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Il ruolo del designer sta cambiando

7.2 L’emergente nuovo ruolo dei designer

7.3.4 Un esoscheletro per i designer

Abbiamo visto molti esempi di AI driven design. Ma quali sono gli strumenti di cui i designer moderni necessitano? Se con una retrospettiva di guarda alla metà del secolo scorso i computer venivano immaginati come un modo per aumentare le capacità degli esseri umani. Roelof Pieters e Samim Winiger (così come Lev Manovich) hanno analizzato la storia dei computer e l’idea di miglioramento delle abilità umane in dettaglio.

Secondo loro ci sono tre livelli di maturità negli strumenti di design: 1. I sistemi di prima generazione imitano preesistenti strumenti analogici con mezzi digitali.

2. La seconda generazione sono sistemi di creazione assistita, dove esseri umani e macchine trovano compromessi creativi in un processo di ping-pong di feedback.

3. La terza generazione consiste in sistemi di creazione assistita 3.0 che vanno ancora avanti a compromessi in modo molto specifico, aumentando le capacità creative e velocizzando il processo di passaggio da utente nuovo ad esperto.

L’AI driven design dovrebbe essere appunto una sorta di esoscheletro per i designer, aumentando il numero e la complessità delle decisioni che si riescono ad effettuare. In che modo designer e computer possono collaborare?

Proviamo a stabilire il processo lavorativo di un futuro product

designer:

1. Esplora uno spazio di problemi, sceglie il problema più importante da risolvere per l’azienda e gli utenti (analisi);

2. Esplora uno spazio di soluzioni, sceglie la soluzione ideale per risolvere il problema (analisi);

3. Sviluppa, lancia e pubblicizza un prodotto che risolve il problema (sintesi);

4. Valuta come il prodotto funzioni per gli utenti reali e lo ottimizza (analisi e sintesi);

5. Collega e unisce la soluzione con altri prodotti e soluzioni dell’azienda (sintesi);

In questo esempio le attività sono di due tipi: l’analisi di informazioni esplicitamente espresse e di soluzioni già funzionanti, e la sintesi di requisiti e soluzioni per le stesse. Ora, che tipi di strumenti e metodi servono per ognuna?

Analisi

Una analisi di informazioni esplicitamente espresse riguardo gli utenti effettuata con metodi qualitativi può essere difficile da automatizzare. Ma esplorare gli schemi d’uso di prodotti esistenti è fattibile. Si possono per esempio estrarre schemi comportamentali e segmenti di pubblico ed ottimizzare l’esperienza utente per loro. Questo nello specifico è un procedimento già ampiamente in uso, soprattutto nella ridirezione di pubblicità. Insegnare agli algoritmi ad ottimizzare interfacce o contenuti per specifici segmenti di mercato richiede conoscenze di Machine Learning.

Jon Bruner offre un ottimo esempio (Bruner, 2016 ¹⁹): Un algoritmo genetico, così chiamato perché ispirato all’ottimizzazione del processo evolutivo, inizia con una descrizione base di un desiderato risultato; per esempio una tabella di orari di una linea aerea che permetta di ottimizzare carburante in base ad passeggeri e ad un risparmio voluto. Aggiunge i vari vincoli: il numero di aerei che la linea possiede, gli aeroporti in cui lavora ed il numero di sedili in ogni aereo. Carica quelle che potrebbero essere interpretate come variabili indipendenti: dettagli su migliaia di voli da tabelle già esistenti o magari informazioni fittizie generate randomicamente. Con migliaia, milioni o miliardi di iterazioni la tabella migliora e diventa più efficiente e conveniente. L’algoritmo inoltre comincia a capire come ogni elemento della tabella orari influenza le variabili indipendenti di numero di passeggeri o ottimizzazione del carburante. In questo scenario gli esseri umani gestiscono l’algoritmo e possono quindi aggiungere o rimuovere vincoli e variabili. Il risultato può poi essere testato e rifinito con esperimenti su veri utenti. Con il costante ping-pong di feedback l’algoritmo va quindi a migliorare

l’esperienza utente. Nonostante l’enorme complessità del lavoro fa intendere che sia più una cosa da analisti, un designer dovrebbe essere a conoscenza delle basi del machine learning.

Sintesi

Anni fa uno strumento per il design industriale chiamato Autodesk Dreamcatcher ha fatto scalpore e ha causato parecchie discussioni nell’ambito. Si basa sull’idea del generative design che viene usato in settori come quello industriale, della moda o dell’architettura da già molti anni ormai. Logojoy per esempio è un prodotto creato per rimpiazzare i freelancer nella progettazione di semplici loghi. Si sceglie uno stile preferito, un colore e fatto, il sito genera una moltitudine di idee. Si può rifinire un determinato logo, vedere dei mockup corporate, packaging, buste e molto altro. Il design generativo però non prende piede nella produzione digitale, soprattutto perché non è ancora utile dato che le interfacce, le grafiche e i vari aspetti del digitale non sono statiche, ma cambiano di contenuto, uso e funzioni nell’arco del tempo.

Si può comunque però trarre molta inspirazione dalla metodologia; un processo lavorativo con l’aiuto di algoritmi generativi potrebbe essere:

1. Un algoritmo genera molte varianti di un design usando delle regole e schemi prestabiliti.

2. I risultati vengono filtrati in base alla qualità e alle richieste. 3. Designer e manager scelgono le varianti più interessanti ed adatte, rifinendole se necessario.

4. Un sistema procede ad effettuare test per tutte le varianti che vengono infine scelte da esseri umani.

Non ci sono ancora modi per filtrare un grande numero di concept nel lato digital, dove gli user scenario sono così diversi e vari. Se gli algoritmi potessero aiutare il designer a filtrare i prodotti generati il lavoro sarebbe ancora più semplice. Va comunque detto che da designer usiamo il concetto di generative design ogni giorno attraverso sessioni di brainstorming in cui proponiamo dozzine di

-v Figura 41 L’interfaccia iniziale di Logojoy

idee, o quando iteriamo concept, prototipi e mockup in modi diversi. Perché non affidare queste parti ad algoritmi?