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Virus Schmallenberg in Europa: analisi del rischio, aggiornamento epidemiologico e strategie di sorveglianza

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Academic year: 2021

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Anno accademico 2016 - 2017

DIPARTIMENTO DI SCIENZE VETERINARIE

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN

“Sanità Animale, Allevamento e Produzioni Zootecniche”

Direttore: Prof. Domenico Cerri

“Il virus di Schmallenberg in Europa: analisi del

rischio, aggiornamento epidemiologico e

strategie di sorveglianza”

Specializzanda Relatore

Paladino Antonia Dr Maurizio Mazzei

Direttore Correlatore

Domenico Cerri Dr Mario Forzan

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Sommario

RIASSUNTO ... 3 ABSTRACT ... 4 INTRODUZIONE ... 5 1 EZIOLOGIA ... 7 1.1 Inquadramento tassonomico ... 7

1.2 Caratteristiche morfologiche e chimico fisiche ... 8

1.3 Analisi genetica ed evoluzione di SBV ... 8

1.4 Ciclo di replicazione virale ... 9

1.5 Caratteristiche biologiche ... 10

2 RECETTIVITA' ... 11

2.1 Ruminanti domestici ... 11

2.2 Altre specie domestiche ... 11

2.3 Animali selvatici ... 12 2.4 Uomo ... 13 3 PATOGENESI ... 14 4 MODALITA' DI TRASMISSIONE ... 17 4.1 Trasmissione vettoriale ... 17 4.2 Trasmissione verticale ... 19 4.3 Trasmissione orizzontale ... 19 4.4 Meccanismo di Overwintering ... 20 5 IMMUNITA' ... 22 6 DIAGNOSI... 23 6.1 Diagnosi clinica ... 23 6.2 Diagnosi differenziale ... 24

6.3 Diagnosi anatomo - patologica... 24

6.4 Diagnosi di laboratorio ... 26

6.4.1 Diagnostica diretta ... 26

6.4.2 Diagnosi indiretta ... 28

7 STRATEGIE DI SORVEGLIANZA E MISURE DI CONTROLLO ... 30

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7.1.1 Controllo del vettore ... 31

7.1.2 Vaccinazione ... 32

7.2 Trattamento ... 33

7.3 Sorveglianza e misure di controllo in Italia ... 33

8 EPIDEMIOLOGIA DELLA MALATTIA ... 36

8.1 La malattia in Europa ... 36

8.2 Sieroprevalenza ... 38

8.3 La malattia in Italia ... 39

8.4 La malattia fuori dall'Europa ... 41

8.5 Epidemiologia molecolare ... 41

9 VALUTAZIONE DEL RISCHIO ... 44

9.1 Impatto diretto sugli animali ... 44

9.1.1 Impatto diretto sugli animali adulti ... 44

9.1.2 Impatto diretto sui feti e su animali malformati ... 44

9.2 Impatto diretto sugli animali ... 44

9.2.1 Impatto sull'allevamento del bovino da latte ... 45

9.2.2 Impatto sull'allevamento del bovino da carne ... 45

9.2.3 Impatto sull'allevamento ovi caprino ... 45

9.2.4 Impatto economico ... 46

9.3 Stima dell'impatto futuro di SBV ... 46

10 DISCUSSIONE ... 48

11 CONCLUSIONE ... 53

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Riassunto

Il virus di Schmallenberg è un virus trasmesso da vettore che colpisce i ruminanti ed è stato per la prima volta identificato in Germania ed in Olanda nel 2011 (Hoffmann et al., 2012; Veldhuis et al., 2013). SBV ha causato un’epidemia su larga scala in Europa dal 2011 al 2013, rendendosi responsabile di segni clinici aspecifi (febbre, diarrea, calo di produzione lattea) o di malformazioni fetali qualora infetti animali in gravidanza. La trasmissione principale è orizzontale ed avviene tramite la puntura di insetti appartenenti al genere Culicoides spp, se l’animale è gestante la trasmissione trans – placentare causa effetti teratogeni. Ad oggi si osserva un declino nelle nuove infezioni da SBV e nel numero degli animali immunologicamente protetti. E’ attualmente presente in Europa una larga popolazione di animali priva di anticorpi contro SBV ed il virus sta circolando ad un livello basso. Questi dati associati alle idonee condizioni ambientali, favorevoli per l’insetto vettore, potrebbero aprire le porte per una recrudescenza di SBV con la comparsa di focolai epidemici in Europa. In questo elaborato sono state descritte e discusse le attuali conoscenze disponibili sul virus, la sua diagnosi, l’epidemiologia e le possibilità future nel controllo di nuove epidemie.

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Abstract

Schmallenberg virus (SVB) is a vector – borne virus affecting ruminants and it was first detected in Germany and Netherlands in 2011 (Hoffmann et al., 2012; Veldhuis et al., 2013). SBV caused a large scale epidemic in Europe from 2011 to 2013, causing aspecific clinical signs (fever, diarrhoea and reduced milk production) and foetal deformities after infection of pregnant animals. Horizontal transmission occurs through various Culicoides spp. biting midges and if animal is pregnant, trans – placental transmission causes teratogenic effects. Today a decline in new SBV infections and a decrease in the number of protected animals can be observed. A large population of naïve animals is currently present in Europe and the virus is circulating at a low level. These data, in combination with good environmental conditions for insect vectors, may open the door to a re – emergence of SBV and a large scale outbreak in Europe. In this work, the current knowledge about the virus, its diagnosis, the epidemiology, the impact and the future possibilities of controlling SBV infections are described and discussed.

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INTRODUZIONE

Le malattie infettive trasmesse da vettori (Vector borne disease) rappresentano attualmente una tematica di grande rilievo per i Paesi europei. Il continuo espandersi a nuove aree geografiche, il rapido adattamento a popolazioni locali di insetti vettori, l’insorgenza di nuove varianti più o meno patogene, hanno fatto di questo vasto gruppo di malattie virali una delle principali sfide alle quali sono chiamate a rispondere le grandi organizzazioni mondiali della sanità animale ed umana. Ed in questo contesto, all’interno del quale negli ultimi decenni molto si è sentito parlare a riguardo di Blue Tongue e di West Nile, si inserisce la figura di un nuovo virus, provvisoriamente detto Schmallenberg virus (SBV) in memoria della località tedesca in cui il virus è stato isolato per la prima volta nell’autunno del 2011 (Hoffman et al., 2012). Da allora, la malattia è stata identificata in svariati paesi europei (EFSA 2012), tra cui anche l’Italia. Il virus è stato isolato mediante tecniche di metagenomica a partire da campioni di sangue prelevati in bovini che avevano presentato segni aspecifici di malattia come febbre, riduzione della produzione lattea e diarrea (Hoffman et al., 2012). Con il proseguire delle ricerche e delle evidenze diagnostiche, è stato anche dimostrato come il virus si renda artefice di malformazioni congenite in agnelli, vitelli e capretti (Herder et al., 2012). Analisi filogenetiche hanno svelato che SBV appartiene al genere Orthobunyavirus, sierogruppo Simbu (Hoffman et al., 2012) con spettro d’ospite rappresentato dai ruminanti domestici e selvatici. SBV presenta molte sequenze genetiche simili a Shamonda, Aino ed Akabane virus, anch’essi rinvenuti nei bovini ma mai prima d’ora segnalati nel contesto europeo (Saeed et al., 2001) .

Per quanto concerne le vie di trasmissione, SBV è un arbovirus trasmesso principalmente tramite i culicoidi (De Regge et al., 2012). Discussa la possibilità di trasmissione tramite il seme (EFSA, 2012), mentre è stata descritta la trasmissione per via placentare. All’indomani dell’epidemia del 2011, l’OIE convocò un gruppo di esperti, al fine di riorganizzare le conoscenze preesistenti a proposito del nuovo virus isolato. Una valutazione preliminare del Centro Europeo per la Prevenzione ed il Controllo delle malattie (ECDC) concluse, alla luce del comportamento dei virus geneticamente più vicini, che non esisteva prova della possibilità che il virus provocasse malattia nell’uomo. Nel 2012 l’EFSA ha redatto una relazione tecnica nella quale venivano descritti gli aspetti relativi al nuovo virus scoperto, mettendo comunque in evidenza come sussistessero ancora molte incertezze su questa arbovirosi. Al fine di ottenere maggiori informazioni a riguardo dell’impatto della malattia a livello europeo e la sua possibile diffusione, l’EFSA richiese la collaborazione degli altri Stati membri per ottenere maggiori informazioni epidemiologiche sulla eventuale distribuzione del virus sul territorio. SBV non compare nella lista OIE delle malattie soggette a notifica, tuttavia l’Organizzazione mondiale della Sanità Animale ha prodotto un technical factsheet nel quale sono state riportate le informazioni principali sulle caratteristiche del virus.

