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Luce e materia, onde e particelle: un possibile percorso didattico attraverso i fenomeni di interferenza - I Parte

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Academic year: 2022

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Luce e materia, onde e particelle: un possibile percorso didattico attraverso i fenomeni di interferenza - I Parte

C. Giacomarra ()

Vicolo Re 18, 27020 Marcignago (Pavia), Italia

Riassunto. In questo lavoro si offrono spunti per l’introduzione e per il confronto, a livello di scuola secondaria superiore, della descrizione classica e quantica dei fenomeni di interferenza e di diffrazione. L’impostazione seguita prevede l’ap- profondimento di esperimenti storicamente e concettualmente significativi e si pone come obiettivo quello di costruire la rappresentazione quantica dei fenomeni sfruttando analogie formali con la fisica classica.

Abstract. Some ideas are presented to introduce and compare, at high school level, classical and quantum descriptions of interference and diffraction phenome- na. The proposed development lies on the study of historically and conceptually relevant experiments and intends to build quantum description through formal analogies with classical physics.

1. Introduzione

Tutti i campi del sapere sono strutturati su differenti livelli di conoscenza. Questi ultimi, pur riferendosi sempre alla stessa disciplina, ne parlano con punti di vista e tagli completamente diversi: l’approccio contenutistico, ad esempio, consente di organizzare razionalmente un certo insieme di concetti; l’approccio storico, fornisce indicazioni sul modo in cui tali concetti si sono evoluti e interconnessi; l’approccio filosofico, infine, si sofferma sul tipo di conoscenza prodotta da una disciplina.

Questa caratteristica `e comune a tutto il sapere e riguarda anche la scienza che, quindi, ha l’articolazione, la ricchezza e la molteplicit`a di livelli che hanno anche altre discipline. Chiunque `e disposto ad ammettere che il sapere umanistico `e strutturato in pi`u livelli; la cosa un po’ pi`u sorprendente, talvolta anche per i docenti delle discipline scientifiche, `e che anche il sapere scientifico `e strutturato allo stesso modo.

Spesso sono i libri di testo che contribuiscono a dare un’immagine “monodimen- sionale” della scienza: per ovvie ragioni di sintesi si privilegiano soprattutto gli aspetti propriamente tecnici della disciplina, arricchendo in particolare la trattazione con ap- pendici o “schede di approfondimento” di carattere applicativo. Negli ultimi anni, maggiore attenzione `e stata rivolta agli aspetti storici delle discipline scientifiche; rare sono invece le riflessioni di natura epistemologica.

Alla base di questo lavoro c’`e, invece, la convinzione che sia il livello di conoscenza storico sia quello epistemologico sono importanti nell’insegnamento della fisica. In- nanzitutto perch´e sono funzionali alla comprensione della materia: la ricostruzione

() e-mail: [email protected]

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storica, illuminata da una sensibilit`a epistemologica, della genesi e dell’evoluzione di concetti, esperimenti e teorie aiuta a dare un senso pi`u profondo a ci`o che si sta apprendendo.

In secondo luogo, la ricchezza che questi due approcci restituiscono alla fisica pu`o essere utile per scardinare una delle convinzioni pi`u diffuse su di essa, cio`e che si tratti di una materia astratta e puramente formale. La fisica, come ogni altra attivit`a intellettuale umana, `e inscindibilmente legata proprio con la sua storia e con l’insieme di pratiche attraverso cui si mette in atto. `E necessario, allora, cercare di costruire la consapevolezza che il processo di evoluzione della fisica `e molto pi`u sfaccettato di come viene sovente presentato.

Il recupero di questa complessit`a, non solo non rappresenta una improduttiva digressione, ma restituisce “umanit`a” e “concretezza” alla fisica.

Questo lavoro si propone di offrire alcuni spunti per ricostruire in maniera di- datticamente funzionale la molteplicit`a di concetti connessi ai fenomeni di interferen- za e diffrazione. Esso ripercorre, ampliandoli, alcuni dei temi contenuti nella voce Interferenza del Glossario di questo Giornale [1].

La trattazione non `e stata impostata come un’usuale unit`a didattica per due motivi: innanzitutto il lavoro `e rivolto ai docenti e non direttamente agli studenti;

inoltre, `e stato pensato come un’integrazione delle informazioni e dei percorsi didattici tipicamente contenuti nei libri di testo.

L’esposizione si articola in tre sezioni: lo studio di una serie storicamente rilevante di esperimenti di interferenza e diffrazione con sorgenti di luce, l’analisi di un’analoga serie di esperimenti con sorgenti di elettroni e l’interpretazione dei risultati ottenuti secondo il concetto di ampiezza di probabilit`a.

All’interno di ciascuna delle prime due sezioni `e stato seguito un ordine di presen- tazione cronologico: ogni esperimento proposto rappresenta un’evoluzione o un’esten- sione (ad ambiti pi`u generali) del precedente. Di ciascun esperimento si descrivono:

le premesse teoriche, le modalit`a di realizzazione, i risultati ottenuti e soprattutto le implicazioni di questi ultimi sulle conoscenze fisiche.

Particolare risalto `e stato dato alla consultazione e, laddove didatticamente con- sigliabile, alla citazione delle fonti primarie. Anche questa scelta `e dettata da intenti pedagogici: si tenga presente che spesso, soprattutto in alcuni periodi storici e per determinati argomenti, le discussioni degli esperimenti avevano un carattere argo- mentativo al fine di persuadere gli interlocutori della bont`a delle ipotesi o delle teorie sostenute: perch´e non sfruttare l’efficacia retorica degli scritti originali per finalit`a educative?

Infine, nell’ultima parte `e presentato un metodo alternativo di ricapitolare i ri- sultati dell’insieme di esperimenti trattati: si tratta del modo in cui R. P. Feynman introduce, poggiandosi sul concetto di ampiezza di probabilit`a, gli aspetti salienti del comportamento quantistico nei volumi The Feynman Lectures on Physics del 1963 [2].

Le caratteristiche fondamentali di questo approccio sono: l’impostazione assiomati- ca, l’esiguit`a dei pre-requisiti matematici (conoscenza dei numeri complessi) e fisici (fenomenologia interferenziale e ipotesi di de Broglie) necessari alla sua comprensione.

Il lettore che voglia inquadrare questa proposta nel contesto dell’ampia letteratura

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riguardante l’inserimento di elementi di Meccanica Quantica nella Scuola Secondaria Superiore, pu`o fare riferimento al lavoro di Stefanel pubblicato in questo Giornale [3].

In Appendice, `e infine disponibile un approfondimento relativo alla caratte- rizzazione delle sorgenti luminose in base al comportamento statistico dei fotoni emessi.

Il lavoro `e suddiviso in due parti: la prima contiene la trattazione degli esperimenti con sorgenti luminose, la seconda presenta l’analisi degli esperimenti con elettroni e l’interpretazione di Feynman in termini di ampiezza di probabilit`a; saranno inoltre poste in evidenza analogie e differenze con gli argomenti discussi nella prima parte.

2. Esperimenti di interferenza e diffrazione con sorgenti di luce

2.1. Thomas Young: esperimento di interferenza con luce solare

“La natura della luce `e un argomento che non ha alcuna importante rilevanza per le faccende della vita o per la pratica delle arti, ma `e per molti altri versi estremamente interessante, specialmente perch´e porta a sostenere le nostre idee sia sulla Natura, sia sui nostri sensi, e in generale sulla struttura dell’universo” [4].

Thomas Young

Fin dalla seconda met`a del Seicento, la letteratura scientifica `e ricca di esperimenti capaci, sfruttando un sottile fascio di luce solare, di produrre una figura a strisce, alter- nativamente luminose e buie. Per la maggior parte si tratta di situazioni sperimentali che consentono di riprodurre delle figure diffrattive ottenute ponendo all’interno del fascio di luce schermi opachi dotati di piccole aperture, o oggetti opachi di sezione ridotta, e andando a osservare l’alternarsi di luce colorata e ombra proiettato su uno schermo a distanza opportuna.

I pi`u importanti esempi, che saranno poi considerati dai fisici successivi dei punti di partenza per approfondire gli studi sulla natura della luce, sono contenuti in uno scritto del 1665 del gesuita Francesco Grimaldi [5] e nel trattato di ottica del 1704 di Isaac Newton [6].

