• Non ci sono risultati.

CAPITOLO II: Giovanni Comisso: il profilo biografico e le opere principali

2.2 Comisso e la Grande Guerra

2.2.1 L’esperienza al fronte

Accolsi la guerra con la gioia di liberare non tanto Trento e Trieste, ma me stesso verso una vita che vale sempre la pena di essere goduta in pieno135.

Così Giovanni Comisso si espresse a posteriori in merito alla Grande Guerra, esperienza che segnò indelebilmente la sua vita e di cui si può trovare traccia in molte delle sue opere. Nel 1914 all’età di diciannove anni, bocciato agli esami autunnali di maturità classica, si arruolò come volontario nell’esercito. La scelta di prendere parte al conflitto era dettata unicamente da un’ansia di evasione dalla quotidianità, non perché egli si sentisse vicino alle idee interventiste di quel periodo. Per questo motivo Mario Isnenghi ha definito Giorni di guerra la testimonianza di un “uomo come animale apolitico”136. Inoltre, considerando che la prima edizione dell’opera uscì nel 1930 in pieno periodo fascista, è interessante notare che, nonostante questo, essa non ne condivida in nessun modo “l’operazione politica e culturale intesa a fare della grande guerra e della partecipazione nazional-popolare ad essa il mito corporativo originario e ‘religioso’ posto a monte dello Stato totalitario”137.

Comisso venne arruolato a Firenze nel terzo genio telegrafisti e dopo alcuni mesi, ai primi di maggio del 1915, trasferito in Friuli, in un primo periodo a Carpeneto e successivamente a Cormons dove aveva il ruolo di “ciclista agli ordini della fureria, in continua spola con la stazione ferroviaria per ritirare pacchi e lettere per i soldati”138. Nel 1916 venne promosso caporale così che le sue missioni diventarono sempre più pericolose dovendo inoltrarsi su terreni scoperti sotto il tiro degli austriaci per riparare le linee telefoniche, come si evince da questo passo:

Mi indicò su di una carta topografica il Podgora, poi il monte Fortin vicino al Carso. Tra queste due località era stata distesa una linea telefonica che non poteva quasi mai funzionare, perché battuta dalle artiglierie. Avrei dovuto ripararla e rettificare il percorso per una zona più riparata. […] A Lucinicco faceva già chiaro, quando si stava per attraversare la strada una sentinella ci avvertì che quello era il passo della morte: bisognava attraversarlo di corsa, uno alla volta. […] Il sole brillava

135 Giovanni Comisso, cit. in Nico Naldini (a cura di), Cronologia, in Giovanni Comisso, op. cit., p. LXVII.

136 Mario Isnenghi, Il mito della grande guerra, Editori Laterza, Bari 1970, p. 180.

137 Ivi, pp. 180-181.

48

nitido e dagli osservatorii austriaci di Gorizia e del Carso ci dovevano vedere a occhio nudo contro il bianco della neve, per di più il telefono con le sue nichelature funzionava da richiamo139.

Un periodo più tranquillo fu invece quello trascorso a San Giovanni di Manzano (oggi San Giovanni al Natisone) tra la primavera del 1916 e l’inizio del 1917, dove era addetto al centralino telefonico, ruolo che gli permetteva di delegare il proprio lavoro e concedersi del tempo libero per svagarsi dimenticando la guerra. In questo periodo si dedicò alla lettura dei simbolisti francesi e poté recarsi frequentemente al fiume Natisone, dove amava fare il bagno e rilassarsi. Non mancò nemmeno l’occasione per qualche gita sui colli vicini come racconta in una lettera del settembre 1916 ai genitori:

Caro papà e cara mamma, oggi il 16 settembre, mentre il cannone infuria oltre Gorizia e pare che la vada bene, mi son preso il lusso di una bella gita in auto per il cosiddetto Collio, cioè le colline sotto il monte Corada, pari alla Toscana, tutte vigneti e valli e paesetti annidati sulle cime delle colline. La mattina fresca e bella favorì la delizia mia140.

Successivamente, nella primavera del 1917, frequentò a Udine un corso di allievo ufficiale e nell’estate raggiunse la nuova destinazione sull’Alto Isonzo. Lì riprese la vita di guerra che tuttavia assomigliava sempre di più a una vacanza. Dalla baracca, in cui era sistemato il centralino telefonico, partiva spesso a piedi, sul dorso di un mulo o tramite una teleferica, per raggiungere le cime dei monti attorno e “quando sfiorava il pericolo era sempre miracolosamente protetto come dentro la nuvola di una dea”141.