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6 Alla luce di quello che sembra un apparente aumento di incidenza dei casi denunciati di malattia di Schmallenberg, dopo un periodo di relativa quiete tra il 2014/15, si è deciso di focalizzare l’attenzione su questa virosi. Con il seguente elaborato, ci si propone di inquadrare e di sviluppare una disamina aggiornata e critica della letteratura disponibile a riguardo della malattia. Il lavoro proposto si concentrerà soprattutto sulla raccolta e sull’associazione dei dati epidemiologici provenienti dai vari paesi europei al fine di determinare una valutazione del rischio sulla direzione e sull’impatto che una maggiore diffusione del virus potrebbe assumere in futuro. Sempre sulla base dei dati raccolti dalle fonti bibliografiche, si riportano le varie ipotesi a riguardo dell’ origine geografica del SBV che ad oggi rimane incerta. Si ipotizza che il virus sia stato trasportato per via aerea attraverso insetti infetti, fiori ed animali esotici dai paesi in cui SBV è enzootica (Gale et al., 2015). E’ curioso notare come SBV sia emerso dalla medesima area in cui BTV sierotipo 8 era comparso 5 anni prima (Wilson and Mellor, 2009). Viene da ipotizzare che entrambi i virus siano stati introdotti in Nord Europa attraverso rotte simili.

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CAPITOLO I: Eziologia

1.1 Inquadramento tassonomico

Il “virus Schmallenberg” appartiene alla famiglia Bunyaviridae, la quale include più di 350 specie ed è considerata attualmente una delle più vaste famiglie di virus animali (Karabatsos, 1985). La denominazione deriva da “Bunyamwera”, località in Uganda dove è stato isolato il virus per la prima volta da una zanzara. Fino a tempi piuttosto recenti, questi virus erano considerati per lo più delle

“Cenerentole” nell’ambito delle malattie virologiche. Al contrario, oggi c’è una maggiore consapevolezza sul loro ruolo tra le cause di malattie infettive attuali e rilevanti quali la Rift Valley Disease, la Febbre Emorragica del Congo, il virus della Encefalite Californiana. Si consideri inoltre che nel contesto tropicale, spesso le malattie febbrili, vengono direttamente associate alla malaria e come tali vengono trattate, quanto in realtà si pensa che molte di esse siano da ricondursi all’azione patogena di membri della famiglia delle Bunyaviridae.

Ad oggi si conoscono 5 genere: Orthobunyavirus, Hantavirus, Nairovirus, Phlebovirus e Tospovirus (fig.1) (Bishop et al., 1980; Schmaljohn & Dalrymple, 1983). Ad eccezione degli Hantavirus, i quali vengono trasmessi prevalentemente da roditori e da insettivori non roditori (Song et al., 2007), gli altri membri della famiglia Bunyaviridae vengono trasmessi attraverso artropodi vettori. Più di 170 specie virali appartengono al genere Orthobunyavirus. Secondo il Comitato Internazionale per la Tassonomia dei Virus, (ICTV) all’interno di questo genere si rinvengono ben 48 specie diverse.

Il genere Orthobunyavirus viene suddiviso in 18 sierogruppi, definiti sulla base di prove di fissazione del complemento, sieroneutralizzazione ed inibizione della emoagglutinazione. Secondo il ICTV, un virus appartiene ad un sierogruppo qualora cross – reagisca con altri membri dello stesso gruppo mediante l’utilizzo di uno o più test sierologici. Almeno 25 virus sono inclusi nel sierogruppo Simbu e tra questi si annovera anche il virus di Schmallenberg.

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8 1.2 Caratteristiche morfologiche e chimico – fisiche

L’acido nucleico del virione è a singolo filamento di RNA a polarità negativa (ssRNA-), segmentato in tre parti:

Segmento L (grande): codifica per la proteina L Rna polimerasi Rna dipendente

Segmento M (medio): codifica per le glicoproteine di superficie (G1 e G2) Segmento S (piccolo): codifica per la proteina del nucleocapside (N)

I tre segmenti differiscono per lunghezza (Elliot 1990). Il virione ha una forma sferica, un diametro di circa 90 - 100 nm, è provvisto di envelope sulla cui superficie si ergono due glicoproteine virus specifiche G1 – G2, le quali sono bersaglio

di anticorpi neutralizzanti, hanno capacità emoagglutinanti, e sono responsabili dello spettro d’ospite e del tropismo di tessuto. Il capside ha una simmetria elicoidale ed oltre ai tre segmenti di RNA, vi sono due proteine: la proteina del nucleocapside e la RNA polimerasi (fig.2). Non sono contenute proteine di matrice. Dati estrapolati dal siero gruppo California degli Orthobunyavirus suggeriscono che questi virus sono sensibili all’azione di detergenti e di solventi dei lipidi. In particolare:

 temperatura: l’ infettività viene eliminata o significativamente ridotta a 50 – 60° C per almeno 30 minuti;

 disinfettanti chimici: sensibili ai comuni disinfettanti (ipoclorito di sodio al 1%; gluteraldeide al 2%; etanolo e/o formaldeide al 70%);

 Il virus non è capace di replicare al di fuori di ospiti e/o vettori per lunghi periodi di tempo.

1.3 Analisi genetica ed evoluzione di SBV

I Bunyavirus mutano attraverso due meccanismi:

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9  per accumulo di mutazioni dovute alla presenza di una Rna polimerasi Rna dipendente, la quale poiché manca di attività di proofreading, è più incline a compiere errori nella trascrizione genetica

 per riassortimento di segmenti genomici. La regione a più elevata variabilità è quella del segmento M. Quando due bunyavirus filogeneticamente molto vicini infettano la stessa cellula suscettibile e nello stesso momento, i loro segmenti genomici potrebbero essere incorporati all’interno della progenie virale in modo variegato (Briese et al., 2013). Questo fenomeno può comportare drammatici cambiamenti nella patogenicità e nella speciazione virale.

La prima identificazione del SBV è stata possibile grazie ad indagini metagenomiche su campioni di sangue prelevati da bovini affetti da una sindrome acuta aspecifica. Il confronto delle sequenze ottenute con quelle presenti nel database ha permesso di rilevare una forte vicinanza con i virus del sierogruppo Simbu (Hoffman net al., 2012). Più nel dettaglio, le sequenze del virus di Schmallemberg mostravano un 69% di identità con il virus di Akabane (segmento L), 71% con Aino virus (segmento M) e del 97% con Shamonda virus (segmento S) (Hoffman et al., 2012). Studi successivi ipotizzarono che SBV fosse originato dal riassortimento tra il segmento M del RNA del virus Sathuperi (dall’India ed il Giappone) ed i segmenti S ed L del virus Shamonda (dalla Nigeria), i quali non erano mai stati rilevati in Europa (Yanase et al., 2012). Al contrario, Goller et al., 2012 sostengono che SBV non sarebbe un virus riassortante quanto piuttosto l’antenato del virus Shamonda, il quale a sua volta, è esso stesso frutto di riassortimento genetico tra i segmenti genomici S e L ricevuti da SBV ed il segmento M di un virus al momento “non classificato” detto Yaba 7 virus. Tali riflessioni di Goller et al., 2012, in accordo con quanto riportato già da Saeed et al., 2001, suggeriscono la necessità di revisionare la classificazione tassonomica del virus Shamonda al fine di incorporarlo all’interno della specie Sathuperi rinominandolo come Peaton virus o Sango virus.

Le considerazione appena riportate sul percorso filogenetico di SBV non sono fine a se stesse, ma potrebbero essere importanti nel gettare le basi per lo sviluppo di un vaccino efficiente e cross protettivo (Briese et al., 2013).

1.4 Ciclo di replicazione virale

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1 L’ingresso del virus nella cellula avviene dopo l’interazione delle glicoproteine di membrana (G1) con il recettore cellulare.

2 Il virus entra attraverso il meccanismo cellulare dell’endocitosi e successiva fusione dell’envelope con la membrana dell’endosoma. Il genoma virale viene rilasciato nel citoplasma (uncoating).

3 Rna genomico viene trascritto in mRNA dalla polimerasi virale

4 Traduzione degli mRNA e sintesi delle proteine virali: G1 e G2 sono proteine che vengono glicosilate nell’apparato del Golgi per poi espresse sulla membrana del Golgi o sulla membrana plasmatica.