Alla fine del XVIII secolo, nonostante l’attenzione nei confronti di tali fenomeni, nessuno era ancora riuscito a proporre in modo sistematico e coerente una spiegazione del perch´e tali figure si manifestassero. D’altro canto, la spiegazione di questo e di altri fenomeni simili doveva essere strettamente collegata alla natura stessa della luce:

la posizione prevalente nel corso del diciottesimo secolo era a favore di una qualche forma di teoria corpuscolare. Il pi`u illustre, anche se estremamente cauto, sostenitore di tale teoria fu proprio Newton che, bench´e non rifiutasse completamente l’idea di una periodicit`a connessa con la propagazione luminosa, spieg`o su base corpuscolare le propriet`a della luce.

Tra i sostenitori della teoria ondulatoria, invece, si annoveravano Robert Hooke, Christian Huygens e, tra i primi, lo stesso Grimaldi.

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La complessit`a delle differenti posizioni sostenute dai filosofi naturali di fine ’700, l’insoddisfazione verso un’interpretazione puramente corpuscolare e la difficolt`a a tro- vare una teoria indiscutibilmente e universalmente accettata sono ben descritte dalle parole del fisico britannico Thomas Young:

“`E accettato da tutti che la luce consiste, o nell’emissione da una sostanza lu- minosa di particelle molto minute, che sono effettivamente emesse e continuano a muoversi con la velocit`a comunemente attribuita alla luce, o nell’eccitazione di un moto ondulatorio, analogo a quello che caratterizza il suono, in un mezzo altamente leggero ed elastico che pervade l’universo; tuttavia i giudizi dei filosofi di ogni epoca sono stati largamente divisi sulla preferenza dell’una o dell’altra opinione.

Ci sono anche alcune circostanze che hanno indotto coloro, i quali sono in favore della prima ipotesi, a credere, come Newton, che l’emissione delle particelle di luce sia sempre accompagnata dalla presenza di onde nell’Etere che seguono le particelle nel loro percorso, oppure a supporre, come Boscovich, che alle stesse particelle luminose vengano impartiti, al momento della loro emissione, certi moti rotatori e vibrazionali che sono mantenuti per tutta la durata del loro moto.

Queste supposizioni aggiuntive, per quanto necessarie a spiegare alcuni partico- lari fenomeni, non sono mai state pienamente comprese o riconosciute, bench´e non sia stato fatto alcun tentativo per conciliare in qualche altro modo la teoria [corpuscolare] con quei fenomeni” [4].

In effetti fu proprio Young che, riconoscendo nella formazione di frange luminose al- ternate a frange buie un fenomeno di tipo interferenziale, port`o una prova convincente in favore della teoria ondulatoria.

Young present`o per la prima volta un’esposizione dettagliata della sua teoria del- l’interferenza della luce nel seminario Sulla teoria della luce e dei colori del 1801 [7];

tale lavoro, tuttavia, ha un carattere prevalentemente teorico dal momento che in esso la teoria dell’interferenza `e presentata in una forma quasi assiomatica.

E nello scritto Esperimenti e calcoli sull’ottica fisica del 1803 [8] che egli espone in` maniera pi`u articolata le sue posizioni; in particolare la sua strategia argomentativa si sviluppa sostanzialmente in tre mosse:

1) Presenta due “dimostrazioni sperimentali” della legge generale dell’interferen- za della luce, una realizzata da Young stesso e l’altra tratta dal De lumine dell’“ingengoso e accurato” Grimaldi.

2) Compendia un gran numero di osservazioni, calcoli e discussioni di esperimenti, vecchi e nuovi, relativi all’ottica fisica. L’obiettivo `e mostrare che, pur consideran- do situazioni riportate da autori di epoche diverse e caratterizzate da circostanze sperimentali piuttosto differenti, `e possibile ritrovare un elemento di unitariet`a calcolando quello che Young chiama “l’intervallo di scomparsa” (interval of di- sappearance) delle frange, cio`e, in termini attuali, la met`a della lunghezza d’onda della luce.

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3) Sfrutta le osservazioni precedentemente effettuate per trarre conclusioni sulla natura della luce.

Appartengono al primo punto i passi di gran lunga pi`u noti della sua produzione scientifica, e talvolta riportati anche nei manuali di fisica della scuola secondaria su- periore. Scrive Young:

“L’affermazione su cui intendo insistere `e semplicemente che le frange di colore sono prodotte dall’interferenza di due porzioni di luce; e penso non verr`a negato anche dal pi`u prevenuto che [questa] affermazione `e provata dagli esperimenti sui quali riferir`o; esperimenti che possono essere ripetuti con grande facilit`a, quando il sole risplende e senza alcun altro apparato che non sia a disposizione di chiunque” [9].

Il primo esperimento `e descritto da Young nel modo seguente:

“Nell’imposta di una finestra ho fatto un piccolo foro e l’ho ricoperto con uno spesso foglio di carta perforato con un piccolo ago. Per facilitare l’osservazione, ho posizionato, senza l’imposta della finestra, un piccolo specchio in modo tale da riflettere la luce del sole in una direzione quasi orizzontale, sulla parete opposta, e di far passare il cono della luce divergente su un tavolo, su cui erano posti diversi piccoli schermi di cartoncino. Ho collocato nel fascio di luce un bigliettino, il cui spessore era di circa un trentesimo di pollice e ho osservato la sua ombra sulla parete o su altri cartoncini posti a distanze diverse. Oltre alle frange colorate da entrambe le parti dell’ombra, l’ombra medesima era divisa da frange simili parallele, di minori dimensioni, in numero diverso a seconda della distanza di osservazione dell’ombra, ma con il centro dell’ombra sempre bianco” [10].

Di fondamentale importanza `e il passo successivo in cui egli fornisce una prova che le frange sono attribuibili all’interferenza causata dalla sovrapposizione dei due fasci luminosi diffratti su ciascun lato del corpo opaco:

“Queste frange derivano dalla combinazione degli effetti delle due porzioni di luce che passano da ogni lato del bigliettino e che sono deflesse, o anzi diffratte, all’interno dell’ombra. Poich´e se un cartoncino `e posizionato a pochi pollici dal bigliettino, in modo tale da ricevere una delle due estremit`a dell’ombra sul suo margine, tutte le frange che erano state prima osservate all’interno dell’ombra sulla parete scompaiono immediatamente, bench´e la luce deflessa dall’altro lato possa ancora continuare il suo corso e sebbene questa luce debba aver subito una qualche modificazione che la prossimit`a dell’altra estremit`a del bigliettino pu`o aver causato” [10].

E possibile riprodurre in classe l’esperimento di Young adottando eventualmente al-` cuni accorgimenti per rendere pi`u facile l’osservazione delle frange di interferenza:

inserire un filtro colorato nel fascio di luce solare per renderla quasi monocromatica in modo da ottenere un’unica serie di frange con una determinata spaziatura; sce-

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gliere una larghezza del fascio che sia solo leggermente maggiore della sezione del cartoncino impiegato in modo che i massimi della figura di interferenza siano molto pi`u ravvicinati di quelli della figura di diffrazione.

Inoltre, non `e difficile trovare in rete delle versioni “moderne” dell’esperimento di Young che possono essere realizzate in laboratorio disponendo di una minima at- trezzatura ottica: ad esempio, in bibliografia, si fa riferimento a una realizzazione effettuata con l’impiego di un laser He-Ne [11].

L’analisi approfondita degli esempi, delle osservazioni e dei calcoli che Young ri- porta nella seconda parte dello scritto del 1803 esula (nonostante sia estremamente interessante) dagli scopi della presente trattazione. Vale la pena, tuttavia, sottolinea- re qual `e il risultato che si intende raggiungere:

“Se ora noi procediamo a esaminare le dimensioni delle frange, [ottenute] in diverse circostanze, possiamo calcolare le differenze delle lunghezze dei percorsi descritti dalle porzioni di luce, [porzioni] che si `e mostrato avere attinenza nel produrre quelle frange; troveremo che, laddove le lunghezze sono uguali, la luce rimane sempre bianca; ma che, dove la luce pi`u chiara, o la luce di un qualsiasi colore, scompare e riappare una prima, una seconda, o una terza volta, le differenze delle lunghezze dei percorsi delle due porzioni sono in progressione aritmetica, tanto esattamente quanto ci si pu`o aspettare che esperimenti di questo tipo concordino l’uno con l’altro” [12].

La ragione della progressione (cio`e la lunghezza d’onda della luce) viene indicata da Young, che a questo punto dello scritto non ha ancora formulato alcuna ipotesi sulla natura della luce, come proporzionale all’“intervallo di scomparsa” delle frange.

E interessante osservare due cose: il valore calcolato per tale intervallo `` e effetti- vamente dello stesso ordine di grandezza (qualche centinaio di nm) della lunghezza d’onda media della radiazione luminosa; l’aver desunto il valore di tale intervallo dal confronto di dati relativi a esperimenti non solo sostanzialmente differenti (eccetto che per la capacit`a di produrre su uno schermo una figura a frange chiare e scure), ma alcuni dei quali risalenti anche a circa un secolo prima, indica che Young aveva per primo correttamente colto l’esistenza di una matrice comune tra i vari esperimenti che risiedeva, appunto, nella capacit`a di dar luogo a fenomeni interferenziali.

