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Facilitare lo studio in L2

Nel documento 15 I Quaderni della Ricerca (pagine 95-99)

4. Un ampliamento di prospettiva: il CLIL di lingua straniera 79

5.3. Facilitare lo studio in L2

È innanzitutto necessario agire sulla lingua. L’azione sulla lingua si declina sia su quella scritta che su quella parlata.

Redazione di testi a scrittura controllata Le azioni sul testo sono la semplifica-zione o, meglio, la redasemplifica-zione di testi ad alta comprensibilità (scrittura

control-lata). Le caratteristiche salienti del testo a scrittura controllata (cfr. Pallotti,

2000) sono:

• scelte lessicali che optano per il vocabolario di base, di uso frequente; se non appartengono a questo, vengono spiegate in nota;

• frasi brevi, in forma attiva e diretta; • ordine S-V-O (soggetto, verbo, oggetto): si evitano costruzioni complesse; • scarso numero di proposizioni subordinate; • ridondanza di parole chiave; • organizzazione del discorso: dalle informazioni generali a quelle particolari; • evitare i salti logici e gli impliciti; • uso attento dei titoli e della scansione in paragrafi; • utilizzo frequente di immagini, onde stimolare il piacere, la motivazione e la multisensorialità.

Semplificazione di manuali o altri testi non destinati a lettori non italofoni Attraverso l’azione di semplificazione il testo adottato in classe viene sottoposto a varie forme di analisi e di adattamento: la prima cosa da fare è l’analisi del testo, per valutarne le difficoltà linguistiche, quelle cognitive e quelle legate all’argomento trattato, la rilevanza dei contenuti ai fini di un’eventuale selezione. In

partico-lare, le caratteristiche dei testi scolastici disciplinari che pongono problemi di comprensione a lettori non esperti (cfr. Luise, 2006, p. 197 sgg.) sono:

• la lunghezza del testo; • il lessico specialistico, astratto o non conosciuto; • l’uso metaforico e non letterale della lingua, l’uso di espressioni idiomatiche; • la struttura sintattica complessa della frase; • la presenza di nessi linguistici anaforici e impliciti; • l’alta densità informativa; • la complessa pianificazione delle informazioni nel testo; • la compresenza di diversi generi testuali nello stesso testo; • la presenza di elementi connotati culturalmente.

In seguito a questa analisi, il testo può essere modificato intervenendo prin-cipalmente su morfosintassi e lessico, riformulandolo quindi in chiave facili-tante.

Nello schema di Ferrari e Pallotti (2005) riprodotto in tabella 1, vengono sin-teticamente presentate le caratteristiche dei testi di semplice lettura.

Tabella 1 Caratteristiche dei testi ad alta leggibilità (Ferrari, Pallotti, 2005) Caratteristiche grafiche Caratteristiche linguistiche Caratteristiche testuali:

coesione/coerenza • corpo tipografico grande (min. 13 punti); • capitoli brevi; • pagine poco dense; uso ragionato di colori e imma-gini. Lessico: • uso del vocabolario di base; • evitare forme figurate ed

espressioni idiomatiche; • evitare nominalizzazioni. Sintassi: • frasi brevi (max 20-25 parole); • ordine S-V-O; • verbi di modo finito e forma attiva; • esplicitare sempre i soggetti delle frasi, evitare forme im-personali;

• preferire proposizioni coordi-nate e subordinate semplici.

• mantenere un tasso elevato di ridondanza (più nomi pieni che pronomi, ripetere le stesse forme piuttosto che cercare si-nonimi); esplicitare i passaggi tra gli ar-gomenti; • organizzare i contenuti in modo da favorire la loro ela-borazione cognitiva.

È necessario, inoltre, agire sui contenuti attraverso differenti adattamenti. Allo scopo di facilitare l’accessibilità ai testi di studio da parte di studenti non italo-foni, la scelta dei contenuti, pur nel rispetto delle disposizioni ministeriali, do-vrebbe ricadere (almeno in una prima fase) su temi i più concreti possibile e

almeno in parte risonanti rispetto al vissuto degli studenti. Per ogni singola di-sciplina è possibile individuare obiettivi essenziali e irrinunciabili che diven-tino catalizzatori di scelte contenutistiche, lessicali, concettuali. I concetti e le strutture linguistiche elettive a essi, correlati nell’ottica della facilitazione, sono quelli fortemente produttivi e trasversali a più discipline. Piuttosto che puntare sul trasferimento di nozioni, al fine di sviluppare nel lettore immaturo compe-tenze strategiche per la lettura di testi complessi, è preferibile puntare sull’acqui-sizione di operatori cognitivi, ovvero strumenti concettuali, parole chiave, strut-ture chiave della microlingua che sono spesso trasversali a più discipline e che permettono di agganciare altre conoscenze e si rivelano uno strumento estre-mamente efficace per una concezione interdisciplinare, strategica e trasversale della facilitazione dell’apprendimento. I contenuti, inoltre, rimandano a cornici fortemente connotate culturalmente e possono per tale ragione risultare com-pletamente incomprensibili per chi porta con sé diverse “enciclopedie di mondo” (cfr., in questo volume, il contributo di Balboni, par. 2.2.1).