5 Replicazione citoplasmatica dell’RNA genomico attraverso la produzione di un intermedio di RNA complementare a

polarità positiva ssRNA + (cRNA). Il

genoma virale neoformato viene

assemblato con la proteina N virale a formare il nucleocapside.

6 Formazione di particelle virali mature, ossia costituite da nucleocapside e proteine dell’envelope. Da qui si ha gemmazione intracellulare nel Golgi. Fuoriuscita dal Golgi di vescicole

intracitoplasmatiche, contenenti il virione maturo le quali si fonderanno con la membrana citoplasmatica.

7 Il virus viene rilasciato all’esterno per esocitosi. In tali casi la liberazione del virione può avvenire anche per lisi cellulare o per gemmazione.

1.5 Caratteristiche biologiche

I bunyavirus moltiplicano in colture cellulari di diverse specie animali (vertebrati e invertebrati). In particolare in un’ampia varietà di linee cellulari d’origine renale, incluse le cellule Vero ma anche in cellule di insetto (KC), di hamster (BHK), dove sono in grado di produrre un evidente effetto citopatico.

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CAPITOLO II: Recettività

L’EFSA ha definito come “specie suscettibile” al SBV, quella specie nella quale il virus è in grado di replicare e dare (o non dare) malattia (EFSA 2014). Al contrario, una specie reservoir è rappresentata da quell’ospite all’interno del quale un agente infettivo vive e si moltiplica normalmente ed è comune sorgente d’infezione per gli altri animali (Thrushfield M. 1995). Sempre secondo quanto riportato nel report EFSA 2014, sarebbero tre le categorie di specie suscettibili/recettive al SBV :

1. specie animali nelle quali l’agente e la manifestazione clinica della malattia sono state dimostrate tramite indagini diagnostiche dirette o indirette;

2. specie animali nelle quali il virus è stato isolato;

3. specie animali nelle quali è stata riscontrata un’ evidenza sierologica del virus.

2.1 Ruminanti domestici

In bovini, pecore e capre è stata accertata un’evidenza diretta ed indiretta del SBV e la sintomatologia clinica negli adulti e nella progenie (van den Brom et al., 2012; Garigliany et al., 2012; Herder et al., 2012; Wernike et al., 2014a). I segni clinici saranno descritti in modo dettagliato nel capitolo VI.

2.2 Altre specie domestiche

In letteratura sono fino ad ora disponibili pochi report a riguardo di SBV nei cani domestici:  In Svezia, anticorpi contro SBV sono stati ritrovati in un cane, in assenza però di segni

clinici (Wensman et al., 2013);

 In Francia, il genoma virale (RNA) è stato svelato in RT – qPCR a partire da un campione di tessuto cerebellare di un cucciolo che aveva riportato segni neurologici quali torcicollo e encefalopatia degenerativa, mentre la madre era risultata sieropositiva. Questo caso suggerisce che la trasmissione transplacentare del virus sia avvenuta prima dello sviluppo della risposta immunitaria fetale (Saileau et al., 2013)  In Belgio, in un’indagine sierologica che coinvolgeva un gruppo di 132 cani, non è

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Alla luce dei dati qui riportati, si può dedurre che al momento non è possibile avanzare delle ipotesi solide a riguardo della suscettibilità dei cani domestici al SBV in virtù dei pochi casi descritti in letteratura e per le risultanze alquanto discordanti tra di loro. Prove d’infezione sperimentali condotte su suini, hanno evidenziato che SBV può indurre siero conversione negli animali ma non è efficiente in termini di replicazione virale (Poskin et al, 2014).

Sono stati testati anche cavalli e lama (EFSA 2013) ma non sono stati rinvenuti né anticorpi né il genoma del virus.

In Germania, è stato condotto uno studio di sieroprevalenza sui camelidi del Sud America, nei quali è stata rinvenuta un’alta percentuale di anticorpi sia negli animali (62.4%) e nella mandria (92.4%), ma nessuna traccia dell’RNA virale, il che potrebbe collegarsi alla breve durata della viremia.

2.3 Animali selvatici

Positività sierologiche ed evidenze del RNA virale sono state riscontrate in moltissime specie animali selvatiche ed esotiche, ma non segni clinici riconducibili all’azione dell’agente (Schulz et al., 2013): Alpaca (Vicugna pacos), Anatolian water buffalo (Bubalus bubalis), Alce (Alces alces), Bisonte (Bison bison), Cervo Nobile (Cervus elaphus), Daino (Dama dama), Capriolo (Capreolus capreolus), Muntjac (Muntiacus muntjak), Camoscio (Rupicapra rupicapra).

Studi scientifici sul ruolo della fauna selvatica condotti in Germania, Olanda e Regno Unito (EC, 2014) hanno rivelato sieropositività anche per le seguenti specie: Muflone (Ovis musimon), Cervo Sika (Cervus nippon), Cinghiale (Sus scrofa) oltre che Capriolo (Capreolus capreolus) e Cervo Nobile (Cervus elaphus). In aggiunta, campioni prelevati da 38 specie differenti in due zoo britannici e testati per SBV (usando una ELISA competitiva) hanno riportato positività per 19 di queste e sono: Bongo (Tragelaphus eurycerus), Babirussa (gen. Babyrousa), Banteng (Bos javanicus), Congo buffalo (Syncerus caffer), Bisonte Europeo (Bison bonasus), Gaur (Bos gaurus), Gemsbok (Oryx gazelle), Greater Kudu (Tragelaphus strepsiceros), Zebra di Grevy (Equus grevyi), Moose (Alces americanus), Nile lechwe (Kobus megaceros), Capra Nubiana (Capra aegagrus hircus), Onagro (Equus hemionus onager), Pere David’s deer (Elaphurus davidianus), Renna (Rangifer tarandus), Roan antelope (Hippotragus equinus), Scimitar – horned oryx (Oryx dammah), Sitatunga (Tragelaphus spekii) e Yak (Bos mutus).

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13 2.4 Uomo

E’ noto che molti virus appartenenti alla famiglia Bunyaviridae abbiano potere zoonotico (Crimean Congo haemorragic fever, Rift Valley Fever, Sin Nombre virus, Sandfly fever). E proprio questo aspetto è stato spunto di riflessione da parte degli scienziati che subito dopo l’epidemia di SBV del 2011 hanno cominciato a chiedersi se la malattia potesse avere delle conseguenze sulla salute umana. Studi epidemiologici e di monitoraggio sierologico e molecolare condotti in Olanda (Reusken et al., 2012) ed in Germania (Ducomble et al., 2012) sono stati condotti su persone che vivevano e/o lavoravano vicino agli allevamenti risultati positivi a SBV. Non è stata riscontrata alcuna evidenza di anticorpi neutralizzanti il virus nei partecipanti. L’ECDC, supportando pienamente le valutazioni ed i risultati rinvenuti dagli studi del Robert Koch Institute (RKI) e dal National Institute of Public Health and the Environment (RIVM), ha concluso che è molto improbabile che SBV sia un rischio per la salute umana (ECDC 2012).

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CAPITOLO III: Patogenesi

Dal momento che SBV è filogeneticamente molto vicino ad Akabane virus e poichè il quadro sintomatologico e morfopatologico delle malattie sono sovrapponibili, è probabile che il meccanismo patogenetico, con cui i virus appartenenti al sierogruppo Simbu determinano malattia, sia simile. Pertanto, studi precedenti, condotti tra gli anni ‘70 ed ‘80 su AKAV, costituiscono un importante bagaglio di informazioni sulla patogenesi delle lesioni virus indotte e possono essere adattate o almeno ipotizzate anche per SBV.

Come descritto per AKAV (Kurogi et al, 1975), soltanto in una minima percentuale dei casi, il virus è in grado di determinare malformazioni fetali o mortalità (Martinelle et al., 2015b; Veldhius et al., 2014a ; Wernike et al., 2014 b).

L’impatto e la gravità delle lesioni sono determinate dai seguenti fattori: - Maturità dei placentomi

- Stadio dello sviluppo degli organi fetali

- Stadio di sviluppo del sistema immunitario fetale - Stadio della gestazione

- Inoculum

Maturità dei placentomi

Qualora l’infezione della femmina gravida si verifichi in un momento della gestazione in cui i placentomi non sono ancora maturi, il feto potrebbe essere protetto dall’invasione del virus (Kirkland et al., 1988; Parsonson et al., 1988). E’ stato dimostrato infatti che, pecore in gravidanza, infettate sperimentalmente con SBV al 45° giorno di gestazione, avevano placentomi poco sviluppati e non in grado di sostenere la replicazione virale, diversamente da quanto succedeva qualora l’infezione sperimentale venisse condotta al 60° giorno (Martinelle et al., 2015b).