Infine, nell’ultima parte dello scritto del 1803, Young ricapitola i risultati ottenuti ed espone esplicitamente le sue convinzioni a sostegno dell’ipotesi ondulatoria sulla natura della luce sottolineando l’analogia con i fenomeni sonori:

“Dagli esperimenti e dai calcoli che sono stati premessi, possiamo inferire che la luce omogenea, a certe distanze uguali nella direzione del suo moto, `e dominata da qualit`a opposte, capaci di neutralizzarsi o distruggersi l’una con l’altra e di oscurare la luce, dove capita che esse siano congiunte; e queste qualit`a si succedono l’un l’altra alternativamente in superfici concentriche consecutive, a distanze che sono costanti per una stessa luce, passante attraverso il medesimo mezzo.

. . .

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Finora non ho affatto avanzato in questo saggio alcuna ipotesi generale. Ma, dal momento che sappiamo che il suono diverge in superfici concentriche, e che le note musicali consistono di qualit`a opposte, capaci di neutralizzarsi l’un l’altra, e che si succedono a certi intervalli uguali, che sono differenti a seconda della nota, siamo pienamente autorizzati a concludere che ci debba essere una forte rassomiglianza tra la natura del suono e quella della luce.

. . .

Sono disposto a credere che l’Etere luminifero pervada le sostanze di tutti i corpi materiali con una resistenza piccolissima o assente, tanto liberamente forse quanto il vento passa attraverso un boschetto di alberi” [13].

Una rapida osservazione su quest’ultima affermazione: si consideri che era compren- sibilmente difficile per quei tempi (n´e molti lo trovano pi`u semplice al giorno d’oggi) credere che la luce si propagasse nel vuoto. Proprio per questa ragione chi sosteneva la teoria ondulatoria ricorreva all’Etere nel tentativo di rendere il pi`u evidente possi- bile l’analogia tra fenomeni luminosi e sonori. Le uniche onde che, plausibilmente, si potevano concepire erano quelle meccaniche.

Tutte le precedenti posizioni sono ulteriormente discusse nella Lezione XXXIX del suo monumentale Course of Lectures del 1807 [4], dove Young parla per la prima volta del celeberrimo apparato della doppia fenditura:

“Supponendo che la luce di ogni dato colore consista di ondulazioni, di una data larghezza [breadth], o di una data frequenza, ne consegue che queste ondulazioni devono essere responsabili di quegli effetti che sono stati gi`a esaminati nel caso delle onde d’acqua e degli impulsi del suono. `E stato mostrato che due serie uguali di onde, procedendo da sorgenti tra loro vicine, distruggono gli effetti l’una dell’altra in certi punti, e in altri punti li raddoppiano; e il battimento di due suoni `e stato spiegato sulla base di una simile interferenza. Si tratta ora di applicare gli stessi principi all’alterna somma ed estinzione dei colori.

Affinch`e gli effetti delle due porzioni di luce si possano combinare in tal modo,

`e necessario che essi provengano dalla stessa sorgente, e che essi arrivino nello stesso punto seguendo percorsi differenti, in direzioni che non si scostino molto l’una dall’altra. Una tale deviazione pu`o essere prodotta in una o in entrambe le porzioni per diffrazione, per riflessione, per rifrazione, o per una qualsiasi combi- nazione di questi effetti; ma `e chiaro che il caso pi`u semplice `e quello in cui un fascio di luce omogenea colpisce uno schermo in cui ci sono due aperture o fessure molto strette, che possono essere considerate come dei centri di divergenza, dai quali la luce `e diffratta in ogni direzione. In questo caso, quando i due nuovi fasci vengono ricevuti da una superficie collocata in modo tale da intercettarli, la loro luce `e divisa in porzioni pressoch´e uguali da strisce buie, che per`o diventa- no pi`u ampie man mano che la superficie viene allontanata dalle aperture (cos`ı da sottendere a tutte le distanze angoli alle aperture all’incirca uguali), e anche pi`u ampie nella stessa proporzione man mano che le due aperture diventano pi`u vicine tra loro.

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Al centro delle due porzioni c’`e sempre luce, e le strisce chiare su ciascun lato si trovano a distanze tali [dal centro] per cui la luce che perviene a esse da una delle aperture deve aver coperto un tratto pi`u lungo di quella che proviene dall’altra di una quantit`a che `e pari alla larghezza di una, due, tre, o pi`u delle ondulazioni supposte; al contrario, gli intervalli scuri frapposti corrispondono a una dif- ferenza di met`a della supposta ondulazione, una e mezza, due e mezza, o pi`u” [14].

La fama di questo esperimento, riportato con maggior o minor dettaglio su qualsiasi manuale di fisica, `e ben giustificata. Innanzitutto perch´e rappresenta “un’elegante variazione” dell’esperimento descritto nel 1803. Fresnel, a tale proposito, dir`a nel 1818: “Recentemente l’eminente dr. Thomas Young ha mostrato con un esperimento semplice e ingegnoso [quello del 1803] che le frange interne [all’ombra dell’oggetto] sono prodotte dall’incontro dei raggi deflessi su ciascun lato del corpo opaco. . . Frange pi`u brillanti e pi`u nitide si possono ottenere incidendo due fenditure vicine e parallele in un pezzo di cartone o in un foglio metallico, e collocando lo schermo preparato in tal modo davanti a un punto luminoso” [15].

Ma soprattutto la sua importanza risiede nel fatto che si tratta del pi`u efficace esempio di configurazione capace di rendere manifesta la generazione di fenomeni di interferenza: da questo momento in avanti nella storia della fisica ogni qualvolta sar`a necessario riferirsi (eventualmente anche solo a livello concettuale) a una situazio- ne in cui serva evidenziare il comportamento ondulatorio (o “simil-ondulatorio”) di un’entit`a fisica si far`a ricorso a un’opportuna variante di tale esperimento.

Nonostante siano passati pi`u di due secoli, si continua a realizzare delle varianti dell’esperimento della doppia fenditura di Young.

Un’ultima osservazione: il modo in cui ricavare le formule che indicano gli angoli per i quali si ottengono i massimi e i minimi della figura di interferenza `e tipicamente riportato nei libri di testo; analogamente per l’espressione della differenza di fase ϕ in P tra i campi elettrici −E→1 ed −E→2 provenienti dalle due fenditure in funzione della geometria dell’apparato e della lunghezza d’onda della luce λ. Per comodit`a,

Fig. 1. – Rappresentazione schematica dell’apparato a doppia fenditura di Young. L `e la distanza tra il piano delle fenditure, supposte puntiformi, e lo schermo di osservazione; d `e la distanza tra le due fenditure. Supponendo L d e considerando il punto P sullo schermo, la differenza delle distanze delle due fenditure da P `e d sin θ.

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riferendoci alla fig. 1, ne riportiamo qui di seguito la formula:

ϕ = 2πd sin θ (1) λ

La precedente espressione `e valida quando L d. In tal caso `e possibile approssimare con θ entrambi gli angoli formati dalle direzioni di propagazione di ciascun’onda con la normale al piano delle fenditure.

Spesso viene riportata anche l’espressione che consente di ricavare la lunghezza d’onda della luce λ dalla misura della distanza d tra le fenditure, della spaziatura Δ tra due frange e della distanza L delle fenditure dallo schermo:

λ = Δd (2) L

Non sempre, invece, si arriva a determinare l’espressione della distribuzione dell’in- tensit`a luminosa nella figura di interferenza. Tuttavia, lo sviluppo di qualche semplice considerazione riguardante l’energia nei fenomeni di interferenza `e fondamentale per la corretta comprensione di questo tipo di percorso.

E possibile considerare il caso di due onde elettromagnetiche che si propagano` nella stessa direzione con pari pulsazione ω e caratterizzate da una differenza di fase ϕ: le componenti dei campi elettrici si possono scrivere rispettivamente come E1 = a1cos(ωt) e E2 = a2cos(ωt + ϕ). Tale descrizione si riferisce alla situazione sperimentale della doppia fenditura se la sorgente impiegata `e monocromatica e la distanza tra il piano delle fenditure e lo schermo `e molto maggiore della distanza tra le fenditure (L  d). Si supponga inoltre che le due onde abbiano la medesi- ma polarizzazione lineare e differenza di fase costante in ogni punto della regione di sovrapposizione (coerenza) [16].

