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l ’epopea della patria.

Se, c ome è stato detto, la G e r m a n i a è “ il fiore prediletto del giardino mon di al e „ i Nibelunghi ne s ono il profumo acut o e caratteristico.

È o pp or tu no, o giovani, che voi lo c on osc ia te, q ue st o po ema, p er ch è così c o n o s c e r e t e meglio i nostri nemici.

Sigfrido è un giovane eroe, un dio in forma umana; ha c onqui st at o un immens o tesoro, ha uc cis o un terri­ bile dra go che col s uo s a n g u e lo ha reso invulnerabile; ha un elmo, col quale può divenire invisibile, ed una s p a d a a cui nulla resiste: la Bal mung. Dal s uo castello egli va a Worins, alla corte dei Burgundi, attratto dalla fama di una donzell a che ha nome Crimilde ; e si fa c o m p a g n o di g u e rr a di Gunter, re dei Burgu nd i e fra­ tello di Crimilde.

Al di là del mare è una regina c h iamat a Brunilde di mirabile forza e bellezza : chi vuol g u a d a g n a r n e

l’a mo re deve battersi in duello con lei, e, se s o cc ombe , è ucciso.

G u n t e r è p re so dalla brama di farla s ua s posa, e i nvoca l’aiuto di Sigfrido, che lo promette, pu rc hé a lui sia c o n c e s s a Crimilde. E vanno fra i misteri delle n eb bi e nordiche. Reso invisibile d al l’ elmo, Sigfrido comba t te a fianco di Gunter, e vince Brunilde. A W o r m s si cel eb ra no le d o p pi e nozze. Ma alla sera Brunilde è ripresa dalla sua a rde nt e p a s s io n e per la lotta, e a doma rla è c hiamato u n ’altra volta, dal marito, Sigfrido invisibile. Ma egli ora le p r e n de l’anello e la cintura d ’oro, e ne fa d ono a Crimilde. D ono funesto ! Crimilde e Sigfrido vanno nel loro re gno dei N ib e ­ l u n g h i / d o n d e , d o p o dieci anni, tornano a W o r m s a visi­ tare i parenti. Una c on te sa s o r / e tra le d u e orgogliose regine mentre ass is ton o ad. un torneo, circa il valore dei loro mariti; e la c on tes a risorge il giorno s egue nte , dinanzi alla porta della chiesa. Brunilde vuole essere la prima ad entrare, p er ch è per lei Sigfrido non è che un vassallo di Gunter. Allora nella collera Crimilde le rivela il segreto c h ’ella conosce: “ È stato Sigfrido, non Gunter, che I’ ha d o ma t a due volte E in prova le mostra l’ anello e la cintura d ’ oro. La fiera Brunilde costringe il marito a far v en det t a d e l l’oltraggio e trova un ese cut ore in Hagen, valoroso cavaliere e parente del re. A Sigfrido non g iovano nè le s c u s e nè i servigi prestati ; e la s ua morte è decisa. Si finge una s p e d i ­ zione contro i Sassoni alla quale deve p re nde r parte a nche Sigfrido. Crimilde, a c c i o c ch é Ha gen lo protegga, gli svela un s egreto del marito. Questi, q u a nd o si

immerse nel s an gu e del drago, divenne invulnerabile in tutto il corpo, eccetto in una spalla, là dove gli c a d d e una foglia di tiglio che impedì al s a n g u e di p r o du r re il suo m agi co effetto ; e q uella spall a quindi ha b is o gn o di e ss er e difesa. P e r consiglio di Hagen, Crimilde c u ce u na cro ce di s eta sulla sopravveste, proprio sul punt o vulnerabile. La s ped iz i on e c o mi nc ia, e poiché Hagen ha b ene o sse rv at o la croce, fa venire finti mess aggier i di p ace del re di Sa s so ni a , e la s p e ­ dizione allora si mu ta in una caccia. Sigfrido, mentre a ss et at o si china a be re a una fontana nella foresta, è trafitto da Hagen, e il suo c a d a ve r e è nella notte portato davanti alla c a m e r a di Crimilde, a c c i o c c h é ella stessa, nell’a n da r e a m e s sa la mattina p e r tempo, f accia la terribile scoperta. “Morte all’a s s a s s i n o , , , grida Crimilde. Ma chi fu ? 11 giorno dei funerali, q u a n d o Ha gen si avvicina alla bara, le p ia g he del morto si r i apr ono e g e m o n o san gu e. È lui dunque! Crimilde lascia che il figliuolo torni nel re gn o dei Nibelunghi, c d ella ri­ mane sul luogo del dolore, a t t e n d e n d o l’ora della v e n ­ detta.

Tr adit ori e ladri, i fratelli ed Ha gen le r a p i s c o n o il tesor o del marito, e lo n a s c o n d o n o in fondo al Reno.

Pa ssa ti invano 15 anni, ella a cc o ns en fe a divenire la moglie di Attila, e d o p o altri 13 anni invita i fr a­ telli a visitarla. Vanno i fratelli, e con loro è Hagen, che cinge sfa cc ia tame nt e la s p a d a di Sigfrido, la l eg­ g e n da r ia Bal mung.