Stadio dello sviluppo fetale

La suscettibilità al virus Akabane dipende inoltre dallo stadio di sviluppo degli organi target (McClure et al., 1988). I neuroni della corteccia cerebrale, del tronco encefalico e del midollo

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spinale negli agnelli e nei vitelli rappresentano le cellule target di SBV (Peperkamp et al., 2012; Varela et al., 2013). La suscettibilità del feto all’azione dell’agente infettivo potrebbe essere maggiore prima che lo sviluppo della barriera encefalica sia completo (Varela et al., 2013) e prima della fine della neurogenesi (Martinelli et al., 2015b).

Alcuni autori sostengono che altro target del virus siano le cellule muscolari (Balseiro et al., 2015; Martinelli et al., 2015b); questo particolare tropismo sarebbe in parte coinvolto nella patogenesi dell’artrogriposi, come d’altro canto già riportato per Akabane virus (Konno and Nakagawa 1982).

Stadio di sviluppo del sistema immunitario fetale

Feti ovini infettati per via transplacentare con AKAV sviluppavano anticorpi neutralizzanti contro il virus. La prima riflessione pertanto è stata che lo sviluppo del sistema immunitario fetale potrebbe inibire la progressione virale ed i danni ad essa associati. Al contrario, studi che prevedevano l’inoculazione sperimentale del virus in feti di 120 giorni hanno portato alla conclusione che, sebbene il feto sviluppi una forte risposta immunitaria, questo non impedisce necessariamente lo sviluppo di danni a livello cerebrale e del muscolo scheletrico (Mc Clure et al., 1988).

Si pensa pertanto che lo stadio della maturità degli organi target sia un fattore di più notevole importanza nel determinare la suscettibilità al danno indotto dal virus rispetto allo stadio di sviluppo della risposta immunitaria fetale (McClure 1988).

Stadio della gravidanza

Sempre tenendo conto delle analogie con AKAV, si ipotizza che gli effetti dell’infezione da SBV nelle femmine gravide possa dipendere anche dallo stadio della gestazione. Nella vacca, la fase critica all’infezione da AKAV è stabilita tra il 3° ed il 6° mese di gestazione (Kirkland et al., 1988; Konno and Nakagawa 1982; Kurogi et al., 1977).

Carica virale

La carica virale dell’inoculum potrebbe influenzare la severità del danno nei tessuti fetali.

Periodo Viremico

Quando insorsero i primi casi di infezioni acute del virus di Schmallenberg, è stato osservato che nei bovini i sintomi associati, quali la caduta nella produzione di latte, la diarrea e la

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febbre avevano una durata di pochi giorni. Queste osservazioni sono state poi confermate dagli esperimenti condotti dai ricercatori del FLI (Hoffman net al., 2012). Uno studio di campo condotto da Claine et al., 2013 ha portato invece ad inaspettate conclusioni, facendo luce sul fatto che probabilmente la durata della viremia nella pecora (valutata con un risultato positivo alla RT – qPCR) potrebbe essere di durata maggiore dopo l’infezione naturale da SBV piuttosto che dopo infezione sperimentale.

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CAPITOLO IV: Modalità di trasmissione

4.1 Trasmissione vettoriale

Il virus di Schmallenberg è un arbovirus (acronimo che contrae la dizione Arthropod borne

viruses), termine con il quale si suole indicare quella vasta gamma di virus che in natura

possono infettare artropodi ematofagi mediante l’ingestione di sangue di vertebrato infetto. Il virus si moltiplica a livello dei tessuti degli artropodi, per poi essere trasmesso tramite puntura ad altri vertebrati suscettibili (Mellor 2000). Questa definizione di Arbovirus non ha significato tassonomico ma denota una proprietà ecologica di virus appartenenti a diverse famiglie e la cui modalità di trasmissione è mediata da vettori ematofagi. Similmente agli altri virus appartenenti al sierogruppo Simbu, SBV si trasmette attraverso la puntura di piccoli insetti ematofagi appartenenti al genere Culicoides, famiglia Ceratopogonidae.

I Culicoides sono insetti cosmopoliti, le specie note sono circa 1400, oltre il 90% sono ematofaghe. Il ciclo biologico differisce da specie a specie per il tipo di habitat larvale, per esempio Culicoides imicola depone le uova sui bordi di piccole raccolte di liquido ricco di sostanze organiche, Culicoides obsoletus nel materiale organico in decomposizione del sottobosco. Il ciclo vitale dei culicoidi include quattro stadi di sviluppo: uova, larva, pupa ed adulto (Carpenter et al., 2013). Gli stadi larvali sono quattro e durano da 1 a 4 settimane, la fase di pupa si prolunga per 4 giorni mentre gli adulti possono vivere 3 – 4 settimane. Solo le femmine sono ematofaghe: il pasto di sangue, ripetuto ogni 3 – 4 giorni , è necessario per la maturazione delle uova che avviene in 2 – 4 giorni. Questi insetti sono generalmente attivi in un periodo di tempo che va da aprile ad ottobre (Tarlinton et al., 2012). La maggior parte dei culicoidi richiede un ambiente ricco in umidità per permettere lo sviluppo di uova e forme larvali. La disponibilità di un tale habitat è un fattore limitante la distribuzione, l’abbondanza

e l’evento stagionale (Mellor et al., 2000). Figura n.3: ciclo di sviluppo di un Culicoides.A: femmina adulta ematofaga, Culicoides nubeculosus su un ospite umano; B: uova a forma di sigaro; C: larva attiva semiacquatica di forma vermiforme; D: stadio di pupa; E: habitat di sviluppo larvale di C. imicola in Corsica; F: habitat di sviluppo larvale di C. parmensi in Brasile Fonte: Carpenter et al., 2013

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La trasmissione all’ospite vertebrato si verifica quando il vettore, dopo un pasto viremico, è in grado di replicare il virus che diffonde nel corpo dell’insetto (in particolare a livello delle ghiandole salivari). Al successivo pasto di sangue, il vettore inietta la saliva infetta nel nuovo ospite vertebrato.

Le specie di insetti ematofagi nelle quali è stato ritrovato il genoma virale di SBV in Europa sono: Culicoides obsoletus complex (C. obsoletus sensu strictu e C. scoticus), C. dewulfi, C. chiopterus (Elbers et al., 2013a, 2013b; Goffredo et al., 2013; Rasmussen et al., 2012, 2014; De Regge et al., 2012). Sembra che anche C. nubeculosus e C. punctasus abbiano la capacità di far replicare e di trasmettere SBV (Veronesi et al., 2013b; Balenghien et al., 2014).

C. imicola non è coinvolta nella trasmissione di SBV (Balenghien et al., 2014), mentre al contrario ben documentato è il suo ruolo ecologico nella trasmissione di un’altra importante arbovirosi, la Blue Tongue.

La competenza vettoriale non è stata dimostrata in laboratorio per nessuna delle specie sopramenzionate, eccetto che per C. scoticus, dal momento che è molto difficile far crescere questi insetti in laboratorio (Balenghien et al., 2014; Veronesi et al., 2013). La presenza del RNA virale è tuttavia stata confermata attraverso studi di campo. De Regge et al., 2012 hanno rilevato la presenza di SBV tramite RT – qPCR da pool di sole teste di insetti. L’idea che sottende a tale scelta è che la presenza del genoma nella testa suggerirebbe che anche le ghiandole salivari possano essere infette e quindi che l’insetto sia realmente amplificatore vettoriale. Uno studio condotto da Veronesi et al., 2013 avvalora la tesi sulla competenza vettoriale mediante analisi quantitativa di SBV per mezzo della RT – qPCR.

Dal 2011 al 2013, la SBV si è diffusa in molti paesi d’Europa, ad un tasso superiore a quello dell'epidemia BTV-8 che si è verificata nella stessa regione dal 2006 al 2010 (Elbers et al.,

2012; Meroc et al. ., 2013a, b). Parte di questo fenomeno potrebbe essere dovuto all'assenza

di restrizioni alle movimentazioni animali. E’ stato tuttavia ipotizzato che la competenza vettoriale di Culicoides per SBV possa superare i tassi registrati per BTV nel numero di specie in grado di trasmettere il virus o nella proporzione di individui all'interno di una specie in grado di agire come vettori.

