e della spesa del Ministero del Tesoro.
F noto che il disavanzo finanziario dell’ esercizio è dato dalla somma algebrica del disavanzo effettivo e del disavanzo per movi menti di capitali (8). Poiché la tesoreria deve far fronte a tutte le spese previste in bilancio anche se il bilancio non gliene fornisce i mezzi, può sembrare a tutta prima esatto il commisurare il fabbi sogno della tesoreria, e così la previsione delle emissioni di buoni del tesoro nell’ esercizio, a quella parte della previsione di spesa che eccede la previsione di entrata. Ma con l’ ipotizzare tale relazione si trascura di considerare : a) che la gestione della tesoreria non si
raevlsta ? presente che se fra le entrate per movimento di capitali è i queJla fornita da un prestito, il disavanzo finanziario (che è tanto “ S T * q' f nto maggiore è l’entrata data dal prestito) non è indicativo dell’in- b tamento complessivo dello Stato in quell’esercizio, anche se può essere in-taBo3 non ' delrl,U(3f bitamento (perchè quello verso il mercato mone tarlo non si riflette in un entrata nel movimento di capitali).
esaurisce nella gestione del bilancio ; 6) che comunque la gestione di cassa del bilancio non coincide con la gestione di competenza ; c) che l’ emissione di buoni del tesoro non è il solo mezzo di provvista della tesoreria a parte le entrate di bilancio.
7. Per limitarsi anzitutto alla gestione del bilancio, va rilevato che la tesoreria deve provvedere i mezzi per far fronte alle spese previste in bilancio soltanto in quanto siano state impegnate; e per quelle che sono state impegnate ma che vanno a formare i residui dovrà eventualmente provvedervi nel corso dell’esercizio successivo. In compenso, dovrà provvedere i mezzi per estinguere i residui pas sivi degli esercizi precedenti in quanto non siano bilanciati dalla riscossione di residui attivi.
Nel sistema del bilancio di competenza infatti il disavanzo com plessivo della gestione di cassa del bilancio è dato dalla somma al gebrica di due differenze : quella fra i pagamenti e gli incassi nel conto della competenza e quella fra i pagamenti e gli incassi nel conto dei residui.
Pertanto il disavanzo complessivo della gestione di cassa del bilancio non coincide col disavanzo finanziario del bilancio di com petenza, il rapporto fra le risultanze della competenza e della cassa potendo esprimersi con la seguente relazione : disavanzo finanzia rio = disavanzo della gestione di cassa + variazioni nel saldo della gestione dei residui (al netto delle variazioni dovute a riaccerta menti- ed eliminazioni) (9).
(9) Da questa relazione, collegata a quella precedentemente rilevata, pos sono dedursene altre, che chiariscono i rapporti fra il risultato finanziario del bilancio di previsione, il risultato della gestione del bilancio di competenza, il risultato della gestione dei residui, le variazioni nel saldo dei residui: tutti dati che quadrano algebricamente, in una visione unitaria (e, s’intende, estre mamente semplificata) di questo aspetto della finanza statale.
