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Don Ignác Stuchlý e il servizio dell’autorità

6. Esercizio paterno della correzione

Summarium Testium, Teste XXIV, § 216.

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Don Stuchlý sapeva incontrare e comprendere ciascuno nella concretezza della sua storia:

soprattutto evitava le umiliazioni e le punizioni dure, che avrebbero rischiato di esasperare i contrasti. Egli esercitava la giustizia sia nel correggere – quando necessario – sia nel considerare sempre la totalità della vita, della storia e delle eventuali ferite dell’interlocutore.

Vigilava affinché la giustizia non venisse lesa. Il sig. Jaroslav Kuchař, per esempio, spiega:

Rimproverava molto, quando vedeva il minimo spreco o una cattiva amministrazione . 57

Se necessario, soprattutto per mancanze più gravi, sapeva anche “licenziare in segreto”:

cosa che gli fu più volte necessaria, soprattutto ai tempi di Perosa Argentina, dove tra ragazzi dalla vocazione promettente se ne annoveravano altri privi di vocazione, approdati in Italia solo per desiderio di avventura, indisciplinati e anche ladri. Don Ignác Stuchlý, su alcuni aspetti, connessi per esempio all’amore per la purezza e all’obbedire al confessore,

non rimproverava mai pubblicamente e chiedeva piuttosto la preghiera e la dedizione alla volontà di Dio . 58

Per carattere e per scelta, il Servo di Dio

richiedeva sempre anche la giustizia ma con la massima semplicità. Non faceva lunghi discorsi, perché non voleva danneggiare nessuno : 59

la sua giustizia si manifestava particolarmente perché non voleva danneggiare nessuno, raccomandando di pazientare e ancora una volta riprovare per trovare l’equilibrio nell’animo . 60

Così, grazie a questo contemperare giustizia e pazienza, mitezza e rigore,

egli si lasciava guidare dal detto: Fortiter in re, suaviter in modo. Odiava il male o lo perseguitava, ma verso coloro che sbagliavano aveva un cuore largo e veramente paterno. Questo si manifestò specialmente nella salvezza di alcune vocazioni. Sapeva perdonare paternamente, quando vedeva la buona volontà . 61

Ove invece questa buona volontà mancasse, e a una transitoria fragilità si sostituisse il ricorso alla menzogna e alla malizia, il suo agire si orientava non già a una valutazione riservata dei fatti e a un “licenziare in segreto”: bensì a una immediata e pubblica determinazione al vero.

È quanto accadde nello spinoso caso di calunnia che ebbe come vittima don Giuseppe Coggiola , 62 colpito da una diceria che lo riteneva responsabile di atti immorali nel confessionale. Per fare verità, anche se consapevole di esporre l’amico don Coggiola, in cui riponeva piena fiducia, il Servo di Dio si rivolse immediatamente ai Superiori maggiori. L’allora Catechista generale don Pietro Tirone arrivò allora in Cechia, dove istruì un’inchiesta. La rapidità, la trasparenza e la più

Summarium Testium, Dichiarazione XXXI, § 357.

57

Summarium Testium, Teste XXVI, § 231.

58

Summarium Testium, Teste XX, § 180.

59

Summarium Testium, Teste XXII, § 194.

60

Summarium Testium, Dichiarazione XLVIII, § 402.

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Il caso è approfondito nella Biographia Documentata.

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assoluta mancanza di rispetto umano del Servo di Dio concorsero a favorire in tempi rapidi una risoluzione della delicata vicenda, seguita dalla piena riabilitazione di don Coggiola e dalla successiva dimissione dalla Congregazione salesiana di quanti erano coinvolti in questa (o in altra) dolorosa vicenda.

La concretezza della correzione si rivela nel richiamo alla pratica sincera e concreta dei voti.

