• Non ci sono risultati.

Pubblici ritardi e privati interessi di Pietro Petraroia

Daniele Jalla IL MUSEO CONTEMPORANEO pp. 352, Lit 43.000, Utet, Torino 2000

D

opo anni di insistenti au-spici per l'attivazione di un forte rapporto pubblico-privato nella gestione del pa-trimonio culturale e, in parti-colare, dei musei; dopo l'acca-vallarsi e il mescolarsi degli slogan, senza che emergesse un compiuto disegno strategico per i musei di oggi e di domani in Italia, qualche conclusione, pure, si può trarre.

Il mondo dell'industria è in ge-nerale poco sensibile (occasio-nalmente e quasi soltanto al Cen-tro-Nord) alla salvaguardia del patrimonio storico e documenta-rio propdocumenta-rio o del territodocumenta-rio e chie-de comunque, per intervenire con proprie elargizioni, di rice-vere benefici fiscali consistenti (vedremo se e come saprà sfrut-tare l'art. 38 del collegato fiscale alla finanziaria 2001).

L'apporto di privati cittadini alla gestione dei musei deve pas-sare attraverso le organizzazioni conformi alla normativa sul vo-lontariato oppure attraverso la delega ai vertici delle associazio-ni di amici dei musei; ancor oggi non sono consentiti reali benefici fiscali per i singoli cittadini che non rappresentano un'impresa, qualora intervengano a vantag-gio del patrimonio culturale con elargizioni personali.

Le fondazioni di origine ban-caria non sembrano, per ora, im-pegnarsi nello sviluppo di "im-prese funzionali" (rese possibili dalle normative Amato-Ciampi degli anni scorsi) che stimolino un più forte raccordo fra istitu-zioni culturali e terzo settore, co-niugando la creazione di valore pubblico con forme di gestione privatistica nel comparto dei be-ni e delle attività culturali.

Le norme sulla gestione dei ser-vizi degli enti locali (i musei sono appunto considerati servizi pub-blici) non hanno visto concluder-si il loro cammino di riforma nel-la passata legisnel-latura e, quindi, non c'è ancora una normativa adatta alla gestione di servizi par-ticolari come sono quelli cultura-li; i musei degli enti locali restano dunque appendici di uffici pub-blici oppure di "istituzioni" (il ri-sultato non è molto diverso); nemmeno l'art. 22 dell'articolato di proposta della finanziaria 2002, che rende possibile l'affida-mento a privati imprenditori di tutte le forme di relazione fra mu-seo e pubblico, può aspirare a raggiungere risultati significativi, in mancanza di un mercato viva-ce dei servizi museali.

L'industria culturale più capa-ce di produrre profitti (non con-siderando spettacolo e multi-media) rimane, probabilmente, l'editoria scolastica, che non si raccorda per nulla alle realtà mu-seali, peraltro diffuse in tutto il

paese; invece l'editoria d'arte e le attività connesse (come le mostre temporanee o i servizi di acco-glienza museale) vedono un mar-gine modesto di proventi, se non sono sostenute da finanziamenti pubblici, e un modesto rischio imprenditoriale se i finanziamen-ti pubblici, invece, vengono resi disponibili.

N

ulla di fatto, allora, per un nuovo rapporto pubblico-privato nel campo della cultura e in particolare dei musei?

Non è proprio così.

Inutile ignorare che i processi di cambiamento connessi ai fe-nomeni culturali sono molto più lenti di quelli tecnologici (anzi, questi ultimi trovano spesso un freno nell'inerzia delle dinami-che culturali in senso lato, per-ché a esse è affidata la tutela del-l'identità collettiva, con il suo si-stema dei valori sociali di riferi-mento). Così come è ovvio che le innovazioni normative sono dav-vero efficaci soltanto quando ri-spondono con pertinenza a un'e-sigenza matura a livello sociale.