L’ ora è giunta. Crimilde fa venire nella sala del b a n ch e tt o il piccol o figlio che ha avuto da Attila, p e r ­

chè serva di pretesto alla strage dei Burgundi. Q u a n d o Hagen si accorge della rete in cui e ra no caduti, a u d a ­ c emente grida : “ Bevi amo alla memoria di Sigfrido, e paghiamo il vino del re „. E vibra un tal c olpo al fan­ ciullo che la s ua te st a balza nel g r e mb o della madre. Comincia una mis chia feroce. Migliaia di guerrieri sono scannati; i Bu rg undi si d if end on o di sp er at ame nt e, e per distruggerli s ’i n c e n d i a invano la sala. Alfine T e o d o r i c o di Verona ferisce Ha gen, lo i n c at e n a e lo porta a Crimilde. Costei vuole ora s a p e r e da lui dove ha na sc os to il te­ soro di Sigfrido. Ma egli ha giurato di non rivelarlo fino a tanto che viva uno dei suoi signori. Vive a ncor a Gunter; e Crimilde fa tagliare la testa al fratello, e la p re sen ta ad Hagen, che sata ni camen te imperturbabile d i c e : “ Ness un o, ora, a l l ' i nf uo ri di Dio e di me, sa d o v ’è n as cos t o il tesoro; e per te, d o n na d ’ inferno, re­ s ter à s e mp r e un mistero „. Crimilde, strappandogli la s p a d a di Sigfrido, gli taglia la testa ; ed ella stessa viene uc ci s a dal maestro d ’ armi di T e od o ri c o , Ilde­ bra nd o, inorridito a tanta ferocia.

Q u e st o è il p o em a che i tedeschi stimano come il più g r a n d e d o p o i poemi di O me r o , come

l ’Iliade

del Germanesimo;

a cui a ttribuis cono una profonda

efficacia, non solo estetica, ma a nche morale; che incute l’i mpr es si on e s p a v e n t o s a e v e ne r a n d a del sublime; che descrive la vita u m a n a in ge ner e e la vita t e d es c a in ispecie; i cui eroi hanno per dote p r e c ip u a la fedeltà; il cui sostrato f on d ame n ta l e s ono l’a mo re e il dolore in tutta la loro forza.

de sc a: il p op ol o eletto non p uò avere che un p o em a pari alla g ra n d e z z a della s u a mis si one sulla terra.

Se nz a d u b b i o /

Nibelunghi

h anno tali pregi c he a ragione la G e r m a n i a può a n d ar n e orgogliosa: il c o n ­ tenuto è originale e nazionale; i p ers o na gg i sono tita­ nici e scolpiti con arte m a gi s t r a l e; l’a z i o n e , una e varia, si svolge r a p i da e t r e me n d a nella s ua logica f a t a l e , sicché l’efficacia e s t e t i c a , pur s enz a essere quella che i T e d e s c h i pr et e nd on o, è ve r ame nt e grande.

Ma in q u a nt o all’efficacia morale, si p u ò dire che e ss a è affatto negativa.

11 vero s ostrato f onda me nt al e s on o l’odio e la ven­ d e t t a ; l’amore e il dolore sono quasi a ccess ori. Ad e ccezione di alcuni pe rs onaggi s ec on da ri che d i m o ­ strano sentimenti gener osi, tutti gli altri, e s pe ci a lme nt e i maggiori, sono al di là del be ne e del male.

Come si p uò parlare di fedeltà, se tutta l’azione s ’incar dina su d u e inganni e d ue orrendi tradimenti ?

Ammirevoli sono l’a more e la fedeltà di Crimilde verso Sigfrido, ma e ss a non r ag gi un ge la g ra n d e z z a morale, p t r c h è è insensibile ad un a mo re più santo, che è quello di madre. Si divide dal primo figlio pe r c ompi er e la vendett a, e p er la v end et t a sacrifica il s ec o nd o . E q u a n d o il s a n g u e è corso a rivi, ella si ricorda del tesoro, e pare che soltanto per e s s o ella u cc id a i d ue ultimi nemici superstiti: il fratello ed Hagen. Questi eroi ci p o s s o n o ispirare meraviglia per il loro coraggio, la loro imperturbabili tà, il loro valore, ma fanno ribrezzo per il d is p re g io in cui ha nno la

p ropr ia e la vita altrui : eroi feroci, traditori e ladri, essi s ono degni di essere accolti nel W al h a l l a di Odino.

Il poema non è poi un q ua d r o della vita u- m a n a in genere; è quello di una tribù selvaggia, che r a p p r e s e n t a tutta la stirpe ge rma nica . Nel m o n d o dei

Nibelunghi

è del tutto s c o m p a r s a l’ u m a n i t à , tanto che non pare di trovarsi fra cristiani, in un tempo in cui la Cavalleria era nel suo ma ss i mo fiore. A che fine q u e st a lotta di prepotenti ambizioni, d ’ i ndo ­ mabili odi, d ’inestinguibili amori ? Che c os a vogliono questi eroi ? Ot te ner e l’o ggetto del loro amore, s p e ­ g nere quello del loro odio, o morire. Nulla è in loro che li sollevi e nobiliti; nulla che a bb ia valore per tutti gli uomini. Il po e ta non guarda, come Virgilio e Dante, il m on do da un punto di vista universale, con un s en so religioso, nell’armonia s u p r e ma delPeterne leggi.