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Poche sono le informazioni fino ad ora presenti sulla comprensione del ruolo delle zanzare nella trasmissione di SBV. Non è stata trovata alcuna traccia del RNA virale in circa 50,000 zanzare analizzate in Germania nel 2001 (Wernike et al., 2014b). Infezioni sperimentali per via orale condotti su Aedes albopictus e Culex pipiens non hanno dato evidenza di replicazione virale, sembra pertanto che queste due specie non possano essere considerati vettori di SBV (Balenghien et al., 2014). Si pensa che sia poco verosimile che il nascituro si possa infettare con SBV dopo lambimento ed ingestione di tali tessuti anche perché è stato dimostrato che il virus non si trasmette per via orale (Wernike et al., 2013 a).

4.2 Trasmissione verticale

Il virus di Schmallenberg può essere trasmesso verticalmente dalla madre alla prole. Malformazioni congenite riconducibili allo SBV sono state rinvenute in neonati con malformazioni, soggetti natimorti ed in aborti nella specie ovina, bovina e caprina (Van den Brom et al., 2012; Garigliani et al., 2012; Herder et al., 2012). Non è stata descritta la presenza di SBV nel latte, sebbene sia stata riscontrata positività nella placenta esterna e nel cordone ombelicale.

4.3 Trasmissione orizzontale

Il genoma virale è stato rinvenuto nelle feci, nella cavità orale e nelle secrezioni nasali in vacche inoculate sperimentalmente per via sottocutanea (Wernike et al., 2013 a). Nonostante tali rilievi, la trasmissione del SBV attraverso la via respiratoria ed orale sembra improbabile. Nel caso di bovini infettati per via orale o di pecore infettate per inoculazione nasale del virus non si è avuto riscontrodella presenza di RNA nel sangue (Martinelle et al., 201; Wernike et al., 2013 a). Dati emersi da ricerche condotte a riguardo della Blue Tongue e su BTV stesso, suggeriscono la possibilità di trasmissione del virus per mezzo dello sperma. La presenza del virus è stata confermata anche nel seme utilizzato per la fecondazione artificiale (FA). I tori infetti possono eliminare il virus tramite lo sperma, come confermano alcune ricerche di campo (Hoffmann et al., 2013; Schulz et al., 2014). E’ stato valutato anche il rischio di trasmissione virale al momento della FA tramite seme infetto. Studi precedenti avevano dimostrato la capacità del virus Akabane di infettare le bovine durante le operazioni di fecondazione artificiale (Parsonson et al., 1981). Comprendere meglio il ruolo del materiale seminale nel quadro della diffusione del virus è importante sia per ragioni sanitarie sia

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economiche, dal momento che molti Paesi hanno già imposto restrizioni nell’importazione di materiale seminale bovino e viene richiesta una certificazione sanitaria nei lotti di seme importato.

4.4 Meccanismo di Overwintering

SBV è primariamente trasmesso attraverso la puntura di insetti appartenenti al genere Culicoides. In Francia nel maggio del 2012, otto mesi dopo la probabile entrata del SBV nel Paese, si sono manifestati casi di malattia acuta nelle bovine, fenomeno dovuto o ad una reintroduzione del virus o alla capacità del virus di “svernare” (Sailleau et al., 2013b). L’overwintering del virus è stato poi confermato da studi portati avanti in Germania, dopo i fenomeni di malattia acuta avutisi nell’estate e nell’autunno del 2012.

Quando si parla di overwintering ci si riferisce alla capacità del virus di sopravvivere per lunghi periodi durante i quali l’attività del vettore è molto bassa ed alcun ospite sembra essere infetto. Sia l’attività dell’insetto che la replicazione virale all’interno dell’insetto cessa alle basse temperature per poi riattivarsi diversi mesi dopo (gli Arbovirus richiedono come temperatura minima di attivazione del metabolismo 10 – 14° C), un periodo di tempo molto più lungo rispetto all’emivita media di un insetto ed alla durata della viremia nell’ospite. Questo fenomeno è stato già osservato per altri virus che albergano all’interno di Culicoides come l’Akabane virus, BTV, African Horse Sickness virus. Ci sono tre modalità con cui il virus potrebbe teoricamente persistere (Wilson et al., 2008):

- Nella popolazione del vettore competente - Nella popolazione dell’ospite recettivo

- Attraverso una via di trasmissione alternativa in un ciclo che coinvolge una o più nuovi vettori o popolazioni ospiti.

Nel caso di SBV sono stati documentati diversi meccanismi di overwintering:

1. SBV potrebbe persistere all’interno del proprio ospite, sebbene questa evenienza sembra poco probabile considerando che la viremia negli adulti dura solo pochi giorni (Hoffman net al., 2012 b) ed il genoma virale non viene solitamente isolato nei soggetti malformati (Bouwstra et al., 2013; De Regge et al., 2013);

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2. Trasmissione transovarica del virus nel vettore: in letteratura è riportato uno studio (Larska et al., 2013 b) in cui la presenza SBV RNA è stata rivelata in femmine di C. obsoletus complex e C. punctatus (Larska et al., 2013 b);

3. SBV potrebbe persistere in insetti adulti durante l’inverno, ipotesi supportata dall’evidenza della trasmissione di SBV ai bovini nell’inverno del 2013 in Germania a seguito di un innalzamento di 5°C della temperatura per pochi giorni (Wernike et al., 2013 b).

4. Potenziali vettori al momento non conosciuti, potrebbero giocare un ruolo rilevante nella trasmissione e nell’overwintering di SBV.

In conclusione si può dire che SBV è capace di sopravvivere alle basse temperature (overwintering), rimane incerto l’esatto meccanismo con cui ciò avviene (EFSA 2014).

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CAPITOLO V: Immunità

Se si prende come esempio l’infezione causata da AKAV, virus largamente studiato nei decenni passati, è noto che l’immunità che si sviluppa dopo l’ infezione virale naturale è duratura e protegge da eventuali reinfezioni (Taylor and Mellor, 1994).

Sono poche al contrario le indagini sperimentali e di campo sino ad ora condotte ai fini di testare la durata dell’ immunità in corso di infezione da SBV. In uno lavoro sperimentale è stato evidenziato che nel bovino la durata dell’immunità è di almeno 56 giorni (Wernike et al., 2013). In questo studio, due giovenche, infettate sperimentalmente, erano risultate sieropositive. Reinfettandole 8 settimane dopo la prima sperimentazione, nessuna traccia di viremia è stata osservata. Indagini di sierosorveglianza condotte in Belgio nell’inverno tra il 2011/2012 ed il 2012/2013 (Meroc et al., 2013°a,b,c), hanno dimostrato che la sieroprevalenza in animali di età compresa tra i 12 ed i 24 mesi, campionati nel 2011/2012, non era molto differente dai risultati ottenuti in animali di età superiore ai 24 mesi testati tra il 2012/2013. Queste risultanze potrebbero significare che il livello degli anticorpi per SBV rimangono alti almeno per un anno (Meroc et al., 2013 c). Si deve comunque considerare che entrambe le indagini sierologiche non sono state effettuate sugli stessi animali, sebbene la metodologia e l’impostazione dei campionamenti fosse simile. La risposta immunitaria maggiormente coinvolta è quella umorale (Wernike et al.,2013).

Un gruppo di ricercatori in Spagna (Rodriguez – Prieto et al., 2014) hanno indagato la durata della risposta immunitaria in un gruppo di pecore che era stato notificato come positivo. A seguito dell’infezione naturale, le pecore gravide sono state reinfettate sperimentalmente. Gli autori hanno osservato lo sviluppo di una sieroconversione di grado variabile nelle madri e che era sovrapponeva al quadro immunitario degli agnelli. Al contrario, non è stata rinvenuta presenza di RNA virale, di segni clinici e di lesioni fetali. Questo ultimo ritrovamento denota il fatto che la risposta immunitaria sarebbe in grado di inibire la trasmissione verticale di SBV.

La viremia, i segni clinici e le malformazioni fetali indotte da SBV si manifestano in soggetti non immuni, i quali però sviluppano una immunità che li proteggerà contro una eventuale reinfezione successiva. Alla luce dei reperti ritrovati e descritti, si può concludere che gli animali sviluppano risposta immunitaria protettiva.

