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Evoluzione del JSL nelle scuole nell’ultimo quarto di secolo

Capitolo 4: Il ruolo della federazione giapponese dei sordi nella pianificazione linguistica

4.4 Evoluzione del JSL nelle scuole nell’ultimo quarto di secolo

piuttosto breve nel caso giapponese. Nel 1983, un gruppo di persone a Osaka fondò un movimento per sollecitare l’uso della lingua dei segni nelle scuole. Al tempo era solo una campagna locale e veniva considerata perfino dalle organizzazioni sorde un “chiodo sporgente da piantare con un martello” (Honna e Kato 2003). La richiesta era molto esplicita: il JSL deve essere introdotto come materia scolastica nei curriculum delle scuole per sordi. Il gruppo supponeva che i bambini, nell’atto di imparare la lingua dei segni, entrassero a contatto con la cultura sorda connessa al linguaggio. Ancora i tempi non erano maturi per poter pretendere che il mezzo di istruzione fosse il JSL.

Nel tentativo di ottenere un supporto ufficiale, il gruppo di Osaka organizzò una serie di riunioni con i rappresentanti dei direttivi delle scuole dei sordi. I sordi tentarono di persuadere le autorità dell’inadeguatezza del sistema educativo, pensato per apportare loro beneficio. Si pose l’accento più volte sulla necessità di introdurre un elemento indispensabile alla comunicazione nelle comunità sorde. Il movimento perdurò fino ad attecchire in diverse località della nazione. In seguito la JFD adottò la richiesta del movimento e ne fece il proprio motto. Venne in seguito organizzata una campagna nazionale, per convincere l’allora ministero dell’educazione 文部省 Monbushō a migliorare le pratiche di educazione dei sordi.

In risposta all’appello della JFD, il Monbushō fece condurre nel 1991 uno studio sulle necessità comunicative dei bambini sordi. Il progetto non aveva al proprio interno alcuna

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persona sorda e il risultato dello studio si fece attendere per oltre due anni. Sebbene lo studio auspicasse un ulteriore miglioramento della situazione in essere all’epoca, le attitudini degli studiosi emersero chiaramente nel risultato dell’indagine: il JSL venne considerato un ostacolo all’acquisizione del giapponese scritto e parlato.

Il resoconto tuttavia riconosceva che fosse indispensabile la lingua dei segni per poter comunicare nelle comunità sorde. Basandosi su questa osservazione, i responsabili dello studio concedettero che fosse necessario dare l’opportunità di acquisire le abilità di base della lingua dei segni (fingerspelling e segni base), per potersi integrare al meglio nelle comunità sorde ed essere parte attiva e indipendente della società. Ciò si tradusse nell’introduzione del giapponese segnato nelle scuole per sordi. La JFD presentò immediatamente un’istanza di rettifica del rapporto al Monbushō. L’organizzazione enfatizzò il fallimento del governo giapponese nel soddisfare i requisiti delle Nazioni Unite sulle pari opportunità (Honna e Kato 2003).

Lo studio condotto posava le proprie basi sulle attitudini descritte nei capitoli precedenti. Le teorie contro l’uso della lingua dei segni (o che ne promulgano l’inferiorità) sono, nel Giappone odierno, messe fortemente in discussione (Kanazawa 2011). Basti pensare alle analisi strutturali delle lingue dei segni condotte finora, le quali riportano che le lingue naturali dei segni sono costituite da una serie di elementi formativi55. I punti su cui si

poggiano i capisaldi della critica al JSL stanno infatti perdendo forza e influenza (Honna e Kato 1995).

Le argomentazioni riguardanti l’identità giapponese, tuttavia, sono tutt’ora difficili da affrontare. Permane infatti l’attitudine, promulgata dalle autorità in materia di educazione, che non si possa essere considerati giapponesi se non si parla giapponese (Kanazawa 2011).

55 Stokoe coniò il termine cherema (chereme in inglese) per riferirsi all’unità più piccola in cui può essere

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Questo “dogma” divide i genitori di bambini sordi, gli educatori e le comunità sorde stesse sul da farsi.

La situazione negli anni Novanta però era radicalmente differente rispetto ai decenni precedenti. Il maggiore potere acquisito dalla JFD e la manifestazione di movimenti inneggianti alla cultura sorda si tradussero in un’azione di promozione della lingua dei segni nelle scuole, della quale il Monbushō doveva tenere conto. Nel 1995 pubblicò un resoconto sulle linee guida dell’istruzione dei sordi. La priorità venne data all’acquisizione della lingua giapponese, ma venne concesso che il giapponese segnato venisse usato come aiuto all’insegnamento (Kanazawa 2011). Naturalmente ciò scatenò l’indignazione delle comunità sorde, la JFD tuttavia colse questa prima concessione come un apripista verso l’introduzione del JSL. Il 1995 infatti può venire considerato come la cessazione del metodo oralista nelle scuole giapponesi.

La JFD, essendo sotto il controllo del MHWL, ha potere per quanto riguarda la formazione degli interpreti, ma non per quanto riguarda i curricula da inserire nelle scuole per sordi (essendo tali sotto il controllo del MEXT). La JFD dunque, pur essendo estranea riguardo l’educazione dei sordi in tenera età, appoggia le free schools フリースクール furī sukūru che adottano il metodo BiBi su modello americano (Honna e Kato 2003). Queste istituzioni sono libere da ogni imposizione da parte del MEXT e sono diventate l’oggetto di numerosi studi sull’educazione bilingue in Giappone (Kanazawa 2011, Honna e Kato 2003, Kimura 2009).

L’introduzione delle scuole per i bisogni speciali nel 2007, tuttavia, viene considerata unanimemente dalle comunità sorde come un passo indietro verso l’emancipazione dei sordi. La JFD si oppose fermamente ma senza successo, essendo l’area educativa non di propria competenza (escludendo i corsi di formazione per gli interpreti).

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L’emendamento della legge sui diritti dei disabili nel 2011, riportata nel secondo capitolo tuttavia, ha segnato una svolta epocale. Ciò ha permesso infatti alla JFD di cimentarsi in un progetto di pianificazione linguistica mai tentato prima: la proposta di legge sulla lingua dei segni giapponese 日本手話言語法案 nihon shuwa gengo hōan.

4.5 La proposta di legge sulla lingua dei segni giapponese

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