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Un ulteriore aspetto, comune alle due conquiste, è quello dell’assimilazione delle etnie presenti nei territori conquistati al momento dell’invasione. Entrambi i conquistatori si sono ritrovati a fare i conti – per quanto in misura differente – con la compresenza di diversi gruppi etnici che a vari livelli erano profondamente radicati nel territorio.

Se nel caso inglese il processo di assimilazione è stato relativamente agevole – i Normanni si trovarono di fronte un solo gruppo etnico, quello degli Angli – per l’Italia è stato più tortuoso ed è avvenuto in fasi diverse della Conquista: i gruppi etnici presenti nel meridione erano tre (Longobardi, Arabi e Greci) e le aree da essi occupate furono inglobate in momenti differenti e distanti tra loro nel tempo, in un processo lento e graduale, così che una vera e propria assimilazione non può dirsi compiuta neanche sotto Federico II, quando il regno era ormai ampiamente consolidato. Ciò non significa che i vari gruppi etnici non parteciparono in egual misura alla vita pubblica dello Stato, ma certo un’amalgamazione non fu mai completa e durante tutta l’epoca normanna gli Arabi restarono

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Arabi, e i Greci restarono Greci e solo i Longobardi si integrarono in qualche modo con la classe dirigente normanna.

In Inghilterra il processo di assimilazione portò invece alla creazione di un popolo, per quanto secondo un percorso lento e graduale. A parità di condizioni si può dire che in Inghilterra la quarta generazione di Normanni (coincidente con il regno di Enrico II) era quasi totalmente identificabile dal termine “inglese”, mentre lo stesso non può dirsi della quinta generazione di Normanni in Italia (quella di Federico II).

Partendo proprio dall’Inghilterra, mi limiterò qui a fornire una sintesi schematica di quanto trattato da Hugh. M. Thomas nel già citato saggio The

English and the Normans e in The Norman Conquest1. Il motivo per cui non

analizzerò troppo a fondo la questione inglese è duplice: da un lato proprio per la ragione che il volume di cui sopra è altamente esaustivo e dettagliato sulla materia e nulla di più potrei aggiungere all’argomento; dall’altro perché il caso inglese servirà qui da semplice termine di paragone per analizzare quanto accaduto nel Regno di Sicilia e trarre delle conclusioni circa la diversità del caso siciliano.

Thomas parte dal presupposto che in Inghilterra, immediatamente dopo la Conquista, tra i due gruppi etnici sussistessero ben poche differenze, ma sottolinea come in un momento di grande ostilità degli Angli nei confronti dei Normanni, ogni minimo elemento di diversità fosse motivo di astio2. Tali elementi di contrasto erano prevalentemente culturali:

innanzitutto il luogo d’origine, che rappresentava il più ovvio e diretto indicatore di alterità. In secondo luogo, la fedeltà politica: Hastings aveva

1 Cfr. Introduzione, note 1 e 8 2 H. M. Thomas, op. cit., p. 49

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marcato una netta presa di posizione degli Angli a favore di Harold, in contrapposizione agli invasori Normanni. Terzo fattore era la distinzione di classe: subito dopo la Conquista Guglielmo avrebbe provveduto ad azzerare l’aristocrazia autoctona creando quindi un netto contrasto tra i nuovi aristocratici, tutti Normanni, e il resto della popolazione. Altri fattori di particolare importanza furono il linguaggio – che rappresentava un ostacolo particolarmente difficile da superare – e infine le leggi in cui i due gruppi etnici differivano totalmente. Non solo, su quest’ultimo punto persino il tentativo da parte normanna di reintrodurre il murdrum3 fu

considerato indicativo della diversità tra i due gruppi: da parte dei conquistatori fu attuato per arginare le violenze contro la nuova elite, dall’altra fu visto come mezzo per rimarcare la superiorità nei confronti dei conquistati. Aggiungo infine che inizialmente fu motivo di contesa persino l’appartenenza alla stessa fede, che pure presentava ben pochi punti di divergenza.

Le differenze si ripercossero anche e soprattutto al livello sociale: le devastazioni ebbero ripercussioni sulla popolazione da un punto di vista demografico, causandone la diminuzione nel numero, ma anche da un punto di vista di status le cose andarono peggiorando per i cittadini comuni. Se all’indomani della Conquista gli Inglesi si ritrovarono più poveri e a fare i conti con difficoltà economiche di ogni tipo, nel lungo periodo furono apportati alcuni cambiamenti e introdotte alcune novità che mutarono le relazioni sociali di classe.

