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KIHMSH

Due territori dell'Islam, due straordinari scrittori dall'esilio raccontano la loro gente

Shahrnush Parsipur DALL'IRAN

Donne senza uomini „

pagine 128-£.18.000//? 9,30 ISBN 88-88040-05-6

DALL'ALGERIA Mohammed Dib

Un'estate afjicana pagine 168-£. 21.300/ R 11,00 ISBN 88-88040-26-9 AIEP EDITORE

Un'estate

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L'INDICE

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Giorgio Carnevali, DELL'AMICIZIA POLITICA.

TRA TEORIA E STORIA, pp. 126, Lit 25.000,

La-terza, Roma-Bari 2001

Una "ragionevole utopia". Così viene presentata, in questo libro, l'idea deH"'amicizia politica" come elemento fondamentale per una revisione dell'im-pianto "conflittualistico" elaborato dalla tradizione "realistica". Hobbes aveva poggiato il ricorso all'obbligazione politica su motivazioni dettate dalla "paura", e aveva spiegato, poi, il funzionamento del-lo Stato attraverso il monopolio della forza e la minaccia delle sanzioni. Ma lo svilup-po delle istituzioni democratiche - si do-manda l'autore del volume - si fonda an-cora su quelle ragioni? Cari Schmitt rin-tracciava l'essenza della politica nella diade "amico-nemico". Ma a quale dei due termini egli affidava il ruolo centrale? L'analisi del filosofo tedesco parrebbe es-sersi concentrata sul secondo, mentre la nozione di "amicizia" sarebbe stata ridot-ta a una mera entità "compatridot-ta", sulla ba-se di religione, razza e cultura. La coniu-gazione di amicizia e politica, proposta, invece, nel presente lavoro, intende inse-rirsi nello scenario del declino dello Stato-nazione, e tenta di affondare le proprie ra-dici teoriche neWEtica nicomachea di Ari-stotele, pur dovendo rinunciare a un unico "universo tolemaico delle virtù". La nuova idea di amicizia politica, ora innervata dal-la prospettiva cosmopolitica, non può più fondarsi su una "comune visione di ciò che è buono", bensì deve nascere "dal confronto e dalla discussione tra soggetti

diversi'. Il libro finisce, così, dopo aver

fatto un po' sommariamente giustizia di Hobbes e Schmitt, col riproporre il classi-co elogio della diversità, della "libera di-scussione" e del confronto "non-conflit-tuale", sicuramente "ragionevole", ma an-che prevedibile.

GIOVANNI BORGOGNONE

P i e r l u i g i B a t t i s t a , IL PARTITO DEGLI INTEL-LETTUALI. CULTURA E IDEOLOGIE

NELL'ITA-LIA CONTEMPORANEA, pp. 146, Lit 18.000, La-terza, Roma-Bari 2001

In un paese da sempre teatro di di-spute e scontri ideologici all'arma bian-ca, il breve saggio di Pierluigi Battista, uno dei più noti opinionisti di area neoli-berale, offre l'occasione per riflettere sui tormentati trascorsi nazionali. La mole di materiale presa in considerazione, e condensata in pagine molto ben scritte, è cospicua. Tesi di fondo è che a domi-nare la gran parte degli intellettuali ita-liani del dopoguerra, soprattutto a sini-stra, sia stato uno "spirito di gruppo", il quale si sarebbe dannosamente riper-cosso sulla vita artistica o culturale del paese, riflettendosi ora nell'intolleranza verso colleghi meno "ortodossi", ora nel-la moda degli appelli. L'analisi acquista poco a poco maggiori sfumature - ac-cennando anche al prender forma, negli ultimi anni, con personaggi come Serra e Benni, di "un'altra storia" - ma, nel li-bro peraltro sempre molto interessante, la tesi forse un po' radicale dell'introdu-zione riemerge in più punti, e porta ad alcune forzature: perché infatti trovare per forza "ideologico" il fatto che, nel di-battito storiografico, uno studioso ne cri-tichi un altro se le conclusioni cui giunge gli paiono controfattuali, o che la prosa di uno scrittore ad alcuni non sembri im-peccabile? Battista critica gli intellettua-li, tacciandoli di miope partitismo quan-do attaccano i compagni di strada, e ac-cusandoli di politicismo esasperato se firmano appelli contro chi sta su fronti opposti: ma la cultura e l'arte, soprattut-to in ambisoprattut-to letterario, sono sempre sta-te in stretti rapporti con la polemica poli-tica, e i gruppi di affini non sono mai mancati.