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CAPITOLO VI: Diagnosi

6.1 Diagnosi clinica

In corso di malattia di Schmallenberg è possibile rinvenire due diverse forme cliniche. Nei bovini adulti non gravidi, SBV provoca lievi sintomi clinici, piuttosto aspecifici, come la febbre (>40°C), calo della produzione lattea (anche fino ad un 50%), anoressia, diarrea, con ripresa dello stato di salute dell’animale nell’arco di 2 – 3 settimane (Gibbens 2012; Hoffman et al., 2012; DEFRA 2013; FLI 2013b). La fase viremica è di breve durata (da 1 a 6 giorni). Solitamente è possibile riscontrare questi sintomi durante la stagione attiva del vettore (da aprile a novembre). Le manifestazioni cliniche descritte non sono molto comuni nelle pecore e nelle capre adulte, sebbene per la specie ovina sia stata riscontrata diarrea mentre un calo delle produzioni di latte è stato rilevato in Olanda (DEFRA 2013; FLI 2013b).

Negli animali adulti gravidi, l’agente virale può rendersi responsabile di mortalità embrionale, aborto, natimortalità e malformazioni fetali. E’ possibile delineare una finestra di suscettibilità entro i limiti della quale l’infezione virale comporta lo sviluppo di effetti teratogeni. Nella pecora, questo periodo di suscettibilità è compreso tra il 28° ed il 60° giorno di gestazione (Parsonson et al., 1988) mentre nel bovino gli effetti teratogeni possono comparire tra l’ 80° ed il 150° giorno di gestazione. Quando il feto presenta malformazioni (soprattutto se articolari) riconducibili a SBV, di solito la bovina ha un parto distocico (Van den Brom 2012). Questi fenomeni malformativi sono stati descritti principalmente nelle pecore, tuttavia sono relativamente presenti anche nelle capre e nei bovini. Le malformazioni fetali sono simili a quelle che si possono osservare in corso d’infezione da Akabane virus. In generale le anomalie congenite osservate vengono raggruppate in un complesso sintomatologico che prende il nome di “sindrome dell’artrogriposi idrancefalia (AHS)”, termine con il quale si designano diverse condizioni: animale morto alla nascita, nato prematuro, feto mummificato, artrogriposi, malformazioni alla colonna vertebrale (cifosi, torcicollo, lordosi, brachignatia inferiore), atrofia muscolare, cecità (USDA - AOHIS 2012), malformazioni a carico del sistema nervoso centrale (idrancefalia, porencefalia, ipoplasia cerebellare e cerebrale). La sintomatologia clinica che si osserva è soprattutto neurologica: ipertonicità, depressione del sensorio, iperreflessia, strabismo ventrolaterale, incapacità di mantenere la stazione quadrupedale, incapacità di attaccarsi alla mammella (Garigliany et al., 2012).

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6.2 Diagnosi differenziali di SBV

Le principali malattie infettive da considerare in diagnosi differenziale alla malattia di Schmallenberg sono:

- Bluetongue disease

- Epizootic haemorragic disease (EHD) - Q Fever

- Foot and mouth disease (FMD)

- Bovine viral diarrhea (BVD) e Border Disease nelle pecore - Bovine herpesvirus type 1 ed altri herperviruses

- Rift Valley disease

- Bovine ephemeral fever (BEF) - Akabane virus

- Aino virus

- Cache valley virus - Chuzan virus - Wesselbron disease

6.3 Diagnosi anatomo-patologica

Negli animali adulti non gestanti, non sono stati rinvenuti lesioni ascrivibili all’infezione da SBV.

Al contrario, nei bovini e negli ovi – caprini neonati, è possibile riscontrare una vasta gamma di lesioni fetali e neonatali. Il virus della malattia di Schmallenberg ha azione teratogena, è causa dello sviluppo di malformazioni fetali, soprattutto a livello del sistema nervoso centrale, dell’apparato scheletrico e del sistema muscolare.

Le anomalie congenite più caratteristiche sono: artrogriposi, condizione caratterizzata da persistente flessione di un’articolazione. I gruppi muscolari corrispondenti alle articolazioni sono ipoplastici, ossia hanno uno sviluppo incompleto con riduzione in numero ed in diametro

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delle miofibrille, possibile perdita delle striature e variabile sostituzione con tessuto adiposo (Herder et al., 2012; Seehusen et al., 2014); nel SNC le più comuni lesioni descritte sono idranencefalia, porencefalia, idrocefalo, ipoplasia cerebellare, micromelia. Istologicamente è possibile riscontrare una meningoencefalite non suppurativa caratterizzata da spessi manicotti di cellule linfoidi a localizzazione perivascolare, con interessamento della sostanza bianca e grigia. L’idranencefalia si accompagna a perdita del neuroparenchima, accumulo di gitterzellen, edema, vacuolizzazioni, microgliosi (Herder et al., 2012). Gli animali spesso mostrano anche malformazioni scheletriche quali la lordosi, cifosi, scoliosi, torcicollo e brachignatismo inferiore (Herder et al., 2012).

Figura 4: (1) feto abortito ovino con artrogriposi, torcicollo e brachignatismo inferiore; (2) ipoplasia cerebellare in un feto bovino; (3) cervello di un feto bovino: idrocefalo e porencefalia (freccia) nel parenchima cerebrale adiacente; (4) cervello di capra: aggregato di cellule linfocitarie e macrofagiche; (5) cervello di capra: noduli gliali della microglia e macrofagi; (6) cervello di pecora: cromatolisi con dispersione della sostanza di Nissl, rigonfiamento, ed eosinofilia citoplasmatica omogenea di un neurone; (7) cervello di vitello: neurone ipereosinofilico e necrotico; (8) midollo spinale cervicale di un vitello: micromelia con grave riduzione della sostanza grigia e pochi neuroni in uno dei due corni ventrali. Fibrosi a livello della meninge ventrale (asterisco). HE; (9) muscolo scheletrico di pecora: ipoplasia mio fibrillare e retaggi di fibre muscolari normali (asterisco) . Fonte: Herder et al., 2012

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6.4 Diagnosi di laboratorio

L’EFSA ha delineato i termini di “caso” e gli standard diagnostici per SBV. Tali linee guida sono state adottate dagli Stati Membri dell’Unione Europea (EFSA 2012).

Caso sospetto: feto con due o più segni di artrogriposi, idranencefalia, anormalità spinali

come cifosi o scoliosi, malformazioni articolari, paralisi agli arti ed atrofia muscolare (Afonso et al., 2014). Cecità e comportamenti anomali dei neonati sono anch’essi indicativi di malattia di SBV.

Caso confermato: rilevamento del virus o del suo genoma attraverso PCR o isolamento virale

da campioni di animali. Oppure, rilevamento del virus o del suo genoma attraverso PCR in insetti vettori.

L’aspecificità delle manifestazioni cliniche riscontrabili negli animali adulti non gravidi in corso di malattia di Schmallenberg rendono difficile, se non impossibile, la sua diagnosi. L’aborto e le malformazioni fetali possono essere confusi con numerosi altri virus. L’indagine clinica ed anatomopatologica possono fornire un vago sospetto, il quale poi dovrà essere confermato tramite indagine di laboratorio.

La diagnosi di infezione da SBV può essere realizzata mediante:

- Diagnostica diretta: isolamento virale, rilevo del genoma virale nel campione

- Diagnostica indiretta: valutazione della risposta sierologica negli animali venuti a contatto con il virus.

I campioni da prelevare in caso di sospetto sono i seguenti:

- Feto: cervello, milza, sangue in provetta EDTA, meconio, placenta, liquido amniotico. - Madre: sangue in EDTA o siero.

6.4.1. Diagnostica diretta

Isolamento virale

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L’isolamento virale rappresenta il golden standard test. Il virus può essere isolato su numerosi tipi di cellule: KC cells (larve di Culicoides variipennis cells), BHK – 21 cells, cellule Vero. La crescita di SBV su colture cellulari determina un forte effetto citopatico (Hoffmann et al., 2012; Van Der Poel et al., 2013). Altre colture sulle quali è stata dimostrata la crescita di SBV sono: CPT – Tert cells, le quali sono cellule in linea continua di plesso corioideo derivato dalla specie ovina. (Varela et al., 2013).

Topi sperimentalmente infettati mediante inoculazione di SBV hanno mostrato: perdita peso e taluni animali sono morti (Wernike et al., 2012). In alcuni casi, si è osservato solo viremia e sieroconversione (Sailleau et al., 2013; Ponsart et al., 2014).

