Quotidiana, materiale, quasi sempre al femminile, la vo- ce delle stoffe è sommessa e discreta. Confida momenti felici, ma dice anche di lunghe discriminazioni. Con la reclusione nei ghetti, il commercio di stof- fe usate, la cosiddetta strazzeria, fu spesso l’unica occupazione concessa agli ebrei, solo secoli più tardi, all’epoca dell’emancipazione, imprenditori ebrei poterono dare il loro importante contributo allo sviluppo dell’industria tessi- le in Italia. Dal Tempio di Gerusalemme al Made in Italy, il tessuto dell’e- braismo è lungo, resistente, variegato.

Giulio Busi panni. Questa manipolazione di strac-

ci (shmates) trovò la sua evoluzione in una raffinata maestria. Attraverso la trasformazione veniva donata a queste pezze una nuova e preziosa nobiltà.

Alcuni mercanti ebrei vennero rico- nosciuti come intenditori. Per esem- pio, il poeta Salomon Fiorentino era un fornitore di ricchi broccati al cle- ro toscano.

Vediamo una vivida testimonianza dello storico tedesco Ferdinand Gre- gorovious, che nella sua opera “Pas- seggiate per l’Italia” così descrive il Ghetto di Roma nel 1853:

“Le donne ebree stanno sedute sul- la porta delle loro abitazioni, o nel- la strada stessa, poiché le loro stan- ze basse e oscure mancano di luce, ed ivi stanno assiduamente occupa- te nello scernere cenci, nel cucire o fare rammendi. E’incredibile il ca- os, e la quantità di stracci e di cenci che si trovano colà. Si direbbe che gli ebrei vi abbiano radunato quelli del mondo intero. Stanno ammucchiati davanti alle porte, di ogni foggia, di ogni colore, antiche stoffe ricamate, broccati, velluti, cenci di colore rosso, turchino, arancio, bianco, nero, tutti vecchi, laceri, consunti, in mille e mil- le pezzi. Io non ne ho veduti mai di simili, nè in tanta quantità. Gli ebrei potrebbero rivestirne tutto il creato, e mascherare tutti gli abitanti di Roma da arlecchini.”

“Le figlie di Sion seggono ora so- pra tutti que’ cenci; cuciono, ram- mendano tutto quanto si può ancora rammendare. Sono somme nell’arte del cucire, del ricamare, del rappez- zare, del rammendare; non c’è alcu- no strappo, in una drapperia, in una stoffa, per quanto grande esso sia, che queste Aracni non riescano a fare scomparire, senza che più ne riman- ga traccia.”

Ci auguriamo che i visitatori di que- sta mostra, apprezzando la bellezza dei parokhot, meilim e fasce possa- no anche riconoscere la raffinata e sa- piente spontaneità della lavorazione.

Come dice il proverbio 31:31 “Dai a lei il frutto delle sue mani; e che il suo stesso lavoro la osanni alle porte”.

Vorrei concludere con un deside- rio, con la speranza che questa mostra

possa anche essere fonte di ispirazio- ne. In tempi nei quali in tutto il mon- do le nostre società sono lacerate da divisioni, dalla incapacità di vedere la dignità degli altri, io spero che noi

tutti potremo sapere rammendare gli strappi nel nostro tessuto sociale, ri- annodando trama e ordito, divenendo una nazione di tessitori (grazie a Da- vid Brooks per questa definizione).

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I

l tempo inesauribilmente cancella ogni cosa, ogni ri- cordo. Il tempo cancella la bellezza, ciò che si è stati, ciò che ognuno ha dato; il Tempo, divinità temuta dagli dei e dagli uomini, passa come un vortice di vento. E il vento passa sulle rovine

non sono mai stati tanto vicini…

Parlo degli archeologi italiani che hanno lavorato in condizioni proibi- tive, che hanno accettato grandi sfi- de, tra pericoli e difficoltà di ogni genere, e che hanno saputo conqui- starsi a buon diritto la fiducia e la stima dei nativi facendo loro com-

Luni, grande non solo per la sua spe- cifica competenza, ma anche per la sua maestosa figura che ricordava molto le fattezze delle statue di Gio- ve, con il quale doveva avere un pat- to speciale o forse una sua pur lonta- na parentela. Con un eloquio fluido e colto, senza interruzioni e pause, spiegava i progressi che i suoi disce- poli facevano, i metodi di ricerca e tutto ciò che con il suo intuito e la sua competenza lo portava alle più incredibili scoperte. La sua voce cal- ma e forte si dipanava come il filo che tessevano le sue dee che presie- devano alle sorti degli uomini. Era- vamo tutti seduti fuori dalla storica e poco confortevole casa, sotto uno storico pergolato, brindando con un generoso vino rosso in una sorta di antico rituale che prevedeva, come è costume nella mia terra di Abruzzo, di versarne qualche goccia per ter- ra per ringraziare gli dei in quel mo- mento benevoli.