In primo luogo, i Normanni ridussero significativamente la reputazione degli uomini liberi e dei cosiddetti sokemen, ovvero i piccoli proprietari terrieri. All’epoca del Domesday Book questi si erano ridotti in

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una percentuale molto bassa rispetto al periodo Anglo-Sassone, fino a rappresentare il solo 14% della popolazione.

In secondo luogo, l’avvento dei Normanni causò una progressiva abolizione della schiavitù. Ciò fu dovuto anche alla visione Cristiana e alla sua interpretazione da parte di Lanfranco, arcivescovo di Canterbury. Guglielmo provvide a liberare gli schiavi e ad assegnargli una porzione di terra in cambio di una certa quantità di lavoro. Più che abolita, la schiavitù si evolse in un concetto un po’ meno disumano come la servitù. I servi erano schiavi liberati cui era stato affidato un pezzo di terra, ma erano considerati di proprietà del padrone e si trovavano a soccombere a difficoltà sia di natura sociale, sia di natura legale. Infine, sempre da un punto di vista sociale, il servo aveva la funzione – non proprio gratificante – di pietra di paragone per far apparire i cittadini comuni più liberi.

L’ultimo cambiamento significativo portato dai Normanni, fu l’introduzione in Inghilterra della comunità Ebraica. Questa fu importata direttamente dalla Normandia, dove era già piuttosto fiorente, ma ebbe bisogno di qualche decennio prima di raggiungere quella stabilità e importanza economica che la contraddistinse in seguito. La sua presenza servì però senza dubbio a creare una identità inglese basata sull’appartenenza ad un’unica fede Cristiana.

Anche il processo di creazione dell’identità fu lento, ma pure ci fu e garantì i suoi frutti. A tal proposito, Thomas distingue tre fasi: «nella prima, che durò fino all’ultima parte del regno di Enrico I, sussistettero forti distinzioni tra conquistatori e conquistati, e quella Normanna o le altre identità continentali rimasero forti, sia a livello collettivo che individuale»4.

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Vi è quindi una seconda fase intermedia in cui la «Normanitas rimase un’identità possibile e per certi versi attraente»5, e in cui restavano forti

anche le ambiguità circa l’identità collettiva. Questa fase attraversa grosso

modo i regni di Stefano ed Enrico II. Nel periodo finale si arriva dunque

all’identificazione definitiva delle elites con l’appellativo di “inglesi”. Riforma della società, mantenimento delle istituzioni e delle tradizioni inglesi quasi inalterate, distinzione tra governo dell’Inghilterra e governo della Normandia, matrimoni inter-etnici, confronto con altre comunità: tutti questi fattori influirono sulla creazione di un’identità condivisa che a partire dalla fine del regno di Enrico II può definire tutti gli abitanti d’Inghilterra inglesi.

Quando Riccardo Cuor di Leone giunse in Sicilia nel 1190 (siamo a ormai 40 anni dal consolidamento del Regno) trovò ad accoglierlo a Messina una pletora di Longobardi, Greci e Arabi non proprio felici del suo arrivo: «i cittadini, la massa dei Grifoni, la ragazzaglia, quella gente discesa dai Saraceni, ingiuriavano i nostri pellegrini. Puntavano le dita verso i nostri occhi, trattandoci da “cani puzzolenti”. […] Una volta che furono arrivati i due re, i Grifoni si mantennero tranquilli, ma i Longobardi continuavano a cercar lite con noi e minacciavano i nostri pellegrini»6. David Abulafia, nella

sua biografia di Federico II, insiste nello sfatare il mito dei Normanni come “conquistatori tolleranti”, capacità che non riconosce neanche allo Stupor

Mundi, ne sia riprova la traslazione della comunità araba superstite dalla

Sicilia a Lucera in Puglia7.

