1.2 LA FORESTA
1.2.10 L’EPOCA POSTINDUSTRIALE
L’atteggiamento di dominio nei confronti della natura affermatosi con la rivoluzione scientifica del Seicento si è espresso ai massimi livelli nell’era industriale e ha continuato a rafforzarsi col progredire della civiltà tecnologica e con l’affermarsi di un utilitarismo sempre più intransigente.
L’uomo civilizzato, sostiene Paci (2002), non pensa alla natura come all’ambiente in cui inserire una vita sociale, ma come ciò che le si contrappone; tale scissione, secondo l’autore, “ha originato una crescente tensione al ricongiungimento, che richiama alla mente la teoria dell’eterno ritorno di Nietszche”. Quando, specifica Paci (2002), si divora la natura e si brucia la vita nell’apparenza e nella ricerca del successo, viene meno la profondità del tempo, e con lei il senso di una memoria collettiva: “E’ come se mancasse il quadro di riferimento dell’esistenza. Per questo l’uomo occidentale di oggi - protagonista di un’epoca che bisogna soprattutto attraversare, consumando di corsa quel che c’è lungo il cammino - si lascia prendere dalla nostalgia di tempi lontani e si abbandona al ricordo di una grande madre verde, negli ultimi tempi troppo trascurata” (Paci, 2002). E questo senso di incompletezza di chi si rivolge al passato per ritrovare la propria identità, termina Paci, si traduce nell’ossessione della morte, indizio evidente del declino della civiltà occidentale.
La “grande madre verde” in quest’epoca viene identificata soprattutto con la foresta: riemerge la nostalgia della foresta, come nostalgia di un paradiso perduto.
1.2.10.1 L’ecologia della mente
E’ ormai risaputo che molte foreste sono in pericolo di vita. Soprattutto in Africa e in Sua America molte foreste primigenie rischiano l’estinzione a causa dello sfruttamento indiscriminato delle risorse (minerarie, petrolifere,…) o della costruzione di strade.
Con l’estinzione di queste foreste sono destinate a scomparire anche le antiche culture che vivono in un rapporto simbiotico con esse, e tutto ciò ha conseguenze disastrose sul piano ecologico, ma anche sul piano antropologico.
“La tecnologia aggredisce, assieme alla cultura dei nativi, la parte della civiltà occidentale che ancora culla l’immaginazione. In questo senso la foresta equatoriale non è solo elemento di equilibrio bio-ecologico per il pianeta, e non è solo contenitore di diritti umani, bensì anima che a poco a poco scompare da una terra che appartiene a tutti” (Paci, 2002).
Lo scienziato americano Gregory Bateson (antropologo, biologo e psichiatra) delineò alla fine degli anni sessanta le origini di una nuova disciplina: l’ecologia della mente. Egli “era interessato a cogliere i parallelismi tra i processi del pensiero e quelli dell’evoluzione biologica, al fine di mettere in relazione il mondo fisico e biologico con quello del pensiero, delle idee…e pensare così in modo unitario, ciò che la nostra prevalente tradizione culturale degli ultimi secoli aveva separato: la mente e il corpo, la società e la natura” (Tamburini, P.8).
8 Tamburini P. (2001-2007?). Verso una comunicazione ecologica.
Come i sistemi viventi anche la mente è un aggregato di parti interagenti, e nell’evoluzione del pensiero, al pari di quanto avviene in quella biologica, il nuovo nasce dal disordine casuale.
Secondo Bateson la conoscenza umana è solo una piccola parte di un più ampio conoscere integrato capace di tenere unita l’intera biosfera. Uomo e natura sono due entità dinamiche in reciproca e continua informazione: i cambiamenti del primo si riflettono sulla seconda e viceversa.
Si tratta di una concezione che consente di capire meglio quelle che sono le patologie, le distorsioni e le dinamiche pericolose in cui possono incorrere tutti i sistemi viventi (un uomo, un bosco, una società).
“Detto altrimenti, l’inquinamento della biosfera e quello della semiosfera sono due facce dello stesso problema. Come la biosfera, anche la semiosfera è limitata, può saturarsi; se oggetto di sfruttamento e manipolazione impropria non si riduce che a rumore, spazzatura segnica, come tanti esempi della comunicazione pubblica, della televisione ci testimoniano. Siamo quotidianamente bombardati da una moltitudine di informazioni che anziché tradursi in conoscenza producono smarrimento. Bateson, introducendo il tema dell’inquinamento del mondo comunicativo, ci ha aiutato a cominciare a capire il perché” (Tamburini, 2001-2007?).
1.2.10.2 La foresta e la steppa
Due caratteristiche descrivono propriamente l’intervento dell’uomo civilizzato suo patrimonio forestale: l’ampiezza e l’irreversibilità (Marsh, 1988). Deforestazione, effetto serra, cambiamenti climatici, perdita della biodiversità: Paci la chiama sindrome del deserto, che ogni giorno cresce di più soprattutto in Occidente, e si chiede in che modo si vivrebbe se la desertificazione, già a buon punto nella fascia intertropicale, avanzasse fino a far scomparire le foreste del pianeta.
Paci risponde a questa domanda citando il racconto di Anton P. Checov: La steppa. Scritto nel 1888, ma quanto mai attuale, narra il viaggio del piccolo Egoruska, accompagnato in città per studiare. In realtà, sottolinea Paci, “la vicenda è un pretesto per descrivere gli stati d’animo evocati dal paesaggio russo centro-meridionale, cioè l’inerzia, la monotonia e il senso di morte che piombano nel cuore dell’uomo immerso nella steppa: lì la presenza di un albero solitario non fa altro che sottolineare il senso di smarrimento che emana da una pianura senza fine”.
Il protagonista del racconto è la steppa, tuttavia il fantasma della foresta si avverte di continuo, si percepisce che chi vive in quelle terre ha bisogno di alberi per uscire dall’angoscia.
Steppa e angoscia sono due motivi ricorrenti nella produzione artistica dei russi; per essi la steppa ha rappresentato uno specchio in cui riflettere la propria rassegnazione. “Forse è per questo che l’albero ha rappresentato per il popolo russo il simbolo su cui proiettare qualcosa di diverso, magari la speranza di evadere da una vita senza un orizzonte definito, steppa quotidiana in cui gli avvenimenti storici lo hanno spesso relegato. Forse è per questo che, soprattutto nella letteratura russa dell’Ottocento…la foresta ha rappresentato quasi una fonte
di sopravvivenza a tanta indeterminatezza di paesaggio, un elemento di definizione spaziale capace di agire anche a livello interiore” (Paci, 2002).