Essendo povero e temperante, il Servo di Dio disponeva pertanto dell’autorevolezza necessaria per richiamare – e questo rientrava nei suoi doveri di ispettore – all’osservanza del voto di povertà. Scrive nel 1937 ai direttori delle case salesiane:

Inoltre devo anche dire qualche parola sulla povertà. Questo voto è un po’ stiracchiato. Molte volte si fanno dei viaggi inutili non solo con ferrovia, ma persino con l’auto, dove basterebbe la carrozza del parroco. Nei ristoranti [molti] si comporta[no] poi troppo signorilmente. Mangiare è necessario, nessuno lo nega, ma nel modo dovuto. – Un’altra ferita si va allargando d[a]lle intenzioni delle sante messe. Vi sono molti che ogni mese applicano persino 3 messe secundum propriam inten[t]ionem.

Altri poi ricevono le intenzioni e non le consegnano al superiore, le applicano per proprio vantaggio, o ricevono un dono e non lo consegnano, altri poi non danno mai il resoconto [= il rendiconto] del viaggio. Se anche ricevessero 300 corone e ne spendessero 140, il resto non lo si restituisce, ma si dice sarà per il futuro. Cari miei, non facciamo così. I signori direttori ed i prefetti esigano questo resoconto [= rendiconto], altrimenti la vipera della comodità ci rovinerà la congregazione. Infine vorrei avvertire tutti i sacerdoti che parlino e dal pulpito e nelle adunanze di Dio e mai di politica, e non lodiamoci in pubblico a scapito degli altri religiosi, i quali l’hanno poi a male . 63

7. Conclusione.

La Lettera del 30 gennaio 1940 inviata da Torino poco dopo il settantesimo compleanno di don Ignác Stuchlý, dall’allora Catechista generale della Congregazione salesiana, don Pietro Tirone, anche al Direttore della casa ispettoriale di Ostrava, don Giuseppe Lepařík, manifesta un grande elogio della splendida testimonianza di don Stuchlý, esortando a rendersi degni di un tale superiore.

[Quanto a voi salesiani,] Per voi faccio voti che sappiate sempre più apprezzare la grazia straordinaria, che Dio fa col darvi un Ispettore che ha le doti e le virtù di D. Stuchlý. Non guardate alla parte esterna, non fermatevi alla scorza; ma capite e considerate il cumulo di virtù, di zelo, di fervore, di laboriosità, di sacrificio, di entusiasmo e di profonda pietà di cui vi è esempio a ogni piè sospinto. La gente assennata vi invidia un tale Superiore. Siatene riconoscenti a Dio e sappiatene approfittare per la formazione vostra individuale e per quella dell’Ispettoria, assecondandolo nelle sue direttive, obbedendolo, rispettandolo, amandolo. 64

Ancora più forti sono le parole commemorative pronunciate da Mons. Martin Horký, su incarico dell’Arcivescovo di Olomouc Josef Matocha, al cimitero, durante i funerali del Servo di Dio. Sono espressioni che danno un riconoscimento e un respiro ecclesiale alla figura di don Stuchlý

Summarium Documentorum, Doc. 23.

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Summarium Documentorum, Doc. 39.

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Egli era un altro Santo Vianney. I suoi primi passi lo conducevano nella chiesa e di poi nel confessionale. Confessava ore intere. «Signore, dammi le anime, il resto tieni per te!».

Una volta confessò di non aver avuto niente dalle solennità della canonizzazione di San Giovanni Bosco, perché confessava tutto il giorno. Anche Gorizia potrebbe testimoniare che la sua gioia era il confessionale.

Noi dovremmo pregare piuttosto lui, perché interceda per noi! Veramente i giusti saranno come stelle lucenti.

Nella sacra scrittura leggiamo come Elia abbia lasciato il suo manto in terra. Lo raccolse il suo discepolo Eliseo e da quel tempo il suo spirito riposava su Eliseo. Faccia il Signore che lo spirito di Don Stuchlý si posi sopra noi!. 65

Summarium Documentorum, Doc. 41.

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Don Pierluigi Cameroni SDB