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Estratto da un testo di Manuel Gallego

Ricordo che mi chiese delle fotografie di costruzioni anonime e popolari della Galiza, e ora, ricordando que- sto episodio delle fotografie, credo di poter interpretare il suo interesse come un riflesso di qualcosa di più profondo e occulto della sua cultura, che però affiora sottilmente. Mi riferisco al richiamo alla sua terra. Sota intendeva per cultura la sensibilità educata. La cultura arricchita dalle diverse esperienze vissute durante la sua vita. In una dei suoi scarni testi dice: “Gli elementi del paesaggio della Galizia ricordano le forme di colonizzazione del territo- rio della mia terra”. Quando, in realtà, ciò che appariva nelle fotografie, non aveva nulla a che vedere con le sue opere. Nei suoi edifici assistiamo a questo strano travaso di riferimenti, di idee, di ricordi, di immagini che diventano il germe del progetto o che affiorano come delicate risonanze. Presenze complesse, quasi occulte, che alla fine finiscono per sorprenderci. Credo che gli interessasse anche sorprendere. […]

Sota incorporava al pannello ciò che voleva. Negli infissi, la cornice più esterna è di cemento. I primi ele- menti di protezione dall’acqua sono di lamiera piegata incorporata. Le porte hanno la dimensione che spettano loro; ognuna di esse, secondo le diverse esigenze, pre- senta delle dimensioni maggiori o minori. Le porte sono come dei pannelli che hanno quasi lo stesso spessore del tramezzo. Esse, come tutti gli elementi costruttivi, sono zeppe di domande. Perchè sono così? come devono es- sere? Appare quest’idea di pensare a come attraversare una parete continua, ecco che la porta ridiventa tramez- zo una volta chiusa. O la porta in montagna, a mille metri di altezza. Come garantirne la tenuta? Le porte

esterne vennero realizzate con dei pannelli di legno che Sota rivestiva con il materiale con il quale si rivestivano le cabine degli ascensori, lamiera d’acciaio plastificato

Skinplate. Le rende dure, isolanti sul lato esterno, calde

verso l’interno; sono di legno e tutti gli elementi metallici accessori sono inventati o prodotti industriali. Nel Col- legio Residenza per la Cassa di Risparmio Provinciale di Orense (1967) ripete questo intervento. Per risolvere il problema usa tutti gli elementi industriali che trova sul mercato.

Attualmente la casa è, come ho detto, molto ben con- servata. Il proprietario aveva rispettato tutti gli elementi. Le porte originali, con le cornici di legno o acciaio gal- vanizzato. La botola di discesa al garage, con la scala, che era già presente nel progetto, e che si apre mediante un contrappeso che permette di mantenerla in qualsiasi posizione. Dappertutto sono visibili piccole invenzioni del genere. Alcune porte schiettamente industriali, con degli enormi perni di fissaggio e un saliscendi per chiuderle, altre estremamente leggere, di legno compensato di 20 mm di spessore.

Quando costruisce usa la sovrapposizione di materiali come se si trattasse di un montaggio a secco. Appare la volontà di trasformare questa costruzione dura, arida e impersonale in un nido. Nelle sue lezioni parlava de: “La casa come elemento accogliente quanto un nido”. Per riuscirvi, riveste l’interno della casa. Cercò un colore caldo per il pavimento “di color cuoio”, che era di lino- leum. Doveva essere di linoleum, che è un elemento vivo, organico. Le pareti vennero coperte con un elemento che era come un materassino da campeggio. Si trattava di un elemento industriale assolutamente disprezzato per un

uso del genere: il Termotex, o il Tablex. Il Termotex era una specie di cartone che si disintegrava. Per renderlo resistente lo inceravamo con molte passate. Diventava resistente poiché lo si impregnava di cera. Assumeva un colore più scuro, un colore miele scuro, tostato. Si appli- cava cera anche al pavimento, che era di color cuoio. Le porte erano di castagno. Bisognava sostenere tutto il rivestimento di questo nido foderato e protetto. Utilizzò dei profilati di ottone piegato che progettai io stesso allo studio. Il sistema venne concepito in modo che, con una sezione omega ed una zeta, collocate in due o tre posi- zioni differenti, si riuscisse a fissare tutti i pannelli.

Lo strato isolante di maggior spessore era di Termotex di 17 cm. In altri casi, divideva questo spessore in due strati, uno di 12 cm, l’altro di 5 cm. Lo strato di 12 cm era di Termotex, quello di 5 cm poteva essere risolto con materiali diversi; a volte era un Tablex, che però si collo- cava al contrario, per non farlo brillare, il verso aveva un bell’aspetto, era rugoso; o era un Fibromarmol, un ma- teriale davvero poco attraente, che aveva delle venature che imitavano il marmo, e che Sota usava in modo splen- dido. Lo difendeva, “è un materiale fantastico”, lo usava in genere nelle cucine. Usava Tablex o Fibromarmol e altrimenti, un pannello che si chiamava Novopanel, un agglomerato rivestito di castagno di bassa qualità, di cui si rompevano facilmente gli spigoli. E, risolte tutte queste difficoltà, appariva l’espressione, l’architettura. Ed era solito farlo con ciò che aveva a disposizione. E iniziava a costruire e allora appariva quel Sota che realizza lette- relmente la casa, del quale io credo si parla poco e che sprigionava una straordinaria allegria.

Le serrature delle porte sembrano serrature di camion,

davvero sorprendenti per la loro dimensione. Costruiva sempre con bulloni passanti perché i materiali che usa- va non potevano essere solo avvitati, si disintegravano. Usava un dado e un bullone passante per sostenere gli elementi. E questo è un chiaro esempio della sua man- canza di pregiudizi. È un’estetica sorprendente, con il divertimento e l’allegria nel fare le cose. Le sue case non hanno battiscopa, non hanno maniglie, le porte sono di- verse, le finestre sorprendono... Credo che si trattasse di un sovvertimento fatto con buon senso. Per questo credo che Alejandro de la Sota ha un fascino ipnotico, che fa di lui un vero illusionista.

Jean Prouvé, padiglione 8x8m Casa Varela, contrasto tra esterno e interno

Casa Varela 97

Casa Varela 99

CASA VARELA

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