Per concretizzare ed esemplificare queste relazioni, si considerino le ri sultanze della gestione di cassa del bilancio (comprensiva delle entrate e spese nel conto della competenza e delle entrate e spese nel conto dei residui) per l ’esercizio finanziario 1959-60 (cfr. Relazione 1961 del Governatore della Banca d ’Italia, Tav. L 7). Questo esercizio è stato caratterizzato da cospicue emis sioni di buoni del tesoro poliennali, che hanno fornito alla tesoreria disponi bilità la cui utilizzazione, prevista in parte dalla legge 24 luglio 1959, n. 022. non poteva essere immediata. Pertanto le entrate nel conto della competenza hanno ecceduto le spese in misura maggiore del solito :
avanzo (incassi — pagamenti) in conto competenza 629 miliardi di lire disavanzo (pagamenti — incassi) in conto residui — 422 miliardi di lire avanzo complessivo della gestione di cassa del
b i l a n c i o ... 207 miliardi di lire Poiché le risultanze finali della gestione di competenza concludevano con un disavanzo finanziario di 7 miliardi, l’ avanzo di 207 miliardi nella gestione
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Per passare poi dal disavanzo della gestione del bilancio al com plessivo disavanzo di cassa del Tesoro, occorre tener conto delle ope razioni di tesoreria che non rientrano nella gestione del bilancio e che tuttavia influiscono, in un senso o nell’ altro, sulla determina zione del fabbisogno del Tesoro da coprirsi col ricorso all’indebi tamento verso operatori estranei al settore pubblico (sospesi di teso reria, cioè somme temporaneamente iscritte nella gestione del bilan cio ; depositi in tesoreria, in attesa del loro utilizzo, di somme erogate dalla gestione del bilancio ; e disponibilità varie (1 0) di altra natura). E ancora, il dato che sì otterrà non avrà l’ identico significato se l’incremento nel saldo passivo della gestione dei residui si componga di effettive passività o invece di residui di stanziamento, riguardo ai quali l’ impegno che li trasferisce ai residui non corrisponde a concreti atti di gestione (1 1) ; ed avrà pure un significato diverso a seconda del rilievo maggiore o minore che nel bilancio assumano le gestioni autonome che ricevono pagamenti mediante accreditamenti in conti correnti della tesoreria, riguardo alle quali la spesa in conto competenza corrisponde ad effettiva erogazione di denaro soltanto a distanza di tempo.
Per risalire dunque dal disavanzo del bilancio di competenza al fabbisogno della tesoreria nell’ esercizio bisogna prendere in con siderazione fattori numerosi e complessi.
ili cassa dovrebbe corrispondere a un incremento di 207 + 7 = 214 miliardi nel saldo passivo dei residui. Invece il saldo passivo dei residui è aumentato, nel- 1 esercizio, di soli 70 miliardi : il che significa che le eliminazioni dei residui per perenzione (cfr. Ingrosso, Diritto finanziario, Napoli, 1956, p. 695), al netto dei ri accerta menti, hanno concorso a diminuire il saldo dei residui per 144 miliardi di lire.
Si noti che la situazione dei residui riflette largamente la politica finan ziaria del Governo : l’ accelerazione o il rallentamento dell’attuazione delle spese deliberate può costituire un elemento di politica anticiclica (cfr. Rapporto O. E.C.E. sull’ Italia, pubblicato nel supplemento a Mondo Economico del 3 giu gno 1961, par. 27). Da questo punto di vista, le vicende del debito fluttuante, in quanto connesse col ritmo della spesa pubblica, riflettono l ’esecuzione da parte del Governo della politica deliberata dalle Camere con l ’ approvazione dei bilanci, ed è singolare che siano tenute in così scarsa considerazione dal Par lamento.
Può rilevarsi ancora che, siccome la perenzione non produce alcun effetto sull’obbligazione dello Stato, limitandosi a porre nel nulla l'atto d’impegno, i residui perenti possono costituire un fattore di rigidità dei bilanci futuri, di cui bisognerebbe tener conto.
(10) Cfr. la tav. L 6 nella Relazione 1961 del Governatore della Banca d’ Italia.
(11) Bentivenga, Elementi di contabilità di stato, Milano, 1955, p. 269;
Cozzi, Tecnica del bilancio ecc., Bologna, 1958, p. 288 e seg. ; An e l l i, Rilancio e Tesoreria, in Riv. dir. fin., 1956. p. 301.