DANIELE ROCCA

L A STORIA DEL PENSIERO POLITICO COME

FORMAZIONE PERMANENTE, a cura di

Manue-la Ceretta, pp. 140, Lit 18.000, Angeli, MiManue-lano

2001

La questione di fondo è di grande rilie-vo: alcune nozioni generali sulla storia del pensiero politico potrebbero costituire un aspetto importante nella formazione cultu-rale dei funzionari di Stato e degli enti pubblici e privati. Questa è l'idea che ha guidato un seminario svoltosi presso l'U-niversità di Torino. Nelle lezioni-capitoli che compongono l'opera, frutto di quel seminario, si presentano temi fondamen-tali, quali il giusnaturalismo, le utopie, la burocrazia e la nazione. La loro trattazio-ne è stata affidata a esperti, tra cui Dino Cofrancesco, Alberto Andreatta e France-sco Tuccari. È una proposta, rivolta alle varie sedi universitarie locali, "per avviare un'offerta all'esterno di formazione postu-niversitaria ricorrente".

( G . B . )

R o b e r t A . D a h l , POLITICA E VIRTÙ. L A TEORIA DEMOCRATICA NEL NUOVO SECOLO, a cura di

Sergio Fabbrini, pp. 191, Lit 34.000, Laterza, Roma-Bari 2001

Come fin troppo spesso accade, il titolo o, meglio, il sottotitolo del libro sembra promettere più di quanto il contenuto rie-sca a mantenere. Annunciare "la teoria de-mocratica del nuovo secolo" appare ec-cessivo se si considera che il volume si compone di una scelta antologica da una silloge comparsa oltreoceano, che racco-glie saggi sparsi scritti da Dahl lungo l'ar-co di parecchi decenni. Tuttavia, a una più attenta lettura, pur con i limiti di una compi-lazione, la raccolta rivela indubbi motivi di interesse. Inoltre, i saggi sono raggruppati in tre sezioni tematiche: democrazia e mercato, democrazia e bene pubblico, democrazia e cittadinanza, in modo da comporre quasi un'opera organica. L'ap-proccio è quello consueto di Dahl: la politi-ca non è, e non può essere, oggetto di una scienza sperimentale, ma occorre studiar-la tenendo presente un insieme di elemen-ti. In primo luogo l'evidenza empirica, che con lo sviluppo degli studi politologici si è accresciuta di molto sia sotto il profilo quantitativo-statistico sia sotto quello com-parativo. Ma questo patrimonio di cono-scenze non può essere messo a frutto senza tenere conto dell'esperienza storica e senza meditare la lezione dei classici. Vi-sto in questa luce, allora, il sottotitolo non è del tutto ingannevole, ma contiene un gra-nello di verità, e la raccolta di saggi di Dahl offre un sicuro punto di orientamento a chi voglia capire le democrazie contempora-nee. Una parte non trascurabile nella riu-scita del volume va attribuita al curatore, Sergio Fabbrini, che ha scritto una lunga introduzione in cui si traccia un esauriente profilo dell'attività scientifica di Dahl. Un capitolo di storia della scienza politica americana che è al tempo stesso un'inda-gine sulle ragioni della forza del modello democratico statunitense. In particolare, Fabbrini, nel delineare l'atteggiamento po-litico di Dahl, definito "un viaggiatore

libe-ral della democrazia", lo riconnette a una

tradizione politica che, "da Madison e Jef-ferson fino a Dewey", ha focalizzato il suo atteggiamento riformista "sulle istituzioni e sul loro costante miglioramento".