5 Ibid. p. 78

6 Ambrogio, L’Estoire de la guerre sainte, a cura di G. Paris, Paris 1897 citato in J. Flori, Riccardo Cuor

di Leone – Il re cavaliere, Einaudi, 2004, p. 84-86

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Questi brevi riferimenti a due epoche posteriori (il breve regno di Tancredi e quello di Federico II) a quella di nostro interesse mi servono per introdurre l’argomento dell’assimilazione e dell’identità nel Regno di Sicilia e mostrano come a distanza di tempo dal consolidamento – diversamente da quanto avvenuto per l’Inghilterra – non si fosse creato un unico popolo “siciliano”, ma ciascuna delle etnie pre-esistenti alla Conquista conservarono la propria identità. Ciò non significa che interazioni non ci furono, né che i vari gruppi etnici non furono coinvolti nella gestione del potere. Anche dal punto di vista culturale, contrariamente a quanto sostiene Abulafia, la parola chiave è “tolleranza”, ma anche “sincretismo”, per lo meno per ciò che concerne la rappresentazione formale del potere da parte dei sovrani, in particolar modo di Ruggero II.

Come abbiamo più volte ricordato nel corso di questo lavoro, al momento dell’impresa di Conquista da parte dei Normanni le etnie presenti sul suolo del futuro Regno erano prevalentemente tre: Longobardi, Greci e Arabi. Altre minoranze consistenti (nell’ordine di qualche migliaio di

individui su una popolazione stimata in circa un milione di abitanti8) erano

quelle dei Bulgari, degli Armeni e degli Ebrei.

Vera Von Falkenhausen ha constatato come, sebbene l’unità etnica delle componenti Araba e Greca – se non altro per motivi linguistici e religiosi – fosse nettamente identificabile, altrettanto non può dirsi per quella Longobarda: «quattro o cinquecento anni dopo la conquista dell’Italia meridionale si può ancora parlare di Longobardi, o non si dovrebbe invece parlare di longobardizzati o longobardizzanti?» si

8 G. Cherubini, Popoli, etnie e territorio alla vigilia della conquista. Il Mezzogiorno continentale in I

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domanda9 e prosegue ponendo la questione delle rilevanti «differenze

etniche tra i Longobardi dei principati di Benevento, Salerno e Capua e quelli del tema bizantino di Longobardia». Dunque un gruppo tradizionalmente definito Longobardo, ma che certo non manteneva più quelle caratteristiche originarie dei primi invasori appartenenti a questo popolo. L’elemento dominante ora era quello latino, cioè l’obbedienza alla Chiesa romana.

Questo elemento fu il cardine per l’assimilazione di questo gruppo etnico a quello dei conquistatori. Se ne trova traccia, come rileva ancora Von

Falkenhausen in un altro lavoro10, nella comparsa di nomi propri di persona

di origine normanna tra i discendenti delle elites longobarde già nella prima generazione successiva alla Conquista. Se si eccettua la contea di Aversa di fondazione interamente normanna, nel principato di Capua vediamo verificarsi chiaramente questo fenomeno, al quale ne va aggiunto un altro

che rappresenta la caratteristica principale dell’opera di

“normannizzazione” dell’Italia meridionale: si tratta dell’associazione tanto delle istituzioni quanto della classe dirigente locale al governo del territorio. Un procedimento che non interessa solo i territori (ex) Longobardi, ma anche quelli di precedente dominio arabo e bizantino come vedremo dopo nel dettaglio. Nel caso particolare longobardo, vediamo sopravvivere tutte le cariche, ma anche il diritto stesso longobardo e confermata – salvo rare eccezioni – per intero la classe dirigente già presente.

9 V. Von Falkenhausen, I gruppi etnici nel regno di Ruggero II e la loro partecipazione al potere in

Società, potere e popolo nell’età di Ruggero II, a cura dell’Università degli Studi di Bari – Centro di studi normanno-svevi, Bari, 1979, p. 135

10 V. Von Falkenhausen, I ceti dirigenti pre-normanni al tempo della costituzione degli stati normanni

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Per quanto riguarda i territori (ex) Bizantini, qui la distinzione fu più marcata e il passaggio al nuovo regime fu leggermente più traumatico. Innanzitutto, l’amministrazione bizantina era molto più sviluppata rispetto a quella conosciuta in patria dai Normanni: «gli unici funzionari – o quasi funzionari – del duca di Normandia erano i vicecomites, che entro il

vicecomitatus ne riscuotevano e controllavano le entrate, ne custodivano i

castelli e avevano alcune competenze giudiziarie»11, le cariche e gli uffici

bizantini erano pertanto superflue agli occhi dei conquistatori, che ne mantennero in qualche modo il nome, ma le svuotarono di contenuto, suddividendo le competenze tra i vicecomites. Sussistette, come residuo, un catepano per la Puglia, ma la sua influenza rimase sempre limitata. Anche qui vediamo un cambiamento di denominazione e funzioni nelle cariche, ma ancora una volta assistiamo alla sopravvivenza dei ceti dirigenti già presenti, come attestano i nomi propri degli occupanti tali cariche.