Occorre tener conto, infine, del fatto che comunque l’ incremento netto nell’ ammontare dei buoni del tesoro ordinari e poliennali può non corrispondere affatto al fabbisogno di cassa della tesoreria : sarà invece minore o maggiore a seconda che si incrementino o si riducano le altre voci del debito fluttuante. Se infatti, ad esempio, si ritiene opportuno che la Cassa Depositi e Prestiti espanda i suoi impieghi in misura eccedente il volume della sua raccolta di risparmio nel l’ esercizio, la tesoreria potrà decidere di ridurre il saldo passivo dal suo conto corrente con la Cassa Depositi e Prestiti e di ricorrere alla emissione di buoni del tesoro ordinari in misura maggiore di quella che potrebbe dedursi dalla sola considerazione del volume complessivo del suo fabbisogno, mutando così la composizione del suo indebitamento ; e viceversa.
Sicché non si capisce perchè il Parlamento abbia ritenuto di limitare l’incremento dei buoni del tesoro ordinari e poliennali (dal l’esercizio 1953/54 all’eseivizio 1956/57) e poi quello dei soli buoni poliennali (negli esercizi 1960/61 e 1961/62) con riferimento al disa vanzo finanziario risultante dal riepilogo generale. L’ indebitamento in buoni del tesoro, poiché ha la funzione di sopperire, insieme con le altre forme del debito fluttuante, al fabbisogno della tesoreria, se pure dipende largamente dal disavanzo del bilancio di competenza, nell’ esercizio finanziario tuttavia non s’ identifica affatto con esso.
Pare, insomma, che il Parlamento abbia comparato due dati eterogenei : il disavanzo del bilancio, che riflette un rapporto fra accertamenti ed impegni; e il fabbisogno della tesoreria, che risulta (a parte le considerazioni di vario genere fatte sin qui) dal rapporto fra incassi e pagamenti, di bilancio e fuori bilancio.
8. Sono stati qui volutamente trascurati gli aspetti giuridici dell’ argomento. Non va taciuto tuttavia che l’ampia delega attui baita al Governo (anzi, al solo Ministro del Tesoro) quanto all’ emis sione di buoni poliennali, appare di rilievo costituzionale (1 2), perchè con essa il Parlamento elude una delle sue più gravi responsabilità.
(12) Autorizzando 11 Ministro del Tesoro ad emettere buoni del tesoro po liennali il Parlamento gli ha conferito 11 potere di modificare le previsioni di bilancio; cfr. Ingrosso, A proposito del disavanzo, iu Rassegna della finanza pubblica, 1956, pag. 8. Si noti che secondo l ’autorizzazione contenuta nella legge di bilancio, spetta al Ministro non solo di decidere se emettere o no il pre stito, ma anche di stabilirne tutte le modalità, fra cui il tasso di interesse, il termine di scadenza, la possibilità di accettare o no dai sottoscrittori buoni del tesoro ordinari e altri titoli in luogo di contante.
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spogliandosi praticarne ni e di gran parte dei suoi poteri di controllo sulla politica finanziaria del Governo. Con questa delega, e con la violazione sistematica dell’art. 71 della legge di contabilità, il Par lamento affida totalmente al Governo la, scelta dei mezzi per prov vedere al finanziamento del disavanzo ; e lo scarso approfondimento della questione da parte delle Camere è una non trascurabile mani festazione della debolezza del controllo parlamentare su un aspetto così importante della politica governativa.
Gli effetti di una politica di disavanzo infatti non si determinano tanto dall’ entità del disavanzo finanziario (che è il solo dato deli berato dal Parlamento e che, come s’è visto, non coincide col volume dell’indebitamento dello Stato nell’ esercizio) quanto dalla struttura (più ancora che dal volume) del debito pubblico.
