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La storia e le origini geografiche di SBV sollevano numerose domande. Come per l’introduzione di BTV – 8 nel 2006 in Olanda ed in Belgio, le cause che hanno portato all’epidemia di questa virosi rimangono alquanto sconosciute. I virus filogeneticamente più vicini come Sathuperi, Douglas, Shamonda, Akabane, Aino, Peaton e Sango non sono mai stati identificati in Europa. E’ tuttavia confermato che questi virus sono in grado di diffondere in regioni anche molto lontane rispetto alle aree nelle quali hanno una distribuzione enzootica. Akabane e Aino virus sono endemici in Australia, ma recentemente è stata

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dimostrata la loro presenza anche in Israele e Turchia. Il virus Shamonda, presente sul territorio africano sin dagli anni sessanta del XX secolo, è stato isolato in Giappone nel 2005. Sebbene SBV sia stato scoperto solo di recente, non ci sono dubbi che le sue origini vadano ricercate più lontano nel tempo. Probabilmente si tratta di un virus più antico, coevolutosi insieme ad altri virus a lui filogeneticamente molto vicini. Se il virus di Schmallenberg non è un virus riassortante, come era stato pensato all’inizio, bensì l’antenato del virus Shamonda (Goller et al., 2012), gli eventi correlati all’epidemia causata dal virus non dovrebbero essere ascrivibili ad una malattia emergente bensì riemergente.

I virus che appartengono al sierogruppo Simbu non sono stati studiati tantissimo o comunque non approfonditamente come molti altri gruppi virali, pertanto anche i dati epidemiologici disponibili sono abbastanza esigui. Analisi filogenetiche condotte su campioni prelevati in differenti regioni del mondo, in differenti periodi di tempo, suggeriscono che questi virus evolvono lentamente.

Analisi retrospettive condotte in Germania su tessuti cerebrali di ruminanti, risalenti ad un arco di tempo che va dal 1961 al 2012, realizzate attraverso tecniche di ibridazione in situ ed immunoistochimica, non hanno rilevato alcuna presenza di RNA virale o antigeni nei tessuti esaminati (Gerhauser et al., 2014). Allo stesso modo, non sono stati ritrovati anticorpi contro SBV in campioni di sangue prelevati in ruminanti domestici e selvatici e collezionati prima dell’estate del 2011 in Germania, Belgio, Olanda e Francia (Garigliany et al., 2012 a; Veldhius et al., 2013; Wernike et al., 2014 a). Queste risultanze dimostrano che SBV non era presente nel Nord Ovest dell’Europa prima del 2011.

E’ sorprendente come SBV sia emerso nelle medesime regioni europee dove BTV 8 nel 2006 fece la sua comparsa per la prima volta. Si pensa che i due virus siano stati introdotti attraverso le stesse vie. C’è una forte evidenza che BTV e SBV siano entrati in GB attraverso vettori adulti trasportati dal vento dall’Europa continentale (Sedda and Rogers.,2012; Burgen et al., 2013) o veicolati nelle cabine degli aerei. Molto curiosa è l’altra modalità di entrata ipotizzata ed riportata da Gale et al..,2015. Secondo questi ultimi, i culicoidi adulti avrebbero raggiunto il continente europeo all’interno di confezioni di fiori provenienti dall’Africa Subsahariana. Il Kenya è il principale esportatore di fiori verso la Gran Bretagna (Hornberger et al., 2007) e le operazioni di imballaggio dei fiori da destinare all’estero vengono inoltrate sino alle ore notturne, dove la luce fioca richiama gli insetti in volo. I culicoidi vengono

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dunque impacchettati insieme ai fiori ed attraverso la via aerea sarebbero giunti sino negli UK. Un altro percorso ipotizzato è quello secondo cui alla base delle epidemie ci sia il trasporto aereo di animali esotici in fase viremica dall’Africa Subsahariana verso il Nord Ovest dell’Europa, dove il virus si sarebbe stabilito nella popolazione animale locale naife e nella popolazione vettoriale nativa. Sebbene non ci siano ancora fonti scientifiche che abbiano analizzato tale aspetto, la possibilità che SBV sia arrivato in Europa attraverso l’importazione di carni appare inverosimile (Gale et al., 2015), sia perché la movimentazione dei prodotti di origine animale in Europa è severamente regolamentata, sia perché SBV non si trasmette attraverso la via orale (Wernike et al., 2013).

SBV, prima di essere isolato per la prima volta in Germania nel 2011, potrebbe essere stato già presente in altre regioni del mondo dove però non ha manifestato o non sono stati notificati segni di malattia nelle popolazioni native. Fonti della letteratura permettono di avanzare le prime ipotesi. Ci sono infatti almeno due studi che hanno dimostrato la presenza di anticorpi di SBV (anticorpi che a dire il vero si sviluppano anche contro molti altri virus del sierogruppo Simbu) nel bestiame in Africa prima dell’insorgenza dei focolai europei. Evidenze sierologiche sono state dimostrate anche in Giordania nel 2013 in bovini ed ovi – caprini che presentavano segni clinici sovrapponibili a quelli causati dal SBV (Abutarbush et al., 2015).

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CAPITOLO IX: Valutazione del rischio

Si stima che vi sia un notevole livello di sottostima dei casi di malattia di Schmallenberg in Europa (EFSA 2012 a), motivo per il quale una valutazione del rischio dell’impatto della malattia sull’economia zootecnica europea è molto difficile da determinare. Rispetto comunque alle conoscenze scientifiche collezionate durante gli anni dell’epidemia del 2012 – 13, si ha qualche informazione in più, estrapolata dai dati di sorveglianza passiva ed attiva condotta nei diversi Paesi Membri.

In generale, l’impatto di SBV è basso, magari più accentuato nelle pecore che non nei bovini (EFSA 2012). Gli effetti del virus nelle capre domestiche è minimo. In molti paesi europei, le capre da latte sono allevate in maniera intensiva ed a stabulazione permanente, modalità di allevamento che previene la possibilità che il vettore infetto punga gli animali (Lievaart – Peterson et al., 2015).

Si consideri inoltre che l’impatto clinico del virus può avere una valenza diversa a seconda dello stadio di gestazione in cui gli animali s’infettano (Dominguez et al., 2012).

Come nota aneddotica, si riporta anche l’impatto emozionale provato dai pastori alla vista della nascita di agnelli con malformazioni e lo stress correlato all’insorgenza di una nuova malattia fino ad allora sconosciuta (Harris et al., 2014).

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