Consideriamo qui la Calabria insieme alla Sicilia, sia perché il soggetto promotore della loro conquista è lo stesso per entrambe (Ruggero I), sia perché la denominazione delle cariche amministrative nei due territori attinse tanto dall’esperienza greca, quanto da quella araba. Inoltre, l’impianto creato fu quello che valse successivamente per il Regno, quindi le due regioni furono il banco di prova per la futura amministrazione. Lo “staff” di Ruggero era composto da un emiro, un protonotario, un

camerario e un logoteta12. Gli emiri (o ammirati) erano stati istituiti con la

stessa intenzione del catepano in Puglia, ma ottennero maggiore fortuna, assumendo le competenze di una sorta di “primo ministro” sia nelle contee di Calabria e Sicilia, sia successivamente nel Regno. Il protonotario era

11 Ibid. pp. 340-341 12 Ibid. p. 351

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responsabile del catasto, il camerario delle finanze, mentre il logoteta aveva una funzione non ben definita. «Ruggero I sembra aver compreso, fin dall’inizio, che soltanto se avesse mantenuto, nei limiti del possibile, le antiche strutture amministrative ed il personale in grado di farle funzionare, avrebbe potuto godere i frutti delle fiorenti provincie

conquistate»13. Che la sostanziale predominanza dell’aspetto greco fosse

mantenuta tanto nell’aspetto amministrativo quanto in quello culturale, lo dimostra anche il fatto che Ruggero II fosse stato cresciuto – per ragioni contingenti – in ambiente greco e ne padroneggiava la lingua ancor meglio che del latino. Da questo punto di vista, i conquistatori normanni più che assimilare essi stessi, si fecero assimilare dai conquistati.

Dal punto di vista sociale si arrivò invece ad una riorganizzazione dei rapporti divisa sostanzialmente in due sia per la Calabria che per la Sicilia: al di là di una classe servile di etnia prevalentemente araba, troviamo da un lato al livello più basso i villani, greci e arabi per la Calabria e la Sicilia Nord- Orientale, esclusivamente arabi per il resto della Sicilia. Essi erano «legati al signore feudale intuitu personae, da un vincolo cioè di personale

dipendenza, pur con alcuni limitati diritti di persona legale e di proprietà»14;

questi sono definiti in arabo ḥursh che significa ruvidi e corrispondono alla

servitù della gleba. In Sicilia troviamo poi i cosiddetti muls (lisci), cioè «coloni di condizione libera il cui vincolo col feudatario era solo respectu

tenimenti»15 e infine i ahl al-maḥallat, ovvero gli abitanti delle città, anch’essi

di condizione libera. Dall’altra parte, tanto in Calabria quanto in Sicilia,

13 V. Von Falkenhausen, I gruppi etnici, cit., p. 140

14 F. Gabrieli, Normanni e Arabi in Archivio Storico Pugliese Anno XI a cura della Società di Storia Patria

per la Puglia – Editore Cressati, Bari 1958, pp. 53-68

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abbiamo invece i liberi cittadini e l’aristocrazia dei qā´id (gaiti), che nell’isola erano tenuti al pagamento di un tributo.

In sostanza per nessuna di queste categorie la vita sembra cambiare in maniera sostanziale nel passaggio di regime: i greci di Calabria e Sicilia «hanno le loro terre, fondano e dotano chiese e monasteri greci come prima, possono fare carriera dentro l’amministrazione sia locale, sia centrale, e sottostanno di solito a funzionari greci locali»16; nella Sicilia araba, i

musulmano godono fondamentalmente degli stessi diritti, devono sottostare – come abbiamo visto – al pagamento di un tributo, hanno possibilità di fare carriera e hanno l’obbligo di convertirsi solo nel caso in cui aspirano alle cariche pubbliche più elevate.