Omettendo ora i passaggi, che per`o `e istruttivo illustrare in classe, si arriva a concludere che il modulo del campo elettrico risultante in P `e dato da

E12=



a21+ a22+ 2a1a2cos ϕ.

(3)

Supponendo a1 = a2 e ricordando l’identit`a trigonometrica 1 + cos(2x) = 2 cos2x si ottiene

E12= 2a1cosϕ 2 . (4)

Indicando, infine, con I1 ∝ a21 l’intensit`a dovuta a una sola fenditura si ottiene, per l’intensit`a risultante I12,

I12= 4I1cos2ϕ 2 . (5)

La (5), ricordando l’espressione (1) per la differenza di fase, assume la forma

I12= 4I1cos2

πd sin θ λ

 . (6)

L’andamento dell’intensit`a risultante I12 espressa dalla (6) `e riportato in fig. 2.

(10)

−0.03 −0.02 −0.01 0 0 0.01 0.02 0.03 1

2 3 4

θ (rad) I

Fig. 2. – Figura di interferenza prodotta da due fenditure puntiformi secondo la (6), in cui si `e posto I1= 1 e d/λ = 800.

Nel caso delle due fenditure, la (5) e la (6) valgono solo se le fenditure sono puntiformi: in queste formule manca, in effetti, il contributo diffrattivo di ogni singola fenditura. Tenendo conto di questo, la distribuzione di intensit`a risulta

I12= 4I1

sin(πb sin θ/λ) πb sin θ/λ

2

cos2

πd sin θ λ

 . (7)

L’andamento “a frange” di I12 data dalla (7) `e mostrato in fig. 3. Il fattore sin2 dipende dalla larghezza b della fenditura, e viene solitamente chiamato fattore di diffrazione. Il fattore cos2 dipende dalla distanza d tra le fenditure e viene detto fattore di interferenza.

2.2. A. J. Fresnel: esperimento di interferenza con il biprisma ottico

Il lavoro di Young sull’interferenza della luce non suscita praticamente alcun in- teresse nella comunit`a dei fisici di inizio ’800. Alcuni anni dopo i lavori di Young l’ingegnere francese Augustine Fresnel inizia ad occuparsi di ottica sperimentale ed

`

e lui che, presentando prove convincenti a sostegno della teoria ondulatoria, riesce a imporne l’accettazione persino tra i pi`u fedeli sostenitori del modello newtoniano.

Il grande merito di Fresnel nell’ambito delle ricerche ottiche `e stato quello di pervenire ad una piena comprensione del fenomeno della diffrazione, impresa sulla quale, invece, anche Young aveva fallito. Scrive Fresnel nella memoria del 1818 (La M´emoire Couronn´e sur la diffraction) [15] che vinse il concorso indetto dall’Acad´emie des Sciences sul tema della diffrazione:

(11)

−0.030 −0.02 −0.01 0 0.01 0.02 0.03 0.5

1 1.5 2 2.5 3 3.5 4

θ (rad) I

Fig. 3. – Figura di interferenza prodotta da due fenditure secondo la (7), in cui si `e posto I1 = 1.

I valori dei parametri usati sono: b/λ = 100; d/b = 8. La curva piena rappresenta l’intensit`a osservata; la curva tratteggiata il termine diffrattivo in (sin2): sarebbe la curva osservata con una sola fenditura la cui intensit`a fosse quadrupla di quella considerata. Si veda il testo. Figura tratta da [1].

“Le frange che si vedono all’interno dell’ombra di un corpo stretto. . . derivano evidentemente dalla mutua influenza dei raggi di luce; l’analogia ci indicherebbe che la stessa cosa debba valere anche per le frange esterne che delimitano le ombre dei corpi illuminati da una sorgente puntiforme. La prima spiegazione che viene in mente `e che queste [ultime] frange siano prodotte dall’interferenza dei raggi diretti con quelli riflessi all’estremit`a del corpo opaco, mentre le frange interne derivino dall’azione combinata dei raggi deflessi all’interno dell’ombra dai due lati del corpo opaco, questi raggi deflessi avendo origine sia sulla superficie sia nei punti indefinitamente vicini a essa. Questa sembra essere l’opinione del dottor Young, ed era inizialmente la mia stessa opinione; ma un esame rigoroso dei fenomeni mi ha convinto della sua inesattezza” [17].

Afferma inoltre:

“Propongo ora di mostrare che si pu`o trovare una spiegazione soddisfacente e una teoria generale in termini di onde, senza ricorso a nessuna ipotesi ausiliaria, basando ogni cosa sul principio di Huygens e su quello dell’interferenza, essendo entrambi inferenze dell’ipotesi fondamentale [cio`e che la luce consista in vibra- zioni dell’Etere]” [18].

Fresnel sviluppa le sue considerazioni sulla fenomenologia interferenziale usando un apparato sperimentale particolarmente interessante: si tratta del famoso esperimento del doppio specchio, che costituisce una variante dell’esperimento della doppia fendi-

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tura di Young, in cui la differenza della lunghezza dei cammini compiuti dai due fasci

`

e ottenuta facendo riflettere la luce proveniente da un’unica sorgente su due specchi.

“Se si fa in modo che due fasci di luce, ciascuno proveniente dalla stessa sorgente e regolarmente riflessi da due specchi metallici, si incontrino sotto un angolo molto piccolo si ottengono frange simili, i cui colori sono anche pi`u netti e pi`u brillanti di prima [la configurazione della doppia fenditura `e stata appena commentata].

Per ottenere queste strisce, `e necessario essere molto accorti affinch´e nella regione dove i due specchi vengono a contatto, o almeno lungo tutta una porzione della loro linea di contatto, la superficie dell’uno non sia sensibilmente spostata oltre quella dell’altro. Ci`o `e necessario affinch´e la differenza del percorso compiuto dai due raggi riflessi che si incontrano nell’area comune ai due campi luminosi sia molto piccola. Faccio notare rapidamente che la sola teoria dell’interferenza spiega questo esperimento, e che l’esperimento richiede una manipolazione cos`ı delicata e una fatica cos`ı ininterrotta che `e praticamente impossibile imbattersi in esso per caso” [19].

Ma `e possibile realizzare un’ulteriore variante della doppia fenditura, il cui studio `e particolarmente utile all’interno del presente lavoro: si tratta del cosiddetto biprisma ottico, che prese successivamente il nome di biprisma di Fresnel. Esso produce due immagini ottiche di un’unica sorgente luminosa per rifrazione anzich´e per riflessione ed `e molto pi`u facile da manipolare rispetto all’apparato con gli specchi [20].

Si tratta di una coppia di prismi simmetrici con un piccolo angolo di rifrangenza α e la base comune come mostrato in fig. 4.

Un’onda monocromatica, nell’attraversare ciascuno dei due prismi di cui `e com- posto l’oggetto, subisce una deviazione dalla sua direzione di propagazione originaria a causa della rifrazione su ciascuna delle due facce inclinate del prisma. `E possibile mostrare che, nel caso in cui il rapporto tra l’indice di rifrazione n2 del materiale di cui sono composti i prismi e quello n1 del mezzo circostante sia dell’ordine dell’unit`a (cio`e nelle situazioni usuali), l’angolo di deviazione δ del fascio `e esprimibile [21] come

δ≈ α

n2

n1 − 1

 . (8)

Poich´e il dispositivo `e simmetrico, le due porzioni di fascio che attraversano ciascuno dei prismi sono deviate di angoli opposti in modo tale da sovrapporsi.

In particolare, se il biprisma `e investito da un fascio di luce monocromatica pro- dotto da una sorgente puntiforme S, questo ultimo `e suddiviso in due fasci che par- zialmente si sovrappongono in una regione di spazio centrata intorno all’asse di sim- metria del prisma. I due fasci luminosi sembrano pertanto provenire da due sorgenti

“virtuali” S1 e S2 poste simmetricamente rispetto all’asse del biprisma.

E disponibile in rete un’interessante applicazione (in lingua francese) che mo-` stra come l’intensit`a della radiazione incidente sullo schermo vari con la geometria dell’apparato sperimentale e con la lunghezza d’onda λ della luce monocromatica incidente [22].

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Fig. 4. – Schema di funzionamento del biprisma ottico di Fresnel. Sono mostrati i due prismi simmetrici con piccolo angolo di rifrangenza α e la base comune; quando sono investiti da un fascio di luce proveniente dalla sorgente puntiforme S questo `e suddiviso in due fasci che si sovrappongono nella regione tratteggiata. I due fasci luminosi sembrano provenire dalle due sorgenti virtuali S1e S2. La distanza tra le sorgenti e la faccia di emergenza dal biprisma `e a, la distanza tra quest’ultima e il piano di osservazione delle frange `e b.