Tecniche biomolecolari: RT – qPCR

La RT-qPCR (reverse transcriptase real time PCR) è largamente utilizzata. Sono stati descritti diversi protocolli, tuttavia, quello maggiormente utilizzato è il SBV S3 assay, sequenza target per il segmento S del genoma virale (Bilk et al., 2012). Sembra che questo protocollo sia il più sensibile per la diagnosi di SBV mentre il più specifico è quello che utilizza primers diretti verso il segmento M (SBV M1) (Fischer et al., 2013). Un limite di questa tecnica è che il riscontro di RNA virale nel bovino è di breve durata (Hoffman et al.,2012; Wernike et al., 2013) e pertanto il range di tempo entro il quale è possibile riscontrare positività virale nei tessuti e nel sangue è molto ristretto. Nei soggetti malformati e nei neonati, il genoma virale è presente soprattutto nei fluidi placentari, nel cordone ombelicale e nel sistema nervoso centrale (Bilk et al., 2012), bisogna tuttavia sottolineare che la positività non è sempre rilevabile in soggetti con infezione da SBV. Da alcuni studi (De Regge et al., 2013) è emerso che spesso l’assenza di RNA di SBV si accompagna a positività per anticorpi contro lo stesso virus. Da tali evidenze si può concludere che, nei soggetti neonati e nei malformati, al fine di avere un dato diagnostico di positività il più attendibile possibile per la malattia di Schmallenberg, è consigliabile condurre test molecolari e sierologici in contemporanea.

Immunoistochimica

Tecniche di immunoistochimica sono state utilizzate per la diagnosi di SBV su tessuti fissati in formalina. In uno dei protocolli sperimentati, è stato scelto come anticorpo primario un anticorpo monoclonale allestito contro il Tinaroo virus (Peperkamp et al., 2014). Circa un anno più tardi, Valera et al., 2013 hanno allestito un anticorpo policlonale che riconosceva quale antigene una nucleoproteina di SBV. Dal momento che la replicazione del virus avviene

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in sede citoplasmatica, la colorazione risultante era appunto citoplasmatica e le cellule nelle quali è stata riscontrata la positività per IHC sono stati i neuroni della corteccia cerebrale, del tronco cerebrale e del midollo spinale (Peperkamp et al., 2014; Valera et al., 2013).

Ibridazione in situ

L’ibridazione in situ è in grado di rilevare sequenze del genoma virale da porzioni di tessuto. Uno dei protocolli sperimentati per SBV a partire da campioni in paraffina, prevedeva l’utilizzo di sonde specifiche per una parte del segmento S (Hanh et al., 2013). Positività per SBV sono state rivenute in clusters di neuroni sparsamente localizzati a livello del cervello, cervelletto, midollo allungato e midollo spinale. La sensibilità della metodica è stata tuttavia bassa (Hanh et al., 2013).

6.4.2. Diagnostica indiretta

La sieropositività negli animali adulti può essere indagata mediante svariate metodiche ELISA e con test di sieroneutralizzazione virale (VNTs) (Loeffen et al., 2012; Breard et al., 2013; Afonso et al., 2014).

ELISA

Sono stati sperimentati diversi protocolli: un primo protocollo prevede l’utilizzo di un antigene ricombinante della nucleoproteina del virus (Breard et al., 2013); in una seconda procedura, è stato utilizzato l’intero virus (van der Heijden et al., 2013). In commercio vi è anche una ELISA competitiva. Un test sierologico come l’Elisa permette di analizzare molti campioni in poco tempo. Lo svantaggio però è che molti kit non sono in grado di discernere virus diversi all’interno del sierogruppo Simbu. Per ovviare a questo problema, è necessario procedere con prove di sieroneutralizzazione. Sebbene la VNTs sia maggiormente specifica, si tratta comunque di una metodica che richiede del tempo e delle attrezzature adeguate. Oltre ai campioni di siero, anche i campioni di latte possono essere sottoposti al test Elisa (diversamente non si possono utilizzare per la sieroneutralizzazione poiché il latte è tossico per le cellule). Le indagini sierologiche possono essere effettuate sia su latte di massa al fine di valutare il livello di esposizione dell’intero allevamento delle vacche da latte (Balmer et al., 2014; Hamphries and Burr 2012; Johnson et al., 2014; Tarlinton and Daly 2013) oppure su latte individuale al fine di indagare l’esposizione virale di ciascuna bovina (Daly et al., 2015).

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29 Sieroneutralizzazione

Sono stati descritti diversi protocolli di sieroneutralizzazione per la diagnosi della malattia di Schmallenberg (Brèard et al., 2013; Loeffen et al., 2012; Mansfield et al., 2013). Tale metodica si basa sulla capacità degli anticorpi neutralizzanti di inibire la comparsa dell’effetto citopatico che solitamente SBV determina sulle colture cellulari. La sieroneutralizzazione è considerato il Golden Standard Test nel rilevamento di anticorpi contro SBV (Brèard et al., 2013; van der Heijden et al., 2013). I vantaggi derivanti dall’impiego di questa metodica sono duplici: può essere condotta su tutte le specie animali, dal momento che non è specie specifica; offre risultati quantitativi che permettono di seguire l’andamento degli anticorpi nel tempo (Mansfield et al., 2013). Al contempo però ha degli svantaggi: la procedura necessita di tempo (solitamente sei giorni) e non è automatizzabile (Brèard et al., 2013).

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CAPITOLO VII: Strategie di sorveglianza e misure di controllo

Per valutare l'impatto del virus a livello di Unione Europea (UE) e la sua possibile ulteriore diffusione, occorrono dati di sorveglianza provenienti da tutti gli Stati membri dell'UE. L’ EFSA, sulla base della esperienza acquisita nella valutazione dei rischi connessi ad altre malattie a trasmissione animale e vettoriale, collabora con gli Stati membri, per garantire che i dati epidemiologici offrano una panoramica epidemiologica continuamente aggiornata della situazione in Europa. Nel corso dell'intero processo, l'EFSA condivide periodicamente le relazioni sullo stato e l'analisi dei dati raccolti. E’ stato creato nel tempo una cospicua rete tra Organizzazioni ed Enti nazionali e sovranazionali provenienti dai più svariati ambiti: dagli organismi veterinari, ai ministeri dell’agricoltura, agli istituti di ricerca, alle agenzie di sicurezza alimentare, di sanità pubblica ed alle associazioni allevatori. Tutti i paesi dove SBV è stato isolato in RT-PCR vengono inclusi nei programmi di sorveglianza (tabella n.6). La sorveglianza della malattia attuata nella maggior parte dei paesi è di tipo passiva: ai veterinari viene chiesto di mandare, presso laboratori diagnostici, campioni (SNC in particolare) di soggetti natimorti o che mostrano segni di malformazione come artrogriposi, torcicollo, scoliosi, brachignatia, idranencefalia. Sui campioni sospetti vengono condotte indagini molecolari (RT PCR).

La malattia di Schmallenberg non è una malattia soggetta a notifica obbligatoria secondo l’OIE. Fanno eccezione alcuni Paesi che hanno reso la malattia notificabile (Germania, Francia, Olanda ed Irlanda). Francia ed Irlanda attuano programmi di sorveglianza entomologica per identificare le specie di culicoidi competenti per il ciclo di SBV e programmi di sorveglianza sierologica attraverso bovini sentinella. Tale approccio si è dimostrato utile nel rilevare precocemente la circolazione virale durante i recenti casi di riemergenza della malattia (Collins et al.,2016 b; Gache et al., 2017). Controlli sierologici periodici sul latte di massa vengono considerati buoni strumenti di monitoraggio e sorveglianza (Madouasse et al., 2013, 2014).

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31 Figura 5 NA: nessuna risposta; NR: no casi riportati. La tabella rappresenta le organizzazioni partecipanti al network di sorveglianza per SBV ed le metodiche utilizzate per la diagnosi di certezza del virus. Fonte: Afonso et al., 2014.

7.1 Misure di controllo nei confronti di SBV in Europa

Non vi sono specifiche misure incluse nella legislazione europea nell’ambito delle strategie di controllo dei focolai di SBV. L’UE non applica alcuna restrizione alle movimentazioni di carne, latte ed altri sottoprodotti di origine animale (SANCO/7012/2012) (Commissione Europea 2012). Vi sono al contrario severe restrizioni nell’esportazione di materiale seminale: molti paesi extracomunitari richiedono una certificazione sanitaria sui lotti di seme che vengono esportati.

7.1.1. Controllo del vettore (EFSA’s vector borne disease storymap 2017)

Il controllo ambientale della popolazione vettoriale può essere fisico o chimico.  Controllo fisico

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32  Larvae di Culicoides spp: rimozione dei siti di riproduzione degli insetti all’interno dell’allevamento. Questa forma di controllo ambientale sembra che sia poco utile nel ridurre il numero degli insetti.