La condizione dei musulmani non deve comunque trarre in inganno: se è vero che poeti come Ibn Hamdis furono costretti ad abbandonare l’isola17 a Conquista non ancora ultimata, non trovando più favorevoli le

condizioni per restare, e pellegrini come Ibn Jubayr valutasse complessivamente negativa la condizione dei suoi correligionari al termine del regno di Guglielmo II, si può in parte concordare con il giudizio di Abulafia sull’illusione della tolleranza, per quanto va riconosciuto che atteggiamenti come quelli dei sovrani normanni nei confronti degli “infedeli” non sono riscontrabili in nessun altra area d’Europa. A questo si aggiunga che, sebbene in seguito i due Ruggeri avessero stretto alleanze con signori musulmani in Sicilia, all’epoca della Conquista era una matrice

16 V. Von Falkenhausen, I gruppi etnici, cit., p. 144.

17 “Sicilia mia. Disperato dolore/ si rinnova per te nella memoria/ Giovinezza. Rivedo le felici follie

perdute/ e gli amici splendidi/ O paradiso da cui fui cacciato!/ Che vale ricordare il tuo fulgore?/ Mie lacrime. Se troppo non sapeste di amaro formereste ora i suoi fiumi/ Risi d’amore a vent’anni sventato a sessanta ne grido sotto il peso/ Ma tu non aggravare le mie colpe/ se il Dio tuo già concesse il perdono/ In alto la penombra si dirada/ agitata dai veli della luce/ ma questa luce è un modo del distruggersi/ manda luce chi perde la sua vita.” Ibn Hamdis, Sicilia mia in Diwan, a cura di C. Schiaparelli, Casa editrice italiana, Roma, 1897

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culturale di stampo cristiano che faceva assumere all’impresa connotati di guerra santa, con insistenza quasi morbosa sul fattore “crociata”18.

È possibile a questo punto tracciare una conclusione provando a confrontare l’esperienza italiana con quella inglese. Se quest’ultima fin da subito ha visto i Normanni impegnati a far pesare le differenze e anzi a cercare un ricongiungimento e l’integrazione fra conquistatori e conquistati (arrivata dopo varie rivolte durante il regno di Guglielmo I e compiuta solamente alla fine del regno di Enrico II), tale intento da parte dei conquistatori normanni in Italia non fu né mai espresso, né tantomeno ricercato. I Longobardi, gli Arabi, i Greci rimasero tali per tutto il periodo normanno: le loro istituzioni sopravvissero e servirono al meglio alla creazione di un’efficiente amministrazione statale, che a posteriori è valso alla Sicilia il record di primo Stato moderno (ante litteram) della Storia. In alcuni casi certe particolarità culturali furono persino incoraggiate: è il caso del monachesimo greco, è senza ombra di dubbio il caso della cultura (letteraria e scientifica) araba, che incontestabilmente visse nel periodo normanno il suo periodo di massimo splendore.

L’intento dei sovrani siciliani dunque fu forse quello non tanto di creare un popolo, di amalgamare tra loro culture diverse: si può azzardare l’ipotesi che ebbero la volontà di creare fin dal principio un Regno forte che poggiasse proprio sulla forza di tali diversità? La storia successiva porterebbe a rispondere positivamente a questo interrogativo: in fin dei conti il Regno di Sicilia è stato il più antico Stato unitario moderno

18 Cfr. S. Tramontana, Popoli, etnie e mentalità alla vigilia della conquista di Sicilia in I caratteri

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d’Occidente ed è perdurato, con i confini pressoché invariati, fino all’Unità d’Italia.

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CONCLUSIONI

«Licet simus Normanni, bene tamen novimus quia sic oportet fieri et ita, si Deo placuerit, faciemus»1.

Guglielmo, duca di Normandia e futuro re d’Inghilterra, risponde così ad una delegazione di monaci che chiedevano la restituzione di possedimenti spettanti alla loro abbazia di Saint-Florent di Saumur2 e

denotava già quello spirito di identità che avrebbe contraddistinto questo popolo nel corso dei loro “pellegrinaggi” in Europa e Medio Oriente.

Ho aperto questo lavoro domandomi cosa fosse la Normanitas3 e se questa connotazione etnica fosse in qualche modo collegata e ricollegabile ai processi di conquista di Inghilterra e Sud Italia. Pur non ricorrendo spesso tale termine nel corso di questo lavoro, il concetto si è mosso sotto traccia attraversando l’analisi qui riportata, capitolo dopo capitolo. Gli aspetti che ho qui analizzato sono stati quelli che ho trovato più strettamente connessi alla Normanitas: non si è trattato degli unici aspetti del regno a cui i vari sovrani nei due Stati hanno dovuto fare fronte, ma sono quelli per me più

1 Recueil des actes des ducs de Normandie, ed. M. Fauroux, in Memoires de la Société des Antiquaires de

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