I

Nibelunghi,

che sono o p e r a s ecolare della stirpe

e i cui germi r is algono forse fino al te mpo nel quale e ss a mo s s e dalle sedi originarie de ll ’ Asia, si può v e­ r amente dire il p o e m a della Germania. I figli di Odino vi si v e d on o riflessi nelle loro qualità essenziali e indistruttibili.

W a g n e r rivestì q u e s t e l e g g e n d e delle sue divine armonie, e F ede ri co Hebbel ne tra sse nel 1863 una trilogia drammatica, che fu pre mia ta dal Re di Pr u ss i a con mille talleri, e dive nn e un libro p opo la re e un libro classico a n che nelle scuole.

Un grande letterato t e d e s c o ha scritto non ha molto: “ Gli eroi dei Nibelunghi sono oramai divenuti

gli eroi della vita g erma ni ca , g l ’ idoli venerati, a cui g u a r da fidente ed e nt usi as ta l’a d o l e s c e n t e s o g n a t o r e . „

E certo, fidenti ed entusiasti g u a r d a r on o, nei loro sogni giovanili, a questi eroi il Kaiser e il figlio, i suoi ministri, i suoi generali e i suoi soldati.

È l’antica b ar ba ri e dei Vandali di Ge nse ri co , la

tedesca rabbia

del me di oe vo , che r ug g e a nc or a sotto la vernice della cultura, e si vale dei più rapidi ed efficaci strumenti di s tra ge che la s ci e nz a prog red it a a b b i a p otuto fornire.

Dalla s tes sa fonte derivano le teorie di Stirner e di Nietzsche, di Von Bernhardi, di T r e i t s c h k e e di tanti altri storici e pensatori.

Qual meraviglia se in q u e s t a gue rr a i t edes chi h an no c al pe st at o ogni legge u m a n a e divina; se h an no violato i trattati, troncato le mani ai fanciulli, a s s a s s i ­ nato le donne, d e p r e d a t o e d e por ta to le popolazioni, se affondano navi alla c i ec a con malati, d o n n e e fan­ ciulli d ’ogni nazione ?

Dinanzi alla loro furia d evas ta tr ic e c a d o n o i m o n u ­ menti della religione e de ll ’ arte, le abitazioni u m a n e e perfino le piante; e la terra diventa un d es er to !

“ 0 l’impero del m o n d o o la rovina „ è stata la parola d ’ ordine ba ndi ta da Von Bernhardi e fatta sua da tutta la G e r m a n i a nell’e b b r e z z a della fortuna.

Ma d ’ imperi mondiali ce ne fu uno solo : quello di Roma, l’ impero d e g l ’ imperi; e fu legittimo, pe rc hè trovò la ragione del suo e ss er e nelle speciali c o n d i ­ zioni dei tempi e p er ch è fu o pe ra di p ro f o n d o al­ truismo.

Or a n e s s u n a nazione può più arrogarsi il diritto di a s s o g g e t t a r e l’universo, di portare e ss a sola la fiac­ cola della civiltà, e farsi g u i d a del g e ne r e umano.

Le nazioni sono uscite di minorità, s d e g n a n o la tutela e ci as cuna di esse, c on sc i a di sè, vuole elevare la propr ia fiaccola per r is chiar ar e insieme con le altre il c omune cammino.

Non l’ impero mondiale, d u n q u e , ma la rovina. I Nibelunghi s o no al b a n d o de ll ’uma n it à e intorno a loro non ha nn o che i popoli che d ie d er o al mondo Attila, T a m e r l a n o ed O sm an o: i Mongoli s ono ben degni di stare a c ca n t o ai T e d e s c h i e di perire insieme con loro.

0 Roma, .il diritto e la civiltà, di cui tu fosti m a e ­ stra alle genti, s ta nn o pe r trionfare della forza e della barbarie.

II p op ol o della terza Italia è ora tutto in armi, c o me q u a n d o tu lo chiamavi a raccolta sotto le aquile dalle ali s piegate; i nepoti dei legionari h anno riscosso nei cuori 1’ antico valore, e, saldi, c oncor di e fidenti intorno al loro Re, c o me gli avi intorno ai consoli e agl’ imperatori, c o m b a t t o n o u n ’ altra volta, sulle Alpi, contro gli stessi nemici, in una g ue rr a giusta e santa.

La gloria tua, o Roma, sia loro di forza e di augurio ; arrida loro la vittoria nelle ultime prove, si che siano essi degni degli avi, ammirati e benedetti dai posteri, come tu lo sei oggi, e sarai sempre, nei secoli.

S i vende beneficio delle opere

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