Facendo considerazioni analoghe al caso dell’apparato con doppia fenditura, `e pos- sibile esprimere le condizioni che devono essere soddisfatte dalla differenza di cammino dei due fasci per avere interferenza costruttiva o distruttiva. Inoltre, si ricava che la spaziatura Δ tra le frange `e data da

Δ = λL d , (9)

dove λ `e la lunghezza d’onda della luce monocromatica incidente, L = a + b `e la distanza complessiva tra la sorgente S e lo schermo e d `e la distanza tra le due sorgenti virtuali S1 e S2.

Si tenga presente che l’approfondimento del principio fisico su cui si basa il fun- zionamento di questo dispositivo `e funzionale alla comprensione dei successivi punti in cui questa proposta `e articolata: nella sezione in cui si descrivono esperimenti di interferenza con elettroni (nella II Parte) si usa un apparato concettualmente analogo al biprisma ottico creato con opportune differenze di potenziale.

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2.3. G. I. Taylor: esperimento di diffrazione a bassa intensit`a luminosa

“A 22 anni scelsi questo progetto, suggeritomi da J. J. Thomson, per ragioni che, temo, non avevano nulla a che fare con i suoi meriti scientifici. Allestii l’esperimento nella vecchia stanza dei giochi a casa dei miei genitori. . . Quando calcolai che avrei dovuto scattare una fotografia con un tempo di esposizione di circa sei settimane predisposi le cose, ritengo piuttosto abilmente, in modo che questa fase dell’esperimento coincidesse con il periodo in cui speravo di iniziare una crociera di un mese con una piccola barca a vela che avevo acquistato poco prima” [23].

Geoffrey Ingram Taylor

Nel 1907, Joseph John Thomson, sulla base di risultati ottenuti con esperimenti di ionizzazione di gas con luce ultravioletta e raggi X, propugna con convinzione una sua “vecchia” teoria secondo la quale l’energia trasportata da un raggio luminoso non si distribuisce in modo continuo sui fronti d’onda ma si suddivide in “unit`a” [24].

E a partire da questi risultati che Thomson suggerisce a uno dei suoi pi`` u brillanti studenti, Geoffrey Ingram Taylor, di effettuare un esperimento di diffrazione con luce cos`ı debole da poter eventualmente evidenziare una modifica nella formazione dell’u- suale figura a frange. In altri termini, si tratta di capire se la figura a frange svanisce quando l’intensit`a del fascio luminoso `e cos`ı ridotta che l’emissione delle presunte unit`a di energia risulti ampiamente distanziata nel tempo.

Alla spiegazione dell’ipotesi di Thomson `e dedicata la prima parte dello scritto del 1909 Frange di interferenza con luce debole [25] in cui Taylor illustra i risultati del suo esperimento:

“I fenomeni di ionizzazione con luce e con i raggi di R¨ontgen hanno condotto a una teoria secondo la quale l’energia `e distribuita in modo non uniforme su un fronte d’onda. Ci sono regioni di energia massima ampiamente separate da grandi regioni non perturbate. Quando l’intensit`a della luce `e ridotta, la separazione di queste regioni aumenta, ma la quantit`a di energia in ciascuna di esse non cambia; cio`e, esse sono unit`a indivisibili.” [26].

Vale la pena fare qualche considerazione sul modello fisico suggerito da questa de- scrizione. Secondo Thomson l’elettromagnetismo di Maxwell non richiede che la di- stribuzione dell’energia della radiazione debba essere descritta da funzioni continue nello spazio e nel tempo; `e quindi possibile, pur rimanendo all’interno della teoria, sviluppare un modello fisico caratterizzato da una distribuzione discreta dell’energia.

Per Thomson, quindi, la luce `e fondamentalmente un’onda ma l’energia da essa tra- sportata non si distribuisce omogeneamente sui fronti d’onda; piuttosto si concentra in regioni spaziali assimilabili a stretti “tubi” elettrici in movimento; tali tubi, gra- zie ai quali anche Oliver Heaviside aveva precedentemente descritto il trasporto di energia, possono essere immaginati come immersi in modo discontinuo in un Etere continuo.

Relativamente alla propagazione della luce, la teoria dei tubi elettrici porta alla se- guente interpretazione: assumendo che cariche oscillanti provochino dei treni regolari

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di perturbazioni nei tubi elettrici collegati ad esse, allora la luce si deve identifica- re con vibrazioni trasversali che si propagano lungo i tubi elettrici. Dal momento che i tubi non occupano completamente l’Etere, la radiazione elettromagnetica deve necessariamente possedere una struttura discontinua [27].

E interessante sottolineare sia le analogie, sia le differenze tra questa concezione` e quella dei quanti di energia di Einstein.

Le conclusioni cui entrambi arrivano sono praticamente le stesse: a bassa inten- sit`a la luce si comporta come un’insieme di “quanti” (Einstein) o “unit`a” (Thomson) di energia separati spazialmente l’uno dall’altro. Ad alta intensit`a, invece, entrambi sono disposti ad accettare che la consueta teoria ondulatoria si riferisca a valori medi.

Inoltre, sia Einstein che Thomson sottolineano le analogie tra le proprie idee e la teoria emissiva di Newton. Tuttavia, c’`e una radicale differenza concettuale tra le due interpretazioni: Thomson `e fermamente convinto che la sua teoria rimanga all’inter- no dell’ambito dell’elettromagnetismo classico; Einstein ritiene, invece, che l’ipotesi quantica contraddica i fondamenti stessi dell’elettrodinamica di Maxwell. In parti- colare, Einstein prevede che, sia la meccanica, sia l’elettrodinamica sarebbero state soppiantate da una teoria fisica completamente “nuova”; Thomson, invece, ritene che i principi fisici esistenti siano uno strumento sufficiente per spiegare la natura della luce e realizzare un’imminente riconciliazione tra i concetti di “onda” e di “corpuscolo”.

Un’ultima differenza tra le due posizioni, particolarmente importante nel determi- nare il destino di ciascuna di esse, `e che le pur “ragionevoli” affermazioni di Thomson sulla struttura della luce non forniscono alcuna previsione quantitativa; mentre le ap- parentemente “ingiustificate” supposizioni di Einstein contengono la legge che governa l’emissione degli elettroni dai metalli nell’effetto fotoelettrico [28].

Ritornando allo scritto del 1909, Taylor prosegue:

“Sinora tutte le evidenze portate a supporto di questa teoria sono state di natura indiretta; poich´e tutti gli ordinari fenomeni ottici sono effetti medi, e sono perci`o incapaci di distinguere tra l’usuale teoria elettromagnetica e la sua variante che stiamo considerando. Tuttavia Sir J. J. Thomson ha suggerito che, se l’intensit`a della luce in un esperimento di diffrazione `e ridotta tanto fortemente che solo poche di queste unit`a indivisibili di energia si trovano contemporaneamente nella stessa zona di Huygens, gli ordinari fenomeni diffrattivi dovrebbero essere modificati” [26].

Pu`o risultare utile fare qualche commento per chiarire meglio i concetti contenuti nel- l’ultima citazione: supposto che l’energia delle onde elettromagnetiche sia concentrata in tubi di forza, l’intensit`a della radiazione `e rappresentata dalla densit`a media di tali tubi.

Secondo la teoria ondulatoria della luce, la figura diffrattiva che si forma quando la radiazione investe un oggetto opaco pu`o essere ottenuta sommando gli effetti dovuti a quelle zone del fronte d’onda che si trovano ai lati dell’ostacolo; inoltre, si assume sempre che l’ampiezza dell’onda in queste zone sia uniforme.

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Thomson crede che, se l’intensit`a della luce viene ridotta sufficientemente, il nu- mero di tubi contenuti in ciascuna zona `e cos`ı basso che ci potrebbero essere marcate variazioni di intensit`a dall’una all’altra. Conseguentemente l’aspetto della figura a frange risulterebbe alterato e la visibilit`a della figura ridotta [29].

Successivamente Taylor descrive l’apparato sperimentale, la modalit`a di svolgi- mento dell’esperimento e il suo esito:

“Sono state scattate delle fotografie dell’ombra di un ago, avendo come sorgente luminosa una sottile fenditura posta davanti a una fiamma a gas. L’intensit`a della luce era ridotta per mezzo di filtri anneriti con del fumo. Prima di realizzare ogni posa `e stato necessario sapere in che proporzione la luce veniva attenuata da questi filtri [cio`e quale fosse l’intensit`a relativa della luce che, ogni volta, incideva sulla lastra].

. . .