Adesso un suo degno discepolo, Oscar Mei, ha ereditato la sua stessa classe, anche lui ha una voce calma e forte, lo stesso stile incisivo, la stes- sa potenza rappresentativa, lo stesso metodo di ricerca. Così si perpetua la grande tradizione della scuola ita- liana di archeologia, con la speranza che presto possa ritornare ad operare in Libia non appena si presentino le condizioni favorevoli.

Nella casa degli archeologi son- necchiava beato un grosso gatto che accettava bocconcini e complimenti, amato e rispettato anche dai custodi locali memori del fatto che il profe-

Una dea a spasso per Cirene

di Silvana Ticci Pirrello

Libia, la famosa casa degli archeologi

Mario Luni tra i “suoi” reperti

di Cirene, in quella terra martoriata che gli uomini chiamano Libia. Noi, testimoni di ciò che l’Italia ha fatto per quella terra, manterremo il ricor- do di chi ha impiegato e donato il suo entusiasmo e tutta la sua vita per sal- vare la bellezza e la storia di quel paese, terra in cui gli uomini e gli dei

prendere l’importanza delle missioni archeologiche italiane.

Quand’ero a Bengasi con mio ma- rito Console Generale spesso ci reca- vamo a Cirene nella storica casa de- gli archeologi piena di reperti ancora da classificare. Ci accoglieva con un sorriso il grande archeologo Mario

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ta Maometto si tagliò una manica su cui il suo gatto si era addormentato, per non svegliarlo. Quando venni a sapere questa storia la mia stima per il profeta aumentò di molto!

Luni ci conduceva con orgoglio per ampi e incommensurabili spazi aperti dove la luce rarefatta e diffu- sa del tramonto rivelava linee archi- tettoniche e vecchi splendori, opere della memoria passata, opere lievi come un pensiero e tuttavia possenti, che portano la materia alla soglia del grande mito. E Lei, Demetra, evoca- ta dai discorsi del Maestro, tornava a vivere da protagonista con i suoi cortei, con i suoi misteri, in quel- la luce bianchissima che scioglie le forme, che annulla il tempo, in una

la Grande Madre, benevola e amoro- sa come tutte le Grandi Madri lega- te alla terra. Anche noi cristiani ab- biamo una Grande Madre, non molto dissimile dalle grandi dee del passa- to, madre di un Dio, dispensatrice di grazie - Maria Immacolata.

A Cirene il culto di Demetra è evi- dente in tutte le sue sfaccettature e i suoi misteri. Figlia di Crono e di Rea, è la dea del grano, artefice del ciclo delle stagioni, della terra fer- tile, invocata con diversi nomi: Pot- nia (che significa “padrona”), Chto- nia (“della terra”), Thermasia (che dà calore).

Per Lei si snodavano cortei che partivano dal teatro con carri traina- ti da buoi e cavalli, a Lei venivano

rene (che la tradizione ricorda puni- to per la sua curiosità) pare ne fosse informato.

Ovviamente non racconterò la sto- ria di Demetra e di sua figlia Proser- pina, che tutti conoscono, e del do- lore della madre a cui rapiscono la figlia: mi commuovono le sue grandi distese di grano ondeggianti al ven- to, le messi dorate e gli alberi coper- ti di verdi di foglie e di frutti rossi e maturi e le viti cariche di uva, e al- lora penso al miracolo della dea che ha potuto rivedere la sua adorata fi- glia, alla sua gioia per il suo ritrova- mento e all’ energia da essa emanata che si accumulerà fino a raggiungere un punto in cui tutto si trasforma: il bruco diventa farfalla, i fiori frutti, i rami spogli si ricoprono di lucenti foglie. Così i greci con questo mito spiegavano l’alternarsi delle stagio- ni: l’autunno e l’inverno con il dolore della madre per la figlia lontana, e la primavera e l’estate determinate dal- la gioia del suo ritrovamento.

