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Nelle sezioni 2.3 e 2.4 ci siamo occupati dei primi due importanti esperimenti di interferenza realizzati con luce di debole intensit`a (Taylor, 1908; Dempster e Batho, 1927). In particolare, nel secondo caso, abbiamo commentato lo “stratagemma” adot-tato dagli autori: hanno considerato una situazione in cui il flusso di fotoni (cio`e il numero medio di fotoni che attraversano una sezione trasversale del fascio nell’unit`a di tempo) `e cos`ı basso che il suo valore moltiplicato per la durata del singolo processo emissivo `e molto minore dell’unit`a di tempo. In tale situazione, sostengono gli autori,

“il singolo quanto di radiazione emesso da ciascun atomo deve essere separato nel tempo dalla radiazione emessa dagli altri atomi.”

Non `e difficile convincersi che questa conclusione non `e corretta: una cosa `e dire, ad esempio, che il numero medio di fotoni in volo tra sorgente e rivelatore `e inferiore a uno, un’altra `e sostenere che i fotoni attraversano l’apparato sperimentale uno alla volta.

Si pensi, tanto per fare un esempio, a una sorgente che emette, ripetutamente, una coppia di fotoni nello stesso istante; se gli intervalli di tempo (anche non regolari) tra le emissioni sono sufficientemente lunghi, il valore del flusso di fotoni `e estremamente basso anche se i quanti di radiazione non sono mai separati tra loro. Il cuore della questione sta nel fatto che il flusso ci d`a indicazioni su una propriet`a (il numero di fotoni) media della radiazione luminosa.

In base a queste semplici considerazioni `e possibile capire come gli esiti dell’e-sperimento di Taylor e di Dempster e Batho non si possano ritenere conclusivi per quanto concerne la capacit`a di evidenziare l’effetto dell’interazione del singolo fotone con l’apparato sperimentale.

E altres`ı evidente che esperimenti con tali caratteristiche si sono potuti realizzare` solo in seguito all’individuazione di una sorgente che fosse effettivamente in grado di emettere singoli fotoni. Per ottenerla `e stato necessario riuscire a isolare singoli emet-titori (ad esempio atomi, molecole o centri di colore) e regolare in modo opportuno la frequenza con cui i fotoni sono emessi.

Nel lavoro “Interferenza di un singolo fotone con divisione del fronte d’onda” [43]

un gruppo di ricercatori illustra la realizzazione di un esperimento di interferenza

“a fotone singolo” mediante un apparato sperimentale analogo a quello della doppia fenditura di Young.

L’apparato adottato `e schematizzato in fig. 6: in essa, `e descritta sia la configura-zione necessaria all’osservaconfigura-zione delle frange di interferenza (che comprende sorgente, biprisma e fotocamera CCD (Charge Coupled Device), sia quella impiegata per dimo-strare che la sorgente emette “singoli fotoni” (in cui la fotocamera CCD `e sostituita dai due fotodiodi APD (Avalanche PhotoDiode) e dai contatori delle rivelazioni singole e congiunte di fotoni).

L’apparato sperimentale presenta le seguenti caratteristiche:

1) si utilizza una sorgente pilotata da un “orologio” capace di emettere un fotone alla volta;

Fig. 6. – Apparato a divisione del fronte d’onda basato su un biprisma di Fresnel (FB) per l’interfe-renza. APD sono due fotodiodi di silicio a valanga che operano in regime di conteggio dei fotoni. Una fotocamera CCD a intensificazione d’immagine (linea tratteggiata) registra le frange di interferenza che si formano nella regione di sovrapposizione dei due fronti d’onda deviati. Quando la fotocame-ra `e eliminata dalla configurazione `e possibile dimostrare il comportamento ‘a singolo fotone’ della sorgente registrando le ricezioni congiunte di fotoni sui due percorsi dell’interferometro. Per una spiegazione del modo in cui `e possibile effettuare tale dimostrazione si veda l’Appendice. Figura tratta da [43].

2) il dispositivo grazie al quale `e possibile generare la figura di interferenza `e un biprisma di Fresnel (FB);

3) nella regione in cui i due fasci si sovrappongono `e collocato lo schermo di una fotocamera CCD a intensificazione di immagine, che consente di osservare, passo per passo, la formazione delle frange.

I fotoni vengono emessi sfruttando la fotoluminescenza di un centro di colore in un cristallo di diamante le cui dimensioni sono dell’ordine del nm (1). Il centro di colore utilizzato `e denominato N-V perch´e costituito da una vacanza [assenza di un atomo]

del reticolo (V) e da un atomo di azoto (N) che sostituisce un atomo di carbonio in una posizione adiacente alla vacanza. La tecnica impiegata consente di creare tali centri di colore con una densit`a molto bassa, in modo che uno solo di essi possa essere isolato e impiegato come emettitore nell’esperimento.