Non va quindi sottovalutata l'incidenza di tanto dibattito (an-corché spesso superficiale) che si è avuto nell'ultimo decennio su ipotesi di rapporto pubblico-pri-vato nella gestione dei musei. Molti dei responsabili dei musei si sono infatti trovati "costretti" - anche solo passando da un con-vegno a una conferenza, a un cor-so di aggiornamento - a confron-tarsi, almeno intellettualmente, con nozioni e principi di gestione privatistica dei pubblici servizi culturali. Superata la fase (anni 1994-1997) nella quale taluno, soprattutto nelle assise politiche, pensava semplicisticamente che il fine da raggiungere fosse l'auto-finanziamento dei servizi cultura-li con iniziative commerciacultura-li pos-sibili solo per imprenditori priva-ti, si è progressivamente messo in chiaro che invece l'obiettivo di maggiore e più concreto interesse è la crescita di qualità dei servizi culturali nel loro proporsi al pub-blico, ovviamente nel rispetto della loro mission, ma con stru-menti organizzativi e tecnici mu-tuati dalla cultura aziendale, an-che per garantire economie di scala o, comunque, un controllo dei costi.

E intorno a questo passaggio concettuale che hanno progressi-vamente preso corpo capacità di ricerca e formative presso alcune realtà universitarie, che stanno favorendo, sia pure con qualche fatica, lo sviluppo di programmi di ricerca e di insegnamento affe-renti alla gestione dei servizi cul-turali. Se oggi questo sforzo è an-cora incentrato su pochi docenti o ricercatori alla scoperta di un mondo nuovo, presto potrebbe non essere più così, se i due sog-getti legislativamente competen-ti, il parlamento e i consigli regio-nali (ora alle prese rispettiva-mente con la riforma della Costi-tuzione uscita dal referendum del 7 ottobre 2001 e con i nuovi statuti regionali) decidessero di sostenere il processo di

cambia-mento avviato nel campo dei ser-vizi pubblici.

Questo lavorio di riflessione può ancora lasciare indifferenti o, più probabilmente, sospettosi la maggior parte dei direttori dei musei; molti di essi vedono nel-l'accostamento a logiche privati-stiche di gestione un approccio superficiale se non fuorviarne -al tema delle risorse finanziarie per il funzionamento dei loro istituti, mentre avvertono di fre-quente una distanza sempre più ampia fra le attese dei politici e la loro visione professionale dei ve-ri problemi del museo.

È evidente che questa sfiducia non può essere foriera di innova-zione e crescita; ma è anche ov-vio che non si può chiedere a chi dirige un museo di costruire in-novazione a partire da un atto di rinuncia a quanto, da professio-nista e da esperto, ritiene essere fondamentale nell'identità e nel-la mission del museo di cui ha re-sponsabilità.

I

n un contesto economico, istituzionale e normativo in continuo movimento, chi voglia dunque lavorare nei musei pub-blici italiani di oggi rischia di non sentire alternativa a quella di arroccarsi nel suo specifico culturale e professionale, maga-ri traendo (ove possibile) da questo un qualche modesto in-cremento al proprio modestissi-mo stipendio; modestissi-molti sono tutta-via anche i direttori e i conser-vatori di museo che non voglio-no arroccarsi, ma vogliovoglio-no esse-re consapevoli piloti del cam-biamento senza diventare meri strumenti della politica o dell'e-conomia dell'eduteinment (edu-cation-enterteinment). Quali ri-sorse di conoscenza hanno per affrontare la sfida della pianifi-cazione strategica della gestione dei musei?

L'università deve assumersi le sue responsabilità, non meno dei politici, dei museologi, degli am-ministratori, nel costruire una via d'uscita allo stato di disagio che sempre più investe i musei, chia-mati a confrontarsi con il rigore delle discipline della conserva-zione, della sicurezza o della co-municazione pubblica, ma con-temporaneamente costretti a

ri-nunciare a quote di finanziamen-to pubblico. Il dialogo fra uni-versità e istituzioni responsabili della gestione e della valorizza-zione del patrimonio culturale italiano (in primis, ormai, le re-gioni) fatica a trovare una sede appropriata, anche - ad esem-pio - in una realtà territoriale co-me la Lombardia, peraltro ricca di ben tredici sedi universitarie, mentre resta in piedi una norma-tiva nazionale del tutto desueta (benché recentissima), scritta da chi ancora non ha colto la porta-ta del processo di riforma in sen-so autonomistico dell'offerta u-niversitaria italiana.

