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L'entrata e l'osservazione: diagnosi e categorie come costruzioni sociali della disabilità

disabilità era soprattutto legato ai modi in cui questa viene individuata, classificata e valutata in ambito medico.

In continuità con i miei precedenti studi51, volevo meglio esplorare attraverso quali pratiche si

produce, nel nostro contesto sociale, una crescente medicalizzazione del comportamento infantile, ovvero il processo mediante il quale una gamma sempre maggiore di comportamenti ed esperienze viene definita, vissuta e trattata come problema medico (Maturo, 2009, 108).

Mi sembrava che il “culmine” di questo processo si potesse rintracciare proprio laddove tale (re)interpretazione viene sancita, ossia dove la diagnosi viene prodotta.

Partivo dunque da una prospettiva di stampo costruttivista secondo la quale l'attribuzione di una categoria medica (come rappresentazione/interpretazione) a un determinato comportamento (come fenomeno) costituisce in qualche modo il momento in cui la disabilità (come oggetto-realtà) viene resa socialmente visibile e così “definitivamente” costruita (Mol, 2002, 42).

Inizialmente ero soprattutto interessata al processo valutativo che porta alla definizione delle diagnosi di “disturbo dell'apprendimento” in particolare nei bambini stranieri e/o “figli di migranti”. Mi sembrava infatti che l'aumento di tali diagnosi – evidenziato da alcune ricerche locali e da rapporti prodotti dai servizi stessi – segnalasse in maniera “più evidente” la ridefinizione in termini medici di questioni politiche, sociali ed economiche legate al percorso migratorio. L'esplorazione di tale fenomeno mi avrebbe dunque permesso una riflessione esplicita sui processi di medicalizzazione.

Dopo qualche mese di adempimenti burocratici52 ho avuto accesso al Centro e la Responsabile

dell'Area di NPIA, con la quale avevo preso contatto, mi ha “affidata” a una neuropsichiatra, Sara53,

referente per i bambini stranieri.

50 L'Area Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza (NPIA) di Bologna e Provincia è composta da sei Unità Operative. Nella Città di Bologna sono presenti due unità operative, una che corrisponde alla Zona Est e una alla Zona Ovest. Ciascuna unità operativa comprende ambulatori aggregati in un Centro (come quello dove ho svolto la ricerca) e ambulatori dislocati nei vari quartieri per Bologna, o nei vari paesi per la Provincia. Per una descrizione “ufficiale” si consulti l'indirizzo: http://www.ausl.bologna.it/eauslbo/applications/cart_serv/getFile? url=/PDF/Carte/NEUROPSICHIATRIA+DELL%27INFANZIA+E+DELL%27ADOLESCENZA.pdf .

51 Ho svolto la tesi di laurea magistrale sulla costruzione della diagnosi di Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD) nei processi di standardizzazione dell’apprendimento e medicalizzazione del comportamento infantile.

52 Per ottenere il permesso di osservare il lavoro della neuropsichiatra sono stati necessari diversi passaggi burocratici che mi hanno impegnato da Settembre a Dicembre 2012.

53 Il nome è uno pseudonimo che ho scelto per rendere nella scrittura l'informalità del rapporto che nel tempo si è creato tra me e la neuropsichiatra. Mentre con Sara ho condiviso la quotidianità del lavoro per circa due anni, con le altre operatrici del servizio l'incontro è stato più occasionale e formale. Per questo motivo, quando nella tesi faccio riferimento a loro riporto solo il ruolo svolto (logopedista, psicologa, responsabile, eccetera).

Come osservatrice esterna ho frequentato regolarmente54 l'ambulatorio di Sara e seguito il suo

lavoro: i momenti di somministrazione di test e di anamnesi, gli incontri con i bambini/ragazzi55,

con i familiari e con le altre operatrici (logopedista, psicologa, educatrice).56

Questo primo periodo di osservazione è stato necessario per familiarizzare con uno spazio a me completamente sconosciuto, con le sue regole di funzionamento e le forme di organizzazione del lavoro quotidiano. Già dopo qualche mese sentivo però che le prospettive teoriche che orientavano il mio sguardo spesso mi portavano a operare una semplificazione di ciò che accadeva nell'ambulatorio.

Alcune pratiche a cui stavo dando così tanta importanza dal punto di vista epistemologico, in primo luogo la definizione della diagnosi, raramente apparivano nell'ambulatorio o venivano menzionate nei discorsi di Sara.

Inoltre, definendo a priori una cornice all'interno della quale osservare − “disabilità dell'apprendimento” e “figli/e di migranti” − mi stavo appropriando di quelle categorie di cui volevo indagare la costruzione.

In seguito, ho ritenuto allora più fertile guardare ciò che accade, per così dire, “tra” le categorie, rivolgendo la mia attenzione alle pratiche che conducono a una diagnosi e a un percorso terapeutico piuttosto che a un altro. Una prima scelta di campo in questa direzione è stata quella di osservare ciò che avveniva nell'ambulatorio (principalmente somministrazione di test, incontri con bambini/ragazzi e familiari) senza fare distinzioni di diagnosi o nazionalità, e di seguire in particolare il percorso di alcuni ragazzi che, per la complessità della condizione vissuta e la lunga durata del loro rapporto con i servizi, mettevano maggiormente in crisi le certezze del sapere e della pratica medica (3.1).

54 La mia frequenza dipendeva dalla possibilità, concordata di volta in volta insieme alla neuropsichiatra, di partecipare alle visite e agli incontri e dalla presenza o meno di altre persone (specializzande, tirocinanti, … ). In media ho frequentato due/tre mezze giornate alla settimana.

55 Utilizzo il maschile poiché ho avuto modo di seguire quasi esclusivamente i percorsi di bambini e ragazzi (e non bambine e ragazze). Questi rappresentano infatti la maggioranza degli “utenti” della NPIA, soprattutto in età scolare.

56 Ho partecipato a un totale di circa 130 incontri tra visite di valutazione e somministrazione di test, incontri con genitori e insegnanti, Gruppi Operativi scolastici e riunioni di equipe con operatori di altri servizi (soprattutto sociali, scolastici ed educativi). Ho inoltre effettuato dieci interviste in profondità (della durata di un'ora/un'ora e mezza ciascuna): alla Responsabile dell'Area di NPIA, alla neuropsichiatra, alla logopedista, a un'educatrice e un educatore del Centro di NPIA, a un educatore di un centro di aggregazione, a un educatore di quartiere, a un Dirigente scolastico e un'insegnante, e a tre mamme di bambini/ragazzi che durante la mia frequenza erano seguiti da Sara.