L’indebitamento dello Stato può, come è noto, assumere varie forme : a) debito consolidato (perpetuo o redimibile a lungo termine) ;
6) debito a, medio e breve termine (buoni poliennali) ; q) debito flut tuante, nelle sue varie forme; d) altri debiti di tesoreria; e) paga menti differiti e contributi in annualità (13). Che si scelga Puna o l’altra forma, dipende ovviamente da considerazioni di opportunità. Comunque, la struttura del debito pubblico tende ad adeguarsi ad una duplice funzione dell’indebitamento dello Stato: quale mezzo di finanziamento delle spese d’investimento non finanziate dall’avanzo delle partite correnti, e quale strumento del governo della liquidità. Un debito pubblico caratterizzato da una forte aliquota di titoli a breve termine sembra poter soddisfare, nella attuale situazione del mercato, ad ambedue le esigenze.
S’ è già fatto cenno delle diverse funzioni che nella finanza mo derna può assolvere il debito fluttuante: che può essere un vero e proprio mezzo di tesoreria, da usare per sopperire a temporanee de- ficenze di cassa, in attesa cioè delle entrate di bilancio; o può essere un mezzo di prefinanziamento, da consolidare in un successivo pre stito patrimoniale. Ma può anche servire a costituire, attraverso il permanere di ingenti anticipazioni dell’ istituto di emissione (14), o
(13) Cfr. Ingrosso, Diritto finanziario, cit., p. 680.
(14) Va ricordato che col decreto legislativo del 7 maggio 1948, n. 544, è stato disposto che « nessuna nuova anticipazione straordinaria da parte della Banca d’Italia al Tesoro può essere effettuata senza apposito provvedimento legislativo che ne determini l ’importo ». Sicché l ’esposizione del Tesoro verso l’istituto di emissione riflette essenzialmente il disavanzo del conto corrente per il servizio delle tesorerie provinciali.
In proposito però il medesimo decreto legislativo li. 544 ha cosi disposto: « Ogni qualvolta dalla situazione mensile della Banca d’Italia risulti che il
mediante un continuo flusso di rinnovi di buoni del tesoro ordina ri (15), o mediante la diversione delle disponibilità della Cassa DD. e PP. dalla sua istituzionale destinazione, una particolare forma di indebitamento patrimoniale.
In un bilancio in disavanzo, inserito in una serie di bilanci ugual mente in disavanzo, un debito fluttuante in continua espansione non è, all’evidenza, un mezzo di tesoreria : nella attuale situazione ita liana, il debito fluttuante non costituisce un mezzo temporaneo di provvista, ma alimenta la tesoreria non diversamente dall’indebita mento patrimoniale (16).
Alla fine del mese di settembre del 1961 il totale del debito flut tuante (le cui voci principali sono quelle relative ai buoni del tesoro ordinari e alla Cassa DD. e PP., che complessivamente costituivano, a quella data, circa l’ 8 6 % del totale) era di miliardi 3688, contro un totale di miliardi 2.355 di debiti patrimoniali. Il debito fluttuante costituiva cioè circa il 61 % del debito pubblico ; e, ciò che è più sign i - ficativo, il suo complessivo ammontare è caratterizzato da un conti nuo incremento, attraverso oscillazioni di entità relativamente mode sta. In questa situazione, trattare del debito fluttuante come di un mezzo di tesoreria sembra piuttosto anacronistico. Non che non abbia
conto corrente aperto al tesoro per 11 servizio di tesoreria provinciale abbia raggiunto uno sbilancio a debito del tesoro pari al quindici per cento del com plessivo importo degli originari stati di previsione della spesa effettiva e dei successivi stati di variazione, la Banca d ’Italia è tenuta a darne immediata comunicazione al Ministro per il tesoro per i provvedimenti del caso. Trascorsi venti giorni dalla comunicazione suddetta senza che lo sbilancio a debito sia sceso al disotto del quindici per cento indicato al precedente comma, la Banca d’ Italia non darà corso a ulteriori prelevamenti sul detto conto fino a quando, a seguito di incassi di somme di pertinenza del tesoro o di versamenti dal medesimo fatti sul conto stesso, lo sbilancio sia ritornato al disotto del detto quindici per cento ».