Adulti di Culicoides spp: presenza di reti anti insetto in allevamento al fine di evitare il contatto tra vettore infetto ed animale suscettibile. Le reti dovrebbero essere impregnate di sostanza insetticida.

 Controllo chimico

Larvae di Culicoides spp: viene considerato impossibile da portare avanti, poichè le larve sono ubiquitarie. Al momento, nessun insetticida è registrato in EU per il trattamento larvale.

Adulti di Culicoides spp: utilizzo di insetticida che viene sprayzzato negli ambienti. L’autorizzazione al commercio ed all’utilizzo dei biocidi in EU viene garantito dall’ European Chemicals Agency (ECHA). Sembra che abbia dato buoni risultati il trattamento esterno sugli animali durante la stagione di maggiore attività del vettore, ossia nei mesi estivi (Helmer et al., 2013) e nel periodo di suscettibilità al virus per gli animali gestanti. La Deltametrina, insetticida della categoria dei piretroidi, ha dato buoni risultati nel determinare un decremento della popolazione vettoriale (Weiher et al., 2014).

Allevamenti a stabulazione fissa riducono l’esposizione degli animali alla puntura dei culicoidi (Helmer et al., 2013). Se, al contrario, gli animali vengono mandati al pascolo, sarebbe buona pratica farli rientrare prima del tramonto essendo questa, l’ora di massima attività del vettore. Anche la rimozione frequente delle deiezioni può essere una buona pratica di prevenzione (Helmer et al., 2013). Al fine di proteggere le femmine gravide, si potrebbe programmare il periodo delle inseminazioni nei mesi in cui si ha una decrescita del numero dei culicoidi (Helmer et al., 2013). E’ sempre comunque da tener conto la reale fattibilità di tali scelte dal momento che, variazioni temporali nella nascita degli agnelli possono tradursi in prezzi e vendite ridotte (Lievaart – Peterson et al., 2015).

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Sebbene diversi vaccini spenti siano stati allestiti e messi in commercio, l’effettivo utilizzo da parte degli allevatori è raro. SBV sembra avere un basso impatto economico e pertanto i costi per la vaccinazione potrebbero non essere giustificabili (Lievaart – Peterson et al., 2015). ZULVAC SBV è stato approvato dall’European Medicine Agency (EMA) ed è un vaccino veterinario usato per proteggere bovini ed ovini a partire dai 3,5 mesi di età contro il virus di Schmallenberg, riducendo la viremia. Il vaccino viene somministrato al bestiame sotto forma di due iniezioni di 2 ml nel muscolo del collo a distanza di tre settimane e alle pecore sotto forma di singola iniezione di 1 ml sotto la pelle dietro al gomito. Per le pecore, la vaccinazione deve essere effettuata almeno due settimane prima dell’accoppiamento per ridurre la viremia e l'infezione dell'embrione durante il primo trimestre di gravidanza. Per le vaccinazioni di richiamo nei bovini devono essere somministrate con frequenza annuale due iniezioni di 2 ml a distanza di tre settimane. Per la vaccinazione di richiamo negli ovini non riproduttori deve essere somministrata una singola iniezione da 1 ml con frequenza semestrale, mentre negli ovini riproduttrici di sesso femminile deve essere somministrata una singola iniezione da 1 ml almeno due settimane prima della riproduzione. Nei bovini la protezione inizia due settimane dopo la vaccinazione e dura 12 mesi. Negli ovini la protezione inizia tre settimane dopo la vaccinazione e dura sei mesi.

La vaccinazione viene effettuata prima dell’accoppiamento per prevenire la trasmissione transplacentare del virus dalla madre al feto.

Gli studiosi stanno portando avanti ricerche su mutanti deleti di SBV per produrre in futuro vaccini vivi attenuati.

7.2 Trattamento

Non è previsto alcun tipo di trattamento farmacologico per la malattia di Schmallenberg.

7.3 Sorveglianza e misure di controllo in Italia

A seguito della conferma del primo caso di SBV sul territorio nazionale (Nota DGSAF III/3277 20.2.2012), il Ministero della Salute ha fornito indicazioni relative alle attività di sorveglianza nei confronti dell’infezione da SBV sul territorio italiano attraverso la Nota Min Sal 4 aprile 2012.

La malattia di Schmallenberg non è una malattia a denuncia obbligatoria, tuttavia il rafforzamento della sorveglianza passiva sugli aborti, la natimortalità e sulle malformazioni

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fetali, è uno strumento fondamentale di raccolta dei dati ai fini della valutazione del significato epidemiologico della malattia. Nell’attesa dell’emanazione di un’ eventuale specifica norma comunitaria in futuro, vi è al momento l’obbligo di debito informativo all’EFSA per la raccolta di tutti i dati epidemiologici utili a determinare l’impatto e la distribuzione della malattia in Europa.

Il sospetto, come definito nella Nota del Ministero della Salute del 4 aprile 2012, deve essere formulato qualora si riscontri una sintomatologia compatibile a quella determinata da infezione da virus di Schmallenberg:

- in feti e/o vitelli/agnelli/capretti nati malformati, presenza di artrogriposi, idranencefalia, mummificazione o deformità, nonché, alla nascita, presenza di atassia, paralisi, atrofie muscolari, torcicollo, brachignatia, cecità o alterazioni del sistema nervoso o natimortalità non chiaramente attribuibili ad altre cause

- in animali adulti ruminanti con fenomeni di diarrea ed imponente riduzione della produzione lattea di breve durata non chiaramente riconducibili ad altre cause.

La definizione di caso confermato, in base a quanto stabilito nella Nota Ministeriale del 4 aprile 2012, è la seguente:

 rilievo del virus o del suo genoma con prove diagnostiche dirette (PCR, isolamento virale), o indirette (sierologiche) svolte sugli animali sospetti

 il rilievo del virus o del suo genoma in insetti vettori tramite PCR

In caso di sospetto devono essere intraprese una serie di attività:

1. censimento e il rintraccio degli animali della medesima azienda in cui si trova il caso sospetto

2. prelievo di campioni ed invio al CESME (Centro di Referenza delle Malattie Esotiche degli animali) che effettua la diagnosi diretta ed indiretta di tale malattia. I campioni devono essere accompagnati da una scheda di notifica di sospetto al SIMAN (Sistema Informativo Malattie Animali Nazionale) con indicazioni su:

 numero totale dei capi e delle femmine adulte (> 12 mesi per i bovini, > 6 mesi per gli ovi- caprini);

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 capi introdotti da aree con casi confermati solo per gli ovi – caprini. Per i bovini tali informazioni sono estrapolate direttamente dal CESME attraverso la BDN;

 dati su problemi di riproduzione.

3. il censimento e la visita clinica dei ruminanti presenti nelle aziende collocate nel raggio di 4 km dall'azienda nella quale è stato rilevato il caso sospetto.

4. Posizionamento nell’azienda nella quale è stato rilevato il caso sospetto di una trappola per Culicoides ed effettuare le catture per due notti consecutive

Ogni sospetto dovrà essere tempestivamente comunicato da parte del Servizio Veterinario competente all'Ufficio III della Direzione Generale della Sanità Animale e dei Farmaci Veterinari e al CESME e registrato sul Sistema Informativo Malattie Animali Nazionale.

Campioni da prelevare in caso di sospetto

Dal feto abortito o dall’animale nato malformato, devono essere prelevati i seguenti organi: - Cervello o feto intero se di piccole dimensioni

- Milza

- Sangue con anticoagulante (EDTA) - Meconio

- Placenta

- Liquido amniotico

Dalla madre del feto abortito o del nato malformato è necessario procedere al prelievo di sangue con anticoagulante (EDTA) e siero.

Tutti i campioni prelevati vanno opportunamente identificati e registrati nelle apposite schede per il loro invio al CESME. I campioni di tessuto o di organi devono essere posti in recipienti separati, sigillati ed etichettati e poi sistemati in recipienti più grandi avvolti da una quantità sufficiente di materiale assorbente per proteggerli da eventuali danni ed assorbire il liquido che dovesse fuoriuscire. I campioni devono essere conservati a temperatura frigo, ma qualora si preveda che impiegheranno più di 24 ore per arrivare al laboratorio di destinazione, dovranno essere mantenuti ad una temperatura inferiore ai 70° C.

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Nel caso di conferma del sospetto è necessario:

 confermare il caso sul SIMAN

 effettuare l'indagine epidemiologica al fine di accertare l'origine dell'infezione  effettuare il prelievo di sangue su tutto l'effettivo dell'allevamento.

Riferimenti

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