Sono state scattate cinque fotografie, la prima con luce diretta e le altre con i vari filtri inseriti tra la fiamma a gas e la fenditura. Il tempo di esposizione per la prima fotografia `e stato ottenuto per tentativi. . . I rimanenti tempi di esposizione sono stati ottenuti dal primo moltiplicandolo per il reciproco delle corrispondenti intensit`a. Il tempo pi`u lungo `e stato di 2000 ore o circa 3 mesi.

In nessun caso c’`e stata una qualche riduzione nella nitidezza della figura. . . ” [25].

Lo scritto si conclude con alcune considerazioni energetiche:

“Un semplice calcolo mostra che la quantit`a di energia che incide sulla lastra fotografica durante l’esposizione pi`u lunga `e la stessa di una candela standard che brucia a una distanza leggermente superiore a un miglio.

. . . la quantit`a di energia che incide su un centimetro quadrato di lastra `e di 5× 10−6erg per secondo. . . ” [30].

Alla luce delle nostre conoscenze, `e interessante esprimere questo valore nelle unit`a del SI ed effettuare qualche considerazione che ci consenta di avere un’idea di quale fosse, nella situazione descritta da Taylor, il numero medio di fotoni in volo tra la sorgente e la lastra fotografica.

Secondo Taylor, l’intensit`a I della luce visibile usata nel caso dell’esposizione pi`u lunga era di 5× 10−9 Js−1m−2. Assumendo per l’energia dei fotoni della luce visibile quella corrispondente alla lunghezza d’onda di 700 nm (assunzione che rende massima la densit`a dei fotoni), si ottiene, usando la formula I = nhνc (n `e la densit`a dei fotoni), che il numero medio di fotoni contenuti in un cilindro avente una base di 1 cm2 e un’altezza di 3 m `e di 0.018 [31].

Si noti che tale valore esprime il numero medio di fotoni in volo tra la sorgente e la lastra fotografica, avendo fatto ragionevoli supposizioni sulle dimensioni dell’apparato sperimentale. Pur avendo ottenuto un valore estremamente basso, non `e possibile trarre alcuna conclusione sul numero effettivo di fotoni presenti tra sorgente e lastra in un determinato istante. In particolare non c’`e motivo di ritenere che l’emissione di ciascun quanto di radiazione sia separata nel tempo da quella degli altri.

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L’esperimento di Taylor `e stato un importante esperimento di falsificazione: ha mostrato che le conseguenze delle congetture di Thomson sul comportamento della luce di debole intensit`a non erano empiricamente riscontrabili.

2.4. Esperimento di interferenza a bassa intensit`a luminosa

“Quando, nel 1909, J. J. Thomson si esprime per la prima volta sull’ipotesi dei quanti ammette che ‘ci sono forti motivi per pensare che l’energia delle onde luminose, di una data lunghezza d’onda, sia suddivisa in pacchetti, e questi ultimi, quando sono emessi, posseggono tutti la stessa quantit`a di energia’. Tuttavia, l’unit`a di luce nell’interazione con la materia non pu`o essere considerata ‘indivisibile’; ad esempio quando essa subisce una parziale riflessione si divide su due percorsi e non si pu`o davvero pensare che la sua energia appartenga ancora a un’unica unit`a. . . L’opinione fondamentale di Thomson `e che l’energia in s`e non abbia una struttura intrinseca, ma sono piuttosto i portatori di tale energia — i tubi di Faraday, gli elettroni, etc. — a essere le entit`a permanenti e indivisibili” [32].

Russell McCormmach Nel novembre del 1927 Arthur Jeffrey Dempster e Harold F. Batho pubblicano un articolo intitolato Quanti di luce e interferenza in cui descrivono l’esito di alcuni esperimenti volti a evidenziare fenomeni interferenziali “con luce cos`ı debole da poter attribuire i risultati ottenuti all’effetto di quanti di radiazione separati tra loro” [33].

Svolgiamo subito alcune considerazioni generali su questo lavoro. Si possono ri- conoscere in esso sia notevoli analogie con l’articolo di Taylor, trattato nella sezione precedente, sia differenze sostanziali.

Entrambi gli scritti riguardano esperimenti in cui vengono fotografate delle figure a frange (nel primo prodotte da diffrazione, nel secondo da interferenza) ottenute con radiazione visibile di intensit`a differente, in alcuni casi anche estremamente debole.

Entrambi concludono affermando che non vi sono sostanziali differenze tra le fotografie scattate con luce di “usuale” intensit`a e quelle con luce molto debole a patto che la durata dell’esposizione venga regolata in modo che l’energia incidente sulla lastra sia all’incirca la stessa.

Le differenze, invece, risiedono sia a livello della “raffinatezza” negli apparati sperimentali sia, soprattutto, a livello del contesto scientifico e concettuale all’interno del quale i due lavori sono maturati.

Mentre il carattere homemade dell’apparato di Taylor `e stato apertamente dichia- rato (senza nulla togliere alla validit`a e all’accuratezza dell’esperimento), nel caso di Dempster e Batho si `e ottenuto un controllo superiore dei parametri in gioco: ad esempio non si usa luce emessa da una fiamma, ma monocromatica (riga 447.1 nm dell’elio); la sua intensit`a non `e dedotta da tavole ma misurata sperimentalmente pa- ragonandola a quella emessa, a quella lunghezza d’onda, da un corpo nero a 1125 K.

Soprattutto, per`o, `e evidente il radicale cambiamento che in soli diciotto anni era avvenuto nella comunit`a dei fisici di quel periodo. Taylor non menziona affatto nel suo lavoro la parola quanti, ma si limita solo a parlare di unit`a di energia attribuen- do chiaramente tale modello a J. J. Thomson; e nemmeno, pur effettuando alcune

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considerazioni energetiche, riporta alcun calcolo sul numero di tali unit`a mediamente coinvolte nei suoi esperimenti. Infine, non utilizza i risultati degli esperimenti per proporre una congettura sul modello fisico soggiacente.

Bench´e non ci sia dato di sapere se Taylor e Thomson conoscessero il lavoro di Einstein del 1905 all’epoca della stesura dell’articolo sulla diffrazione con luce debole, `e presumibile che queste omissioni rispecchiassero, piuttosto, l’atteggiamento di estrema cautela che la comunit`a scientifica aveva ancora, nel 1909, nei confronti dell’ipotesi quantica.

Che tale ipotesi, invece, fosse ormai stata presa seriamente in considerazione nel 1927 `e evidente gi`a fin dal titolo dell’articolo di Dempster e Batho.

Questi ultimi, dunque, possono contare su uno sfondo teorico, concettuale e spe- rimentale decisamente pi`u ricco di quello di Taylor e si propongono di investigare quali siano le caratteristiche con cui le figure interferenziali si originano quando la radiazione `e emessa in media “da un singolo atomo per volta”.

Nella parte introduttiva dell’articolo sono riassunti i risultati degli esperimenti realizzati con radiazione di frequenza differente ottenuti negli anni immediatamente precedenti:

“Numerosi recenti esperimenti con i raggi X hanno suggerito che il processo di radiazione da un singolo atomo pu`o essere piuttosto differente da quello conside- rato nella teoria classica. Gli esperimenti di Compton e Simon, Bennet, Bothe e Geiger hanno suggerito che la radiazione diffusa da un elettrone `e emessa in una determinata direzione rispetto al rinculo dell’elettrone, e gli esperimenti di Bothe mostrano che la radiazione di risonanza eccitata dai raggi X `e emessa in un’unica direzione, e non distribuita su un fronte d’onda sferico.

Invece, gli esperimenti con radiazione visibile hanno fallito nel mostrare una qual- che peculiarit`a, bench´e Joos abbia intuito l’esistenza di differenze nelle scintilla- zioni osservate con sottili fasci in diverse direzioni. Sia Schr¨odinger che Gerlach e Lande non hanno trovato alcuna impossibilit`a nel far interferire fasci di luce con direzioni differenti. Molti esperimenti sono stati eseguiti con sorgenti deboli da G. I. Taylor, R. Gans e P. Miguez, e da P. Zeeman; ma non `e stato individuato alcun comportamento anomalo.

In questi esperimenti, tuttavia, era sempre possibile che gli effetti ottenuti fossero dovuti all’azione di molti quanti di luce, cosicch´e le peculiarit`a osservate con i raggi X possono ancora essere associate alla radiazione emessa dal singolo atomo. Per mezzo di una camera a nebbia di Wilson e di un contatore Geiger, gli effetti dovuti ai processi di emissione elementari possono essere osservati con i raggi X. Ma queste osservazioni dirette non possono essere compiute con radiazione visibile. . . ” [34].