Una delle azioni fondamentali per la facilitazione dei contenuti di studio è la revisione del curricolo in chiave interculturale.

Le azioni di facilitazione che toccano i contenuti rimandano alla necessità di intervenire non solo sul piano metodologico, ma altresì su quello organiz-zativo, coinvolgendo in momenti di coprogettazione anche docenti di diverse discipline e consigli di classe. Insomma, l’idea di facilitazione non attiene sol-tanto ai metodi e ai modi di agire dentro la classe, ma parimenti alla capacità di organizzare un contesto che si muova in modo convergente e strategico. Gli studenti hanno bisogno di trasferire i loro saperi da un contesto all’altro: com-pito dei docenti facilitatori e di tutte le figure che a vario titolo si occupano di facilitare l’apprendimento linguistico è anche quello di incentivare una “cultura della rete”, della condivisione dei progetti e dei materiali per favorire appunto una “permeabilità” dei contesti (laboratori e classe) affinché sia reso concreta-mente possibile questo trasferimento di competenze e saperi da un ambiente all’altro.

Infine, è ovviamente necessario agire sul lettore attraverso proposte di tività che mirino a sviluppare un approccio attivo alla lettura del testo. Tali at-tività dovrebbero puntare a sviluppare le competenze strategiche e metastrate-giche del lettore. L’obiettivo è quello di sviluppare sia abilità metalinguistiche (ad es. individuare parti fondamentali e secondarie, i segnali che marcano il passaggio da un argomento all’altro) sia abilità metacognitive (ad es. capire e ri-conoscere le difficoltà, trovare strategie per superarle, capire le consegne, porsi obiettivi e riuscire a superarli). Il lettore esperto è anche consapevole di cosa deve fare, di come svolgere il compito, di come tenere sotto controllo le proce-dure che mette in atto.

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Nella didattica delle ls la nozione di “unità didattica” è entrata prepotentemente negli anni Sessanta del xx secolo e, con l’arrivo delle varie ondate di studenti migranti dagli anni Novanta in poi, la programmazione per “unità” è passata anche in italiano l2. In queste aree tutti i manuali sono organizzati per “unità didattiche”, ma se si va a vedere nel dettaglio si scopre facilmente che non c’è omogeneità se non sul fatto che si parte con un input, e soprattutto in italiano l2 abbiamo quelle che tecnicamente sono “unità d’acquisizione”, pensate – come vedremo – per la logica dello studente, mentre nelle ls abbiamo “unità didat-tiche” che, come dice l’aggettivo, sono pensate con la logica di chi insegna.

Nella didattica dell’italiano qualche manuale titola “unità” quelli che sono i vecchi capitoli (il nome, l’aggettivo ecc.), ma ci sono anche altre terminologie che comunque non realizzano quasi mai la logica dell’unità didattica come modello

psicodidattico, prodotto cioè nell’ambito della psicologia dell’apprendimento,

prima ancora che glottodidattico, ovvero relativo all’educazione linguistica. La parola “unità”, giunta alla pedagogia italiana direttamente dall’inglese

unit, non riguarda l’unitarietà di varie sezioni, come pure è stata interpretata

da alcuni manuali, ma indica un blocco autonomo, un esemplare, una di tante unità simili che insieme compongono il percorso (Balboni, 2012a).

6.1. Dalla “lezione” all’unità didattica

La tradizione dell’insegnamento ci ha fornito due strumenti didattici consacrati nei secoli, la conversazione maieutica e la lezione ex cathedra, e uno strumento che è stato proposto negli anni Trenta del xx secolo dalla pedagogia attivista, vale a dire l’unità didattica.

Per comprenderne meglio la natura dobbiamo ricorrere a un modello, sempre consacrato dalla tradizione pedagogica, quello dell’interazione didat-tica. Secondo questo modello, per analizzare l’interazione didattica bisogna par-tire dalla considerazione che in una classe ci sono tre elementi: la persona che apprende, la persona che insegna e l’oggetto da apprendere.

Tradizionalmente lo “spazio dell’interazione didattica” (questo è il nome tec-nico del modello) viene tradotto graficamente con un triangolo, ai cui vertici

6. La realizzazione di unità didattiche

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