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Fab Lab e artigianato Made in Italy: la manifattura al tempo dei bit

CAPITOLO 5 – FAB LAB MADE IN ITALY

5.1 Presenza nel territorio

5.2.1 Fab Lab e artigianato Made in Italy: la manifattura al tempo dei bit

Il capitale umano sembra essere il vero tema di questa rivoluzione digitale. Questa affermazione potrebbe apparire in contraddizione con l’importanza che hanno le macchine all’interno di questa rivoluzione nella produzione, ma è proprio grazie a uomini capaci e intraprendenti che queste macchine sono nate e il mondo dei makers ha mosso i primi passi, quasi per gioco, fino a diventare un fenomeno che muove investimenti miliardari come quelli effettuati dal governo statunitense nel corso del 2014. Un nuovo sviluppo del settore manifatturiero parte proprio da questa consapevolezza: la necessità di una formazione adeguata che abbia un focus ben preciso e vada a segno nella direzione della ripresa dalla crisi produttiva che ha colpito l’Italia. Fare e valutare quanto si è prodotto in termini di atomi permette di dare un peso maggiore ai bit che vagano all’interno dei circuiti dei nostri computer. Soprattutto la trasformazione dei bit in atomi attraverso gli strumenti di digital manufacturing permette di rendere accessibile a molti ciò che fino a prima era riservato a pochi. La produzione di gioielli su misura, mobili, attrezzature,

automobili macchine utensili etc..è sempre stata potenzialmente riferita al mercato di una persona, al giorno d’oggi però la digital manufacturing permette di accedere a questi stessi prodotti a costi decisamente inferiori. La flessibilità nella produzione e la personalizzazione non hanno mai raggiunto il livello attuale in riferimento ai costi. E’ la relazione stessa fra la domanda e l’offerta che va a cambiare, non presupponendo più un mercato dei beni di lusso affianco alla parola personalizzazione secondo le specifiche del singolo cliente. In un articolo de Il Sole 24 Ore105 Stefano Micelli riflette proprio su queste tematiche sottolineando in particolare la necessità di ripensare i modelli organizzativi delle imprese. Le aziende nel corso degli ultimi anni hanno imparato a sfruttare le potenzialità che la rete Web ha concesso loro sotto forma di nuovi strumenti di marketing e nuovi contatti con clienti e fornitori. Le nostre aziende hanno imparato ad utilizzare i social network per comunicare e raccontarsi, per valorizzare le loro caratteristiche ed unicità. In pressoché ogni impresa di medie dimensioni sono presenti poi sistemi di controllo informatizzati dei magazzini per controllare le scorte e minimizzare gli sprechi e le diseconomie. Piattaforme di e-commerce hanno permesso a moltissime aziende di conoscere nuovi mercati e di svilupparsi a livello globale. Quest’ultima possibilità, che ha concesso il Web, di interfacciarsi direttamente con il cliente finale evitando gli intermediari, ha permesso a molte realtà di crescere e di raggiungere risultati fino a prima impensabili. Nonostante tutto ciò, per usare le parole di Micelli: “le nuove tecnologie hanno vestito un modello produttivo e gestionale ancora profondamente radicato sui presupposti della fabbrica tradizionale”. Il processo di produzione è dunque rimasto retaggio di metodologie vecchie, ante rivoluzione digitale, non acquistando le caratteristiche di flessibilità che caratterizzano invece altre funzioni aziendali più coinvolte nell’utilizzo degli strumenti informatici.

Il Web ha tuttavia già in sé gli strumenti affinché le aziende possano far evolvere anche il loro processo produttivo cambiandone i modelli organizzativi.

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Stefano Micelli, “La manifattura al tempo dei bit”, Nova, Il Sole 24 Ore, 15 Aprile 2014.

Un’azienda che produce mobili potrebbe non necessitare più di spazi molto grandi per esporre i propri prodotti ai clienti, ma di ambienti tridimensionali e di schermi di computer che mostrano le varie collezioni e ogni possibile personalizzazione. Il talento di designer che inseriscono i loro oggetti on-line può essere sfruttato da questa stessa azienda per proporre progetti sempre nuovi e calzanti maggiormente i gusti dei clienti. Stampanti 3D, laser cutter etc…semplificano il processo di produzione e consentono una personalizzazione senza comportare grossi costi aggiuntivi. Questo stesso esempio di come le nuove tecnologie possono avere profonde implicazioni nell’ambito produttivo può tranquillamente riguardare la maggior parte dei prodotti caratteristici del nostro Made in Italy, dall’abbigliamento agli accessori per la casa ai macchinari di precisione.