(15) Può riuscire sana politica mantenere il debito a breve durata a cifre alte, se queste sono assorbite a un tasso più basso di quello in media pagato sui prestiti a lunga scadenza (Borgatta, Rapporti sulla finanza inglese, in Nuova collana di economisti, voi. IX, Torino 1934, p. 520). Attualmente (D.M. 30 giugno 1960) l ’interesse sui buoni del tesoro ordinari va da un minimo del- l’l,75 % (per i buoni a due mesi) a un massimo del 3,50 % (per i buoni da 10 a 12 mesi).
(16) Nè il debito fluttuante assolve a funzioni di prefinanziamento in misura sensibile, almeno dopo il 1950 : le conversioni di buoni del tesoro or dinari hanno costituito, rispetto all’importo totale dei buoni del tesoro no vennali 1960, 1961, 1962, 1963, 1964, 1965, rispettivamente il 14% , il 18%, il 31 %, il 9 %, il 18 %, l’8 %. Successivamente, nell’emissione di buoni del tesoro novennali^ del 1957 furono ammesse soltanto sottoscrizioni in contanti ; remissio ne del 1958 fu destinata al rinnovo dei B.T.N. 1959 ; nel 1959 furono emessi 300 miliardi di buoni del tesoro settennali, sottoscritti esclusivamente in contanti ; 1 emissione di buoni del tesoro novennali del 1960 fu in parte destinata al rinnovo del B.T.N. I960, il resto fu sottoscritto in contanti.
anche la tradizionale funzione di mezzo temporaneo di provvista, ma non è più questa la funzione fondamentale.
In quanto dunque le considerazioni, sopra riportate, dall’ on. Ber tone per la Commissione Finanze e Tesoro del Senato possano in terpretarsi nel senso che le frequenti emissioni di buoni poliennali li abbiano trasformati in un mezzo di tesoreria, esse sembrano ine satte. Pare che invece si possa affermare che se sotto certi riguardi i buoni poliennali e i buoni ordinari assolvono oggi alla medesima funzione, ciò non è perchè quelli abbiano assunto le caratteristiche del debito di tesoreria, ma piuttosto perchè questi hanno assunto la natura del debito patrimoniale.
L’affermazione, tuttavia, che « la distinzione fra l’indebitamento della, tesoreria non iscritto in bilancio e l’indebitamento dello Stato per operazioni di debito pubblico registrato in bilancio come movi mento di capitali non ha che un’ importanza formale e contabile » (17), sembra eccessiva. In quanto quella distinzione corrisponda alla di stinzione fra indebitamento a breve e a lungo (o medio) termine, e così fra indebitamento verso il mercato monetario e verso il mercato finanziario, essa non appare irrilevante.
Em ilio Eosini
(17) Magnani, Criteri metodologici per l’esame del conto del tesoro, in
DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN MATERIA TRIBUTARIA
Som m ario: 1. Attività vincolata e attività discrezionale deH’amministrazione
finanziaria. Concetto di discrezionalità. L’individuazione delle norme sulla attività discrezionale deiramministrazione finanziaria. La giustificazione dell’attività discrezionale. La tutela giuridica del contribuente. — 2. La scelta del condebitore da escutere nel caso della solidarietà tributaria. Rientra nei poteri discrezionali della P.A. La tutela giuridica del condebi tore prescelto. — 3. La proroga del pagamento delle imposte di successione o di consolidazione di usufrutto nel caso di valori immobiliari e mobiliari. Nel secondo caso la proroga rientra nei poteri discrezionali della P.A. — 4. La dilazione del pagamento delle imposte dirette al fine di evitare il fallimento per debito d’imposta o la sospensione dall'albo professionale. Trattasi di poteri discrezionali dell’Intendente di finanza. Limiti. — 5. Le dilazioni nelle imposte indirette « per circostanze meritevoli di riguardo ». Discrezionalità dei relativi provvedimenti. — 6. Gli abbuoni nell’imposta di registro. Discrezionalità. Limiti. — 7. Gli sgravi nelle imposte dirette. Lo