MAURIZIO GRIFFO

cuni contributi sul socialismo liberale (Gian Biagio Furiozzi, Salvo Mastellone, Valdo Spini) seguono un intervento sulla Società per la pace e l'arbitrato di Perugia (Lucio d'Angelo) e vari saggi sull'opera di Capitini (Alberto de Sanctis, Angelo di Carlo, Franco Bozzi, Mario Martini, Giu-seppe Moscati). Capitini è stato il fautore di un peculiare liberalsocialismo, da lui stesso definito un "orientamento social-re-ligioso" più che "giuridico". La specificità di tale "orientamento" sembra ben colta dalla definizione del liberalsocialismo, proposta da Bozzi, come "teoria e prassi della società aperta": il modello di Capiti-ni si distingue da quello di Bergson per la sua natura insieme religiosa e politica e da quello di Popper per la sua natura ri-voluzionaria. Uno spunto interessante è la nozione di "libero socialismo" che Mosca-ti propone per sottolineare l'accentuazio-ne capitiniana del momento del sociali-smo - "che si schiude alla libertà" - ri-spetto a quello del liberalismo. Sta qui for-se la ragione principale sia della non ade-sione al Partito d'Azione sia dell'attenzio-ne al comunismo: né comunista né anti-comunista, egli si considerò piuttosto un postcomunista.

PIETRO POLITO

MARGINALISMO E SOCIALISMO NELL'ITALIA

LIBERALE 1870-1925, a cura di Marco E. L. Guidi e Luca Michelini, pp. 618, Lit 150.000,

Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano 2001

Il nuovo, corposo volume della Fonda-zione Feltrinelli affronta il problema del-l'apporto del marginalismo - l'indirizzo di teoria economica prevalente in Italia fra il 1890 e il 1925 - e lo sviluppo del sociali-smo, in termini sia teorici sia politici. L'av-vicinamento fra i due ambiti appare giu-stificato da alcune specifiche caratteristi-che del marginalismo italiano: da un lato, la sua impostazione fortemente ideologi-ca, influenzata dall'evoluzione darwiniana (Pantaleoni); dall'altro, la profonda valen-za politica, di affermazione del liberali-smo, e morale, di promozione delle ener-gie individuali, attribuita all'economia di mercato. Se sul piano teorico il sociali-smo è dunque sempre avversato, sul ver-sante politico le soluzioni risultano più dif-ferenziate. Mentre in Pantaleoni l'esalta-zione del monopolio privato confluirà in una sostanziale adesione al fascismo, al-tri marginalisti seguiranno vie diverse, ed è proprio a questo proposito che i contri-buti dei saggi risultano particolarmente ricchi e originali. Alcuni economisti giun-gono infatti ad ammettere, sulla scorta di Walras e dello stesso Pareto, più che di Marx, la possibilità di un "socialismo di mercato" (Barone). Altri studiano i proble-mi del socialismo attraverso la metodolo-gia del marginalismo (Montemartini, Leo-ne). Non mancano, infine, gli economisti di indirizzo marshalliano, aperti alla pos-sibilità di introdurre elementi di "sociali-smo" all'interno della scienza economica dominante.

FRANCESCO CASSATA

A L D O CAPITINI TRA SOCIALISMO E

LIBERALI-SMO, a cura di Gian Biagio Furiozzi, pp. 120,

s.i.p., Angeli, Milano 2001

La raccolta degli atti del convegno te-nutosi a Perugia nel novembre 1999, in occasione del centenario della nascita di Capitini, è un'altra prova dell'interesse per il filosofo italiano della nonviolenza. Ad

ai-Maurizio Ridolfi, NEL SEGNO DEL VOTO.