L’utilizzo di nanocristalli `e legato alla necessit`a di estrarre efficientemente i fotoni emessi. Se le dimensioni del cristallo fossero molto maggiori della lunghezza d’onda emessa, si avrebbe rifrazione all’interfaccia diamante-aria; a causa dell’elevato indice di rifrazione del diamante (n = 2.4), l’angolo limite corrispondente sarebbe di cir-ca 25. Per angoli di incidenza maggiori di tale valore la radiazione sarebbe riflessa totalmente all’interfaccia tra i due mezzi. Invece, cristalli di dimensioni lineari infe-riori alla lunghezza d’onda emessa rendono trascurabile la rifrazione e consentono di assimilare il centro di colore a una sorgente puntiforme nell’aria.

(1) I centri di colore sono costituiti da difetti puntiformi nella struttura regolare di un solido cristallino; tali difetti reticolari possono assorbire luce visibile in un intervallo pi`u o meno ampio di frequenze, conferendo cos`ı al materiale un colore caratteristico (donde il nome di “centri di colore”).

Fig. 7. – Frange di interferenza ingrandite dall’oculare e registrate dalla fotocamera CCD a inten-sificazione di immagine. Le immagini (a), (b) e (c) corrispondono alla ricezione, rispettivamente, di 272, 2240 e 19773 fotoni, corrispondenti a una durata dell’esposizione di 20 s, 200 s e 2000 s. Il grafico nella figura (d) mostra le frange di interferenza ottenute raccogliendo i dati sperimentali (punti rossi) dell’immagine (c) e una ricostruzione (linea blu) al calcolatore della figura d’interferenza (nel regime di diffrazione di Fresnel di un fascio coerente, e tenendo conto della coerenza temporale finita della sorgente dovuta all’ampia emissione spettrale del centro di colore N-V). La frangia centrale ha una visibilit`a del 94%. Figura tratta da [43].

Nella Appendice si mostra come sia possibile classificare le sorgenti di luce in funzione di come i fotoni emessi sono temporalmente distanziati. Sulla base dei criteri ivi descritti, la sorgente usata nel lavoro in discussione pu`o essere ragionevolmente classificata come “a singolo fotone”.

Il guadagno e la soglia di rivelazione della fotocamera sono regolati in modo tale che a ogni pixel illuminato corrisponda la rivelazione di un fotone; inoltre, tra il biprisma e la fotocamera, `e inserita una lente che ingrandisce l’immagine in modo da rendere la spaziatura tra le frange maggiore delle dimensioni dei pixel.

Sono state scattate circa 2000 fotografie con una durata di esposizione di 1 s cia-scuna e un numero medio di otto fotoni rivelati per ogni fotografia. Osservando le immagini sovrapposte l’una all’altra `e possibile esaminare come la figura a frange si forma (fig. 7): inizialmente sembra che i pixel illuminati siano distribuiti sullo scher-mo in maniera casuale e non `e possibile ravvisare alcuna figura di interferenza; poi, man mano che il numero di fotoni rivelati va aumentando, si percepiscono le frange con una visibilit`a sempre maggiore.

I risultati confermano ci`o che era stato ottenuto negli esperimenti di interferenza a bassa intensit`a luminosa ma, grazie all’ausilio della fotocamera, consentono di andare un passo oltre nella comprensione degli eventi microscopici che stanno alla base del fenomeno dell’interferenza. Ogni singolo quanto di luce interagisce con l’apparato sperimentale ma, contrariamente a quanto ritenevano Dempster e Batho, non forma sullo schermo una figura a frange completa.

L’osservazione delle immagini della fotocamera impone una descrizione completa-mente diversa: ogni singolo fotone non si disperde su una regione estesa dello schermo ma “colpisce” un punto preciso del sensore, secondo leggi probabilistiche che fanno s`ı che esso cada preferibilmente nelle zone in cui si ha interferenza costruttiva ed eviti le zone ad interferenza distruttiva.

* * *

Ringrazio Giuseppe Giuliani per avermi suggerito l’idea di questo lavoro partendo da una “tesina” svolta, con Salvatore Caracappa ed Elisa Genovese, durante la fre-quenza dei corsi della SILSIS dell’Universit`a di Pavia e per i preziosi consigli emersi nel corso di varie discussioni. Ringrazio inoltre Chiara Macchiavello per i puntuali chiarimenti sugli argomenti trattati in Appendice.