Una curiosit`a: tra i lavori citati a sostegno dell’ipotesi quantica non compare un articolo di Erwin Schr¨odinger del 1922 nel quale egli sviluppa una teoria corpuscola- re dell’effetto Doppler [35]. In particolare la trattazione di Schr¨odinger mostra che l’effetto Doppler `e una conseguenza della discretezza del processo di emissione e di

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assorbimento da parte di un atomo e delle leggi di conservazione della dinamica relati- vistica. Purtroppo, questo lavoro `e stato dimenticato in diverse occasioni: nel 1923 n´e Arthur H. Compton n´e Peter Debye lo citano; anche Ives e Stilwell [36] nel 1938 non lo considerano, pur compiendo esperimenti in cui misurano l’effetto Doppler trasversale dovuto al moto di atomi di idrogeno [37]. Infine, Clinton J. Davisson pubblica un lavoro nel 1938 intitolato La teoria dell’effetto Doppler trasversale [38] in cui arriva alle stesse conclusioni di Schr¨odinger senza citarlo.

Ritornando a Dempster e Batho, dopo aver messo in evidenza la difficolt`a che si incontra nell’allestire esperimenti con una sorgente di radiazione visibile “a singolo fotone”, essi indicano la via seguita per ottenere una situazione in cui si possa sup- porre di avere singoli processi di radiazione atomica separati nel tempo l’uno dall’altro:

“. . . esperimenti in cui possiamo essere sicuri di avere a che fare con radiazione emessa da un singolo atomo sono resi possibili dall’esame, tramite i raggi anodici [canal rays], del limite di tempo superiore per i processi di radiazione elementari relativo alla sorgente atomica in uso.

. . .

Il professor Wien ha trovato che la radiazione di lunghezza d’onda 4471 ˚A emessa dagli atomi di elio decade secondo il fattore e−2αt dove 2α = 5.42× 107s−1, cosicch´e dopo 5× 10−8s l’intensit`a iniziale si riduce di un fattore 15. . . queste osservazioni impongono un limite superiore al tempo necessario affinch´e un atomo emetta l’energia interessata in un processo di radiazione elementare.

Nei seguenti esperimenti `e stata misurata l’energia irraggiata da un certo volume del tubo [contenente l’elio a bassa pressione] in una determinata linea spettrale, e il numero dei processi di emissione elementari al secondo `e stato ottenuto dividendo l’energia al secondo per il valore di hν relativo alla frequenza selezio- nata. Se il tempo relativo a ciascun processo emissivo moltiplicato per il loro numero `e molto minore di 1 s, il singolo quanto di radiazione emesso da ciascun atomo deve essere separato nel tempo dalla radiazione emessa da altri atomi” [39].

In altri termini, quindi, si confida nel fatto che `e molto probabile (anche se non certo) che il quanto di radiazione emesso da un atomo sia separato nel tempo dal quanto emesso da un altro atomo.

Gli autori hanno realizzato due esperimenti: il primo per mostrare che la figura interferenziale a frange formata da un reticolo a gradini mantiene la sua nitidezza quando l’intensit`a luminosa `e cos`ı ridotta che, in media, meno di un quanto per volta passa attraverso l’apparato; il secondo per mostrare che un’usuale figura a frange si forma per parziale riflessione della luce su due lastre di vetro parallele, separate da un sottile strato d’aria, anche quando la sorgente `e cos`ı debolmente eccitata da avere mediamente un solo atomo alla volta che irraggia in ogni direzione.

Anche senza dilungarci nell’illustrare gli schemi relativi ai due esperimenti `e possi- bile fare alcune considerazioni sui dispositivi ottici impiegati e riportare le conclusioni di Dempster e Batho.

Nel primo esperimento il dispositivo che consente la formazione della figura a

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Fig. 5. – Rappresentazione di un reticolo a gradini in trasmissione (echelon).

frange `e un reticolo a gradini in trasmissione o echelon. Albert Michelson invent`o tale strumento in modo da ottenere un comportamento analogo agli usuali reticoli di diffrazione ma, al contempo, un potere risolutivo di gran lunga maggiore.

Esso `e costituito da una serie di lastre di vetro parallele di uguale spessore disposte in modo che ciascuna di esse sporga di una certa quantit`a costante rispetto alla lastra precedente; il profilo di tale dispositivo assomiglia, come si pu`o vedere in fig. 5, a una rampa di scale in cui i “gradini” hanno tutti lo stesso spessore.

Se un fascio di luce parallelo incide normalmente sulla “base” AB del primo gra- dino, i fasci di luce uscenti da due gradini adiacenti presentano una differenza di fase proporzionale alla differenza di cammino ottico tra il percorso in aria e attraverso un gradino. Pi`u in generale si ha una differenza di fase costante tra due fasci contigui anche nel caso di incidenza non normale sulla prima superficie [40].

In questo primo esperimento l’energia misurata in corrispondenza dell’esposizio- ne pi`u lunga `e equivalente a 95 fotoni al secondo e, per quanto detto precedentemente,

“. . . si suppone che questi quanti abbiano attraversato l’echelon separatamente poich´e moltiplicando 5× 10−8s per 95 si ottiene una durata molto inferiore a 1 s.

Concludiamo quindi che un singolo quanto di luce possa produrre effetti rela- tivi al suo passaggio simultaneo attraverso pi`u gradini dell’echelon, cio`e esso copre un fronte d’onda pi`u grande di quello sotteso dall’estremit`a di ciascuna lastra. . . perci`o non c’`e alcuna difficolt`a nello spiegare la figura interferenziale cos`ı ottenuta secondo la teoria ondulatoria” [41].

In altri termini gli autori sostengono che la formazione di una figura a frange pu`o essere attribuita all’interazione di ogni singolo quanto di luce con l’echelon; secondo la

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loro interpretazione ci`o avviene perch´e ogni quanto “si estende” spazialmente (“copre un fronte d’onda”) pi`u di quanto sporga un singolo gradino e quindi riesce, nel suo passaggio, a investire pi`u gradini contemporaneamente. Questa spiegazione implica la formazione di una figura a frange anche nel caso in cui un solo fotone attraversi l’apparato.

Il secondo esperimento viene introdotto con le seguenti parole:

“. . . nelle figure a frange, prodotte dalla presenza di un sottile strato d’aria tra due lastre parallele, abbiamo interferenza tra la porzione di radiazione riflessa dalla prima lastra con la porzione trasmessa attraverso la prima lastra e riflessa dalla seconda” [41].

Pure in questo caso i calcoli mostrano che solo un quanto alla volta attraversa, in media, l’apparato di interferenza, perci`o

“. . . la figura di interferenza osservata deve essere prodotta dalla radiazione emessa in ciascun processo di emissione elementare, e quindi si deve concludere che questo ‘pacchetto’ [bundle] di energia obbedisce alle leggi classiche di separazione su uno specchio semi-argentato e di successiva ricombinazione con la differenza di fase prescritta dalla teoria ondulatoria della luce” [42].

Anche in questo caso, gli autori sostengono che la formazione di una figura a frange pu`o essere attribuita all’interazione di ogni singolo quanto di luce con le due lastre;

si suppone, allora, che l’energia trasportata da ogni quanto sia in parte riflessa dalla prima lastra e in parte dalla seconda, in modo da ricombinarsi con la differenza di fase prevista dalla teoria ondulatoria.

Coerentemente alla loro interpretazione dei risultati sperimentali, Dempster e Ba- tho prendono le distanze dalle previsioni della teoria quantistica di Einstein, secondo cui “dovremmo aspettarci che ogni singolo quanto di luce segua o l’uno o l’altro per- corso a seconda delle leggi della probabilit`a”; ci`o che, invece, gli autori ritengono `e che, similmente alle opinioni di Thomson descritte in apertura di questa sezione, una parte dell’energia trasportata da ogni quanto segua un percorso e la parte rimanente segua l’altro.

Inoltre, il concetto di fotone che emerge dall’articolo (che, si ricordi, `e del 1927) ha ancora una forte connotazione classica, e in particolare, ondulatoria. Si parla di

“fronte d’onda sotteso da un singolo quanto di luce” e di “coerenza delle porzioni riflessa e trasmessa di un quanto di luce”: `e evidente che il fotone `e considerato come una perturbazione ondosa di estensione limitata.

L’interpretazione di Dempster e Batho implica che l’effetto dell’interazione di ogni singolo quanto di luce con l’apparato interferenziale sia quello di formare sulla lastra fotografica un’immagine “sbiadita” della figura d’interferenza complessiva e che questa si rafforzi man mano che altri fotoni, incidendo sulla lastra, la rendono pi`u evidente.

Gli autori, comunque, non traggono esplicitamente questa conclusione.