sgravio dell’imposta sui terreni per infortuni atmosferici. Non rientra nei poteri discrezionali in quanto trattasi di adeguamento dell'imposizione alla capacità contributiva. — 8. La « moderazione temporanea » dell’imposta fon diaria e sul reddito agrario per fatto di guerra. Non discrezionalità. La sospensione della riscossione durante le operazioni di sgravio. Discrezio nalità. Sospensione della procedura esecutiva nel caso dai redditi minimi. Discrezionalità. — 9. L’annullamento dei crediti d’imposta. Discrezionalità. — 10. I «discostam enti» dalla rendita catastale media ordinaria dei fondi urbani. Non discrezionalità dei relativi provvedimenti. — 11. La scelta tra accertamento analitico e deduttivo nell’imposta complementare progressiva sul reddito. Perchè non rientra tra i poteri discrezionali della P.A. — 12. La scelta del sistema di accertamento dell’imposta straordinaria progres siva sul patrimonio. Non discrezionalità della scelta. Discrezionalità della scelta del sistema di accertamento nel caso della avocazione dei profitti ec cezionali e di contingenza. — 13. Il giudizio sulla « necessità » della spesa nel caso dell’accertamento dell’imposta straordinaria personale sulle spese non necessarie. Non discrezionalità. — 14. L’« indice di agiatezza » nell’ac certamento dell’imposta di famiglia. Non discrezionalità della scelta e della valutazione. — Riepilogo di alcuni casi di discrezionalità nel concetto ge nerale di dispensa tributaria. A) La proroga tributaria. B) La non ri scossione. G) Il condono d’imposta.
1. Vi sono casi nel nostro diritto tributario in cui l’ attività dell’amministrazione finanziaria, anziché essere conseguente a un giudizio di legalità e cioè di conformità del suo operato a precise norme di legge, è espressione di un giudizio di conformità ad un pubblico interesse. Sono casi limitati, questi, di attività
discrezio-— 17« —
naie e la loro individuazione esatta non è scevra di difficoltà. Esi stono, invero, norme tributarie, che, per la loro formulazione (l’awi-
ministrazione finanziaria potrà... gli uffici distrettuali delle imposte dirette possono...), sembrano autorizzare una attività discrezionale,
mentre invece tale autorizzazione non contengono. Solo una attenta interpretazione di queste norme secondo la ratio legis ed i principi generali del diritto tributario può condurre alla distinzione di quelle disponenti una attività amministrativa discrezionale, dalle altre, da riconoscersi semmai infelicemente formulate, ma che con la discrezionalità nulla hanno a che fare. E possibile, cioè, distin guere, attraverso l 'interpretazione, le vere e proprie disposizioni di
può dalle disposizioni di deve, per usare espressioni dell’ Hensel, che
affrontò questo tema per il diritto tributario germanico (1). Con la terminologia di disposizioni di può e di disposizioni di deve altro non si intende che designare due distinti campi dell’ attività deì- l’ainministrazione finanziaria, quello dell’ attività cosidetta discre
do naie- e quello dell’ attività cosidetta vincolata.
Cosa si debba intendere per attività vincolata della pubblica amministrazione, sembrami ormai pacifico nella dottrina ammini- strativistica e non vedo motivo di discostarmi dalle definizioni adot tate nel caso particolare dell’attività degli organi dell’ amministra zione finanziaria (2).
Nell’attività vincolata vi è l’ imposizione da parte della legge di un obbligo giuridico di svolgere una certa attività per la sod disfazione di interessi considerati propri, in modo immediato, dello Stato, senza possibilità di scelte da parte dell’ organo che ha la fun zione di curare quegli interessi medesimi. La legge, cioè, conferisce essa stessa specifico rilievo all’ interesse da soddisfare nell’imporre