Appendice

Nella precedente sezione sono state svolte alcune considerazioni che hanno posto in discussione la capacit`a dell’esperimento di Dempster e Batho (e quello precedente di Taylor) di produrre figure di interferenza con quanti di radiazione separati tra loro. La ragione di fondo si basa sul fatto che un fascio di luce, caratterizzato da un determinato valore medio del flusso di fotoni, presenta, tuttavia, fluttuazioni nel tempo del loro numero effettivo.

E pertanto necessario concentrare l’attenzione sul tipo di sorgente utilizzato: nel` caso del lavoro di Dempster e Batho, ad esempio, si tratta di una lampada a scarica.

La luce emessa da questo tipo di lampada, pu`o essere considerata con buona approssimazione monocromatica, ed `e prodotta da molti atomi differenti perch´e, per quanto si possa ridurre la quantit`a di gas nel tubo, `e inevitabile che pi`u atomi vengano eccitati indipendentemente e simultaneamente. Naturalmente, questo fattore provoca fluttuazioni nell’intensit`a della luce.

A partire dal 1956 sono stati eseguiti una serie di esperimenti di correlazione tra le fluttuazioni del numero di fotoni relative alle porzioni riflessa e trasmessa da un beam splitter (BS) 50:50 (cio`e un dispositivo capace di riflettere il 50% dell’energia incidente e trasmettere il rimanente 50%) [44]. Una trattazione approfondita di questi esperimenti e della teoria che li sottende esula dagli scopi di questo lavoro; tuttavia pu`o essere utile richiamare brevemente l’idea su cui si basa la loro realizzazione e alcuni risultati ottenuti.

Supponiamo di far incidere un fascio di luce su un BS, di collocare lungo ciascuno dei due possibili percorsi un fotorivelatore e, infine, confrontare tra loro i dati relativi a un numero sufficientemente elevato di ricezioni su ciascun fotorivelatore. Si consideri la probabilit`a congiunta di rivelare un secondo fotone su uno dei percorsi nell’istante di tempo t + τ (evento B), posto che se ne sia rivelato un primo sull’altro percorso all’istante di tempo t (evento A).

A seconda del valore della probabilit`a congiunta si pu`o usare la seguente classificazione:

– Luce correlata (bunched): `e il caso in cui P (A∩ B) (2) `e tanto maggiore quan-to minore `e τ . In altri termini, i fotoni tendono a essere emessi dalla sorgente

(2) Dati due eventi A e B si indica con A∩ B l’evento corrispondente al verificarsi di A e di B.

La probabilit`a P (A∩ B) `e detta probabilit`a congiunta di A e B.

Fig. 8. – Illustrazione della distribuzione temporale dei fotoni emessi nel caso di luce anti-correlata, coerente e correlata.

“a gruppi” in determinati istanti, separati da intervalli di tempo in cui non vie-ne emesso alcun fotovie-ne. In particolare, si `e potuto mostrare che la luce di una sorgente luminosa usuale (a filamento, a scarica, a fiamma) `e di questo tipo.

– Luce coerente: `e la luce che viene idealmente emessa da un laser. Con una sorgente di questo tipo P (A∩ B) `e uguale per qualsiasi τ. In questo caso la distribuzione temporale dei fotoni emessi `e casuale.

– Luce anticorrelata (antibunched): per questo tipo di sorgente P (A∩ B) `e tanto minore quanto minore `e τ . Poich´e un fotone pu`o seguire in maniera esclusiva solo uno dei due percorsi offerti dalla presenza del BS, non `e mai possibile rivelare simultaneamente due fotoni; quindi la probabilit`a congiunta nel caso di ricezione contemporanea (τ = 0) `e nulla. I fotoni emessi da una sorgente di questo tipo sono separati l’uno dall’altro da intervalli di tempo (idealmente) regolari e si possono quindi considerare come “singoli”.

La distribuzione temporale dei fotoni emessi nei tre casi `e schematicamente illustrata in fig. 8.

Alla luce di questi risultati, possiamo concludere che le sorgenti utilizzate, sia nell’esperimento di Taylor, sia in quello di Dempster e Batho sono entrambe correlate e quindi non consentono, a prescindere dal valore medio del flusso di fotoni emessi, di osservare l’effetto dell’interazione del singolo fotone con l’apparato sperimentale.

Fig. 9. – Esperimento per evidenziare le caratteristiche emissive della sorgente. La rivelazione del primo fotone della cascata segna l’inizio di un intervallo di tempo di durata w durante il quale i fotomoltiplicatori P Mre P Mt sono attivi. Le probabilit`a di rivelazione durante l’intervallo w sono date dalle (10). Figura tratta da [47], riprodotte per gentile concessione di EDPS c, 1986.