E non per niente presso i roma- ni (che erano a corto di idee, presi com’erano a guerreggiare), già che la dea Cerere era presente nei culti pre-romani come benevola divinità agricola, andò sempre più ad essere identificata con Demetra. Le sacer- dotesse preposte al culto della dea venivano chiamate Melisse, gentili giovani dalla pelle ambrata e dai lun- ghi e folti capelli ma, stranamente, la melissa è anche una piccola pianta perenne medicinale - nome ispirato forse a quello della ninfa che nutrì col miele il piccolo Zeus. Storia affa- scinante, come quella della misterio- sa pianta del silfio ormai scomparsa.

Ma questa è davvero un’altra storia.

Il sito di Cirene, Tempio di Demetra

dimensione di spiritualità e di bel- lezza che oggi pochi comprendono.

Si ascoltava il silenzio. Il saggio dice che il silenzio è dentro di noi, men- tre la quiete è all’ esterno, il silenzio appartiene al trascendente, è incon- dizionato. Eravamo tutti nel silenzio e Lei andava a spasso con noi. Lei,

sacrificati animali da cortile - e poi mangiati, come dimostrano le nume- rose ossa ritrovate assieme ad anfore e piatti di argilla. Non ci è dato sape- re con precisione in cosa consistesse- ro i misteri eleusini e cirenaici. Pos- siamo solamente immaginarlo, dato che neanche Batto, fondatore di Ci-

L’area archeologica di Cirene

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Ultima parte

La facile penetrabilità delle frontie- re libico-egiziane, sia durante la guer- ra che oggi, determina un continuo flusso di reperti verso mercati inter- nazionali, nonché un continuo flusso di armi e di estremisti che in questo momento minano la stabilità del pa- ese. Molti sono stati ad esempio, du- rante la guerra e subito dopo, i reperti scultorei messi all’asta sul web o da famose case d’asta, come ad esempio la testa di Flavia Domitilla Minor, che rubata a Sabratha negli anni Novan- ta è stata recuperata in fase di vendi- ta all’asta proprio durante la guerra, quando la mancanza di uno stato so- vrano dava modo di mettere in vendi- ta facilmente beni trafugati; ma gra- zie al tempestivo intervento e alla collaborazione di una task force co- stituita dal Department of Antiquities della Libia, dalla Missione Archeolo- gica di Palermo e del Nucleo di Re- cupero dei Beni Archeologici dei Ca- rabinieri, con il supporto di colleghi di Missioni Archeologiche Inglesi e Americane, non solo il recupero, ma anche la restituzione alla Libia sono stati possibili in tempi brevissimi.

Anche l’Università di Chieti ha partecipato con il DoA e con la Mis- sione Americana a un recupero di una statua di divinità funeraria mes- sa in asta sul mercato francese, con- tribuendo non solo ad attribuire la statua a una produzione cirenea del- le cosiddette Divinità Funerarie Ci- renaiche, ma segnalandone anche la possibile area di provenienza nel con-

testo della necropoli di Cirene da cui la statua era stata trafugata, lasciando però in loco la sua base e l’iscrizio- ne analoghe per tipologia di marmo e cronologia. Durante la Missione Ar- cheologica dell’Università di Chieti di dicembre 2011, patrocinata e cofi- nanziata dal Ministero per gli Affa- ri Esteri italiano, un’interessante fa- se delle ricognizioni è stata dedicata alla mappatura dell’area nota come Katiba (caserma) di Shahat. Quando i tecnici della locale soprintenden- za ed i funzionari del DoA ci hanno

L’Archeologia in Cirenaica

di Maria Cristina Mancini e Oliva Menozzi*

La storia dei rapporti tra Italia e Libia

chiesto un aiuto nello studio di tale area ci era sembrato strano un così forte interesse per un’area militare, che ritenevamo ormai priva di inte- resse archeologico e scientifico, ma l’importanza politica ed emotiva che rivestiva per la Cirenaica ci ha spin- to ad acconsentire nella collaborazio- ne. Man a mano che ci raccontavano quale fulcro degli eventi bellici fosse stato quel luogo, cresceva in noi l’in- teresse emotivo e scientifico. Si tratta di una vastissima area militare recin- tata con numerose caserme, depositi

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di armi, uffici, hangars, officine che sin dal 16 febbraio del 2011 sono te- atro di aspri combattimenti perché sede del deposito di armi principale della regione. I colleghi di Shahat ci hanno raccontato l’escalation degli eventi, quando le truppe di Ghedda- fi, ormai consce del rischio che tale