ELE-ZIONI, RAPPRESENTANZA E CULTURE POLI-TICHE NELL'ITALIA LIBERALE, pp. 173, Lit

25.000, Carocci, Roma 2001

Già da diversi anni la storiografia della vita politica ha esteso il suo campo di os-servazione ben al di là delle vicende inter-ne agli eletti e ai dirigenti. Lo stesso studio del partito politico non si limita più a consi-derarlo esclusivamente come macchina politica e a scrutarne i meccanismi orga-nizzativi. Ora la storia politica guarda an-che agli addentellati sociali nei quali il par-tito prende corpo e ai codici simbolici di cui esso si nutre e che a sua volta diffonde

nella società. Maurizio Ridolfi è un ben no-to rappresentante di tale tendenza sno-torio- storio-grafica, grazie ai numerosi suoi volumi de-dicati ai repubblicani e ai socialisti italiani. Questo nuovo libro studia il momento delle elezioni come "l'ora della verità" delle pra-tiche sociali e simboliche di determinati gruppi politici nell'Italia liberale. Il primo capitolo mostra come nell'Italia liberale le pratiche del voto, per l'elezione sia degli organi locali sia di quelli nazionali, fossero marcate dalle forme di sociabilità delle campagne. Questa impronta è visibilissi-ma nei continuatori della tradizione visibilissi- mazzi-niana, i repubblicani, a cui si dedica il se-condo capitolo, mentre il terzo capitolo il-lustra il dibattito interno al partito socialista in età giolittiana sul tema del suffragio uni-versale. A un socialista romagnolo, ma at-tivo a Milano prima della guerra, Alessan-dro Schiavi, è dedicato il quarto capitolo, mentre l'ultimo capitolo studia le radici delPItalia rossa" che, in età giolittiana, si-gnificava la parte meridionale della Lom-bardia, l'Emilia e il Piemonte sud orientale. Tutto ciò potrà forse interessare anche il lettore non specialistico, aiutandolo a comprendere la lunga durata delle geo-grafie elettorali, risultato di un intreccio, stratificatosi negli anni, di culture, di tradi-zioni, di forme associative e di strutture economiche.

MARCO GERVASONI

Giuliana Laschi, L'UNIONE EUROPEA.

STO-RIA, ISTITUZIONI, POLITICHE, pp. 142, Lit

19.000, Carocci, Roma 2001

Negli ultimi decenni quella che era de-finita "Comunità europea", e che ora è giusto chiamare "Unione europea", è ve-nuta acquistando un'importanza crescen-te. Tale accresciuta centralità si può però considerare inversamente proporzionale alle conoscenze che si hanno sul suo fun-zionamento. E questo vale non solo per i comuni cittadini, ma spesso anche per larghi strati della nostra classe dirigente. Il volume che qui segnaliamo è in grado di dare risposte adeguate a chi volesse un'informazione più precisa. Il libro è divi-so in due parti: la prima di carattere stori-co, la seconda descrittiva. L'esposizione storica, pur compressa in limiti di spazio assai ristretti, può considerarsi esaurien-te. Fissate le coordinate generalissime del tema dell'unità europea dal Settecento in avanti, si procede poi con una ricostruzio-ne dei principali avvenimenti a partire dal-la fine deldal-la seconda guerra mondiale. Il racconto degli accadimenti relativi alla vi-ta dell'Unione europea è accompagnato da quello dell'evoluzione generale dei rapporti internazionali. Una cronologia fi-nale aiuta il lettore nella lettura, consen-tendo un comodo inquadramento sinotti-co. La seconda parte ha un carattere emi-nentemente esplicativo. Essa è volta a spiegare come funzionano i vari istituti e organismi che compongono l'Unione, e quali sono le politiche che l'Unione svolge al suo interno e verso gli altri organismi in-ternazionali. Le procedure sono esposte in un linguaggio semplice e perfettamen-te comprensibile anche a chi non abbia una specifica preparazione giuridica o di-plomatica. Continui sono i riferimenti alle origini storiche di ciascun istituto. Infine, quelli che si possono definire gli apparati di supporto comprendono, oltre alla cro-nologia, una bibliografia sommaria e un utilissimo elenco delle abbreviazioni. Gra-zie a quest'ultimo strumento tante sigle misteriose che costellano le cronache giornalistiche sulla vita delle istituzioni eu-ropee diventano facilmente intelligibili. In definitiva, se il libro non è certo (e credia-mo non ambisca a essere) un esauriente manuale universitario sulle istituzioni munitarie, si raccomanda largamente co-me una sorta di breve corso di educazio-ne civica europea.