La “guerra-festa” comissiana, come l’ha definita Isnenghi142, subì una battuta d’arresto a causa della grande offensiva austriaca dell’autunno 1917, che causò la disfatta di Caporetto. L’ufficiale Comisso, assieme ai suoi genieri telefonisti, compì la ritirata attraversando la Carnia verso il Tagliamento, con soste più o meno liete nei villaggi lungo il loro percorso, dove rubavano nei pollai e dormivano in luoghi di fortuna. Oltrepassato

139 G. Comisso, Giorni di guerra, in G. Comisso, op. cit., pp. 357-358.

140 L. Urettini, Il giovane Comisso e le sue lettere a casa (1914-1920), pp. 101-102.

141 N. Naldini, op. cit., p. 31.

142 M. Isnenghi, op. cit., p. 183: “quel senso della guerra-festa, gesta fanciullesca, non epica né lirica, sì avventurosa e, a momenti, godibile, in Comisso fuoriesce spontaneo dalla diretta esperienza: in lui – ventenne – può davvero porsi come un oggi privo di ieri, come un’entrata di slancio, fresca, ricettiva, nella propria vita che comincia, con lo stupore, la leggerezza, il senso del provvisorio e dello spettacolo propri dei sensi incorrotti”.

49

il Tagliamento la sensazione generale era quella di essere finalmente al sicuro dal nemico che inseguiva. Sempre a piedi Comisso raggiunse Treviso dove però non riuscì a incontrare i genitori, partiti il giorno precedente per mettersi in salvo a Firenze.

Lo scrittore trascorse l’ultimo anno di guerra tra il fronte del Grappa e il Montello; precisamente la sua divisione si stabilì “sulla sinistra del Grappa, verso la vallata del Brenta, sulla linea di Col Moschin e dell'Asolone"143 dove Comisso poteva starsene chiuso nella baracca del telefono a leggere i prediletti poeti francesi. Successivamente, in primavera, si trasferì con i propri soldati prima nella campagna di Riese, poi ai piedi del Montello in previsione della grande battaglia estiva contro gli austriaci, che prese poi il nome di Battaglia del Solstizio. L’ultimo anno di guerra gli permise di rivedere i luoghi della propria infanzia, a lui molto cari, che gli risvegliarono un’orgogliosa volontà di difendere la patria.

Un giorno il capitano mi mandò a chiamare. Ordinò al furiere di uscire e con tutta la segretezza mi comunicò che era prevista imminente una grande offensiva nemica. Noi ci si trovava a Riese appunto per essere pronti a scendere nella valle del Brenta, o verso il Piave, se avessero invaso la zona tra Pederobba e il Montello. Dovevamo preparare subito le comunicazioni. […] La sua fiducia in me mi lusingava, ma ero più animato dal pensiero che quella terra che mi era cara fino da bambino dovesse rischiare di essere perduta144.

Questi luoghi rimasero per sempre nella sua memoria e costituirono gli elementi del paesaggio di guerra più volte rievocato da Comisso nei suoi racconti e nelle pagine dei suoi diari, come dimostreremo in seguito.

Quando il 4 novembre 1918 la guerra giunse al termine, l’autore, il quale si trovava sul Grappa, assistette al concerto delle campane dei paesi della pianura che festeggiavano la fine di quel terribile periodo di sacrifici e sofferenze. Per Comisso invece, focalizzato non tanto sul significato storico della fine del conflitto quanto più sulla ricaduta personale che essa avrebbe portato nella sua vita, terminava un periodo di crescita, divertimento e avventura ma anche un “periodo di sospensione”145, così che a quel punto diventava necessario riprendere in mano la vita e pianificare il futuro.

143 G. Comisso, Giorni di guerra, in G. Comisso, op. cit., p. 440.

144 Ivi, p. 447.

145 Cfr. L. Urettini¸ Il giovane Comisso e le sue lettere a casa (1914-1920), p. 170: “Miei carissimi, ecco finita anche questa guerra. È come se si fosse chiuso un libro. Non vedremo più certe cose, né più ne

50

La guerra per me era passata rasente, non mi aveva attraversato, era più che altro andata d’accordo con la mia giovinezza; più che opprimermi mi aveva eccitato a un’ansia di sempre nuove avventure e di nuove azioni146.