La prima evidenza sperimentale del fenomeno di photon antibunching `e datata 1977 [45], ma l’impiego di una sorgente di fotoni con tali caratteristiche risale al 1981 e riguarda esperimenti per la verifica delle disuguaglianze di Bell [46].

In questo ultimo caso sono stati usati come emettitori atomi di calcio eccitati al livello superiore di una cascata di due fotoni di frequenza ν1 e ν2. L’intervallo di tempo medio tra l’emissione del fotone di frequenza ν1e quello di frequenza ν2`e dato dalla vita media del livello energetico intermedio della cascata, pari a τs= 4.7 ns.

Per mettere chiaramente in evidenza le caratteristiche di tale sorgente si consideri l’esperimento illustrato in fig. 9 [47].

L’esperimento `e realizzato in modo che la rivelazione del fotone di frequenza ν1

da parte del fotomoltiplicatore PM1funga da “trigger ” per un generatore d’intervalli di tempo (di durata w  2τs) che abilita due fotomoltiplicatori (PMr e PMt) alla ricezione del fotone di frequenza ν2nell’intervallo di tempo w: si potr`a dire che questi ultimi sono colpiti “contemporaneamente” da una coppia di fotoni solo se le due rivelazioni avvengono durante lo stesso intervallo di tempo w. Inoltre, si fa in modo che la frequenza di eccitazione N della cascata sia molto minore di w−1, in modo che la probabilit`a di emissione di due fotoni di frequenza ν2 durante lo stesso intervallo di tempo w sia trascurabile.

I due fotomoltiplicatori, ciascuno dei quali si trova lungo uno dei possibili percorsi prodotti dal beam splitter BS, alimentano i contatori delle rivelazioni singole e di quelle congiunte. Denotiamo con N1 il numero degli intervalli prodotti dal trigger, con Nte Nril numero delle rivelazioni singole rispettivamente su PMte PMr, e con Nc il numero delle rivelazioni congiunte.

Le probabilit`a di ricezioni singole e congiunte sono, rispettivamente,

pt= Nt

N1

, pr=Nr

N1

, pc= Nc

N1

. (10)

Non `e complicato mostrare [48] che, se la sorgente impiegata fosse “classica” (cio`e emettesse luce correlata o coerente) le probabilit`a appena definite dovrebbero essere

Fig. 10. – Parametro di anticorrelazione α in funzione del prodotto N w. La linea a tratto continuo rappresenta la curva teorica prevista dalla teoria quantica per il parametro α. Le barre degli errori indicate sono dell’ordine della deviazione standard. La disuguaglianza α≥ 1 caratterizza il dominio classico. Si veda il testo. Figura tratta da [47], riprodotte per gentile concessione di EDPS, c 1986.

tali da soddisfare la disuguaglianza α = pc

prpt =NcN1

NrNt ≥ 1, (11)

dove α `e il cosiddetto parametro di anticorrelazione. Invece, nel caso ideale di sor-gente anticorrelata bisogna aspettarsi Nc = 0, quindi α = 0. La violazione della di-suguaglianza (11) rappresenta un criterio valido per caratterizzare il comportamento specificamente quantistico, a fotone singolo, di una sorgente [49].

I risultati relativi all’esecuzione dell’esperimento sono riportati in fig. 10, insieme alla curva teorica prevista dalla teoria quantica (la cui espressione `e ricavata in [50]) del parametro di anticorrelazione α al variare del prodotto N w.

Come previsto, quando tale prodotto `e mantenuto sufficientemente piccolo, si ha una netta violazione della disuguaglianza (11), cio`e la sorgente usata pu`o essere considerata “a singolo fotone”.

L’articolo in cui `e contenuta la trattazione di questo esperimento, riporta anche un esperimento di interferenza eseguito con la stessa sorgente e un interferometro di Mach-Zehnder. Nonostante questa sia la prima realizzazione di interferenza con un singolo fotone, si `e preferito trattare nella sezione 2.5 la sua variante con il bi-prisma di Fresnel. Tale versione dell’esperimento, realizzata nel 2005 con esplicite finalit`a didattiche, presenta infatti immagini molto suggestive (ivi incluso un film realizzato proiettando in sequenza accelerata le immagini statiche ottenute con la fo-tocamera [51]). La sorgente usata in questo esperimento `e caratterizzata da un fattore di anticorrelazione pari a α = 0.13± 0.01: essa pu`o quindi essere ragionevolmente considerata “a fotone singolo”.

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[30] Cit. [25], p. 115.

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[50] Cit. [47], p. 176.

[51] Filmato di Jacques V. et al., prodotto nel Laboratoire de Photonique Quantique et Mol´eculaire - Ecole Normale Sup´erieure de Cachan 2005.

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