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2.5. Esperimento di interferenza con singoli fotoni

Nelle sezioni 2.3 e 2.4 ci siamo occupati dei primi due importanti esperimenti di interferenza realizzati con luce di debole intensit`a (Taylor, 1908; Dempster e Batho, 1927). In particolare, nel secondo caso, abbiamo commentato lo “stratagemma” adot- tato dagli autori: hanno considerato una situazione in cui il flusso di fotoni (cio`e il numero medio di fotoni che attraversano una sezione trasversale del fascio nell’unit`a di tempo) `e cos`ı basso che il suo valore moltiplicato per la durata del singolo processo emissivo `e molto minore dell’unit`a di tempo. In tale situazione, sostengono gli autori,

“il singolo quanto di radiazione emesso da ciascun atomo deve essere separato nel tempo dalla radiazione emessa dagli altri atomi.”

Non `e difficile convincersi che questa conclusione non `e corretta: una cosa `e dire, ad esempio, che il numero medio di fotoni in volo tra sorgente e rivelatore `e inferiore a uno, un’altra `e sostenere che i fotoni attraversano l’apparato sperimentale uno alla volta.

Si pensi, tanto per fare un esempio, a una sorgente che emette, ripetutamente, una coppia di fotoni nello stesso istante; se gli intervalli di tempo (anche non regolari) tra le emissioni sono sufficientemente lunghi, il valore del flusso di fotoni `e estremamente basso anche se i quanti di radiazione non sono mai separati tra loro. Il cuore della questione sta nel fatto che il flusso ci d`a indicazioni su una propriet`a (il numero di fotoni) media della radiazione luminosa.

In base a queste semplici considerazioni `e possibile capire come gli esiti dell’e- sperimento di Taylor e di Dempster e Batho non si possano ritenere conclusivi per quanto concerne la capacit`a di evidenziare l’effetto dell’interazione del singolo fotone con l’apparato sperimentale.

E altres`ı evidente che esperimenti con tali caratteristiche si sono potuti realizzare` solo in seguito all’individuazione di una sorgente che fosse effettivamente in grado di emettere singoli fotoni. Per ottenerla `e stato necessario riuscire a isolare singoli emet- titori (ad esempio atomi, molecole o centri di colore) e regolare in modo opportuno la frequenza con cui i fotoni sono emessi.

Nel lavoro “Interferenza di un singolo fotone con divisione del fronte d’onda” [43]

un gruppo di ricercatori illustra la realizzazione di un esperimento di interferenza

“a fotone singolo” mediante un apparato sperimentale analogo a quello della doppia fenditura di Young.

L’apparato adottato `e schematizzato in fig. 6: in essa, `e descritta sia la configura- zione necessaria all’osservazione delle frange di interferenza (che comprende sorgente, biprisma e fotocamera CCD (Charge Coupled Device), sia quella impiegata per dimo- strare che la sorgente emette “singoli fotoni” (in cui la fotocamera CCD `e sostituita dai due fotodiodi APD (Avalanche PhotoDiode) e dai contatori delle rivelazioni singole e congiunte di fotoni).

L’apparato sperimentale presenta le seguenti caratteristiche:

1) si utilizza una sorgente pilotata da un “orologio” capace di emettere un fotone alla volta;

(23)

Fig. 6. – Apparato a divisione del fronte d’onda basato su un biprisma di Fresnel (FB) per l’interfe- renza. APD sono due fotodiodi di silicio a valanga che operano in regime di conteggio dei fotoni. Una fotocamera CCD a intensificazione d’immagine (linea tratteggiata) registra le frange di interferenza che si formano nella regione di sovrapposizione dei due fronti d’onda deviati. Quando la fotocame- ra `e eliminata dalla configurazione `e possibile dimostrare il comportamento ‘a singolo fotone’ della sorgente registrando le ricezioni congiunte di fotoni sui due percorsi dell’interferometro. Per una spiegazione del modo in cui `e possibile effettuare tale dimostrazione si veda l’Appendice. Figura tratta da [43].

2) il dispositivo grazie al quale `e possibile generare la figura di interferenza `e un biprisma di Fresnel (FB);

3) nella regione in cui i due fasci si sovrappongono `e collocato lo schermo di una fotocamera CCD a intensificazione di immagine, che consente di osservare, passo per passo, la formazione delle frange.

I fotoni vengono emessi sfruttando la fotoluminescenza di un centro di colore in un cristallo di diamante le cui dimensioni sono dell’ordine del nm (1). Il centro di colore utilizzato `e denominato N-V perch´e costituito da una vacanza [assenza di un atomo]

del reticolo (V) e da un atomo di azoto (N) che sostituisce un atomo di carbonio in una posizione adiacente alla vacanza. La tecnica impiegata consente di creare tali centri di colore con una densit`a molto bassa, in modo che uno solo di essi possa essere isolato e impiegato come emettitore nell’esperimento.

L’utilizzo di nanocristalli `e legato alla necessit`a di estrarre efficientemente i fotoni emessi. Se le dimensioni del cristallo fossero molto maggiori della lunghezza d’onda emessa, si avrebbe rifrazione all’interfaccia diamante-aria; a causa dell’elevato indice di rifrazione del diamante (n = 2.4), l’angolo limite corrispondente sarebbe di cir- ca 25. Per angoli di incidenza maggiori di tale valore la radiazione sarebbe riflessa totalmente all’interfaccia tra i due mezzi. Invece, cristalli di dimensioni lineari infe- riori alla lunghezza d’onda emessa rendono trascurabile la rifrazione e consentono di assimilare il centro di colore a una sorgente puntiforme nell’aria.

(1) I centri di colore sono costituiti da difetti puntiformi nella struttura regolare di un solido cristallino; tali difetti reticolari possono assorbire luce visibile in un intervallo pi`u o meno ampio di frequenze, conferendo cos`ı al materiale un colore caratteristico (donde il nome di “centri di colore”).

(24)

Fig. 7. – Frange di interferenza ingrandite dall’oculare e registrate dalla fotocamera CCD a inten- sificazione di immagine. Le immagini (a), (b) e (c) corrispondono alla ricezione, rispettivamente, di 272, 2240 e 19773 fotoni, corrispondenti a una durata dell’esposizione di 20 s, 200 s e 2000 s. Il grafico nella figura (d) mostra le frange di interferenza ottenute raccogliendo i dati sperimentali (punti rossi) dell’immagine (c) e una ricostruzione (linea blu) al calcolatore della figura d’interferenza (nel regime di diffrazione di Fresnel di un fascio coerente, e tenendo conto della coerenza temporale finita della sorgente dovuta all’ampia emissione spettrale del centro di colore N-V). La frangia centrale ha una visibilit`a del 94%. Figura tratta da [43].

Nella Appendice si mostra come sia possibile classificare le sorgenti di luce in funzione di come i fotoni emessi sono temporalmente distanziati. Sulla base dei criteri ivi descritti, la sorgente usata nel lavoro in discussione pu`o essere ragionevolmente classificata come “a singolo fotone”.

Il guadagno e la soglia di rivelazione della fotocamera sono regolati in modo tale che a ogni pixel illuminato corrisponda la rivelazione di un fotone; inoltre, tra il biprisma e la fotocamera, `e inserita una lente che ingrandisce l’immagine in modo da rendere la spaziatura tra le frange maggiore delle dimensioni dei pixel.

Sono state scattate circa 2000 fotografie con una durata di esposizione di 1 s cia- scuna e un numero medio di otto fotoni rivelati per ogni fotografia. Osservando le immagini sovrapposte l’una all’altra `e possibile esaminare come la figura a frange si forma (fig. 7): inizialmente sembra che i pixel illuminati siano distribuiti sullo scher- mo in maniera casuale e non `e possibile ravvisare alcuna figura di interferenza; poi, man mano che il numero di fotoni rivelati va aumentando, si percepiscono le frange con una visibilit`a sempre maggiore.

I risultati confermano ci`o che era stato ottenuto negli esperimenti di interferenza a bassa intensit`a luminosa ma, grazie all’ausilio della fotocamera, consentono di andare un passo oltre nella comprensione degli eventi microscopici che stanno alla base del fenomeno dell’interferenza. Ogni singolo quanto di luce interagisce con l’apparato sperimentale ma, contrariamente a quanto ritenevano Dempster e Batho, non forma sullo schermo una figura a frange completa.

L’osservazione delle immagini della fotocamera impone una descrizione completa- mente diversa: ogni singolo fotone non si disperde su una regione estesa dello schermo ma “colpisce” un punto preciso del sensore, secondo leggi probabilistiche che fanno s`ı che esso cada preferibilmente nelle zone in cui si ha interferenza costruttiva ed eviti le zone ad interferenza distruttiva.

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