‘polveriera’ (sia in quanto deposito di armi, sia perché ospitava migliaia di soldati) rappresentava per la regione, inviarono un contingente di mercena- ri per impadronirsi delle armi e uc- cidere o disperdere i soldati cirenai- ci, che ormai si erano palesati sempre più dichiaratamente oppositori del regime. Il comandante della Kati- ba di Shahat Mustafa Ali Irtemah, pur appartenente alla stessa tribù di Gheddafi e proveniente da Sirte, non appena seppe di quanto stava per ac- cadere, avvertì le truppe cirenaiche, che presero le loro precauzioni e di- fesero, insieme alla popolazione lo- cale, i depositi di armi, disperden- do le truppe lealiste e difendendo le armi che furono poi spedite a Ben- ghazi e utilizzate dai ‘ribelli’ per dar inizio alla battaglia.74 Il comandan- te Mustafa Ali Irtemah però fu ucci- so dai mercenari e divenne quindi il primo ‘martire’ di Shahat e tutta la zona da allora è ritenuta sacra, visto che ben 40 tra soldati cirenaici e cit- tadini hanno perso lì la vita cercan- do di difendere l’importante presidio militare e le preziose armi. Proprio per tali eventi il luogo è ora consi- derato di fondamentale importanza e per evitare una speculazione edi- lizia di una così ampia area non an-

cora urbanizzata, il DoA chiese al- la Missione di Chieti un aiuto nella mappatura dei resti archeologici che numerosi costellavano i diversi ettari della Katiba di Shahat. Il nostro stu- pore fu grande quando realizzammo che il bosco intorno agli edifici mi- litari custodiva ancora gelosamente imponenti monumenti funerari di età ellenistica e romana, accanto a fatto- rie e fortificazioni bizantine e a resti imponenti di cave antiche, di tombe rupestri, sarcofagi e lacerti di strada antica (fig. 15). La mappatura Gis e la catalogazione di tali monumenti del- la Necropoli Est di Cirene è andata a costituire la base per una progetta- zione locale che preservi la memoria del luogo. La Baladia locale e il DoA stanno infatti progettando di preser- vare l’area trasformandola in un par- co che divenga un museo open air sia dei monumenti antichi che degli eventi bellici, con la speranza che ta- li luoghi ospitino in futuro solo edi- fici con una funzione sociale o cul- turale (come ad esempio un ospedale oppure edifici della soprintendenza), ovviamente dedicandone la memoria ai martiri di Shahat. In tutta la Libia sta ora crescendo sempre più l’inte- resse verso i Beni Culturali nel senso più ampio, non solo inteso nell’ottica di monumenti da salvaguardare, ma con la coscienza della necessità di tu- telare sia i beni immobili che quelli mobili o intangibili, quelli archeolo- gici quanto quelli ambientali e antro- pologici. La recente creazione di un Ministero dei Beni Culturali ha se- gnato già un grande passo in tal sen-

so per questo paese che fino a pochi mesi orsono aveva un Ministero del Turismo che si occupava anche di ar- cheologia. Ora il ruolo dell’archeolo- gia come promotrice di tanto diffe- renziati beni culturali risulta ancora più radicato e al momento il tentativo in Cirenaica è quello di costruire nel- le nove generazioni, sin dalle scuole elementari, una maggiore coscienza del proprio patrimonio storico e cul- turale, in modo da ricostruire quel senso di identità culturale, di appar- tenenza etnica, territoriale e culturale che ha contraddistinto le generazioni dei padri e dei nonni ma che a causa del regime dittatoriale è oggi molto carente in quella dei figli. In tal sen- so le Missioni Archeologiche devo- no e possono aiutare i colleghi locali, ma come prezioso supporto esterno, mentre devono essere gli stessi col- leghi libici ad operare nelle scuole,75 raggiungendo così più facilmente le loro generazioni più giovani ed evi- tando una ‘colonizzazione culurale’

da parte delle missioni straniere. Una crescita culturale, d’altronde, potreb- be costruire insieme al forte legame con la propria terra e con la propria tribù, nuove generazioni più consce della propria cultura e meno plagia- bili da forme di estremismo che in questo momento cercano di destabi- lizzare un paese che tenta con sforzo e determinazione di riscattarsi.

Fine

* Docenti di Archeologia all’Università di Chieti

Lavori sul sito di Cirene

Riferimenti

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