• Non ci sono risultati.

Gli investimenti privati nel settore portuale hanno subito un incremento significativo negli anni Ottanta244. Infatti, in quegli anni, per la prima volta in maniera massiva, i porti divennero punti di snodo fondamentali nella catena distributiva delle merci.

In quel periodo, due principali fattori contribuirono al congestionamento e al conseguente fallimento organizzativo dei servizi portuali.

Favorirono tale processo, in primo luogo, le antiquate politiche messe in atto, a livello governativo, in relazione al lavoro portuale.

243 I dati statistici e le considerazioni storico-sociologiche del presente paragrafo sono tratte dal “Module 3: Alternative Port Management Structures and Ownership Models”, report redatto nel 2005 dalla Banca mondiale e reperibile all’indirizzo internet: https://ppiaf.org/sites/ppiaf.org/files/documents/toolkits/Portoolkit/Toolkit/pdf/modules/03_TO OLKIT_Module3.pdf

244 SHAW, WILLIAM, and THOMPSON, “Concessions in Transport.” TWU Papers, Discussion Paper, World Bank, Washington DC, 1996

87 Si incontrarono diverse resistenze, infatti, nel processo di tecnocratizzazione dello

sviluppo tecnologico: si passò, seppur non con la reattività sperata, da un sistema di gestione dei carichi breakbulk245 a nuovi metodi di movimentazione unitaria e containerizzazione.

In secondo luogo, l’inadeguatezza della gestione portuale dipendeva dall’eccessivo controllo centralizzato, imposto dai governi.

In particolar modo, nel periodo tra gli anni ‘60 e ‘80, si osservò una centralizzazione strutturale dovuta non solo alle economie socialiste (allora modello preponderante), ma anche ai finanziamenti che, a quell’epoca, venivano destinati al settore da alcune banche internazionali.

Come risposta al fallimento del sistema di governance portuale centralizzato, svariati governi demandarono ad operatori privati tale ruolo, con la finalità di ottenere dei risparmi di spesa e di distribuire tra diversi operatori il rischio connesso a tale attività.

Fu proprio in tale occasione che, per la prima volta, si sollevarono interrogativi in merito al riparto di competenze tra settore pubblico e privato.

I risultati di tali riflessioni, svolte in particolar modo nel Regno Unito246, evidenziarono come gli interventi massicci effettuati dai governi in tali settori comportassero un significativo arretramento dell’area di co-intervento dei privati, elidendo sostanzialmente possibili forme cooperative.

Una parte degli studi condotti247, dunque, propugnava la necessità di ridurre il ruolo statale ai soli finanziamenti anti-economici, ovvero non attrattivi per i privati, connessi alla gestione dei beni pubblici.

Tale orientamento permane tutt’ora.

Infatti, in svariati porti attualmente l’attore pubblico svolge esclusivamente il ruolo di facilitatore, pianificatore e regolatore, con la finalità di incrementare la qualità strutturale

245 Dal dizionario della logistica (http://www.dizionariologistica.com/): “Merce spedita unitizzata, ma non in contenitori marittimi standard (es. pallettizzata, in balle, in fusti, in casse, ecc. oppure grandi macchinari, automezzi, ecc.). La movimentazione di carico/scarico deve quindi avvenire mezzo di gru tradizionali, essendo escluso l'impiego di pompe, coclee, ecc. Sinonimo di General cargo”. D’ora in poi le definizioni di diritto portuale sono tratte dalla medesima fonte, se non è diversamente indicato.

246 SAUNDRY, RICHARD e TURNBULL, Private profit, public loss: The Financial and economic performance of U.K. ports. Maritime Policy Management 24(4), 1997, p. 319.

247 BAIRD A. J., Port Privatisation, Objectives, Extent, Process, and the United Kingdom Experience, Napier University, Edinburgh, 4th World Port Privatisation Conference, London, 22–24 September 1999.

88 ed i legami con l’hinterland, mentre gli attori privati fungono principalmente da provider,

operatore.

Del resto, l’integrazione dei porti nella catena logistica mondiale è stata accompagnata progressivamente dal riconoscimento dei benefici che l’organizzazione portuale poteva apportare sia a livello nazionale, sia per la regione in cui si trovano. È stato sfatato, in tal modo, il mito del ritenuto disallineamento tra interessi connessi agli investimenti locali (anche privati) e nazionali (di tipo puramente pubblicistico)248.

Contemporaneamente, anche lo sviluppo di alleanze strategiche nel settore dell’industria navale ed industriale globale ha influito sulle metodologie di finanziamento e regolazione dei porti.

Infatti gli operatori dei “terminal container”249 con copertura globale, in accordo con le major shipping lines, spesso possono essere stati tentati di avvantaggiarsi, sfruttando la

248 In Francia è possibile ricordare a tal proposito “la Stratégie nationale portuaire” del maggio 2013, che mirava ad ottenere vantaggi a livello nazionale tramite l’investimento in tre diversi settori delle politiche portuali: l’incremento della logistica e l’intermodalità, l’efficientamento della gestione degli spazi portuali ed, infine, il rafforzamento delle liaisons con l'hinterland, in termini di rotte fluviali nell’entroterra e nuovi collegamenti ferroviari. Per approfondimenti: https://www.ecologique-solidaire.gouv.fr/ports-maritimes-france

In Italia si è discusso della Cd Analisi di impatto. Questo tipo di analisi è stata svolta per la prima volta, almeno in Italia, dal Censis (2000), applicandola alle tre filiere tipiche dell'economia portuale: trasporti marittimi, attività ausiliarie dei trasporti e cantieristica. Le altre attività presenti dentro il porto sono state considerati, secondo tale studio, sono state considerate residuali.

In uno studio successivo realizzato nel 2008 (La portualità come fattore di sviluppo e di modernizzazione, Roma 20 maggio 2008 reperibile in http://www.genoaportcenter.it/Repository/Allegati/Rapporto_finale_Censis_Assoporti.pdf), in realtà, il Censis allarga il campo di analisi, comprendendo ulteriori branche e settori (es. lo svolgimento di alcuni servizi pubblici complementari) per quanto riguarda i maggiori porti italiani e dove appunto risiedono ed operano le Autorità portuali.

249 Un terminal container (Voce Dizionario logistica nota 236): “è una struttura in cui vengono gestiti e movimentati i container marittimi al fine di cambiarne modalità di trasporto. Per parlare di terminal è necessario che vi sia il cambio di almeno due mezzi di trasporto. Generalmente un terminal container viene associato alla movimentazione di container fra navi portacontainer e fra navi e veicoli terrestri, quali treni o camion; in questo caso viene definito terminal container marittimo. Analogamente la movimentazione può avvenire fra veicoli

89 propria posizione dominante, per rinforzare ulteriormente il proprio network, a discapito

delle istanze concorrenziali e dei pubblici interessi.

Sovente i porti sono diventati sede di veri e propri cluster industriali250.

Si può, dunque, ben comprendere come tutt’oggi sia delicato l’allineamento degli interessi pubblici e privati nella struttura gestoria del porto e nelle politica di sviluppo.