Ciò che ci aspetta sembra essere una rivoluzione della manifattura, in parte già in atto, e dunque viene spontaneo chiedersi: chi trarrà maggior vantaggio da questa situazione? Il professor Micelli sintetizza in due scenari principali la molteplicità delle situazioni possibili. Da una parte l’emergere della grande impresa automatizzata che implementerà fabbriche in cui ci saranno macchinari ad altissima flessibilità produttiva, dall’altra uno scenario in cui la piccola e media impresa sarà in grado di sfruttare a proprio favore le tecnologie di digital manufacturing. La prima possibilità prospettata mi fa venire in mente quello che già oggi Tesla è stata in grado di fare con il suo stabilimento californiano, in cui i robot KUKA riescono a compiere un’infinità di operazioni differenti e sono completamente riprogrammabili, consentendo loro di produrre quasi qualsiasi cosa. Quindi ci potrebbe essere un futuro in cui chi possiede le enormi fonti di capitale necessarie ad implementare fabbriche super tecnologiche e completamente automatizzate potrà produrre pressoché di tutto limitando al minimo il capitale umano interessato nell’ambito produttivo. Si creerebbe in tal modo una elite di persone ricche e super formate a scapito della maggior parte della popolazione che dovrebbe abbassare i propri canoni di vita. Ciò è quello che sostanzialmente emerge dalla visione di Tyler Cowen nel suo saggio

Average is Over106. L’altro scenario possibile prefigura la nascita di una nuova

classe di produttori organizzati in piccole e medie imprese. Uno scenario che potrebbe riguardare fortemente i nostri territori ed essere l’evoluzione verso la quale questa crisi dello status quo porterà le imprese superstiti e le nuove realtà emergenti. Una manifattura caratterizzata da competenze tecnologiche e capacità consolidate nella cultura e nei territori di appartenenza, ingredienti questi ultimi che sono sempre stati il punto di forza del nostro Made in Italy. Un Made in Italy che potrebbe trainare la nostra economia ridando nuova linfa alla produzione. Perché ciò avvenga è necessario investire sulla cultura digitale, affinché i nostri artigiani siano prima di tutto coscienti delle possibilità che questa offre. I Fab Lab potrebbero svolgere un ruolo importantissimo in questo ambito e contribuire alla formazione di artigiani high-tech che sappiano interfacciarsi con le tecnologie di digital manufacturing. Il nostro territorio un tempo caratterizzato dalla presenza dei distretti industriali potrebbe presentarsi particolarmente adatto a sviluppare un’ecosistema di produzione che sfrutta il web e le tecnologie di produzione digitale.

Questi nuovi produttori avranno poi la possibilità di scostarsi dai classici ambiti del Made in Italy andando ad esempio a fare da apripista nei nuovi settori high- tech come quello delle tecnologie indossabili. Il caso di Massimo Banzi e di Arduino è proprio un esempio di un’azienda italiana che ha creato un mercato in una delle frontiere tecnologiche. Quello che senz’altro hanno in comune questi produttori di piccole e medie dimensioni, che sfruttano le tecnologie di digital production, è di allontanarsi dal paradigma della produzione di massa, consentendo alla personalizzazione di vincere sulla standardizzazione e di permettere una maggiore distribuzione del reddito. Come ricorda il The Economist in una critica al libro di Tyler Cowen Average is Over, è difficile pensare ad un sistema democratico in cui siano così forti le disparità fra ricchi e poveri. Forse dietro l’evolversi di un sistema produttivo e dei suoi possibili scenari c’è in gioco più che una semplice ripresa dell’economia dei paesi industrializzati, ma la tutela del concetto stesso di democrazia. Creare un

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Tyler Cowen, Average is Over: Powering America Beyond the Age of the Great Stagnation, 2013.

ambiente in cui la sostenibilità economica si abbina alla sostenibilità sociale permetterebbe a mio avviso di dare più equilibrio e prosperità al nostro Paese, come ha già dimostrato il modello manifatturiero dei distretti industriali.

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