Per di più, occorre non dimen-ticare che la riarticolazione dei ruoli delle regioni e degli enti lo-cali nel campo della gestione e va-lorizzazione del patrimonio cul-turale in senso federale e secondo principi di sussidiarietà è destina-ta a produrre abbasdestina-tanza presto almeno due ulteriori criticità: la gestione diretta di musei e beni culturali, fatta eccezione per i co-muni medio grandi (in Lombar-dia, ad esempio, si tratta di po-chissime decine su un totale di circa 1.550) non è supportata dal-la presenza di personale specia-lizzato che operi con metodolo-gie adeguate, per cui il destino dei musei locali (o spesso, con-verrebbe dire, delle raccolte) dei comuni minori è estremamente incerto e precario senza un'ini-ziativa decisa di coordinamento a livello regionale; in questo conte-sto, l'autonomia organizzativa degli enti locali - che la maggio-ranza di noi italiani oggi ricono-sce e propugna come un valore fortemente innovativo - favorisce forme dispersive di utilizzazione delle risorse umane e strumentali o, peggio, l'immobilismo.

Da tatto questo può derivare una conclusione che definisce, peraltro, i contomi di una vera e propria sfida: il federalismo costa e, anzi, può produrre un notevole impoverimento delle risorse a di-sposizione dei musei, con la con-seguente ulteriore perdita di qua-lità nei loro servizi, se non si accet-ta di punaccet-tare con decisione all'at-tivazione di forme di gestione sistemica o almeno a rete, le sole che possano oggi consentire il re-cupero di risorse tramite

econo-mie di scala e la valorizzazione delle professionalità migliori.

Ma come fare?

Percorsi di risposta ai dilemmi posti da queste criticità vengono prospettati dal volume di Danie-le Jalla, concepito intercalando schede di documentazione e ap-profondimenti sulle novità nor-mative con analisi di grande luci-dità, che scaturiscono dal con-fronto di un'ampia bibliografia di riferimento con una ricca esperienza personale, maturata da Jalla presso la Regione Pie-monte e alla direzione dei Musei civici di Torino.

L

'autore è stato negli ultimi anni fra i protagonisti in Ita-lia di un processo di marcata in-novazione concettuale e organiz-zativa della vita dei musei, che non si avverte soltanto nella sua città, ma anche nella nuova ca-pacità propositiva sviluppata nel campo delle politiche museali dalle regioni e dalle autonomie locali.

È stata ad esempio proprio l'i-niziativa delle regioni, dell'Anci e dell'Upi che ha consentito di pre-disporre nel settembre 1999 un documento - largamente dovuto a Jalla e pubblicato, oltre che nel suo libro, nell'allegato al "Gior-nale dell'Arte" di ottobre 2001 dedicato alle regioni - che artico-la in otto ambiti le funzioni di ge-stione dei musei oggi in Italia, in-dipendentemente dall'apparte-nenza giuridica o dalle tipologie delle collezioni: status giuridico, finanze, strutture, personale, si-curezza, gestione delle collezioni, rapporti con il pubblico e relativi servizi, rapporti con il territorio. Da questo documento è derivata la produzione di un atto di indi-rizzo per la gestione dei musei, approvato dalla Conferenza sta-to-regioni-autonomie e adottato con decreto ministeriale il 10 maggio 2001. Si tratta di una sor-ta di manuale, ove su ognuno de-gli otto ambiti predetti vengono proposte norme tecniche e linee guida che, sia pure aggiornabili di anno in anno, individuano per la prima volta un punto di riferi-mento importantissimo (in ter-mini del tutto unitari sul territo-rio italiano) per la formazione e l'aggiornamento degli operatori, così da indirizzarli verso la co-struzione progressiva di sistemi di qualità, tarati sulle singole realtà da gestire.

Ma ciò che particolarmente si può apprezzare nel lavoro di Jal-la è, a mio parere, il legame stret-to fra la rilettura della sstret-toria del-l'istituzione museale in Italia do-po l'unità e la definizione di for-me giuridiche e organizzative che di tempo in tempo ne hanno interpretato mission e criticità. È forse proprio questo il filo rosso più importante del libro (una storia dell'"anima" del museo contemporaneo), peraltro così ricco di apparati documentari da potersi utilizzare anche come un prontuario normativo e biblio-grafico di prim'ordine per chi voglia lavorare oggi nei musei

italiani. •

Dove trovare ventiduemila

Documenti correlati