HNDICF

• • D E I L I B R I D E L M E S E

Federico Romero, STORIA INTERNAZIONALE

DEL NOVECENTO, pp. 126, Lit 16.000, Carocci,

Roma 2001

Alla fine del suo percorso, il Novecento, secolo di conflitti e convulsioni tra le più sanguinose della storia, ha sancito la vit-toria dell'Occidente sia sotto il profilo geo-politico e militare sia sotto quello socio-economico. O, meglio, sostiene Federico Romero, ha ribadito la preminenza mon-diale dell'Occidente, quale già si registra-va alla fine del secolo precedente, ridefi-nendola in funzione degli Stati Uniti e dei rapporti che gli altri paesi e le altre aree hanno con essi. La storia delle relazioni internazionali nel secolo appena termina-to, infatti, è stata segnata principalmente dal definitivo crollo, sancito dalla prima guerra mondiale, di un sistema incentrato sugli stati europei, e dal concomitante emergere e dal progressivo affermarsi di nuove potenze extraeuropee (in primo luogo, appunto, gli Stati Uniti) che hanno introdotto logiche e concezioni diverse. I conflitti, le contrapposizioni e gli squilibri che ne sono derivati si sono inseriti, a loro volta, in un contesto in rapida trasforma-zione, per le molte innovazioni economi-che e tecnologieconomi-che ma aneconomi-che sociali e culturali. Romero ripercorre gli eventi, i processi, le crisi e gli sviluppi del sistema internazionale del Novecento evidenzian-do soprattutto la rilevanza di due linee di tensione: da un lato, la centralità che nel-la sempre più stretta rete di interdipen-denze hanno continuato a occupare gli Stati-nazione, con la conseguente tensio-ne tra i progetti di cooperaziotensio-ne interna-zionale e l'antagonismo e le rivalità che hanno segnato i rapporti interstatuali; dal-l'altro, le contrapposizioni e i conflitti che hanno opposto le nazioni industrializzate ai nuovi protagonisti emersi nelle altre aree del mondo.

ALESSIO GAGLIARDI

più ampio respiro indotto dal Piano Mar-shall può essere individuato in una defini-tiva, e forse irrimediabile, perdita di cen-tralità da parte del vecchio continente.

DANIELE ROCCA

Carlo Spagnolo, LA STABILIZZAZIONE

INCOMPIUTA. IL PIANO MARSHALL IN ITALIA ( 1 9 4 7

-1952), introd. di Charles S. Maier, pp. 297,

Lit 41.000, Carocci, Roma 2001

I dodici miliardi di dollari dell'European Recovery Program (1948-51), in cui Maier, nell'introduzione a questo libro, in-dividua lo "sforzo americano di strutturare e governare un mondo transnazionale composto da agenti economici collettivi", ebbero un enorme peso sulla politica de-gli stati europei. Quell'iniziativa unilaterale permise infatti la stabilizzazione del siste-ma capitalistico occidentale in direzione anticomunista. Ecco perché secondo Carlo Spagnolo, autore di una pregevole ricerca, il varo degli aiuti Erp si configurò come "la mossa vincente in una dramma-tica partita a scacchi che riguardava l'as-setto postbellico del pianeta". In questa sede vengono quindi esaminate non solo le ragioni di quanti, temendo un nuovo '29, giudicavano urgente consolidare l'as-setto economico europeo (per Spagnolo la ripresa dell'economia continentale, senza l'Erp e altri aiuti, avrebbe infatti su-bito enormi ritardi) e creare solidi poli ca-pitalistici in Germania e Giappone, ma an-che i rapporti fra Stati Uniti, Gran Breta-gna e Unione Sovietica, nonché il proble-ma della sovranità nazionale degli Stati che ricevettero gli aiuti. Nell'analizzare le ripercussioni del Piano in Italia, e nel ri-chiamare le posizioni di personaggi come Einaudi, De Gasperi, Tremelloni, Pella, Cuccia, Valletta, Di Vittorio, Sturzo e altri all'interno del dibattito sviluppatosi in que-gli anni attorno all'impiego dei fondi, si ri-corda come infine anche Roma accettas-se di sottoporre a pesanti ipoteche l'auto-nomia nazionale. Ma in tutta l'Europa agli aiuti statunitensi dovettero corrispondere sistematiche e durature ingerenze nella conduzione politico-economica dei vari stati, sicché per l'autore l'esito storico di

LA GUERRA DEI DIECI ANNI. JUGOSLAVIA 1 9 9 1 - 2 0 0 1 : I FATTI, I PERSONAGGI, LE

RAGIO-NI DEI CONFLITTI, a cura di Alessandro Mar-zo Magno, prefaz. di Adriano So/ri, pp. 527,

Lit 42.000, il Saggiatore, Milano 2001

V i v i a n a R o s s i , PRIMA E DOPO LA VIOLENZA. M O V I M E N T I DI POPOLAZIONE NELLA DIS-GREGAZIONE DELLA JUGOSLAVIA, pp. 158,

Lit 28.000, l'ancora del mediterraneo, Napoli 2001

Come orientarsi nella tragica sciarada jugoslava degli ultimi anni? La questione implica infatti strascichi secolari che si congiungono a rancori recenti, e, so-prattutto, richiama uno scenario popo-lato da un nugolo di attori collettivi, i quali si sono avvicendati e combattuti lungo buona parte dello scorso decen-nio. Insieme di saggi scritti da vari spe-cialisti (fra cui Gruden, Ventura e Cuz-zi) e incentrati ora sulle singole fasi del conflitto, ora sui vari teatri degli scon-tri, La guerra dei dieci anni è un libro che brilla per la straordinaria dovizia di informazioni e la chiarezza espositiva. In studi organici e dettagliati, ogni atto della tragedia viene rivisitato spassio-nataflnente, senza che finisca mai per-so il filo delle cause e degli effetti, o accantonate le eredità o le responsa-bilità storiche del conflitto. A completa-re il quadro, in questo 2001 parso a molti tempo di bilanci, si pone il libro di una giovane torinese, Viviana Rossi, che riconsidera invece la tragedia ju-goslava per via sintetica, seguendo sui luoghi del disastro la scia delle rovine e dei ricordi. Sulla base d'una serie di nota-zioni d'estremo interesse, corroborate da alcune interviste, e con cartine, statistiche e tabelle indicatrici di movimenti di popo-lazione, fughe e scontri fra etnie, l'autrice illustra il cuore del problema, vale a dire il ruolo da assegnarsi al concetto di identità in un'epoca di grandi mutamenti e migra-zioni come l'attuale. Identità ed etnia ventano così i termini ineludibili di un di-lemma epocale, e la riflessione sul modo in cui rapportatisi, come anche sui re-taggi del passato nella quotidianità di ter-re contese, si impone pagina dopo pagi-na: uno spunto da cogliere senza esita-zioni, per riflettere ora, a sipario più o me-no provvisoriamente chiuso, sulla violenza e la diversità.

( D . R . )

vece essere più un database informativo che non un network di strutture. Così, quel che si perde, dietro l'apparente precisione delle descrizioni, è la complessità degli

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